domenica 28 settembre 2008

«Il Papa ha potuto scegliere, Eluana no»

l’Unità 28.9.08
«Il Papa ha potuto scegliere, Eluana no»
Beppino Englaro: lo stato vegetativo permanente non esiste in natura. Roccella insiste: non è terminale
di Natalia Lombardo

«LO STATO VEGETATIVO permanente non esiste in natura, è lo sbocco dei protocolli medici che hanno interrotto il processo di morte di Eluana. E io questi protocolli non li voglio più». Lo dice con tono appassionato accolto da un applauso caldo, Beppino Englaro, padre della ragazza in stato vegetativo da sedici anni. Ha alzato la voce solo in quel momento, è sbottato per rispondere alla fermezza gelida con la quale Eugenia Rocella, sottosegretario al Welfare, gli ha detto in faccia: «Eluana non è un malato terminale, può vivere ancora molto tempo». Ovvero che la sua volontà di morire non è valida senza una dichiarazione scritta: «Anche per vendere un motorino serve un certificato», afferma l’esponente del Pdl.
Temi difficili che toccano le emozioni, infatti il dibattito «L’autodeterminazione dell’individuo: un diritto in ogni fase della vita», che si è svolto ieri al "Festival della salute" a Viareggio organizzato da Italianieuropei, ha suscitato passioni. E proteste che hanno sommerso la paladina del Family Life, da parte di una platea coinvolta in prima persona. Sul palco anche Mina Welby, che con il marito Piergiorgio ha combattuto, nel partito radicale, la battaglia per interrompere la sua vita da forzato nel letto. «Abbiamo camminato nel deserto della mancanza di leggi»: su questo sono tutti d’accordo con il papà di Eluana, il Parlamento deve approvare una legge sul testamento biologico, la cui necessità è sostenuta anche da monsignor Bagnasco. «Ci sono voluti 5750 giorni perché si pronunciasse una sentenza», racconta lui. Un "deserto" attraversato dal 18 gennaio 1992, quando Eluana ebbe l’incidente che la rese incapace di intendere e di volere. Solo nel 2007 la famiglia ha trovato risposta nella sentenza della Cassazione ora messa in discussione dalla maggioranza in Parlamento e sospesa dalla Procura generale di Milano. Papà Englaro aspetta «solo il decreto attuativo» ma non vuole parlarne. La Corte stabilì che «l’alimentazione e l’idratazione forzata sono presidi terapeutici, checché ne dica la Chiesa», e che lui, come tutore «avrebbe potuto interromperli». Poi aggiunge: «Giovanni Paolo II aveva problemi alla faringe e non volle essere trachetomizzato. Lui ha potuto dire di no, Eluana non può».
Eugenia Rocella passa come un panzer ideologico sui sentimenti: «Non si può ricostruire la volontà di una persona di morire in base a testimonianze vaghe o stili di vita». Per lei «la sentenza è inquietante e rischiosa perché apre la strada al diritto di morire. La Cassazione ha invaso il campo del Parlamento». Il dibattito si scalda, dalla platea molte le voci di protesta sofferenti. Rocella alza il tono per superarle e insiste: voler staccare la spina senza disposizione di fine vita - termine terribile- è pari all’abbandono. Fa un esempio fuori luogo: «Non si cerca di trattenere le persone dal suicidio?». Protesta: «Sono qui sola contro tutti». Non c’è dalla sua parte Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera: un’assenza annunciata, sembra per partecipare a una iniziativa di Cl. È Mina Welby, allora, a raccontare come avesse «remato contro» la volontà di suo marito Piergiorgio, che una notta le chiese «dammi tutte le pasticche che sono nel comodino, non ce la faccio più». Invece scelsero di combattere una battaglia pubblica, (Rocella è ex radicale e ex femminista, ora si dice liberataria e sta nel Pdl). «Io non volevo che mi lasciasse, lo amavo tantissimo, ma se avessi ceduto quella notte ora non sarei qui a finire il lavoro, come diceva mia madre», racconta Mina, piccola e combattiva, la voce dolce.
Solo la necessità di una legge unisce tutti: «La chiedo con forza al Parlamento», afferma Englaro. La farà il centrodestra, cambiando la proposta che presentò Ignazio Marino, chirurgo, senatore Pd e presidente del Comitato scientifico della (riuscita) Festa della Salute. Il principio della legge, ha ripetuto ieri, parte dal «diritto di cura ma non il dovere di accanirsi perché la tecnologia è avanzata. Lo dissero i Costituenti nel ’47: se non voglio nessuno può farmi un intervento». Eugenia Rocella auspica la legge ma mette già dei paletti: non si interrompa l’alimentazione forzata, si bloccherebbe le terapie contro l’anoressia; il diritto dei medici nel non staccare la spina.
Alla fine papà Englaro parla a tu per tu con la "pasionaria": «Non attaccate i giudici che hanno coraggio civile, e che sono intervenuti perché il Parlamento non ha fatto niente. Anzi, dovreste ringraziarli». Questo mai, ribatte Rocella, «altrimenti si crea un precedente pericoloso». Alla fine, comunque si stringono la mano. Beppino Englaro non fa caso agli attacchi: «sono collaudato».

venerdì 26 settembre 2008

Il Comitato di Bioetica: il rifiuto delle cure è un diritto

Corriere della Sera 26.9.08
Il Comitato di Bioetica: il rifiuto delle cure è un diritto
di Margherita De Bac

