giovedì 30 dicembre 2010

Monicelli: scelta privata e pubblico tabù

Monicelli: scelta privata e pubblico tabù

Sergio Bartolommei,L'Unità, il 01/12/10

Se dovessi essere costretto ad una vita che non è vita, la farei finita anch’io». Parole di Monicelli. Il suo suicidio cruento deve indurre a riflettere sulla opportunità di legalizzare l’eutanasia nel nostro Paese. «Cronaca di una morte opportuna» è il titolo di un libro dedicato al caso Welby - un caso scuola di uscita dalla vita dettata dal rifiuto delle cure. «Morte opportuna» - abbandoniamo ipocrisie e giri di parole - è però anche quella di chi, indisponibile a sperimentarne giorni strazianti di agonia, di perdita di autonomia e della coscienza di sé, intenda chiudere l’esistenza in modo immediato e indolore. Eutanasia e suicidio assistito sono i due modi in questione. È del tutto improprio e sottilmente violento opporsi con tutti i mezzi alla volontà degli individui che - date certe circostanze - non trovano più nella vita un motivo valido per continuare nell’impresa. A dover giustificare la propria posizione in merito all’eutanasia non sembra debba essere chi opta per vedere rispettata nello spazio pubblico la scelta di chi a mente lucida chiede con insistenza di vedere soddisfatta la richiesta di morire, ma chi voglia costringere altri a vivere contro la propria volontà.

Alla base del rifiuto del riconoscimento di qualche forma di eutanasia sta o la "ripugnanza" per il gesto, o il convincimento che "la vita è meravigliosa" e "la speranza sempre l’ultima a morire", o l’idea che la vita sia un dono indisponibile. Della ripugnanza basti dire che non è un argomento, ma solo il prodotto di una forte emozione non da tutti condivisa e che potrebbe contenere anche pregiudizi mai esaminati. L’argomento "meraviglia" può riguardare tutt’al più chi già nutra sentimenti o aspettative positivi per un’esistenza prolungata anche nelle condizioni più insopportabili, ma non chi non sia disposto a scambiare qualche giorno o mese in più nella vita con i contenuti - cattivi o orribili - che la vita gli riserva. Infine, che la vita sia un dono indisponibile tradisce solo una bizzarra concezione del dono che da bene gradito e fruibile diviene un amaro calice da bere fino all’ultima goccia contro il proprio volere.

La legalizzazione in determinate circostanze dell’eutanasia costituirebbe un passo avanti nella civilizzazione del Paese e della sua legislazione. Con essa non solo si eviterebbero le morti cruente e spesso dolorose a cui solitamente deve far ricorso chi abbia deciso di chiudere con l’avventura della vita. Si potrebbe soprattutto dare fiducia a quegli individui, pochi o tanti che siano, che, determinati a sottrarre nel più breve tempo e nella maniera più indolore possibile il proprio corpo a situazioni intollerabili, non dovrebbero più temere quella sorta di pedagogia nera messa in scena al loro capezzale per far sentire loro che, alla fine della vita, il loro vero bene consiste nel fare l’esatto contrario di ciò che desiderano.

lunedì 27 dicembre 2010

(Lettera) I finti paladini della vita

Lettera - I finti paladini della vita

Ignazio Marino. Europa, il 07/12/10

Caro direttore, la semplificazione giornalistica pro-vita o pro-morte occupa insensatamente la discussione di questi giorni sul testamento biologico, riapertasi con la presenza di Beppino Englaro e Mina Welby nella trasmissione di Fazio e Saviano e la morte di Mario Monicelli. Una polarizzazione - degna più di un derby calcistico - che manomette il confronto.

Perché, nel nostro paese, non è possibile parlare pacatamente di temi etici? Perché chiedere il rispetto dell’autodeterminazione, delle volontà sulle terapie cui si vuole o non si vuole essere sottoposti, in caso di perdita di coscienza, ti iscrive d’ufficio al partito della morte? Che senso ha istituire, nel giorno dell’addio a Eluana Englaro, la giornata degli stati neurovegetativi?

La discussione è difficile, ma non impossibile. Basta leggere la mia recente corrispondenza pubblica con il cardinale Carlo Maria Martini (Corriere della Sera, 28 novembre), il cui confronto è proseguito dai tempi del nostro "Dialogo sulla vita", pubblicato da l’Espresso nel 2006. Ci sono più aperture da parte del mondo cattolico, che da larga parte - quella che governa il paese, speriamo ancora per poco - di quello politico.

Perché, quando Beppino Englaro e Mina Welby ci hanno regalato i loro ricordi struggenti, nel corso di Vieni via con me, i cosiddetti paladini della vita hanno sentito il bisogno, anzi hanno preteso il diritto, di una replica? E non erano paladini della vita Beppino e Mina, quando si impegnavano con tutte le loro disperate forze, perché le persone amate non restassero in un limbo di tubi?

E non sono paladini della vita, parimenti, coloro che, altrettanto disperatamente, sono costretti a fare i conti con una legge di carta, quella sulle cure palliative, lasciati soli ad affrontare i costi umani e materiali di una malattia terminale, insieme alle loro famiglie? Vogliamo ricordare che questo governo, che sventola vessilli cattolici o presunti tali, inneggianti alla solidarietà e alla vita, ha poi finanziato la rete delle cure palliative sul territorio per un - e dico un - milione di euro, contro i 240 annui, stanziati dalla Germania? Un milione, fissato per il solo 2011 (per i prossimi anni è zero), basta per curare 350 pazienti, ovvero lo 0,05% dei malati terminali in Italia.

Io sono da sempre contro l’eutanasia. Vorrei semplicemente che il senso della vita e della morte tornasse ad essere quello dei nostri vecchi. Che lasciavano serenamente questo mondo e concludevano il loro cammino senza paura. Con la consapevolezza, per molti, di una vita oltre la vita, la cui prospettiva, usando insensatamente la tecnologia, oggi si allontana.

domenica 26 dicembre 2010

Quando "A Sua immagine" rifiutò spazio a Englaro

Quando "A Sua immagine" rifiutò spazio a Englaro

Francesco Peloso, Il Secolo XIX, il 29/11/10

Domenica 8 febbraio 2009, su Rai Uno a metà mattinata è in onda "A Sua immagine", programma cattolico al 100%: vengono inquadrati pane e acqua, simbolo di idratazione e alimentazione, le funzioni artificiali che tengono in vita Eluana Englaro. Dopo una lunga battaglia, il caso si chiuderà con la morte della ragazza, in stato vegetativo per 16 anni. Le organizzazioni pro-life cattoliche e la Chiesa attaccano il padre di Eluana, Beppino, e quanti sostengono la possibilità di interrompere alimentazione e idratazione, il cardinale Camillo Ruini parla di omicidio.

"A Sua immagine" non fa eccezione, e naturalmente non offre il diritto di replica invocato dopo la puntata di "Vieni via con me" dedicata ai casi Englaro e Welby. E il motivo è semplice: "A Sua immagine" è un programma in convenzione con la Conferenza episcopale dove contenuti e gli ospiti sono decisi dalla Cei. Per altro nel contenitore cattolico della domenica mattina viene sempre trasmesso, in diretta l’Angelus del Papa. Dunque la richiesta del diritto di replica, sventolata in questi giorni da Avvenire, politici e leader di organizzazioni cattoliche, non sembra argomento imbattibile: i precedenti sono imbarazzanti.

Ma c’è anche un altro caso, recentissimo. Raiuno alla fine di ottobre trasmette la fiction su Pio XII. Il film, prodotto dalla Lux Vide, vicina all’Opus Dei, viene criticato dalle comunità ebraiche. È agiografica, dicono, e poi accusano: non racconta la verità sulle responsabilità della Chiesa nelle deportazioni e sul ruolo di Pacelli. Anche in questo caso viene evocato il ruolo del servizio pubblico. Nessun diritto di replica, ovviamente, viene rispettato.

Ieri "A Sua immagine" ha offerto spazio a storie di malati concluse bene, lo stesso farà "Porta a porta". A irritare la Cei, però, è stata anche la presenza, nel programma di Fazio, di un prete "contro" come don Andrea Gallo, Avvenire l’ha definito "vanitoso". Oggi si replica: a "Vieni via con me" ci sarà don Luigi Ciotti, altro sacerdote non troppo amato dalle gerarchie ecclesiastiche ma che gode di ampio seguito: si parlerà di legalità e volontariato.

sabato 25 dicembre 2010

Treviso, appello al Colle di un malato: "Voglio morire" e l’infermiera di Eluana si offre di aiutarlo

Treviso, appello al Colle di un malato: "Voglio morire" e l’infermiera di Eluana si offre di aiutarlo

Nicola Pellicani, la Repubblica, il 02/12/10

Appello di un disabile trevigiano al Presidente della Repubblica per una "dolce morte". Annibale Fasan, 54 anni, di Casier, un paese a pochi chilometri da Treviso, è affetto da distrofia muscolare dall’età di 13 anni e vive in sedia a rotelle. Una vita d’inferno, abbandonato da tutti, tanto da chiedere al Capo dello Stato di farla finita. «Le istituzioni mi hanno abbandonato scrive - sono costretto a una battaglia continua per vedere riconosciuti i miei diritti di disabile. Chiedo che lo Stato mi aiuti nella procedura di una morte dolce, vivere così non è dignitoso». Non ne può più Annibale, due anni fa propose al sindaco di poter lasciare in eredità al Comune il suo appartamento in cambio di un vitalizio, ma l’amministrazione non si degnò nemmeno di rispondere. Adesso Fasan, pensionato e artista, prigioniero della sua malattia, ha perso ogni speranza. L’appello al Capo dello Stato non è passato inosservato a Cinzia Gori, l’infermiera di Eluana Englaro e moglie di Amato De Monte, il medico della stessa Eluana. L’infermiera ha scritto ad Annibale Fasan rendendosi pronta ad aiutarlo: «Sono disponibile ad affiancarti nella tua battaglia - scrive l’infermiera - io e mio marito appoggiamo i tuoi principi di libertà individuale. Annibale, grazie per la tua lettera che denuncia voglia di combattere. Io mi sento di chiederti scusa, a nome di un popolo, che al momento è troppo preso più dall’apparire che dall’essere, più dall’assicurarsi una poltrona per cercare di darsi da fare per espletare il lavoro per cui sono stati votati e profumatamente pagati». Cinzia Gori si schiera quindi a fianco del disabile trevigiano. «Spero che il presidente della Repubblica ti risponda».

giovedì 23 dicembre 2010

Sia libera e dignitosa: siamo noi il vero partito della vita

l’Unità 28.11.10
Sia libera e dignitosa: siamo noi il vero partito della vita
La deputata radicale all’Unità: «Facciamo un dibattito con chi si arroga di difendere la vita e addita gli altri di essere per la morte»
di Maria Antonietta Farina Coscioni

