mercoledì 25 febbraio 2009

Il testamento biologico e gli spauracchi

l’Unità 25.2.09
Il testamento biologico e gli spauracchi
di Sergio Bartolommei, Università di Pisa e Consulta di bioetica

Francesco D’Agostino interviene sul Giornale del 17 febbraio a sostegno del progetto di legge Calabrò sul “testamento biologico” che vieta al paziente di esprimersi per sospendere idratazione e nutrizione artificiali. Gli argomenti di D’Agostino sono tre: 1) non sono atti medici (suscettibili di essere rifiutati) come non lo è «mettere un bimbo nato prematuro nell’incubatrice»; 2) sono atti di «immenso valore simbolico» e sarebbe «simbolicamente atroce far morire d’inedia un malato»; 3) la sospensione di questi trattamenti dovrebbe essere accompagnata, come nel caso Englaro, da una sedazione che ha carattere «eutanasico».
Sul primo punto l’esempio è improprio. La possibilità per i neonati fortemente pretermine di essere tenuti in vita oltre i tempi consentiti dalla “natura” è un dato recente legato all’avvento delle tecnologie mediche di rianimazione e sostegno vitale. Non c’è prova più evidente di quanto siano pervasivi gli atti medici delle terapie intensive neonatali. Ed è in corso una discussione se sia lecito mantenere in vita a tutti i costi neonati che presentano gravissime patologie incompatibili con la vita stessa. Ostinarsi in questa direzione, in alcuni casi, serve solo a infliggere crudeltà gratuite.
Sul secondo punto va detto che intorno al tema della “sopravvivenza” umana si mobilitano forti sentimenti che non si registrano in fatto di vita non umana e di materia inorganica. Ciò non impedisce di ritenere il valore assegnato a certi simboli non un fatto naturale, ma il prodotto di tradizioni suscettibili di cambiamento. Inoltre non è possibile sottostimare il carattere atroce (al pari della tortura) che, dal punto di vista simbolico, assume condannare le persone a idratarsi e nutrirsi contro la loro volontà. Infine occorre avanzare qualche dubbio circa la capacità di “presa” simbolica di un sondino nasograstrico che alimenta coercitivamente una persona ridotta a involucro biologico: cosa sia più “sconvolgente”, da un punto di vista simbolico, tra intubazione coatta e morte guadagnata tra cure confortevoli, è tutto da stabilire...
Sul terzo punto l’autore gioca sulle parole. È vero che eutanasia significa “dolce morte” e che la morte di Eluana Englaro è stata (con ogni probabilità) “dolcissima”. Non tutte le dolci morti però sono il prodotto di atti eutanasici, e quello di Eluana non lo è stato. Nel suo caso si è trattato di un “rifiuto delle cure”, al pari di altre decisioni attuate da chi rifiuti di sottoporsi a terapie mediche anche salvavita. La novità del caso sta nell’aver applicato a una persona in stato di incoscienza un principio fatto valere per le persone coscienti. Denominare “eutanasia” l’atto col quale si è conclusa la vita di Eluana è agitare spauracchi che potranno servire forse a mobilitare un legislatore in vena di rivalse, non certo a chiarire la realtà dei fatti.

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