ROMA — Nel dibattito sul testamento biologico arriva il documento sulla «Rinuncia consapevole al trattamento sanitario», oggi al voto del Comitato nazionale di bioetica (Cnb). Riafferma con forza un principio ancora poco chiaro ai cittadini nonostante molte sentenze di tribunali: la completa libertà sulla gestione del proprio corpo, un principio che non può essere toccato anche se il rifiuto di cure mette a rischio la vita. Il tema ruota attorno all'autodeterminazione. Ma qui si parla di persone pienamente coscienti, in grado di intendere e di volere, che esprimono con lucidità i propri desideri. Come Welby, per intendersi.
Ecco un esempio tratto da una storie reale, nota all'opinione pubblica perché finita sui giornali recentemente: se scegli di non farti amputare la gamba, nessuno può sindacare sulla tua motivazione personale. E il medico? Dovrà cercare con tutti gli argomenti di farti cambiare idea, di indurti ad accettare «i trattamenti life saving». Se non riesce nell'intento potrà «astenersi da condotte avvertite come contrarie alle propri concezioni etiche e professionali ». In altre parole «l'accoglimento della richiesta di sospendere le cure è lecito ma non obbligatorio sul piano giuridico deontologico e morale». Dunque è libero di astenersi, passando l'assistenza ad un collega. Il paziente, da parte sua, ha il diritto di manifestare la sua volontà. Ma dovrebbe avvertire anche il dovere di salvaguardare la vita, che resta un bene inviolabile, come viene sottolineato nella parte più «cattolica» del documento.
Scritto con estremo rigore dal giurista bolognese Stefano Canestrari, new entry nel Cnb, il parere ha buone probabilità di essere licenziato con voto unanime dal Comitato. Avvenimento storico per un gruppo che si distingue anche per mancanza di condivisione.
Il Cnb ha ritenuto necessario intervenire su questa materia proprio alla vigilia del dibattito parlamentare sul testamento biologico. Sembra che maggioranza e opposizione si muovano nella direzione di una legge. Ieri il Pd ha avviato un confronto interno al partito. E' possibile si riesca a trovare una sintesi fra le varie posizioni. Ottimista Anna Finocchiaro: «Al di là di posizioni marginalissime finalmente si avverte un'esigenza condivisa». Il senatore Ignazio Marino ritiene però che la legge non dovrà definire l'accanimento terapeutico e che sull'alimentazione artificiale debba decidere il medico. Disposta al dialogo l'associazione Scienza e Vita, purché l'eutanasia venga nettamente esclusa.

mercoledì 24 settembre 2008

Marino: imporre l’alimentazione? Non mettiamo troppi paletti

Marino: imporre l’alimentazione? Non mettiamo troppi paletti

Corriere della Sera del 23 settembre 2008, pag. 9

di Paola Di Caro

Un «incoraggiamento» a riempire «un vuoto normativo che si trascina da troppo tempo», e tanto più importante perché arriva dopo parole di chiusura da parte di ambienti ecclesiastici e politici ad una legge sul testamento biologico.



E’ positiva la reazione di Ignazio Marino - chirurgo di gran fama, senatore del Pd ed estensore di un progetto di, legge sul testamento biologico sottoscritto da roi parlamentari - alle parole del cardinal Bagnasco sulla necessità di una legge sul «fine vita», anche se con regole «certe» e limiti «etici». Con una postilla però, che tocca il cuore del problema: «Al Parlamento spetta scrivere una legge, il più possibile condivisa; che conservi il dettato costituzionale previsto dall’articolo 32, e cioè la libera scelta del cittadino su quali cure accettare e quali eventualmente rifiutare».



Ma perché è così importante arrivare a un testo di legge sul testamento biologico?

«Perché su questo tema noi siamo fermi all’altissimo dibattito dei padri costituenti sul senso e sulla difesa della dignità della vita, che portò all’affermazione appunto della libertà del singolo di decidere se accettare o meno una cura. Ma tutto ciò fu scritto 5 anni prima dell’invenzione del respiratore automatico, quando cioè non si poteva nemmeno immaginare che la scienza avrebbe introdotto strumenti di sostegno vitale anche in casi in cui non si ha alcuna speranza di recuperare la facoltà cognitiva».



Insomma, chi è. ancora in condizione di decidere di sé oggi può farlo, ma non chi è in coma irreversibile.

«Esattamente, non stiamo parlando di una legge per "staccare la spina", ma tale da riempire il divario di fatto tra la Costituzione e l’assenza di regole. Regole che i medici per primi chiedono».



Il presidente della Cei però pone precisi paletti: devono esserci dichiarazioni «inequivocabili», non si devono interrompere alimentazione e idratazione al malato.

«Io credo che porre dei limiti o dei criteri tecnici vincolanti e specifici in una legge di questo genere sia impossibile, e infatti questi non esistono in nessuno dei Paesi dove c’è il testamento biologico, dagli Usa al Canada all’Australia. Il mio testo istituisce invece la figura del fiduciario, indicato per iscritto, che, per lo speciale rapporto di amore, confidenza, fiducia con chi non può più esprimere la sua volontà, aiuta il dialogo tra famiglia e medico e facilita la decisione finale».