Spazio, voce, visibilità a chi si batte per il diritto alla vita? Certo. Ma se qualcuno ha diritto di essere ospitato dalla trasmissione di Fazio e Saviano (e non solo quella) non sono tanto le sedicenti associazioni «per la vita», piuttosto chi, come l’Associazione Luca Coscioni, e io stessa in questi anni si batte non per accaparrarsi finanziamenti pubblici per associazioni private, quanto per consentire a tutti ripeto tutti i malati e i disabili pari opportunità nell’ottenere cura ed assistenza, ausili, e migliorare la qualità della vita dal momento della diagnosi al momento della morte, consentendo loro di scegliere.
Questa è la differenza che voglio sia conosciuta. Perché far emergere la verità sulla mancata approvazione da parte del Governo dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza e l'aggiornamento del Nomenclatore degli ausili e delle protesi ho dovuto digiunare e a lungo. Una lotta, elusa, ignorata. Forse perché non chiedevo e non chiedo nulla per noi radicali, per le associazioni; e pongo “solo” il problema del diritto del malato ad avere gli strumenti adeguati per decidere. Perché chiedo che con i nuovi Lea siano assicurati i fondi necessari per la qualità della vita del malato e del disabile, e che siano accreditati a questi ultimi senza mediazioni e condizioni: c’è infatti chi vorrebbe destinare milioni di euro non nella diretta disponibilità dell’interessato, ma a questa o quell’associazione, così da assicurare clientele e gestioni “amicali”.
Sia piuttosto l’interessato, o chi da lui delegato in caso di sua impossibilità, a decidere dove e come vuole vivere la malattia: in ospedale, o a casa nel caso ciò sia possibile. Il malato deve essere informato ed disporre di mezzi adeguati per scegliere: nulla di più e nulla di meno.
È poi inaccettabile che chi vuole obbligarli a fare una scelta si definisca «per la vita», e chi li vuole liberi di scegliere sia additato come «contro la vita», se non «per la morte». Mina Welby, Beppino Englaro, io stessa, saremmo il «partito della morte»? Siamo e rivendichiamo di essere il partito della vita: un’altra vita, dignitosa e rispettosa dei diritti di tutti e di ciascuno, anche di chi a un certo punto ritiene che si debba accettare che non c’è possibilità di opporsi alla morte, e chiede di essere «lasciati andare». Come papa Giovanni Paolo II, quando invocò: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».
Ci sono, sì, due “partiti”: chi crede che una persona sia libera di disporre del proprio destino, possa decidere quando la vita non è più degna d’essere vissuta, la sofferenza senza speranza non è più tollerabile; e chi questo diritto, lo nega. Su questo a quando un confronto, un dibattito?

martedì 21 dicembre 2010

Il Parlamento e il testamento biologico

La Repubblica 21.12.10
Il Parlamento e il testamento biologico
Corrado Augias risponde a na lettera di Mina Welby

C aro Augias, dopo il voto di fiducia al governo, dovrebbe andare in aula per il voto finale la legge sul testamento biologico. In realtà, è una legge "contro" il testamento biologico perché piena di ostacoli burocratici e perché affida, nelle scelte finali, un potere molto maggiore ai medici rispetto ai malati. Inoltre, è una legge incostituzionale perché non consente di rinunciare alla nutrizione e alla idratazione artificiali, laddove l'articolo 32 della Costituzione è tassativo: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Vorrei ricordare il quarto anniversario della morte di Piergiorgio Welby rivolgendo un appello a tutte le forze politiche perché diano ai cittadini italiani, con una buona legge, quel diritto alle "dichiarazioni anticipate di trattamento" consolidato da tempo in tutta l'Europa. Destinino, inoltre, finanziamenti adeguati per le cure palliative, nelle quali l'Italia è all'ultimo posto in Europa. Un appello ai deputati dell'opposizione, a quelli legati a Fini da sempre favorevole alla libertà di coscienza su questi temi ma anche ai deputati "laici" del Pdl, specie quanti provengono dal partito in cui militarono Renato Sansone e Loris Fortuna. Penso che dinanzi alla malattia e alla morte dovremmo tutti cercare quello che unisce, non quello che separa.
Mina Welby Roma

Ringrazio la signora Welby per la sua lettera, per il messaggio che contiene, per le parole che ha usato. Viviamo in un paese molto difficile, in un momento di particolare difficoltà. Discutere in Parlamento di un tema così delicato cercando di mantenere toni equilibrati sarà arduo, forse impossibile. I temi che vengono definiti 'eticamente sensibili' sono diventati esplicito oggetto di scambio. Governo e maggioranza appoggiano le tesi delle gerarchie ecclesiastiche le quali chiedono in cambio concreti appoggi alle loro associazioni, alle loro scuole. Ho scritto volutamente 'gerarchie ecclesiastiche' perché esistono anche settori del pensiero cattolico, del clero più vicino alla vita dei fedeli, della stessa teologia che hanno sull'argomento assai più generosa visione. Ero in piazza quattro anni fa quando il cardinale Ruini fece negare a Piergiorgio Welby il rito religioso in Chiesa. Molti mesi dopo l'eminente porporato spiegò la ragione del suo gesto crudele: disse che s'era trattato di una mossa politica per evitare finanche il sospetto che la Chiesa avesse finito per approvare quella morte così lungamente implorata e alla fine ottenuta. Quando la gestione politica di un tema etico scarta con tale brutalità le ragioni della misericordia, mi chiedo con quale coraggio si continui a parlare di vangelo. Chissà se in Parlamento a qualcuno verrà in mente questa intollerabile ipocrisia.

lunedì 20 dicembre 2010

Biotestamento e cure palliative: non fermiamoci

l’Unità 20.12.10
Biotestamento e cure palliative: non fermiamoci
Welby quattro anni dopo
di Mina Welby Carlo Troilo

opo il voto di fiducia al governo Berlusconi, dovrebbe andare in aula alla Camera la legge sul testamento biologico. La legge è in realtà una legge “contro” il testamento biologico sia perché prevede procedure complesse e onerose, sia perché sbilancia il potere finale di decisione in favore dei medici anziché del malato. Inoltre, prevede l’impossibilità di rinunciare alla alimentazione e alla idratazione artificiali, considerate forme di “sostegno vitale” e non contrariamente al parere di tutte le associazioni scientifiche trattamenti sanitari. Ciò rende la legge sicuramente incostituzionale perché l’articolo 32 della Costituzione contiene una norma tassativa: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Dunque, in caso di approvazione di questo testo, bisognerà indire un referendum abrogativo che potrebbe avere largo consenso della cittadinanza, e inoltre singoli cittadini potrebbero intentare delle cause per non aver visto rispettate le volontà espresse nelle loro disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari. Due modi, uno politico e uno giudiziario, per correggere la legislazione dal basso.
Consapevoli del fatto che queste norme avrebbero l’effetto di allungare le sofferenze dei malati terminali e di quelli in stato vegetativo e delle loro famiglie, la stessa maggioranza aveva presentato e fatto approvare un emendamento che stanziava 150 milioni di euro per il triennio 2010-2013 per potenziare le cure palliative, per le quali l’Italia è tra gli ultimi paesi al mondo e l’ultimo in Europa. Recentemente si è però scoperto che questo stanziamento benché modesto non ha ancora trovato la copertura finanziaria. Anzi, il senatore Marino ci ha detto che «questo governo ha finanziato la rete delle cure palliative sul terriotorio per un e dico “un” milione di euro, contro i 240 annui stanziati dalla Germania».
Per queste ragioni, nel quarto anniversario della morte di Piergiorgio Welby, facciamo appello a tutti i membri della Camera: ai deputati del centro sinistra; a quelli del gruppo del Presidente Fini, che si è sempre detto favorevole alla libertà di coscienza sui temi inerenti i diritti civili; ma anche ai deputati “laici” del Popolo della Libertà, a partire dagli ex socialisti, che vengono dal partito di Renato Sansone e di Loris Fortuna, protagonisti delle grandi e vittoriose battaglie per il divorzio e per l’aborto. Diano ai cittadini italiani quello che tutti gli altri cittadini europei hanno da anni: la possibilità di depositare oggi per allora le proprie disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari in un database nazionale. E assicurino a chi soffre il sollievo di adeguate cure palliative. Sulla malattia, il dolore e la morte, tutti dovrebbero cercare quello che unisce, non quello che divide.

L’ultimo oltraggio a Eluana: 9 febbraio giornata pro-life

l’Unità 28.11.10
Nella data della morte della ragazza il governo indice la giornata degli stati vegetativi
Vespa li ospiterà dopo il no di Fazio. «Un’offesa», protestano Marino e comitato di Bioetica
L’ultimo oltraggio a Eluana: 9 febbraio giornata pro-life
Il Cdm ha indetto per il 9 febbraio la giornata nazionale degli stati vegetativi. Protestano la Consulta di Bioetica e Ignazio Marino. Vespa e Domenica In invitano i pro-life, l’Anci difende i registri dei biotestamenti.
di A. C.

Il governo torna a offendere la memoria di Eluana Englaro. Venerdì infatti il Consiglio dei ministri ha approvato l’istituzione per il 9 febbraio, data della morte di Eluana, della «giornata nazionale degli stati vegetativi». Due anni dopo la scomparsa della giovane, il prossimo 9 febbraio si terrà dunque la prima giornata dedicata ai malati e alla famiglie che, legittimamente, scelgono il percorso opposto rispetto a quello della famiglia Englaro. Ed è proprio nella scelta di quella data che si coglie lo spirito ideologico, e offensivo, del governo. Che già era entrato a gamba tesa nella vicenda con il decreto con cui palazzo Chigi cercò di fermare la decisione della magistratura, fermato solo dalla saggezza del Quirinale che negò la propria firma.
«Ora il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti», ha spiegato il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che ha definito Eluana «una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura». «La giornata sarà un’occasione preziosa in più per ricordare a tutti noi quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita». Nel ragionamento della Roccella, che proprio ieri ha incontrato il Papa durante una veglia per la vita a San Pietro (e ha fatto sapere che il Pontefice l’ha «incoraggiata» ad «andare avanti nell’azione politica di difesa della vita sui temi della bioetica») spicca dunque il senso di ritorsione contro la scelta della famiglia Englaro. E persino di rivincita contro la decisione di Fazio e Saviano di non ospitare le associazioni pro-life. «La giornata potrà rappresentare una finestra di visibilità per queste persone e le famiglie che le accudiscono dice Roccellatroppo spesso coscientemente accantonate dai media, come ha dimostrato la vicenda della trasmissione “Vieni via con me”».
LA PROTESTA DI MARINO (PD)
La decisione del governo ha provocato l’indignazione della Consulta di bioetica. «È l’ultima offesa del governo alla memoria di Eluana, nel tentativo di acquisire il sostegno della Chiesa cattolica», dice il presidente Maurizio Mori. «Si usa l’anniversario per espropriare il messaggio lasciato da Eluana, affermando che il 9 febbraio deve essere una giornata capace di unire tutti sull’unico obiettivo di difesa a oltranza della vita, diametralmente opposto a quello voluto da Eluana». Ancora più netto il senatore Pd Ignazio Marino: «Il sottosegretario Roccella non ha la delicatezza neppure di rispettare il dolore di una famiglia in un’anniversario così importante. La strumentalizzazione che viene fatta dimostra la mancanza di sensibilità e rigore istituzionale da parte di persone che, ci auguriamo, dal 15 dicembre torneranno a fare altri mestieri».
VESPA INVITA I PRO-LIFE
In Rai intanto è partita la gara a invitare esponenti pro-life, vinta naturalmente da Porta a Porta, che questa settimana dedicherà una puntata speciale alle famiglie di malati in stato vegetativo. Stamattina sarà sul tema anche «A sua immagine» su Raiuno, ospite il direttore di Avvenire, e nel pomeriggio pure Domenica In parlerà dell’argomento. Intanto l’Anci replica ai ministri Maroni, Sacconi e Fazio, che in una circolare avevano definito illegittimi i registri con i biotestamenti realizzati da circa 70 Comuni: «Quei registri sono legittimi e rispondono a una diffusa domanda sociale».

