mercoledì 11 febbraio 2009

Se la vita diventa un bene della Chiesa

l’Unità 11.2.09
Se la vita diventa un bene della Chiesa
di Giovanni Berlinguer

La vicenda di Eluana mostra quello che accade quando
i confini tra fede e legge svaniscono. Teniamolo presente
ora che riparte la discussione sul testamento biologico.

Come è giusto che sia, ora il dibattito parlamentare ripartirà dal testo della Commissione sanità del Senato sul Testamento biologico. Esso però rischia ulteriori sopraffazioni rispetto alle esigenze e alle volontà delle persone. Con efficacia, Claudio Magris ci ha ricordato che «La qualità della vita può essere valutata solo dall’interessato, l’unico autorizzato a poter decidere della propria vita e della propria morte».
È opportuno rileggersi per intero l’art. 32 della Costituzione, composto di due paragrafi. Il primo afferma che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Non meno significativo il secondo, proprio alla luce delle recenti vicende: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Sono principi fondati sulla libertà personale e sulla responsabilità dei medici e della scienza, beni che lo Stato mette a disposizione dei suoi cittadini per garantire il diritto alla salute. E qui sta il grande valore della laicità e della inalienabile distinzione tra fede e legge. Il governo e il centrodestra hanno abbracciato con piglio decisionista la posizione del Vaticano e delle gerarchie cattoliche, sostituendosi alle volontà della povera Eluana e della sua famiglia, alle attenzioni dei medici chiamati al capezzale, alle sentenze della magistratura fino ai rilievi costituzionali del Capo dello Stato.
Ieri sulla procreazione assistita, oggi sul testamento biologico, Governo e Chiesa irrompono nelle vite delle persone dettando norme, stabilendo obblighi, prescrivendo comportamenti, anziché favorire diritti e assicurare tutele. Con il risultato che, in nome del principio secondo cui la disponibilità della vita appartiene alla volontà di Dio anziché agli individui, è lo Stato a determinare come si viene al mondo e come si lascia questa terra. Così si finisce per fare leggi tanto mostruose quanto inapplicate ed inapplicabili (i voli della speranza per le cliniche spagnole dove coppie sterili cercano di avere figli sono aumentati del 300% dopo l’approvazione della legge 40). Oppure, da una parte si condanna l’accanimento terapeutico e gli eccessi di certi abusi tecnologici e poi li si impone per decreto legge.
Il naturale e l’umano vengono usati, fino ad essere vilipesi, in nome della supremazia contingente, sia essa della Chiesa, sempre più incline a espressioni teocratiche, sia della maggioranza politica pro tempore. La quale legifera di morte e dimentica la vita. Come quella legata alla salute dei migranti, da segnalare alle forze dell’ordine se osano usufruire del nostro sistema sanitario. La Chiesa stessa, come ogni buon medico e ogni buon infermiere, ha denunciato i devastanti effetti di questa norma. E alcune regioni (la Puglia, la Toscana, il Lazio) hanno già deciso di non applicarla. La rivolta di tanti medici, cattolici e non cattolici, indica come si può stare dalla parte della vita battendosi contro il furore ideologico di taluni atti legislativi. Le crociate integraliste basate sull’affermazione dei valori cristiani sembrano prevalere sulla libertà di coscienza (e di cure) dei medici e dei cittadini. Contro ogni autodeterminazione delle persone, il governo ha scelto il terreno che più terremota le coscienze e abbatte le barriere di partito: il dolore. Trasformando una complessa e straziante vicenda nell’ennesimo scontro tra dove finisca la vita e dove inizi la morte.

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