Ma il limite del no all’interruzione all’alimentazione e all’idratazione, che la Cei teme porti ad un’«eutanasia mascherata» e che ha scatenato tante polemiche sul caso Englaro, non è in qualche modo codificabile in una legge?

«Vede, ci sono situazioni in cui portare il cibo alla bocca di un anziano è atto compassionevole e gratificante anche per il medico che lo fa. Altre in cui, faccio un esempio, il malato di cancro all’esofago rifiuta di farsi nutrire con un sondino inserito chirurgicamente nello stomaco. Oggi, grazie all’articolo 32 della Costituzione, quel malato può farlo, perché ha la facoltà di esprimersi. Ma se va in coma, chi decide? E può un diritto previsto dalla Costituzione essere negato a chi non può parlare ma magari ha espresso in precedenza la sua volontà?».



Insomma, l’intervento di Bagnasco faciliterà l’iter della legge?

«Il compito di un vescovo è di parlare alle coscienze, però è evidente che ci sono molti politici credenti che terranno conto delle sue riflessioni. Il mio auspicio è che non si arrivi a uno scontro tra Guelfi e Ghibellini, ma a riempire un vuoto legislativo. E che lo si faccia nel rispetto della Costituzione».

Testamento biologico, è già scontro. Come sulla procreazione

l’Unità 24.9.08
Testamento biologico, è già scontro. Come sulla procreazione
La Chiesa: «La volontà del paziente non sia vincolante». Nel partiro democratico si riapre la discussione
di Maria Zegarelli

«Di nuovo c’è l’idea di dire che si deve fare una legge dopodiché la novità cessa, perché già stabilisce come deve essere una legge, sostituendosi al Parlamento. Nell’idea di Bagnasco la legge dovrebbe dire che il paziente non ha diritto di decidere nulla». Non ci vede alcuna apertura Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica Onlus, nelle parole del presidente della Cei, Angelo Bagnasco sul testamento biologico. I «paletti» messi da Bagnasco sono, infatti, tali da rendere vuota di contenuto una legge sul testamento biologico. Quella a cui pensa il cardinale, è più una «legge di assistenza per la fine della vita», come precisa non a caso monsignor Elio Sgreccia. libera per una legge come quella che hanno in testa «i laici». Sottigliezza che non è sfuggita al centrodestra lanciato nella sfida a chi è più d’accordo con il Vaticano. Se Ignazio Marino, membro della Commissione Igiene e Sanità al Senato, nonché primo firmatario del ddl sul testamento biologico (sottoscritto da oltre 100 parlamentari) accoglie con favore l’apertura di Bagnasco, preoccupazioni nel Pd ce ne sono. I teodem sono sul piede di guerra, ieri Paola Binetti (ma anche Ilaria Argentin che teodem non è) ha accusato il partito di poca «democrazia» proprio su questo tema. La Binetti, che ha già depositato un testo che va nella direzione di Bagnasco, ha contestato insieme alla collega il seminario organizzato sul tema per oggi alle 14.30 nella Sala del Mappamondo dove sono chiamati a raccolta i 350 parlamentari del gruppo. Se lo scopo era tastare il polso del partito, la vigilia già annuncia febbre alta. È chiaro a tutti nel Pd che i paletti messi da Bagnasco stanno a significare che una legge come quella di Ignazio Marino verrà ostacolata con tutti i mezzi. Ed è chiaro ai teodem che rischiano di essere netta minoranza nel partito: per questo temono che domani si discuta solo della proposta del senatore e non anche delle loro. Il capogruppo alla Camera Antonello Soro ha spiegato che ogni parlamentare potrà illustrare il proprio ddl, ma è evidente che la spaccatura è dietro l’angolo. Anche stavolta il rischio è che si ripeta quanto avvenuto con la legge 40 sulla procreazione assistita e sul referendum per abrogarla. Anche su quella legge sono stati messi paletti così pesanti che la tutela della salute della donna e del nascituro sono stati schiacciati da altre logiche. Secondo il professor Carlo Alberto Defanti, medico di Eluana Englaro, primario neurologo emerito, anche sul testamento biologico l’obiettivo è lo stesso. «Svuotare la legge. Bagnasco è molto chiaro sulle questioni cruciali: impedire che la nutrizione venga considerata come una terapia rinunciabile, considerandola come assistenza al malato (pur sapendo che la letteratura italiana e internazionale dice esattamente il contrario) e rendere le ipotetiche dichiarazioni di volontà del paziente non vincolanti per il medico. Se le gerarchie vaticane riusciranno nel loro intento, se la politica lo permetterà, non solo non faremo un passo in avanti ma ne faremo due indietro».

martedì 23 settembre 2008

Testamento biologico. Le reazioni all'"apertura" della Cei

La Repubblica 23.9.08
Testamento biologico. Le reazioni all'"apertura" della Cei
di Michele Bocci

Il neurologo del caso Englaro: escludere dalla normativa il capitolo-nutrizione vorrebbe dire fare una legge vuota

"Cibo e acqua, il malato deve poter rinunciare"