sabato 18 dicembre 2010

Ma il racconto laico non è «contro»

l’Unità 29.11.10
Ma il racconto laico non è «contro»
di Francesco Piccolo

T utti hanno detto agli autori di Vieni via con me (di cui faccio parte), con molta facilità: cosa vi costa dare voce a un punto di vista in più esibendo con questa affermazione una presunta e più ampia laicità. La questione però è mal posta, ed è mal posta in modo tendenzioso. La questione non è quella di ospitare un punto di vista in più; ma che, facendolo, accetteremmo la tesi che abbiamo parlato contro qualcuno. La domanda quindi dovrebbe essere non: perché non date la parola a un punto di vista in più? Ma: avete parlato contro qualcuno?
Quello che i movimenti pro-vita, e molti cattolici poco generosi non capiscono, è che non abbiamo parlato contro nessuno per un motivo semplice: noi siamo totalmente d’accordo con le loro te-
si. Abbiamo già accettato le loro ragioni, a priori. Sono loro a non ammettere le ragioni degli altri. Un laico vero ritiene che bisogna accettare tutt’e due le possibilità di scelta davanti a una tragedia umana così incomprensibile per chi la vive, figuriamoci per chi non la vive. Un cattolico invece ritiene che ci sia solo una possibilità, e l'altra è sacrilega. In uno stato laico, però, dovrebbe prevalere il pensiero laico che, ripeto, comprende quello cattolico. Se prevale il pensiero cattolico che non comprende quello laico c’è qualcosa che non va. E questo va raccontato. E a questo racconto non si può affiancare un altro che si definisce opposto, perché nel racconto laico sono già compresi tutti e due i punti di vista; quindi un racconto opposto non c’è.

mercoledì 15 dicembre 2010

«Vogliono negare legittimità a Englaro»

«Vogliono negare legittimità a Englaro»

Maurizio Mori, L'Unità, il 29/11/10

La presenza di Beppino Englaro e Mina Welby alla trasmissione di Fazio e Saviano lunedì 15 novembre ha scatenato un putiferio: dal 17 Avvenire pubblica in prima pagina un memo «Lasciateli parlare» adeguandosi ad una tecnica di lobbying mediatica ormai di moda. Il giornale dei vescovi cattolici sostiene che l’intervento avrebbe ferito quei familiari che assistono i pazienti in stato vegetativo e chiede una replica per dire che l’assistenza è un «atto d’amore in nome di una vita degna di essere vissuta a pieno titolo» e non una scelta fatta in base ad «una fede oscurantista».

Ma chi è contento della scelta celibataria o di fedeltà al proprio partner, non si sente ferito nell’intimo se la televisione presenta storie di personaggi illustri adulteri o dediti alla promiscuità. E chi è felice di dedicare la propria vita allo studio, non è offeso dal Grande Fratello, né chiede contro-trasmissioni per mostrare il bello dello studio. Allo stesso modo, chi è dedito all’assistenza del familiare in stato vegetativo non dovrebbe sentirsi offeso dalle scelte di Englaro/Welby. Questi hanno solo ricordato la possibilità di un’opzione diversa rispetto a quella dell’assistenza: se l’interessato lo vuole, ha titolo di chiudere la partita; se non vuole è ben libero di tenerla aperta e richiedere il sacrosanto diritto all’assistenza. Per questo la richiesta di replica è priva di senso e di fondamento.

Perché allora tanto putiferio? Perché sul fine-vita il vitalismo ippocratico si sta sgretolando, nonostante i puntelli tesi a ridefinire lo Stato Vegetativo Permanente come «grave disabilità», a negare che la nutrizione artificiale è una «terapia» e a rassicurare che tutto è sotto controllo. I vitalisti hanno paura di Beppino perché la sua voce è come quella del bambino che esclama: «Ma il re è nudo!», rivelando che la realtà è diversa da come Roccella e Co. la dipingono. Diversamente dalle roboanti dichiarazioni ufficiali, le persone si interrogano e moltissime ritengono sia giusto rispettare la volontà di chi sceglie come Eluana.

L’insistente richiesta di replica è il segno che i vitalisti si sentono nel bunker e accerchiati. Dichiarano di appellarsi alla "par condicio", ma in realtà vogliono parlare solo per negare legittimità e valore morale alla scelta di Englaro. Vogliono riaffermare che l’assistenza è l’unica scelta etica e degna nel tentativo di creare le condizioni per imporla a tutti per legge col ddl Calabrò iniquo e liberticida.

Bravo Fazio! resistendo alla richiesta di replica hai dato un esempio di laicità rispettosa del pluralismo etico e contrastato il mono-pensiero vitalista difeso (ahimè!) dal cattolicesimo ufficiale.

martedì 14 dicembre 2010

La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione

La Repubblica 29.11.10
La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione

ROMA - Polemiche sulla decisione del Consiglio dei ministri d´istituire il 9 febbraio la «giornata degli stati vegetativi», per celebrare tutti i malati terminali e i loro familiari. «Giusta la giornata, sbagliata la data perché è quella della morte di Eluana Englaro», dice il direttore di Bioetica della Cattolica, Adriano Pessina. Il senatore Pd Ignazio Marino, per motivi diversi, parla invece «d´inutile provocazione». Contro la scelta della data anche Maria Antonietta Farina Coscioni secondo la quale «aver indicato questa data è una vergogna». La sottosegretaria alla Salute, Eugenia Roccella, difende invece il governo: «Con questa giornata il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide».

lunedì 13 dicembre 2010

La fecondazione il Nobel e l’anatema. Oggi la consegna del Premio a Edwards

l’Unità 10.12.10
La fecondazione il Nobel e l’anatema. Oggi la consegna del Premio a Edwards
di Maurizio Mori

Il Nobel per la medicina che oggi viene consegnato a Bob Edwards è il sigillo che la scienza considera la scoperta della fecondazione in vitro una delle tappe fondamentali per il progresso della civiltà. Il Vaticano, invece, già dal 1986 ha condannato la fecondazione assistita con la Istruzione Donum Vitae, ed ora, all’annuncio del conferimento ad Edwards del più alto riconoscimento scientifico, ha protestato osservando che si è trattata di una scelta ideologica dal momento che la scoperta di Edwards avrebbe favorito «l’indebolimento della dignità della persona umana».
Il contrasto non è da poco. In primis perché impedisce di vedere che la fecondazione in vitro non è tanto o solo una “terapia della sterilità”, ma è piuttosto una tecnica che amplia enormemente il controllo sulla riproduzione umana, aprendo nuovi orizzonti alle scelte generative. È una nuova forma di riproduzione che consente per esempio di estendere la capacità riproduttiva della donna anche dopo la menopausa o di operare la diagnosi pre-impianto. Grazie ad Edwards è aumentata la libertà di scelta delle persone circa le modalità di trasmissione della vita.
Si obietta che non di autentica libertà si tratta, ma di arbitrio, perché la vera libertà si esercita seguendo i binari stabiliti dalla natura, per la quale «i figli devono essere il risultato di un atto d’amore non di un atto medico». Questo perché «la vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta “l’azione creatrice di Dio” e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore» (Donum Vitae). La fecondazione in vitro profanerebbe la sacralità della generazione umana perché «solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio».
Emerge così che la radice del contrasto tra scienza e teologia cattolica è sempre la stessa. Come Galileo è stato condannato perché, scoprendo col cannocchiale che la Luna è un corpo celeste come la Terra, ha tolto sacralità al cosmo operando la secolarizzazione come disincanto circa il mondo astronomico, così Bob Edwards viene oggi criticato e ostacolato perché, rendendo accessibile e controllabile il processo riproduttivo umano, ha proseguito l’opera di secolarizzazione come disincanto circa il mondo della generazione umana e spogliato l’inizio della vita umana della sacralità in cui era avvolta. Come Galileo fu criticato in base al «Fermati o Sole!» (Gs. 10,12), così Edwards viene criticato in base al «i due saranno una sola carne» (Gn. 2, 24). La condanna della scoperta di Edwards è una riedizione in piccolo del più celebre processo a Galileo, ma le conseguenze non sono meno dure e nefaste, come mostra la ben nota legge 40.

sabato 11 dicembre 2010

Se mille suicidi non dicono nulla
La scelta di Monicelli e il tema dell’eutanasia

l’Unità 2.12.10
Se mille suicidi non dicono nulla
La scelta di Monicelli e il tema dell’eutanasia
di Carlo Troilo, associazione Luca Coscioni

Mario Monicelli ha scelto la stessa morte che mio fratello Michele, anche lui malato terminale, scelse nel marzo del 2004: un salto nel vuoto da 15 metri di altezza. Decisi allora di rendere pubblica la tragedia di mio fratello e lo feci grazie a Corrado Augias. Dopo pochi mesi “scoprii” e inviai a diversi giornali, che li pubblicarono, i dati dell’Istat da cui risulta che ogni anno mille malati terminali (tre al giorno), non potendo ottenere l’eutanasia, come avrebbe voluto Michele, trovano nel suicidio la loro “uscita di sicurezza”. Un numero pari a quello delle “morti bianche”, che suscitano il giusto sdegno degli italiani, a partire dal Presidente della Repubblica. La mia lettera del marzo 2004 finiva così: «Caro Michele, mi vergogno di vivere nel paese che ti ha costretto a questo. Ammiro il tuo coraggio e so che lo hai fatto anche per alleviare la pena di chi ti voleva bene, per altruismo, per dignità e per pudore. Rendo pubblico il tuo gesto per dargli anche valore di battaglia civile, credo ti farebbe piacere sapere che è servito a smuovere qualche coscienza».
Commentando il suicidio di Monicelli, Silvio Viale ha sintetizzato con forza il problema: «Non sarebbe morto così se l’eutanasia volontaria fosse legale nel nostro paese. Se l’eutanasia fosse legale, Mario Monicelli avrebbe potuto parlare apertamente con il proprio medico delle proprie intenzioni. Avrebbe potuto modificare la propria decisione, o rimandarla, e se alla fine avesse confermato la propria richiesta, considerando ormai insopportabile la propria condizione, sarebbe stato aiutato a morire con dignità, tra i suoi cari. In un paese civile, lo Stato dovrebbe consentire di non essere costretti a morire così».
Tutte le ricerche degli ultimi anni dimostrano che la maggioranza degli italiani (il 67% secondo il Rapporto Eurispes 2010) è favorevole alla legalizzazione della eutanasia per i malati inguaribili. E questo vale, sia pure in misura più ridotta, anche per i cattolici praticanti. Lo stesso Monicelli era ferocemente contrario alla logica della “vita a tutti i costi”: «La vicenda di Piergiorgio Welby aveva detto in un’intervista a Radio Radicale il 28 novembre del 2006 è un tema che si potrebbe trattare con una commedia, ironizzando e mettendo in ridicolo quelli che pensano che questo disgraziato debba rimanere a soffrire, non si sa per chi».
Ma il Vaticano non vuole l’eutanasia e tratta tutti noi che ci battiamo per introdurla in Italia alla stregua di una banda di assassini intenti a preparare la strage degli innocenti. E la nostra classe politica tace, rendendosi così corresponsabile di quei tre suicidi che ogni giorno vengono a sconvolgere la nostra coscienza.

venerdì 10 dicembre 2010

«Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Intervista a M. Coscioni - «Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Paola Pasquarelli, Il Giorno/Il Resto del Carlino / La Nazione, il 02/12/10

«In questo momento assistiamo a un’operazione truffaldina contro la verità: la verità di quanto accaduto l’altra sera all’ospedale San Giovanni è infatti che Mario Monicelli, persona cosciente e sofferente, ha deciso di porre fine alla sua vita perché non è stato aiutato a non soffrire». Le parole-accuse sono della deputata radicale nel Pd, Maria Antonietta Coscioni, e piovono pesanti sul dibattito che la morte volontaria del regista viareggino ha acceso tra i «sostenitori» del suo estremo gesto e chi invece difende sempre e comunque la vita, intesa come diritto indisponibile dell’uomo.

