martedì 10 febbraio 2009

«Ha rotto l’incantesimo. La vita buona è solo quella consapevole»

l’Unità 10.1.09
«Ha rotto l’incantesimo. La vita buona è solo quella consapevole»
di Maurizio Mori

Eluana ha rotto un incantesimo. Per questo il caso suscita tanto scalpore e sentimenti tanto forti. Ha rotto l’incantesimo della sacralità della vita. Quello secondo cui la vita è un mistero sempre nuovo e imprevedibile, è un dono sempre buono in sé e positivo. «Mistero» chiama sentimenti di venerazione e soprattutto di rispetto per i fini che vengono intravisti in filigrana indicanti una sorta di volontà della natura. «Dono» suppone la bontà di quanto ricevuto ed esige una reciprocità che impone rispetto assoluto per rendere grazie per la preziosità ricevuta.
Eluana ha mandato in frantumi la sfera di cristallo della sacralità. Oggi la vita non è più un mistero imprevedibile perché sappiamo che Eluana è in stato vegetativo permanente e non si risveglierà mai più. Ne abbiamo tutta la certezza che ci è dato di avere in base alle esperienze acquisite: da ultimo lo dimostra l’autopsia di Terri Schiavo il cui cervello è risultato essere distrutto nelle parti preposte alla sensazione e relazione. Solo i giornali impregnati di ideologie faziose continuano a dar credito a chi ripete che Terri sorrideva e capiva.
Dopo il caso Eluana la vita non è più sempre buona in sé. Già Piergiorgio Welby aveva sollevato il problema, quando diceva di non farcela più, che ormai era giunto per lui il tempo di andarsene. Ma la vita di Welby, pur travagliata e difficile, fino ad allora era stata ricca e grande. Ancor più che Welby, Eluana ci ha messo di fronte al fatto che la vita non è sempre un dono (buono e prezioso). La coscienza di Eluana era «out of action» (fuori gioco), i suoi centri sensitivi distrutti, la sua capacità simbolica e di parola dissolta per sempre. Se è vero che «la parola è il segno umano per eccellenza, l’espressione distintiva dell’umanità dell’uomo. L’uomo perviene alla propria umanità col giungere alla parola» (Monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei, Avvenire 5 dicembre 2008), allora è solo uno slogan ripetere che lo stato vegetativo permanente è una «grave disabilità»: uno slogan per edulcorare una realtà ben diversa, per mascherare che la vita di Eluana è sprofondata nell’indifferenza, non è più né buona né cattiva. Forse per questo si dice che la sua è una «non-vita», termine per indicare una situazione inedita, mai vista prima nella storia.
La sfera di cristallo della sacralità attraverso cui guardavamo il mondo ci faceva vedere la vita come buona in sé. Invece, Eluana ci ha mostrato che buona non è la «vita in sé», ma la «vita buona», ossia la vita con contenuti buoni. Non sempre la vita è buona: per Eluana, a un certo punto, non lo più stata. E la consapevolezza di questo è diventata pubblica, ufficiale. Beppino è un eroe civile perché con la sua tenacia ha rotto l’incantesimo pubblicamente, per tutti. Prima molti (forse i più) lo pensavano in privato, sussurrandolo di nascosto e quasi vergognandosene. Ora lo si può dire in pubblico, forte e chiaro. Anzi, ci si accorge che i presunti argomenti della sacralità evaporano nel nulla rivelandosi vuoti slogan che appaiono seri solo perché ripetuti fino all’ossessione.
Ogni volta che si rompe un incantesimo o si viola un tabù alcuni cadono in preda al terrore. Prevedono così un futuro buio e terrificante. Oggi presagiscono che ormai tutte le vite fragili sarebbero a rischio: tesi priva di ogni consistenza visto che il caso Eluana riguarda al massimo solo i vegetativi permanenti come lei. Il pericolo paventato sta, se mai, nel fatto che - dopo Beppino - anche altri comincino a riflettere razionalmente sul «bene» vita. Ma questo è positivo, non un disastro!
Chi guarda la realtà senza lasciarsi prendere dal panico può rilevare che la liberazione di Eluana dallo stato vegetativo permanente segna una crescita morale e civile. Qualcosa di analogo alla breccia di Porta Pia che ha sbriciolato la sacralità del potere politico. Anche allora per alcuni parve un crollo foriero di sciagure. In realtà è stato un passo per uscire dallo stato di minorità infantile in politica. Dissolvendo la sacralità della vita Eluana ci ha fatto compiere oggi un altro passo per uscire dalla minorità in medicina. Come ogni crescita, anche questa comporta nuove responsabilità e nuovi problemi. I soliti misoneisti oppongono resistenza e ostruzionismo, ma la breccia è aperta e nuovi orizzonti si sono spalancati. Grazie Eluana, grazie Beppino: crescere comporta difficoltà, ma è anche esaltante.

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