ROMA - L´alimentazione e l´idratazione dei malati immobilizzati sono cure mediche, e il paziente può rifiutarle. Nel mondo medico le reazioni alle parole del cardinale Bagnasco sono pressoché unanimi. A partire da Lorenzo D´Avack, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, organismo nominato dal presidente del Consiglio, tutti si appellano alla comune definizione scientifica di nutrizione artificiale. «Dire che si tratta di un intervento di base condiviso da tutto il mondo medico mi sembra discutibile - dice il bioeticista - dal momento che la stessa Oms riconosce tali trattamenti come interventi medici, che quindi richiedono il consenso del paziente. Io credo che una persona abbia il diritto, sotto il profilo costituzionale, di rifiutarli». Dello stesso parere Carlo Alberto De Fanti, neurologo che ha cura Eluana Englaro, che aggiunge: «Una legge sul testamento biologico che escludesse la nutrizione sarebbe vuota, addirittura un passo indietro rispetto ad oggi. Del resto la Cassazione esprimendosi sul caso Englaro ha definito l´alimentazione un intervento sanitario». Il medico di Piergiorgio Welby, Mario Riccio, aggiunge che la legge «la vogliono fare per limitare il testamento biologico, per burocratizzarlo. Come hanno per con la fecondazione assistita, che con la legge è stata limitata». Sulle stesso posizioni l´Associazione Luca Coscioni. «Per nutrire e idratare quelle persone bisogna fare un intervento invasivo, dunque medico - spiega Alessandro Capriccioli -. E comunque sia, per assurdo, se anche ci trovassimo di fronte ad azioni non mediche non si capisce come mai la persona che deve subirle non può rifiutarle». Dalla Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe), Maurizio Muscaritoli spiega che non bisogna confondere «l´alimentazione con la nutrizione artificiale, che è la somministrazione di nutrienti, attraverso una via di accesso artificiale, a persone alle quali è preclusa l´assunzione di alimenti per la via naturale».
Il deputato Pd Enzo Carra sostiene che «le indicazioni del presidente dei vescovi italiani devono essere considerate con molta attenzione. Sono infatti un´apertura a una legge di cui non si può più fare a meno». Il suo collega del Pdl Benedetto Dalla Vedova aggiunge che «le parole del cardinal Bagnasco sono meritevoli di attenzione ma il Parlamento deve affrontare la questione senza pregiudizi, considerando le posizioni espresse dalla comunità medica e scientifica, la consapevolezza dell´opinione pubblica e i testi già prodotti in sede parlamentare».

mercoledì 17 settembre 2008

La Cassazione e il rifiuto di curarsi "Un diritto, ma il paziente sia chiaro"

La Repubblica 17.9.08
La Cassazione e il rifiuto di curarsi "Un diritto, ma il paziente sia chiaro"
Dopo il caso Eluana, la polemica su un testimone di Geova
di Caterina Pasolini

ROMA - Rifiutare le cure, anche quelle salvavita, è un diritto. Lo ribadisce la Cassazione che in una nuova sentenza va oltre, e da indicazioni concrete affinché la libertà di scelta del paziente venga rispettata anche nel caso in cui non sia in grado di comunicarla ai medici. Davanti al vuoto legislativo e alle recenti polemiche sul caso di Eluana Englaro la suprema corte chiarisce, definisce. Offre spunti concreti alla politica che negli ultimi anni ha visto più di dieci disegni di legge sul testamento biologico presentati senza riuscire a trovare un accordo di massima tra le diverse anime del parlamento.
Gli ermellini stabiliscono infatti due requisiti perché i medici eseguano le volontà del malato nel caso questi sia incosciente. È necessario che il paziente abbia con se una dichiarazione dove manifesta in modo «articolato ed inequivoco» il dissenso a ricevere taluni trattamenti. O un atto nel quale nomina un tutore che si esprima al posto suo.
Così recita la sentenza nata dal ricorso presentato da Mirko, testimone di Geova che nel ?90, arrivato moribondo dopo un incidente, venne trasfuso nonostante avesse in tasca un pezzo di carta con scritto: niente sangue. Nel ricorso chiedeva il risarcimento dei danni morali e biologici (ha contratto l´epatite b) per essere stato trasfuso nonostante il suo rifiuto per motivi religiosi. Ma quel foglietto per i magistrati è un´indicazione troppo vaga, ci vuole un consenso «chiaro, attuale e informato» perché venga rispettato il diritto sancito dalla Costituzione a rifiutare le cure.
Le prime reazioni sulla sentenza della Cassazione sono positive: dall´onorevole teodem Paola Binetti, ai radicali, passando per il senatore del Pd Ignazio Marino.
«È giusto che la magistratura metta dei paletti su un argomento così delicato, sospeso tra la libertà del paziente e la responsabilità dei medici. Il diritto dell´ammalato a non curarsi lo riconosco, anche se per me è sempre una sconfitta lasciare che qualcuno rinunci alla vita», dice la senatrice teodem, numeraria dell´Opus Dei, Paola Binetti.
«Ottima sentenza», commenta Rita Bernardini, segretario dei Radicali, «perché ribadisce il diritto a rifiutare i trattamenti e sottolinea il bisogno di una legge che dia indicazioni concrete, semplici. In fondo in quella figura di fiduciario io vedo il padre di Eluana che da anni si batte per rispettare il volere della figlia».
Latore di un disegno di legge sul testamento biologico è il professor Marino che giudica molto positiva la sentenza «che ribadisce la libertà di cura. E indica, come nel mio testo la necessità di un fiduciario perché venga rispettata la volontà del malato se questi non può parlare. Nel caso del testimone di Geova penso che se in emergenza, come dopo un incidente, non si possa perdere tempo a cercare documenti sulle sue volontà, si cerca di salvare una vita. Una volta stabilizzato il paziente potrà decidere se rifiutare le cure».