Perché parla di ‘operazione truffaldina’?
«Perché mira a nascondere il vero problema che è quello di capire se Monicelli abbia o meno chiesto al personale sanitario di aiutarlo a non soffrire. Se lo avesse fatto senza riuscire a ottenere quello che voleva, ci si potrebbe per assurdo addirittura costituire tutti parte civile in un processo contro chi si è rifiutato di dargli questo aiuto».

Una legge a favore dell’eutanasia impedirebbe tutto questo?
«Dico solo che Monicelli aveva 95 anni spesi in modo soddisfacente e proficuo, se ha deciso di farla finita va rispettata la sua decisione. Occorre capire però se sono da ricercarsi delle responsabilità. Lui non ha chiesto di non morire, ha chiesto di non soffrire».

Quanti come lui allora, dovrebbero o potrebbero togliersi la vita?
«Appunto. Lui ha potuto ‘fortunatamente’ farlo grazie a una lucidità e a un coraggio che non è di tutti. Ci sono persone che non hanno neanche questa libertà di azione e di pensiero che ti viene anche dalla fortuna di aver vissuto una vita interessante come la sua».

E se il gesto estremo fosse stato compiuto ‘semplicemente’per uno stato di depressione?
«Non si può sempre liquidare un suicidio in questo modo. Anche se così fosse, sarebbe comunque un gesto di coraggio. Il problema non è quello di creare e sostenere movimenti ‘pro life’ o ‘pro morte’, il problema è quello di rispettare una persona che ha compiuto una scelta responsabile».

mercoledì 8 dicembre 2010

Morte, clero e libertà

il Fatto 3.12.10
Morte, clero e libertà
di Bruno Tinti

Un mio amico si è ucciso. Era stanco, aveva perso gioia e interesse. Sono stato molto triste. Non per la sua morte: era stata una sua scelta da rispettare. Ma per la mia vita: perché mi sarebbe mancata la sua intelligenza e la sua cultura. E soprattutto per la sua, di vita, per la tristezza e il vuoto che l’avevano portato a decidere di liberarsene. Non sono stato capace di stargli vicino, ho pensato. Comunque sono andato a salutarlo. Lui non credeva, come me. Un laico tollerante e silente, la vita poneva ben altri problemi. Ci arrabbiavamo un po’ per l’approccio confessionale alle miserie degli uomini; e molto di più per la loro strumentalizzazione. Ma non se ne discuteva: quando la si pensa nello stesso modo c’è poco da dire. E, per fortuna, noi avevamo così tante idee diverse. Come ho detto sono andato al cimitero; alla sala delle cremazioni, così aveva deciso il mio amico. Niente cerimonia religiosa, il che mi sembrava logico visto il suo suicidio: conservavo una vaga memoria, forse errata, che ai suicidi non fosse consentito il riposo in terra consacrata; che, per un credente stanco e depresso, mi era sempre sembrato l’ultimo insulto. E poi avevo saputo da un amico che c’era un biglietto: niente cerimonie religiose, solo cremazione. All’ingresso del cimitero c’era tanta gente; il mio amico era una persona nota, molto stimato; e amato profondamente da molti, anche se aveva una personalità complessa. Proprio questo aveva attratto molti di noi. E lì siamo stati intercettati. Un prete, che avevo già notato fermo all’ingresso, intento alla predica per un funerale precedente, ha fermato la macchina con la bara, ha fermato tutti noi che la seguivamo e ha iniziato una nuova predica. Preghiamo per lui, uomo di fede, buono, marito affettuoso, padre esemplare, Dio lo accoglierà, la vera vita, ci sarà sempre vicino, insomma tutto il repertorio. Sono rimasto perplesso, poi arrabbiato. Ho chiesto a un altro amico (che era in condizione di saperlo) “ma, non aveva lasciato un biglietto in cui aveva detto niente preghiere …”. “Questa non è preghiera, è liturgia della preghiera”, mi ha risposto. Naturalmente non ho capito quale fosse la differenza e perché il mio amico, che non voleva cerimonie religiose, avrebbe dovuto dispiacersene di meno. Ma ho taciuto. C’era la sua famiglia e non volevo aggiungere dolore a dolore. Poi ho parlato con un altro amico e gli ho fatto la stessa domanda. Intelligente, saggio, furbo come è sempre stato, mi ha detto “Sai, adesso non gliene importa più nulla”. E io sono rimasto a chiedermi se era giusto fare violenza ai morti; se era giusto non rispettarli; se era giusto lasciare una sentinella in servizio permanente all’ingresso dei cimiteri, per intercettare bare e fare propaganda; se era giusto approfittare di un momento di minorata difesa per sottoporre tutti a una liturgia (eh, si, su questo il primo amico aveva ragione) che il morto e molti suoi amici non condividevano e non desideravano. Mi sono chiesto soprattutto se questa prevaricazione fosse coerente con il messaggio di amore (ma non di rispetto) che quel sacerdote ossessivamente ripeteva davanti a tutte le bare che gli passavano davanti e che contenevano ciò che restava di un uomo e della sua libertà.

martedì 7 dicembre 2010

Il governo contro i registri

l’Unità 20.11.10
Il governo contro i registri
I centralisti di fine-vita
di Marco Cappato, Simonetta Dezi, Luigi Manconi

Il ricatto finanziario. La stessa tecnica utilizzata da Sacconi per minacciare la clinica disponibile ad accogliere Eluana Englaro è oggi rivolta contro i comuni disponibili ad istituire il registro dei testamenti biologici. I ministri del Lavoro, Salute, Interno ovvero Sacconi, Fazio e Maroni, con una circolare hanno infatti dichiarato i registri comunali che raccolgono il cosiddetto biotestamento privi di “effetti giuridici” e hanno aggiunto che i comuni che aderiscono all’ iniziativa potrebbero essere chiamati a rispondere di un uso distorto di risorse umane e finanziarie pubbliche. L’affondo era, da noi radicali, previsto dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del sottosegretario alla salute Eugenia Roccella.
I promotori del registro dei testamenti biologici presso i comuni hanno un nome: le associazioni A Buon Diritto e Luca Coscioni. Questa iniziativa è in effetti, al momento, l’unico strumento a disposizione dei cittadini per testimoniare una scelta della persona e per tutelare il diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria sancito in primo luogo dalla nostra Carta Costituzionale. Quello che viene proposto a chi abbia redatto un documento, autenticato, contenente decisioni relative al fine vita (scelte mediche, sospensione delle cure, rianimazione, tumulazione o cremazione, rito religioso o civile ...), è di far registrare presso un ufficio comunale l’esistenza di tale documento e il luogo dove hanno deciso di conservarlo. Nel Registro, riservato ai cittadini residenti nel Comune, dovrebbero essere riportati gli estremi dei testamenti biologici al fine anche di garantire la certezza della data di presentazione e la fonte di provenienza.
I principi a cui si fa riferimento e che spingono le associazioni a continuare sulla strada intrapresa sono affermati, come si è detto, dalla nostra Carta Costituzionale, ribaditi da Convenzioni internazionali, quale quella di Oviedo, e confermati da alcune sentenze. Proprio la giurisprudenza della Cassazione relativa alla vicenda Englaro fa ritenere l’isituzione del Registro comunale dei testamenti biologici un passo essenziale per la concreta tutela di un diritto fondamentale della persona. E contrariamente a quanto sostenuto nella circolare ministeriale, il ruolo che le amministrazioni possono svolgere a riguardo è insostituibile. In assenza di una normativa di legge, ricordiamo inoltre ai ministri – o saranno direttamente i tribunali a farlo -, che è solo l’autorità giudiziaria che può stabilire quali siano gli effetti giuridici dei testamenti biologici e del relativo Registro. In particolare il ministro Maroni dovrebbe rendersi conto che con queste posizioni, assolutamente irrispettose dell’autonomia dei comuni, costituzionalmente garantita, finisce per vestire i panni di un autentico ministro “federalista” del peggiore Stato etico centralista e clericale.

domenica 5 dicembre 2010

Il pugno nello stomaco di quello spot pro eutanasia

Il pugno nello stomaco di quello spot pro eutanasia

Francesco Specchia,Libero Quotidiano, il 24/11/10

C’è un signore, probabilmente in un ospedale, dall’occhio pesto, in pigiama, e la voce flebile come fiammella nel buio. Dietro di lui la moglie gli rifà il letto mentre la luce dalla tapparella filtra faticosamente in una stanza asettica.
A dire il vero è faticoso - quanto saldo - pure l’eloquio del signore: «La vita è questione di scelte. Io ho scelto di fare ingegneria all’università. Ho scelto di sposare Tina, con due figli splendidi. Ho scelto questa maglietta, questo taglio di capelli. Quello che non ho scelto è di essere malato terminale». Continua l’uomo, con estrema dignità: «Certamente non ho scelto che la mia famiglia debba vivere quest’inferno con me. Sto aspettando per la scelta finale, ho solo bisogno che il governo mi ascolti». Ecco. È in questi 30, choccanti, secondi che si articola l’unico spot proeutanasia già censurato in Australia e andato in onda, in Italia, soltanto sulle frequenze di Telelombardia e Antenna3 dell’editore Sandro Parenzo. La versione italiana dello spot è stata curata dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito Radicale, che l’ha reso il simbolo d’una battaglia politica. C’è da dire che lo spot mette i brividi, ti lacera, ti devasta come se avessi dentro un chilo di tritolo. Ci ricorda un road movie tedesco di Thomas Jahn, "Knockin’ on Heaven’s Door", su due malati terminali che fuggono dall’ospedale per vedere il mare per l’ultima volta. Si trattava d’un bel film del’97, in Italia passò solo in un Festival, non fu mai distribuito.
Ora, Parenzo è un editore ebreo, laico, illuminato, a volte benignamente paraculo. Ma solo l’idea di propalare una così estrema idea di libertà, di gestione del proprio corpo, di diritto alla morte, è un gesto assai coraggioso. Certo, l’eutanasia può essere trattata in vari modi. C’è Saviano che invita Mina Welby ed Englaro; c’è "Kilt me please", la black comedy di Olias Barco che ha vinto il Festival di Roma; c’è, perfino, un ironico e misconosciuto racconto di Stevenson, "Il club dei suicidi", che consigliamo vivamente a chi vorrebbe vivere il trapasso con la levità dei poeti. Comunque sia, nonostante la drammaticità del tema, ci fa stare meglio il pensiero che chiunque possa esercitare uno straccio di libero arbitrio. Non foss’altro nel guardare o meno uno spot...

venerdì 3 dicembre 2010

Per il governo non si può morire in pace

il Fatto 21.11.10
Per il governo non si può morire in pace
Dichiarati “illegittimi” i registri comunali con le volontà dei cittadini
di Roberta Zunini

La settimana si è aperta con la critica di Avvenire a Roberto Saviano per aver ricordato i percorsi tormentati ma sempre nel solco della legalità di Beppino Englaro e di Piergiorgio Welby, allo scopo di affermare il diritto all’autodeterminazione del malato. La settimana si chiude con una circolare dei ministri Maroni, Fazio e Sacconi che definisce “illegittimi” i registri comunali, istituiti dallo scorso anno in settantadue città, per raccogliere le volontà dei cittadini sul fine vita, in assenza di una legge nazionale che lo regoli.
Il disegno di legge sulle disposizioni anticipate o testamento biologico però è ultimato ma è fermo da mesi e non sembra sul punto di sbloccarsi. Mancano ancora alcuni pareri e sembrerebbe che lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini avesse sollecitato il parere della presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno.
Il nodo insolubile rimane l’obbligatorietà o meno dell’alimentazione e idratazione artificiale. In realtà è un disegno di legge che, per i suoi contenuti sensibili, conviene tener insabbiato. Pronto per venire ripreso e usato strumentalmente ogni qual volta gli schieramenti hanno necessità di marcare il territorio”. La legge sulle disposizioni anticipate in materia di fine vita è pronta dal luglio scorso – scandisce il senatore Pd Ignazio Marino – il fatto è che questa legge il governo del “fare” non la vuole fare. Non gli conviene, è un argomento troppo spinoso in questo momento. Ma noi a questo punto chiederemo che venga subito calendarizzata la votazione alla Camera. Del resto così non è più possibile andare avanti: la legge non si fa, i registri comunali che dovrebbero in parte arginare questo vuoto legislativo e dare la possibilità ai cittadini di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, neanche. Il fatto è che questo governo oggi non è in grado di decidere nulla”, conclude Marino. Insomma non decide ma si oppone ai registri comunali, nati sulla base di iniziative popolari. na.
“DI CERTO non si può pensare che questo documento contro i registri comunali risponda al volere della maggior parte degli italiani – sostiene l’Onorevole Benedetto Della Vedova, vicecapogruppo dei finiani alla Camera – i cittadini non vogliono che siano i ministri, i legislatori, i giudici a decidere della propria salute . Sembrerebbe piuttosto una mossa per accontentare una parte della gerarchia ecclesiastica”, Della Vedova sostiene che quando il ddl approderà in aula, i deputati del Fli voteranno secondo coscienza. Ribadisce però che la cosa migliore sarebbe una “soft law”, una legge morbida che lasci al codice di deontologia medica, il compito di regolare una materia così delicata, che dovrebbe essere maneggiata solo dai diretti interessati assieme ai medici e semmai ai familiari. Ieri si sono espresse varie associazioni che hanno promosso il ricorso ai registri. Secondo Libera Uscita, “il Comune che istituisce il registro dei testamenti biologici non deborda in nessun modo da quelle che sono le sue competenze”. I registri, spiegano, sono “semplici atti amministrativi” che “non entrano nel merito del contenuto delle dichiarazioni anticipate di volontà”, con i quali si riempie “un vuoto di tipo amministrativo”.
IL DOCUMENTO firmato dai ministri dell’Interno, della Salute e del Welfare minaccia azioni legali contro chi promuova i registri, per “uso distorto di risorse umane e finanziarie”. Il radicale Marco Cappato che è stato tra i promotori della raccolta di firme per l’istituzione dei registri comunali sostiene che non ci sono leggi che impediscano l’utilizzo dello strumento dei registri comunali per esercirtare l’autodeterminazione . “In uno stato liberale è proibito ciò che è vietato dalla legge. É dunque legittimo per un comune aiutare i propri cittadini a vedere rispettata la libertà di autodeterminarsi, anche se ciò implica le spese di cancelleria e il lavoro di un impiegato comunale”.
Nel comunicato del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si legge: “...nessuna norma di legge abilita il Comune a gestire il servizio relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento...”.
IN LINEA generale, occorre considerare che la materia del “fine vita” rientra nell’esclusiva competenza del legislatore nazionale e non risulta da questi regolata. É d’accordo con questa circolare l’onorevole Isabella Bertolini della direzione nazionale del Pdl che ieri ha esultato: “La circolare del ministero sbugiarda la propaganda della sinistra, tesa ad introdurre in Italia non solo quello che non è previsto e regolamentato dalla legge, ma anche quello che è vietato”. La deputata con grande “senso dell’opportunità” conclude la sua dichiarazione dicendo che “su questa pagliacciata ideologica va messa una pietra tombale”. Purtroppo c’è chi ha dovuto scegliere davvero di mettere una pietra tombale sulla propria esistenza perchè diventata insopportabile. Era Luca Coscioni che spese pubblicamente gli ultimi anni della sua breve vita combattendo per il diritto all’autodeterminazione del malato, il premio Nobel Josè Saramago quando morì gli dedicò queste parole: “Purché la luce della ragione e del rispetto umano possa illuminare i tetri spiriti di coloro che si credono ancora, e per sempre, padroni del nostro destino. Attendevamo da tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito un nuova forza”. Dobbiamo augurarci un altro malato si faccia carico di ricordare alle istituzioni il diritto all’autodeterminazione della persona sancito dal diritto internazionale oltre che dall’articolo 32 della Costituzione?

martedì 30 novembre 2010

La bioetica porta voti

l’Unità 21.11.10
Fini elettorali
La bioetica porta voti
di Maurizio Mori

Perché proprio ora che il governo Berlusconi sembra giungere al capolinea arriva la Circolare ministeriale che ne-
ga ogni valore legale ai Registri del testamento biologico istituiti da circa 100 Comuni italiani per rispondere alle esigenze dei cittadini? In parte perché non è più vero che la bioetica non sposta voti. È, infatti, su temi di bioetica che (almeno di facciata) la Destra è entrata in crisi: a fine luglio Fini veniva espulso dal Pdl, e subito il 5 agosto spuntava l'Agenda Bioetica del Governo, per cercare di ricompattare l'unità bioetica dei cattolici. In questo senso, la Circolare diventa la bandiera attorno a cui tentare di riacchiappare l'appoggio dei cattolici e fare quadrato nella battaglia finale per arginare la nuova fase della crisi politica.
Un'altra parte della risposta non è solo politica ma socio-culturale. Aperti su sollecitazione del "volontariato civico" i Registi stanno acquisendo una dimensione nuova. Sono sostenuti sul piano istituzionale dai notai, che in modo silenzioso e lungimirante si ritagliano un nuovo spazio di azione. Di più, sono sostenuti dalla chiesa valdese, che a Milano, Trieste, da ultimo a Torino, e presto altrove, apre sportelli per il testamento. Sul piano simbolico e culturale questo è un evento straordinario: dopo secoli, per la prima volta in Italia si presenta al grande pubblico un cristianesimo non-cattolico capace di intercettare le esigenze della gente. Bisogna chiudere al più presto i Registri perché potrebbero diventare la miccia di un nuovo scisma (non più sommerso) verso altre forme di cristianesimo, in un momento in cui la chiesa cattolica perde credibilità per gli scandali interni (pedofilia, Ior, ecc.), per l'appoggio ad un Premier poco presentabile e per la difesa ad oltranza del ddl Calabrò criticato aspramente anche da molti cattolici doc.

martedì 23 novembre 2010

LAICITA’: BONINO, TORNARE IN PIAZZA PER LIBERTA' DI SCELTA

LAICITA’: BONINO, TORNARE IN PIAZZA PER LIBERTA' DI SCELTA

(AGI) ‑ Roma, 20 nov. - “La laicità è uno straordinario metodo di governo dei temi eticamente sensibili, i diritti civili, che sono in realtà giganteschi problemi sociali, e vanno sempre protetti, senza soste o tentennamenti. E oggi non mi sembra affatto anacronistico un invito a tornare in piazza per la libertà di scelta, l’autodeterminazione, la difesa della libertà e della identità degli individui. La migliore difesa, ho sempre pensato, è l’attacco”. Con questo appello a una grande mobilitazione di massa, in nome della laicità, Emma Bonino, vicepresidente del Senato, ha concluso questa mattina al Teatro Eliseo la manifestazione “Per un’Italia più laica”, promossa dal Pd di Roma, da Iniziativariformista e dal settimanale Left. Il punto di partenza del dibattito, al quale hanno preso parte, tra gli altri, Giovanna Melandri, Massimo Teodori e Massimo Fagioli, il disegno di legge Tarzia, presentato ai consiglio regionale del Lazio, che intende affidare la gestione dei consultori ad associazioni di famiglie, sottraendoli di fatto al servizio pubblico, in nome della tutela della vita fino dal concepimento. “La laicità e la libertà sono e devono ricominciare ad essere il nostro strumento di attivazione di massa; sono temi che coinvolgono milioni di persone”, ha affermato la Bonino, rivolta al pubblico, a prevalenza femminile, che qremiva il teatro. In tempi “di vizi privati e pubblici divieti”, ha aggiunto, la sinistra dovrebbe mostrare maggiore coerenza o adottare “comportamenti politici netti, chiari, comprensibili, che vadano oltre i bofonchiamenti e le cose dette a metà, mezze sì e mezze no”.
“Servono idee più chiare alla sinistra”, ha detto subito dopo lo psichiatra Massimo Fagioli, “oltre a una maggiore nettezza di comportamento. A sinistra non vogliono accettare che la vita umana inizia alla nascita con il pensiero, così come la fine della vita non è quando il cuore cessa di battere. Il diritto all’eutanasia? Sono d’accordo, se fatto con l’assistenza del medico e dello psichiatra, se necessario, per stabilire che non si tratti di una depressione”.
“La Legge 40, quella sul testamento biologico, la proposta Tarzia sui consultori, sono anticostituzionali e hanno tutte un fondo persecutorio”, ha detto Giovanna Melandri: "si sta smantellando lo stato sociale e la legge di sistema porterà un segno pesante, in questa direzione. Berlusconi è l'espressione di una cultura che pensa che tutto si può comprare, anche le donne che vanno al consultorio. Invece no, la libertà e l'autodeterminazione sono diritti intangibili, non sono in vendita. L’Italia - ha concluso la parlamentare del Pd ‑ è sotto sopra, bisogna ripartire con battaglie di libertà e autodeterminazione, facendo fronte comune contro questo familismo moralistico e clericale". Massimo Teodorì ("sono un laico archeologico”, si è autodefinito), storico esponente radicale, ha tracciato la storia degli ultimi 45 anni di battaglie in favore dei diritti civili, a partire da quella sul divorzio, iniziata nel 1965, sostenendo “che la questione laica è provocata dall’incalzante offensiva neoclericale e neotradizionalista”. Maurizio Turco, radicale eletto nel Pd alla Camera, ha ricordato che gli attacchi alle libertà civili, in nome della difesa della famiglia, giungano senza tenere conto della realtà, per cui “a Roma, ad esempio, secondo le più recenti statistiche, il 40% delle famiglie è monoparentale, fatto cioè di persone singole”. “Mai come in questo momento ‑ ha concluso Ilaria Bonaccorsi, direttore editoriale di Left ‑ la laicità è sinonimo di libertà. Una laicità netta, rigorosa, rispettosa. Bisogna creare un anello di congiunzione tra intellettuali e ricerca e ricerca scientifica, tra scienza e sviluppo sociale, prassi politica Questo è quanto Left sta tentando di fare”.

domenica 14 novembre 2010

Per l'eutanasia

Per l'eutanasia

«Ho fatto la mia scelta finale» Spot radicale sull’eutanasia

l’Unità 10.11.10
Telelombardia pronta a mandarlo in onda a gennaio. Il Pdl si appella all’Autorità garante
Censurato in Australia Nella versione nostrana spiega che il 67% degli italiani è favorevole
«Ho fatto la mia scelta finale» Spot radicale sull’eutanasia
Ignazio Marino (Pd) «Meglio dare battaglia sul testamento biologico»
di Mariagrazia Gerina

La campagna l’ha lanciata Exit International.Ora i radicali vogliono portarla anche in Italia. Dove però lo stesso testamento biologico è ancora tabù. L’ultracattolica Eugenia Roccella: «Morire non è un diritto».