sabato 13 settembre 2008

Zapatero apre al suicidio assistito "Abolire il dolore"

Zapatero apre al suicidio assistito "Abolire il dolore"

La Stampa del 8 settembre 2008, pag. 14

di Gian Antonio Orighi

Il governo del premier socialista Zapatero prosegue la sua offensiva laica con altre due katiusce ad alzo zero contro la Chiesa e non incluse nel suo programma elettorale: non solo il diritto alla dolce morte, ma persino quello al suicidio assistito. L’annuncio viene dal ministro della Sanità, il noto scienziato specializzato nella riproduzione assistita Bernat Soria, 56 anni, in un intervista concessa ieri al filo-governativo El País. «Vogliono liquidare la gente a spese dei contribuenti», ha commentato Gonzalo Pons, portavoce dei popolari di centro-destra mentre le associazioni osservanti come Médicos Católicos stigmatizzano «la cultura della morte» zapaterista.

In una Spagna sempre più colpita dalla crisi economica (la disoccupazione ha raggiunto il 10,44%, la più alta d’Europa), a pochi giorni dall’annuncio della ministra della Uguaglianza, l’iperfemminista Bibiana Aidó, che entro il 2009 l’Esecutivo amplierà con un quarto caso la depenalizzazione dell’aborto, lo squillo di tromba è giunto da Soria, punta di diamante del premier per i temi più sensibili. Il ministro palesa subito il suo noto ghibellinismo dicendo: «Non mi preoccupa l’idea di ritrovarmi un’altra volta i vescovi nelle piazze (accadde nel 2004 quando vennero approvare le nozze ed adozioni gay, ndr). L’unico mandato che ho, come ministro e come deputato socialista, è quello con i cittadini».

Soria parte dall’eutanasia, che Zapatero aveva promesso di depenalizzare già nel programma elettorale del 2004 ma che poi, per mere ragioni elettorali, aveva parcheggiato e contro cui aveva addirittura votato quando lo spinoso tema venne portata alle Cortes dai comunisti di Izquierda Unita nell’ottobre scorso, benché i sondaggi indicassero che era favorevole il 76% degli spagnoli. «Faremo in modo che il diritto del malato ad una dolce morte sia reale. La battaglia contro la morte non la vinceremo, ma quella contro il dolore sì - ha esordito il ministro -. Deve essere il cittadino a decidere. C’è chi pensa che il proprietario del corpo sia una religione, un’istituzione, un partito politico. Noi socialisti diciamo: il proprietario del tuo corpo sei tu, e tua deve essere la decisione».

«Noi rispettiamo l’opzione del cittadino affinché possa decidere che non vuole essere sottomesso alla tortura che spesso significa lo sforzo terapeutico - continua Soria, da sempre nemico giurato dei cattolici -. Deve essere il malato a stabilire se desidera o no ricevere una cura assicurando che muoia o viva senza dolore». Dopo questo primo squillo, è arrivato il secondo, clamoroso. Il suicidio assistito, finora possibile, quando il malato è cosciente e assume volontariamente farmaci letali preparati da un medico, soltanto in Svizzera, Olanda e Belgio.

«Non è legale in Spagna - ha spiegato Soria -. Ma il Codice Penale è già stato cambiato molte volte. Inizieremo, insieme al ministero della Giustizia ed a una commissione di esperti una riflessione che può durare anche un anno e mezzo. Poi toccherà al governo decidere».
I popolari, il maggior partito dell’opposizione che già accusavano il governo di introdurre il dibattito sull’allargamento della legge sull’aborto per nascondere i flop in economia, hanno replicato subito. Dalle antenne della Cope, la radio dei vescovi, Gonzalo Pons ha tuonato: «È ancora fumo negli occhi. Il governo parla di suicidio assistito per nascondere le vittime della disoccupazione che sta provocando la nullità professionale di Zapatero». Ed ha aggiunto: «Se la storia del suicidio assistito non funziona, tireranno fuori la proposta che i toreri scendano nell’arena senza cravatta o che le processioni della Settimana Santa diventino laiche».

«Il governo trasforma lo scontro con la Chiesa nella linea principale della sua politica», prediceva non a caso proprio ieri La Vanguardia parlando della nuova legge sull’aborto. I cattolici, già mobilitati contro la futura legge sull’interruzione di gravidanza, sono all’attacco, ma due sondaggi online rivelano che il 78% degli spagnoli è a favore del suicidio assistito e dell’eutanasia. «Cercare la dignità dell’essere umano non è aiutarlo a morire, ma a vivere», commenta dal Cope la biologa Dolores Vila-Coro.

Papa Englaro e la vedova Welby, incontro sul testamento biologico

Papa Englaro e la vedova Welby, incontro sul testamento biologico

La Repubblica del 10 settembre 2008, pag. 12

di P. Co.

ROMA - Un incontro dove discuteranno insieme il padre di Eluana Englaro, Mina Welby, vedova di Piergiorgio, e il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella. I temi caldi della bioetica, come il testamento biologico e la morte cerebrale, saranno al centro dei lavori del Festival della Salute che si terrà a Viareggio dal 26 al 28 settembre, organizzato dalla Fondazione Italianieuropei.

Il senatore del Pd, Ignazio Marino, è il presidente del comitato scientifico della prima edizione dell’evento dove si discuterà anche di federalismo e di piani di risanamento dei conti regionali. «E difficile pensare di riuscire a trovare in questo momento di recessione più risorse per il servizio sanitario nazionale», ha detto Marino. La sfida, che è condivisa anche dal sottosegretario con delega alla Salute, Ferruccio Fazio, è«trovare soluzioni per spendere meglio quanto si ha».



Per Massimo D’Alema, intervenuto alla presentazione del Festival della Salute, è necessario fare «un po’ di conti» sul federalismo: «Non so se segnerà la fine dello Stato assistenziale ma serve una discussione non ideologica, bisogna entrare nel merito», ha detto l’ex ministro degli Esteri. «Bisogna fare un po’ di conti anche perché ho qualche dubbio che si possa fare un federalismo che dia più soldi alle Regioni più ricche e non tolga alle Regioni del Mezzogiorno». E ha continuato: «Non è possibile che un cittadino nato a Caltanissetta non abbia gli stessi diritti e le stesse garanzie di uno nato a Varese. Già oggi non è proprio così, non facciamo che il federalismo invece di aiutare a risolvere questi problemi li aggravi».

Englaro eroe e vittima della giustizia

Englaro eroe e vittima della giustizia

La Stampa del 11 settembre 2008, pag. 33

di Michele Ainis

Se il ministro Alfano insedierà una commissione di riforma per la giustizia riformata, a presiederla dovrebbe chiamare Beppino Englaro. Non tanto per la sua competenza sulle questioni etiche: materia per santi o per scienziati, e in Italia almeno i primi sono una falange. Quanto per la sua esperienza di labirinti giudiziari, dopo 11 anni trascorsi saltabeccando da un tribunale all’altro. Eluana, la figlia, è in stato vegetativo permanente dal 18 gennaio 1992. Nel ‘97 il padre s’è infilato per la prima volta in un’aula di giustizia, ottenendone la nomina a tutore. Lo scopo? Ricevere l’autorità legale per restituire alla morte quel corpo ridotto a uno zombie. Avrebbe potuto risolvere la faccenda all’italiana, portandosi Eluana a casa e «dimenticando» d’iniettarle la soluzione nutritiva. Nessuno avrebbe detto nulla, nessuno avrebbe mai saputo nulla. Avrebbe potuto scegliere un gesto di rottura, chiamando un anestesista al capezzale di famiglia, un altro Mario Riccio per un’altra Welby. Tanto a cose fatte nessun tribunale ti condanna. Ma lui no, non ha mai pensato di deragliare dai binari del diritto. Impartendoci una lezione: saranno pure fallaci e provvisorie le certezze che dispensa la giustizia umana, ma non ne abbiamo altre.

Sennonché la vicenda processuale di Beppino Englaro riflette come uno specchio deformante tutti i guai della giustizia italiana. Tre procedimenti autonomi, con un rimbalzo fra Lecco e Milano. Pattuglie d’avvocati. Due distinte - e opposte - decisioni della Corte d’appello di Milano, anche perché rese da due sezioni differenti. Altre due distinte - e nuovamente opposte - pronunzie della Cassazione, in attesa della terza. La nomina di un curatore speciale (l’avvocato Franca Alessio), dato che il papà come tutore non è abbastanza olimpico nelle proprie volizioni. Perizie, testimonianze (le amiche di Eluana), interrogatori come in un film di Perry Mason. Infine un decreto di 62 pagine, che autorizza il buon Beppino a interrompere il trattamento di sostegno, purché in un hospice e sotto vigilanza medica.

Fine della giostra? Macché. Il decreto della Corte d’appello di Milano reca la data del 25 giugno, ed è immediatamente esecutivo; ma sta di fatto che dopo oltre due mesi il suo destinatario non riesce a dargli esecuzione. L’ultimo in ordine di tempo è il «niet» della Regione Lombardia, che ha chiuso a chiave le proprie strutture sanitarie. Quel decreto giudiziario - ha detto il presidente Formigoni - viola le leggi, il codice deontologico dei medici, ma soprattutto offende «la mia personale convinzione». D’altronde se la giustizia è un’opinione, come negare la libertà d’opinione alla politica? E infatti da Toscana e Lazio, Regioni a maggioranza di sinistra, giungono profferte per accogliere Eluana. Mentre il Parlamento, dove la maggioranza pende a destra, spara un conflitto d’attribuzioni senza precedenti contro il verdetto della magistratura.

Deciderà perciò la Corte Costituzionale, trasformata in un improprio quarto grado di giudizio. Ma deciderà la stessa Corte d’appello di Milano, cui proprio ieri la Procura generale ha domandato di sospendere l’efficacia del decreto. E deciderà altresì la Cassazione, chiamata ancora in causa dal pg: e tre. Del resto ci sarà pure una ragione se nel 2006 i ricorsi civili pendenti in Cassazione hanno sforato il muro dei 100 mila. Se a quest’ultimo piano dell’apparato giudiziario - sulla carta aperto al pubblico solo in circostanze eccezionali - lavorano 350 magistrati, contro i 123 della Corte tedesca. Se in Italia gli avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione sono quasi 40 mila, in Francia meno d’un migliaio.