Immaginate la scena. La tv accesa. E dal piccolo schermo, improvvisamente, un uomo, un po’ dimesso, seduto su un letto con una maglietta bianca che sa di convalescenza. Ha gli occhi cerchiati di nero, la voce didascalica da «pubblicità progresso». «Ho fatto la mia scelta finale, ho solo bisogno che il governo mi ascolti», spiega. Sta parlando di eutanasia. «La vita è questione di scelte dice -, io ho scelto di studiare ingegneria, ho scelto di sposare Tina e di avere due figli splendidi, ho scelto questa maglietta, il taglio di capelli... quello che non ho scelto è di diventare malato terminale, non ho scelto di patire la fame per il fatto che mangiare mi fa male come ingoiare lamette da barba e certamente non scelto che la mia famiglia debba vivere questo inferno assieme a me». Poi ricordatevi che siamo in Italia. E immaginatevi le difficoltà che uno spot del genere, che fa parte di una campagna lanciata da Exit International, potrà incontrare.
Ecco, mandare in onda questo spot, trasmesso in Canada ma censurato in Australia, è la nuova sfida lanciata dai radicali italiani. Per ora, la versione italiana, è visibile solo in re-
te (il video lo trovante anche sul sito de l’Unità). A metterlo online è stata l’associazione Luca Coscioni. Ma Telelombardia ha dato la sua disponibilità a trasmetterlo anche sul piccolo schermo. Sempre che l’Autorità garante delle comunicazioni dia il suo via libera.
L’ambizione spiega Marco Cappato è quella di «sbarcare anche su emittenti nazionali» e dare alla campagna la più ampia diffusione possibile. La raccolta fondi per finanziare, attraverso l’associazione Luca Coscioni, i costi della eventuale messa in onda è già partita. E «se l’Authority dirà no, noi useremo tutti i canali per raggiungere con il video i cittadini italiani, anche a costo di trasmetterlo dall’estero», annuncia Cappato che dell’associazione è segretario. D’altra parte lo spot fa notare Capato «chiede solo che il Governo faccia il suo dovere e ascolti».
Il fatto è che siamo in Italia. E sarà pure il paese in cui, come recita lo spot adattato al pubblico italiano, il 67% degli intervistati nell’ultimo Rapporto Eurispes ha risposto che è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia. Ma per la storia, almeno per ora, resta il paese in cui Beppino Englaro per far morire in pace sua figlia Eluana, in coma irreversibile dal 1992, vinta una battaglia legale estenuante, ha dovuto sfidare anche il governo. La sentenza attesa per quasi vent’anni glielo permetteva, il governo ha cercato di impedirglielo fino all’ultimo con un decreto che imponesse ai medici di proseguire l’alimentazione artificiale. C’è voluto il rifiuto di Napolitano a firmarlo. E la morte di Eluana per convincere l’esecutivo ad accantonare anche il ddl nel frattempo proposto in tutta fretta all’esame del Senato. E tuttavia, un anno e nove mesi dopo, il testamento biologico, in parlamento, è ancora un tabù.
TABÙ ANCHE IL TESTAMENTO
Secondo il Pd Ignazio Marino, spiazzato dallo spot radicale, la frontiera su cui battere resta quella. Dopo aver accantonato il suo ddl, l’attuale maggioranza ha affossato anche il ddl sempre sul testamento biologico presentato dall’ultracattolica Eugenia Roccella: perché Fini, crisi di governo a parte, non lo calendarizza?
Lo spot sull’eutanasia «rischia di diventare uno strumento utilizzato impropriamente da questa maggioranza per dire “noi siamo pro vita, loro pro morte”»
«La scelta tra la vita e la morte non è accostabile alla scelta di un taglio di capelli o altro», tuona immediatamente Eugenia Roccella. Mentre la vice capogruppo del Pdl al senato Laura Bianconi lancia un «accorato appello all’autorità garante». E anche secondo il vicepresidente della Società europea di cure palliative, il video è «fuorviante» ed è a rischio di «strumentalizzazione e confusione». Insomma, lo spot non è ancora andato in onda ma il muro di no è già alto.

mercoledì 3 novembre 2010

E il testamento biologico? Una legge finita nel cassetto

Corriere della Sera 2.11.10
E il testamento biologico? Una legge finita nel cassetto
di Mario Pappagallo

Ma che fine ha fatto la legge sul testamento biologico? Approvata in commissione, il suo iter si è insabbiato. In quale cassetto è finita? Andrà al voto o finirà nel dimenticatoio fino a quando non scoppierà un nuovo caso Eluana Englaro? Sotto i riflettori mediatici, mentre il padre di Eluana si batteva perché la figlia dopo 17 anni di coma fosse «lasciata andare» in pace, sembrava una legge fatta. Urgentissima, perché avrebbe impedito al signor Englaro l’applicazione di quanto riconosciuto dai giudici. Poi, a circa due anni dalla morte della ragazza (9 febbraio 2009), della legge sul testamento biologico non parla più nessuno. Sul diritto di scegliere, in vita e in lucidità, di non essere sottoposti ad accanimento terapeutico nel caso che...
Non si tratta di eutanasia, anche se per la sensibilità di molti lo è. È un’indicazione ai medici di lasciar fare, di non usare macchine, di limitarsi a cure palliative senza eccedere in medicalizzazioni estreme. Sembra però impossibile in Italia, dopo quasi 17 anni di discussioni e tre proposte di legge già «insabbiate», arrivare a un’approvazione parlamentare di un provvedimento che riguarda la vita di ciascun cittadino. Forse qualcuno sperava nell’eutanasia, ma solo per la legge. Ed ecco che torna d’attualità. Una donna veneta di 57 anni è dovuta «emigrare» in Olanda per potere veder rispettata la sua volontà di non essere mantenuta a tutti i costi in vita. Che cosa farà il Parlamento? Farà «rivivere» quanto approvato in commissione? Difficile fare previsioni, ma vale la pena ricordare un sondaggio Eurispes sull’eutanasia (scelta ben più controversa): tra i cattolici 38% favorevoli e 48% contrari, tra i non cattolici 69% favorevoli e 18,6% contrari.
Il testamento biologico non è però l’eutanasia, che è invece la richiesta esplicita e cosciente del malato di porre fine a un’esistenza diventata insopportabile. Il testamento biologico è una decisione che poi, da incoscienti (in coma per esempio), non si può prendere: sì o no a un eventuale accanimento terapeutico. Per molti un diritto costituzionale da applicare comunque.

sabato 16 ottobre 2010

Ignazio Marino: «Si riapra la discussione sulla legge 40»

l’Unità 5.10.10
Ignazio Marino: «Si riapra la discussione sulla legge 40»
La scelta degli accademici svedesi riaccende i riflettori sulla norma in vigore nel nostro paese dal 2004 che pone una serie di ostacoli alla possibilità offerta dalla scienza e dalla medicina
di Federica Fantozzi

Merci da Sophie, felicidades da Diego, congratulations da Yuan e Xinwen. Anche dall’Italia: «Grazie Mr. Edwards, se abbiamo ancora una piccola speranza di diventare genitori è solo grazie a lei». Firmato: «Una coppia infertile».
La scelta svedese di premiare lo scienziato inglese Robert Edwards, padre putativo di oltre 4 milioni di
bambini nati grazie alla fecondazione in vetro negli ultimi trent’anni, suscita entusiasmo. Non nel Vaticano. E nel nostro Paese è perplessa parte del mondo cattolico, dall’Associazione Scienza & Vita al sottosegretario Roccella.
Così, l’attribuzione del Premio Nobel riapre il dibattito sulla Legge 40 che regola la fecondazione assistita. Forse, un segno del destino. Nel 1968, quando il progetto partì a Cambridge, si parlò di scandalo e atto contro natura, si predisse un fallimento, si faticò a reperire i finanziamenti. Oggi, lo si definisce all’unanimità progresso.
In Italia la Legge 40, è stata approvata dopo un braccio di ferro politico nel 2004 ed è sopravvissuta a un referendum che vide in prima linea la Cei allora guidata da Ruini. È una delle più controverse e restrittive nel settore. Vieta la fecondazione eterologa, la donazione di ovociti, il ricorso da parte di single e gay. Circa 10mila coppie all’anno hanno scelto il «turismo riproduttivo» rivolgendosi ad accoglienti strutture svizzere, spagnole, belghe, slovacche.
Come previsto da molti medici, la Legge 40 è già stata sconfessata in sede giudiziaria. Nel 2009 la Corte Costituzionale ha bocciato il divieto di crioconservazione dell’embrione e abolito il correlato limite di tre embrioni da impiantare insieme. Norma pericolosa, hanno ritenuto i giudici, per la salute della donna e del feto. Maggiore potere decisionale spetta ai medici, spesso impegnati a seguire gravidanze multiple, a rischio, in età non giovanissima. Irrisolta la cruciale questione della diagnosi preimpianto che consente di individuare malattie genetiche o ereditarie: il divieto è stato bocciato da Tar e tribunali di merito, ma servono nuove linee guida.
Ieri è stato Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta su Ssn a riaprire le danze: «Se sono normali i controlli prima di una gravidanza per individuare eventuali malattie, perché in uno Stato laico non dovrebbe essere normale, con lo stesso obiettivo, la diagnosi preimpianto? Interveniamo prima dei tribunali».
La Radicale Donatella Poretti invita «moralisti e bigotti» a riflettere su una scienza che «amplia la libertà di scelta delle persone». E Rita Levi Montalcini plaude a «un premio ben meritato per un lavoro scientifico di fondamentale importanza per il progresso della biomedicina».

mercoledì 13 ottobre 2010

Rinviato alla Consulta il divieto all'eterologa «È discriminatoria»

Rinviato alla Consulta il divieto all'eterologa «È discriminatoria»