Scriveva Voltaire nel 1764: «Se a Parigi ci fossero 25 camere di giudici, ci sarebbero 25 giurisprudenze diverse». I 25 giudici di Eluana, nonché i 25 politici che baruffano coi primi, stanno lì a dargli ragione. Nel frattempo alla giustizia non ci crede più nessuno, tanto si sa che una sentenza non è mai una cosa seria. Ma almeno c’è rimasto lui, Beppino Englaro, a prenderla sul serio.
l’Unità 11.9.08
Eluana, un nuovo stop dai giudici di Milano
Il sostituto procuratore Pezza chiede di sospendere il decreto. Entusiasti il Pdl e la Binetti

Nuovo stop alla vicenda di Eluana Englaro: il sostituto procuratore generale di Milano Maria Antonietta Pezza ha infatti firmato la richiesta di sospensiva della esecutività del decreto con cui i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello, lo scorso 9 luglio, hanno autorizzato il padre di Eluana, la donna di Lecco in coma da oltre 16 anni, a interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali che la tengono in vita. Un nuovo capitolo in questa complessa vicenda che si sta giocando, sempre di più, a colpi di sentenze.
E sempre ieri i legali della famiglia Englaro hanno notificato il controricorso in Cassazione con il quale si sostiene infondato e inammissibile il ricorso presentato dal Pg Pezza alla Suprema Corte contro lo stesso provvedimento dei giudici della Corte d’Appello civile. La richiesta di sospensiva, nei prossimi giorni, sarà esaminata dal presidente di turno della sezione feriale Roberto Pallini, che molto probabilmente rimetterà la decisione alla prima sezione civile della Corte d’Appello, però a un collegio diverso da quello che il 9 luglio ha dato l’autorizzazione a interrompere il trattamento vitale a Eluana. Una decisione, quella del Pg di Milano, alla quale plaude il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella: «Si conferma quello che ho sempre sottolineato in questi mesi, ovvero che quel provvedimento non poteva essere eseguito in assenza di una sentenza definitiva». La sospensiva, dice Roccella, «evita così di trasformare il caso Englaro in un gravissimo precedente giudiziario: Eluana rischiava di essere staccata dal sondino che la nutre e la idrata, e quindi di morire, prima di aver ottenuto una sentenza certa e definitiva».
Plaudono alla mossa del Pg anche gli esponenti del Pdl: «Quel provvedimento non poteva essere eseguito per nessun motivo, in quanto nessun giudice può ordinare un’eutanasia per sentenza», incalza Enrico La Loggia, mentre per Isabella Bertolini con la sospensiva si evita la «condanna a morte» di Eluana, e per Gaetano Quagliariello la richiesta di sospensiva è «uno stimolo ulteriore al Parlamento a legiferare sulla materia» del fine vita «senza perdere altro tempo prezioso». Un giudizio positivo sulla decisione del Pg arriva anche dalle parlamentari del Pd Paola Binetti ed Emanuela Baio, le quali auspicano che questo sia il punto di partenza per un dibattito sul Testamento biologico. Camera e Senato, sottolineano, «si sono impegnate a fare una legge in tempi relativamente brevi, anche se riuscirci entro il 2008 appare assai improbabile. Ma deve trattarsi di una legge - precisano - che riguardi le cure di fine vita, che tenendo conto di questa sospensiva rappresenti un’ulteriore opportunità per riaffermare come nutrizione ed idratazione non possono essere sospese».
Dal presidente del gruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro, invece, un duro richiamo: «Credo che serva maggiore responsabilità da parte di tutti e mi stupisce che da destra esultino anche oggi per quello che sta avvenendo a Milano. Io credo che invece di esultare sia necessario lavorare al più presto perchè in Parlamento si approvi una legge sul testamento biologico».

martedì 9 settembre 2008

Ignazio Marino, senatore e chirurgo, è promotore di un disegno di legge sul testamento biologico

La Repubblica 8.9.08
Ignazio Marino, senatore e chirurgo, è promotore di un disegno di legge sul testamento biologico
"Da medico non farei mai quell´iniezione ma in Italia si trascura il dolore dei malati"
di Elena Dusi

L´Italia scossa delle polemiche si aggrappa all´unico scoglio che sembra restare saldo. L´articolo 32 della Costituzione prevede che nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario. «Ma ora nel nostro paese rischiamo di vedere intaccato anche questo principio» lamenta Ignazio Marino, chirurgo specializzato in trapianti e senatore del Partito democratico.
Lei ha presentato un disegno di legge sul testamento biologico che ha lo scopo di evitare l´accanimento terapeutico. Perché ora teme un passo indietro?
«Esistono altri disegni di legge concorrenti che limitano la libertà di un cittadino di disporre di se stesso. Il mio obiettivo è che una persona lucida e cosciente possa dire: "Questo trattamento non lo voglio". Altre proposte in parlamento vogliono invece imporre la nutrizione artificiale nel caso in cui un malato non sia più in grado di mangiare. Questo stravolge la nostra norma, che da tre legislature cerca di farsi strada in parlamento. È un passo indietro perché si unisce a un uso scarso degli antidolorifici e a una grave mancanza di assistenza dei malati terminali nel sud Italia. Dei 120 hospice presenti nel nostro paese, 103 sono al nord. Questo vuol dire disattenzione di fronte alla sofferenza dei malati. E invece il discorso del ministro della salute spagnolo ruota tutto intorno alla riduzione del dolore».
In Italia si arriverà mai a parlare di suicidio assistito?
«Spero di no. Sospendere una terapia quando non c´è più nessuna speranza è un conto. Praticare un´iniezione letale, anche se su richiesta di un malato, è qualcosa che va oltre il rapporto che si instaura fra un paziente e il suo medico. Da chirurgo specializzato in trapianti di fegato mi sono trovato spesso di fronte alla morte e alle scelte dolorose, ma non sarei mai in grado di praticare un suicidio assistito».
Quindi è contrario alla proposta del ministro Soria?
«Sì, ma due aspetti mi piacciono molto: l´idea di discutere di argomenti così complessi con calma e all´interno di una commissione (purché tutti siano disposti ad ascoltare gli altri). E l´attenzione che si presta alla lotta contro la sofferenza».