Eleonora Martini, Il manifesto, 07 ottobre 2010

Per la quarta volta un tribunale civile italiano solleva dubbi di incostituzionalità sulla legge 40, il baluardo ideologico dei governo Berlusconi che limita nel nostro Paese la procreazione medicalmente assistita (Pma), e la rinvia al giudizio della Consulta. Questa volta la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi, chiamata in causa dal Tribunale di Firenze, sull'articolo 4 che vieta la fecondazione eterologa, dopo che nel 2009 aveva abrogato perché «illegittimo» l'articolo 14 della legge, quello che vietava la crioconservazione degli embrioni, ne limitava a tre la produzione e ne imponeva il contemporaneo impianto nell'utero della donna. È la prima volta che ciò accade: mai prima un giudice ordinario aveva accolto il ricorso di chi giudica «irragionevole e discriminatorio» il divieto per una coppia sterile alla fecondazione eterologa, il tabù per eccellenza della cordata pro-fife che ha permesso nel 2004 l'approvazione della legge 40.
Al foro di Firenze si era rivolta una coppia coniugata, sterile a causa della mancanza di spermatozoi nell'uomo causata da terapie ricevute durante l'adolescenza. «La coppia ha deciso di chiedere aiuto all'Associazione Luca Coscioni - spiega uno dei legali dei ricorrenti, l'avvocata Filomena Gallo, vicepresidente dell'associazione radicale che insieme ad "Amica Cicogna", "Cerco un bimbo" e "Liberi di decidere" si è costituita "ad adiuvandum"' dopo aver appreso del caso dell'Austria che è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo proprio riguardo il divieto di ricorso all'eterologa».
I giudici fiorentini davanti ad una richiesta considerata legittima ma vietata dalla legge, hanno interrotto il processo e rinviato tutto alla Consulta. «Secondo il foro fiorentino - spiega ancora Gallo - il comma 3 dell'articolo 4 delle legge 40 entra in contrasto con gli articoli 8 e 14 della Carta europea dei diritti umani, quelli che tutelano il principio di uguaglianza e il diritto al rispetto della vita familiare. E ha ravvisato un conflitto con la nostra Costituzione, in particolare con gli articoli 2 e 3 (diritti fondamentali e inviolabili dell'uomo, principio di uguaglianza, ndr) e con l'articolo 13 (libertà personali inviolabili, ndr)». Non solo: per il Tribunale di Firenze «c'è un conflitto tra la norma italiana e il diritto comunitario ravvisabile tramite articolo 117 nostra costituzione». «Il Giudice ha rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di Pma eterologa per l'evidente sproporzione mezzi-fini spiega l'altro legale della coppia, l'avvocato Gianni Baldini - e di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata». Sul tavolo dei giudici costituzionali la legge 40 era già arrivata la prima volta nel 2007 su ricorso del Tribunale di Cagliari ma non ci fu alcuna pronuncia per vizi di procedura.
La seconda volta, nell'aprile 2009, la Consulta abrogò l'articolo 14 rispondendo a tre distinte ordinanze: una del Tar del Lazio e due dello stesso Tribunale di Firenze ai quali si erano rivolti rispettivamente il Warm, un centro di medicina riproduttiva, e una coppia di Milano affetta da una malattia genetica incurabile e trasmissibile che chiedeva di poter valutare con il medico il numero di embrioni da produrre e congelare. La terza volta, nel marzo di quest'anno, la Corte dietro ricorso del tribunale civile di Milano ha ribadito quanto già espresso nel 2009, sostenendo l'incostituzionalità degli articoli 14 e 6, aprendo una deroga alla crioconservazione. Ma a ricorrere alla Consulta sono stati anche i pro-life che hanno invano tentato di cancellare le linee guida riscritte dalla ministra Pd Livia Turco dopo che nel 2008 il Tar del Lazio aveva bocciato le precedenti, accogliendo il ricorso di una coppia che chiedeva di accedere alla diagnosi preimpianto.

Eutanasia: e se provassimo a discutere?

l’Unità 13.10.10
Quattro anni dopo Welby
Eutanasia: e se provassimo a discutere?
di Carlo Troilo

Sono passati quattro anni da quando il Presidente Napolitano, rispondendo alla lettera di Pier Giorgio Welby che chiedeva «di poter ottenere l’eutanasia», auspicò su questo tema «un confronto politico nelle sedi più idonee, perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio». Invece di cogliere questa significativa apertura del Capo dello Stato, noi laici ritenemmo più realistico rinviare a tempi migliori il discorso sull’eutanasia e puntare ad introdurre nella nostra legislazione il testamento biologico. Una scelta sbagliata, visto che dopo quattro anni la Camera dei Deputati si accinge ad approvare una legge in aperta violazione dell’articolo 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario»): in realtà, una vendetta postuma per come si è conclusa la vicenda di Eluana Englaro
Così, l’Italia è il solo Paese del mondo occidentale dove non si può fare un testamento biologico e dove di eutanasia non si può nemmeno parlare, mentre Svizzera, Olanda e Belgio l’hanno legalizzata, la Spagna la introdurrà entro il 2012 e negli altri tre grandi Paesi comparabili con l’Italia (Francia, Germania e Gran Bretagna) se ne discute in tutte le sedi politiche, le Chiese non interferiscono e i giudici assolvono regolarmente quanti aiutano a morire i propri congiunti malati terminali.
Eppure, si tratta di un dramma molto più frequente di quanto si creda. Nel 2004 dopo il suicidio di mio fratello Michele, malato terminale di leucemia resi pubblici i dati dell’Istat secondo cui ogni anno mille malati terminali, non potendo ottenere l’eutanasia, si suicidano nei modi più atroci. E Mario Riccio, il medico di Welby ha spiegato di recente che in Italia si verificano negli ospedali migliaia di casi Welby ed Englaro.
Questa arretratezza in materia di scelte di fine vita, che colloca l’Italia fuori dall’Europa sui temi “eticamente sensibili”, riguarda anche altre questioni di notevole rilievo morale e sociale. Ricordo le due principali: la pessima legge 40 sulla procreazione assistita e la mancanza di una legge sulle coppie di fatto, etero ed omosessuali, benché il loro numero raddoppi ogni anno.
Vorrei fare appello ai leader del centro sinistra ma anche a quei parlamentarli del Pdl che hanno sempre invocato, su questi temi, la libertà di coscienza perché non considerino “minori” le tematiche della laicità dello Stato e dei diritti civili. C’è bisogno dell’impegno di tutti per dar vita, come negli anni settanta, a una nuova stagione di conquiste civili che ponga fine alla “diversità” dell’Italia e la riporti nel contesto europeo.

domenica 10 ottobre 2010

Il Nobel all’uomo che ha favorito la vita

l’Unità 5.10.10
Il Nobel all’uomo che ha favorito la vita
di Maurizio Mori

Una bella notizia, il Nobel a Bob Edwards. Lo scienziato inglese che dagli anni ’60 del secolo scorso si è impegnato nel mettere a punto la fecondazione in vitro con trasferimento di embrione: una tecnica che ha cambiato il modo di attuare la riproduzione umana e dato una svolta agli studi sull’embrione. Il Nobel non solo corona una vita dedita alla ricerca di un grande studioso di notevole spessore culturale, ma soprattutto è il sigillo dato dal mondo scientifico alla bontà della fecondazione assistita: la scienza riconosce che l’ampliamento del controllo umano della riproduzione è qualcosa di buono per l’umanità, di meritevole della massima onorificenza per uno scienziato. Di fronte a un simile riconoscimento a dir poco impallidiscono le critiche mosse da alcune religioni alla nuova tecnica, accusata essere contraria alla “vita” e alla “dignità della procreazione”. Non si capisce proprio in che senso si possa dire che sia contraria alla vita una tecnica che ha consentito la nascita di ormai oltre 4.000.000 di bambini. Si dovrebbe dire al contrario che è una tecnica che favorisce la vita e consente alle persone di avere figli anche quando la natura non li dispensa più. Ancora più difficile è capire perché dovrebbe essere contrario alla “dignità della procreazione” ricorrere all’assistenza tecnica per avere figli. Forse lo si può dire solo assumendo la “naturalità” come criterio normativo, supponendo che la natura sia buona e dimenticando come invece in realtà sia spesso avara e matrigna. Fortuna che l’uomo grazie alla scienza e alla tecnica riesce a rendere il mondo meno duro e più agevole. Solo inveterati pregiudizi antiscientifici possono far pensare il contrario. Il Nobel a Edwards deve essere anche uno stimolo a ripensare l’etica e la politica sulla fecondazione assistita. In Italia, sfruttando abilmente lo sgomento generato da alcuni casi eclatanti di fecondazione assistita si è detto che c’era una preoccupante deregulation (il Far West), e si è approvata una legge liberticida che non solo penalizza un numero alto di cittadini nell’impegno di avere figli, ma ha fatto anche arretrare l’intera riflessione bioetica, favorendo ‘idea che la scienza comporti una sorta di “eccesso” da reprimere. Oggi questo clima conservatore informa il disegno di legge Calabrò sul fine della vita che ci riporta a prima degli anni ’50, e aleggia come uno spettro sulla campagna elettorale che molti danno per imminente. Il premio Nobel a Edwards ci ricorda che la scienza è vettore di progresso morale e che molte delle remore diffuse sono frutto di pregiudizi e tabù. Invece di chiedere perdono per gli errori tra qualche anno, come già hanno fatto su altri temi, è bene chi i critici della scienza si ravvedano da ora, evitando inutili sofferenze.

mercoledì 6 ottobre 2010

Robert Edwards è stato il pioniere della fecondazione in vitro. Il Vaticano attacca «Una scelta completamente fuori luogo»

l’Unità 5.10.10
Robert Edwards è stato il pioniere della fecondazione in vitro. Il Vaticano attacca «Una scelta completamente fuori luogo»
Il Nobel al «papà» dei bimbi in provetta La Chiesa: inaccettabile
Il Karolinska Institutet di Stoccolma ha assegnato il Nobel per la medicina a Robert Edwards, pioniere della fecondazione in vitro. Che, a partire dal ’78, ha portato alla nascita di 4 milioni di persone in tutto il mondo.
di Cristiana Pulcinelli

I messaggi arrivano da tutto il mondo: Portorico, Messico, Francia, Danimarca, Iran, Russia, Stati Uniti, Nepal, Sudafrica. Tutti scrivono sul sito della Fondazione Nobel per congratularsi con Robert Edwards, vincitore del premio per la medicina 2010. Sono soprattutto genitori e nonni di bambini nati grazie alla procreazione assistita, ma c’è anche un «grazie» firmato da «un bambino in provetta» ormai diventato adulto. Poi ci sono i colleghi che hanno applicato nel loro paese la tecnica Fivet inventata dal biologo ed embriologo inglese. Tutti ringraziano, anche chi per ora non ha avuto risultati, ma non rinuncia a sognare come la coppia italiana che scrive: «Se abbiamo ancora una piccola speranza di diventare genitori è solo grazie a lei».
Il Nobel per la medicina probabilmente non è mai stato così popolare. Anche chi pensa di non conoscere il nome del vincitore, ricorderà tuttavia quello di Louise Brown, la prima «bimba in provetta» che nacque proprio grazie a Edwards e al ginecologo Patrick Streptoe (forse il Nobel oggi sarebbe andato anche a lui se non fosse morto nel 1988). Era il 1978 e la foto di Louise finì sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Oggi Louise ha 32 anni ed è mamma a sua volta, Edwards ne ha 85 e nel mondo sono più di 4 milioni le persone nate grazie alla Fivet.
Edwards cominciò a lavorare alla tecnica per combattere la sterilità fin dagli anni Cinquanta: pensava che fecondare l’ovulo al di fuori del corpo della donna potesse permettere di superare alcuni ostacoli. Dopo molti tentativi, nel 1969 riuscì a fecondare un ovulo in una provetta. In quello stesso anno entrò in contatto con Streptoe e, grazie alla collaborazione con il ginecologo, la tecnica passò dal laboratorio alla pratica medica. Nonostante molti buoni risultati, i due scienziati non ottennero i fondi pubblici per continuare le loro sperimentazioni. Il fatto era che le loro ricerche trovarono l’opposizione della Chiesa e di alcuni bioeticisti cattolici. Fu solo grazie a una donazione privata che gli studi continuarono e che, infine fu messa a punto la tecnica che consisteva nel prelevare l’ovulo, fecondarlo in provetta e poi reinserirlo nell’utero della donna. Un’idea talmente geniale che ancora oggi la Fivet viene utilizzata in tutto il mondo per combattere l’infertilità, un problema che colpisce tra il 15 e il 20% delle coppie e la cui incidenza è in aumento.
I successi di Edwards sono sotto gli occhi di tutti, tuttavia, c’è chi non è d’accordo con la scelta compiuta dagli Accademici di Stoccolma. Radio Vaticana, per esempio, che, attraverso la voce del presidente dell’Associazione Scienza e Vita, Lucio Romano, sottolinea come quella a Edwards è «un’assegnazione che disattende tutte le problematiche di ordine etico e che rimarca che l’uomo può essere ridotto da soggetto ad oggetto». Gli fa eco monsignor Roberto Colombo, docente della Cattolica di Milano e membro della Pontificia Accademia della Vita e del Comitato nazionale di bioetica, il quale dichiara che la Chiesa cattolica, pur riconoscendo «l’importante scoperta scientifica» di Edwards, ricorda «che la fecondazione in vitro suscita gravi interrogativi morali quanto al rispetto della vita umana nascente e alla dignità della procreazione umana». E ancora, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Ignacio Carrasco de Paula dichiara: «Ritengo che la scelta di Robert Edward sia completamente fuori luogo» e i «motivi di perplessità non sono pochi». Mentre, padre Gonzalo Miranda, docente di bioetica all’università Pontificia Regina Apostolorum a Roma esprime il timore che la fecondazione in vitro lasci «aperti molti dubbi, a partire dallo spreco di vite umane che si realizza con gli embrioni, spesso prodotti già in partenza con lo scopo di non far nascere bambini». E qualcuno già si preoccupa che il Nobel a Edwards rimetta in discussione la tristemente famosa legge 40 in vigore nel nostro paese.

mercoledì 15 settembre 2010

La favola delle cellule etiche. Le staminali e l’arte di negare i fatti

l’Unità 15.9.10
La favola delle cellule etiche. Le staminali e l’arte di negare i fatti
di Sergio Bartolommei
Università di Pisa, membro della Consulta di Bioetica

Il premio Balzan di quest’anno va a Yamanaka, lo scienziato giapponese che ha inaugurato una nuova tecnica per la riprogrammazione delle cellule adulte che vengono ricondotte a uno stadio simile a quello delle staminali embrionali. Secondo alcuni osservatori cattolici questa e solo questa sarebbe “vera” scienza e le cellule così ottenute le uniche e autentiche “cellule etiche”. Il cerchio verrebbe chiuso: gli embrioni, nuove incarnazioni del Sacro, sarebbero salvi, e la ricerca pure.
Sembravano lontani i tempi in cui, in Unione Sovietica, si discriminava con Lysenko tra vera e falsa scienza mettendo al bando la genetica e le sue teorie e suddividendo in buoni e cattivi gli scienziati in base alla tecnica da questi utilizzata per raggiungere certi risultati. Nonostante i disastri allora prodotti dalle pretese del controllo ideologico della scienza, la lezione non sembra essere servita a certi cattolici nostrani. Essi plaudono alla necessità di dettare norme morali per la ricerca sulle cellule staminali riducendo il numero delle opzioni disponibili solo a quella (le staminali “adulte”) che all’etica cattolica non certo alla comunità scientifica internazionale, peraltro raffigurata come esposta alle sirene del nihilismo etico appare la sola “promettente”.
Si dice: la vita dei vegetali su cui pontificavano i “materialisti dialettici” non aveva certo l’importanza che ha la vita degli embrioni umani. Il seme di una pannocchia non è “uno di noi”, un embrione sì. In verità, che l’embrione sia persona, una realtà spirituale, è solo il prodotto di una convinzione morale o di una credenza ideologica. Nessuna analisi di laboratorio potrà mai certificare il carattere di “persona” neppure di “persona in miniatura” di una blastocisti di quattro giorni e poche cellule. Chi fa uso della parola “embrione” per evocare una realtà “più che” biologica sta usando questo termine, non nel significato scientifico di “prima tappa dello sviluppo umano”, ma nel significato retorico che suscita pietà e commozione in chi legge o ascolta. Non c’è poi da meravigliarsi, dato l’uso disinvolto del linguaggio, che nel definire “etiche” le cellule ottenute dalla riprogrammazione delle adulte si trascuri di dire che lo stesso Yamanaka ha dovuto modificare geneticamente le adulte (“contaminando” così la purezza dell’ “Umano”), mettere a confronto queste con quelle embrionali e utilizzare le conoscenze di base conseguite con queste ultime per portare avanti la ricerca sulle prime. Che di ciò si taccia è una prova ulteriore del fatto che in Italia ideologia e teologia fanno aggio sulla scienza, imponendo autoritariamente proprio come Lysenko cosa cercare e come.
L’autore è membro della Consulta di Bioetica

domenica 5 settembre 2010

Lettera - «Il presidente mi denunciò come assassino di Welby»

Lettera - «Il presidente mi denunciò come assassino di Welby»

Articolo di pubblicato su da l'Unità, il 19/08/10

«Cara Unità, fra le tante gustose "esternazioni" del presidente emerito Francesco Cossiga, nessuno ha ricordato il suo esposto alla Procura di Roma il giorno seguente la morte di Piergiorgio Welby. L'esposto nel quale mi si indica come responsabile della morte di Welby è un "mix" di ideologia politica e religiosa , condita da alcune gravi imprecisioni di diritto penale (confusione tra sospensione delle cure vs eutanasia). Tutti contenuti poi ritrovatisi nella conseguente ordinanza di imputazione coatta del GIP. Ricordo che la vicenda mi suscitò profonda indignazione e timore.
Mi sorprese cioè che un rappresentante dello Stato al massimo livello - nonché massimo garante della Costituzione potesse scagliarsi con tali pesanti accuse contro un semplice cittadino, peraltro convinto semplicemente di aver permesso l'esercizio di un diritto costituzionale. Senza contare che in quel clima mediatico, la sua autorevolezza mi poteva esporre alla reazione di qualche esaltato. Ma la cosa che più mi aveva meravigliato, era stato che nessun esponente politico di rilievo avesse espresso alcuna perplessità in merito al suo comportamento. Mi chiedo cosa sarebbe successo in un paese normale - nella stessa situazione. Ad esempio, se negli Stati Uniti Bush padre avesse indicato come assassino un medico abortista.».
Mario Riccio (È il medico anestesista che nel dicembre del2006 interruppe la ventilazione meccanica all'esponente radicale Piergiorgio Welby, affetto da una grave forma di distrofia muscolare: fu prosciolto dall'accusa di omicidio del consenziente -J123 luglio del 2007 dal Gup di Roma Zaira Secchi).

martedì 13 luglio 2010

INT. A IGNAZIO MARINO - "ITALIA, FANALINO DI CODA NELLA LIBERTÀ DI SCELTA DELLE COPPIE

INT. A IGNAZIO MARINO - "ITALIA, FANALINO DI CODA NELLA LIBERTÀ DI SCELTA DELLE COPPIE

'La Stampa' del 7 luglio 2010

Flavia Amabile

Anche in Germania si potranno fare test genetici sugli embrioni. E quindi in caso di malattie genetiche dei feto non procedere all`impianto. Ignazio Marino, senatore Pd, medico, cattolico, componente della commissione Sanità, e in Italia? «In Italia ci sono state due sentenze simili nel 2007 ma da noi non fanno giurisprudenza, e quindi abbiamo una legge scritta senza tener conto della conoscenza scientifica e degli specialisti che eseguono la fecondazione assistita al punto da essere arrivati ad una situazione drammatica».
Quale? «Impedire di eseguire la diagnosi prima dell`applicazione dell`embrione e poi eventualmente lasciare la possibilità di interrompere la gravidanza attraverso la 194. Vuol dire creare una situazione di stress incredibile per una donna che si è già sottoposta a terapie ormonali intensive dover anche ricorrere nel caso in cui il feto sia malformato ad un`interruzione di gravidanza».
Gli italiani sono i primi in Europa per i viaggi all`estero per la procreazione assistita. Ora che anche in Germania i test genetici sugli embrioni sono possibili aumenteranno le fughe? «Certo, è di sicuro una possibilità in più, anche se penso che in Spagna sono davvero ben organizzati, hanno anche personale italiano che in una situazione così delicata come quella della fecondazione rappresenta un grande conforto».
Resta il fatto che si rischia di non far nascere anche feti con patologie non estremamente gravi come la sindrome di Down, per esempio. «La legge non deve mai contenere principi etici ma lasciare alle persone la libertà di utilizzare o no i mezzi che la scienza e la tecnica mettono a disposizione per diagnosticare una malattia».

domenica 11 luglio 2010

Germania: non è reato scegliere embrioni sani Lo ha deciso la Cassazione

l’Unità 10.7.10
Germania: non è reato scegliere embrioni sani Lo ha deciso la Cassazione
Due settimane fa la sentenza sull’eutanasia passiva che tanto scalpore ha suscitato. Ed ora la Corte di Cassazione tedesca torna a stupire con un nuovo pronunciamento destinato ad innescare polemiche.
di Gherardo Ugolini

La diagnosi preimpianto, ovvero l’analisi degli embrioni in provetta prima che vengano impiantati nell’utero, per verificare la presenza o meno di malattie genetiche, non costituisce un reato, neanche se il medico decidesse, sulla scorta dei risultati del test, di utilizzare solamente gli embrioni sani scartando quelli malati. Tale diagnosi consente di ridurre il numero degli aborti di bambini con gravi handicap o malformazioni, hanno spiegato i giudici del tribunale di Lipsia.
Il pronunciamento della Cassazione non significa affatto la possibilità di selezionare in misura illimitata gli embrioni in base alle caratteristiche genetiche. Opzioni come quella relativa al colore degli occhi o dei capelli, come anche per determinare il sesso, rimangono pur sempre vietate. Nessuna coppia in Germania avrà ora la possibilità di programmare un «bambino su misura». Tuttavia la sentenza incide profondamente nell’ordinamento in vigore, visto che una legge del 1991 vieta espressamente di distruggere gli embrioni. Ora sarà il Bundestag a dover intervenire per approvare una nuova legge possibilmente in armonia con la deliberazione dei giudici. La Germania si allinea così a Paesi quali Francia e Spagna in cui la procedura della diagnosi preimpianto è consentita pur con determinati limiti. In Italia invece la legge sulla procreazione assistita vieta radicalmente esami di questo tipo.
UN MEDICO APRE IL CASO
A rivolgersi al tribunale era stato un ginecologo di Berlino il quale si era avvalso della diagnostica preimpianto per tre coppie di genitori con malattie ereditarie sottoponendo gli embrioni a test genetici per poi impiantare solo quelli sani distruggendo quelli recanti anomalie. Incerto sulla correttezza giuridica del suo operato, il medico si era autodenunciato alla giustizia sollecitando un pronunciamento. Un tribunale della capitale tedesca in prima istanza lo aveva assolto, ma la Procura di Berlino aveva presentato ricorso. Ora è arrivata l’assoluzione definitiva della Cassazione.
Come era facile prevedere l’opinione pubblica ha reagito in modo differenziato. Da un lato c’è la presa di posizione dell’Ordine dei medici che si dice lieto del fatto che siano stati posti dei paletti giuridici espliciti e univoci sul tema scottante della selezione degli embrioni. Dall’altro la Conferenza episcopale ha ribadito il punto di vista cattolico per cui «l’uccisione degli embrioni non può essere tollerata in nessun caso, anche di quelli che dopo un esame sui danni genetici non devono più essere reinseriti nell’utero». Per i vescovi della Germania «ammettere la diagnostica preimpianto presuppone che all’embrione non venga riconosciuto alcuno stato equivalente a quello della persona nata». Anche le forze politiche sono spaccate sul tema: diversi leader della Cdu come per esempio la vice-capogruppo parlamentare Ingrid Fischbach, hanno contestato aspramente la sentenza sostenendo che «così si apre la strada ad una selezione tra forme di vita degne e indegne». Socialdemocratici, Verdi e Liberali sono invece propensi a varare rapidamente una legge quadro che accolga il giudizio della Cassazione.