Eluana, l’ultimo affronto

l’Unità 9.9.08
Eluana, l’ultimo affronto
di Giancarlo Ferrero

La lettera del direttore generale della sanità milanese, dottor Lacchini, al padre di Eluana Englaro va al di là d una mera comunicazione tra un utente del servizio sanitario ed il responsabile di un pubblico istituto: assume il valore e l’efficacia di un atto amministrativo. Come tale deve essere considerato per rilevarne l’eventuale illegittimità e la conseguente sua impugnabilità innanzi al giudice competente.
Certamente di fronte ad una precisa richiesta del padre di Eluana, il direttore aveva il dovere-potere di rispondere. Rientrava, altresì, nei suoi poteri respingere la richiesta motivandola sulla circostanza obbiettiva che le strutture sanitarie regionali non erano attrezzate né deputate a dare attuazione ad un intervento sanitario di quel tipo. Ciò che non poteva giuridicamente fare era definire la natura dell’assistenza sanitaria e soprattutto vietare ai medici di intervenire nel senso richiesto, pena le conseguenze sanzionatorie per la corrispondente violazione dei loro obblighi professionali e di servizio.
In questo modo il direttore generale lombardo si pone in netto contrasto con una decisione di un organo giurisdizionale della cui competenza nessuno dubita. I giudici milanesi, infatti, hanno esplicitamente riconosciuto (anche se con pronuncia impugnata dalla Procura Generale) il diritto del padre di Eluana di far sospendere il trattamento terapeutico che la mantiene artificialmente in vita. È consequenziale che se un comportamento è ritenuto manifestazione di un diritto, il comportamento relativo è assolutamente lecito. I sanitari che in piena loro coscienza vi danno attuazione non commettono alcuna violazione di legge e, quindi, non violano alcuna obbligazione professionale e non possono certamente essere sanzionati.
Un direttore di strutture sanitarie, sia pure al vertice, non può porsi in contrasto con una decisione legittimamente presa da un organo giurisdizionale, con efficacia su tutto il territorio nazionale. Se questo contrasto è contenuto in un atto ufficiale con effetti indeterminati verso un gruppo di sanitari, si realizza un’ipotesi, se non di reato (ma il fatto meriterebbe l’attenzione della locale Procura della Repubblica) certamente di illegittimità amministrativa. Con il dolore che gli pesa sulle spalle non si può pretendere che sia il padre ad impugnare il ricorso al Tar e chieder in via d’urgenza e cautelare l’immediata sospensione dell’atto. Troverà facilmente in altre strutture sanitarie quell’accogliente rispetto della sua pena e del suo diritto che gli è stato così rigorosamente negato, dimenticando che (errore interpretativo a parte) è «la legge ad essere fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge».

venerdì 5 settembre 2008

Quando si muore? Non lo sanno né la legge né la fede

Quando si muore? Non lo sanno né la legge né la fede

Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 2

di Silvia Bencivelli

La morte del cervello non è la morte dell'individuo. Quindi fermiamo i prelievi di organi nei cadaveri a cuor battente, anche se nel nostro paese salvano 3mila persone ogni anno, perché quelli cadaveri, ancora non sono. Questo è, in sintesi, l'appello lanciato dalla storica Lucetta Scaraffia, dalla prima pagina dell' Osservatore Romano , e ripreso in un tam tam scomposto da giornali e telegiornali di tutto il paese. Un appello che ha suscitato immediatamente numerose reazioni, anche in Vaticano. E soprattutto ha provocato reazioni accese nei medici, che adesso hanno paura che da domani il sistema dei trapianti vada al tappeto, steso dal cosiddetto "effetto Celentano": cioè un calo drastico delle donazioni di organi per la diffusione di un insensato panico da chirurgo pazzo, capace di espiantare cuori e fegati da corpi ancora vivi, causato dall'appello pubblico di un personaggio autorevole ma non competente in materia, come successe con l'omonimo cantante nel 2001 durante un varietà in diretta alla tivù.
Ma la questione sollevata dalla Scaraffia è sottile, perché la morte cerebrale come criterio di morte clinica (quando il medico legge l'orologio e sentenzia la cessazione della vita del paziente) è stato deciso quarant'anni fa e oggi ricomincia effettivamente a essere discusso nel mondo scientifico. Quello che invece preoccupa i medici è il passaggio successivo proposto dalla Scaraffia e da Celentano, cioè il passaggio alla donazione di organi. Perché per quanto si discuta, oggi come secoli fa, di quando finisca la vita e di quando cominci la morte, ciò non toglie che tutti siano concordi nel dire che al momento della cessazione delle funzioni cerebrali, oggi, non ci sono più possibilità di interrompere il percorso che porta un individuo vivo a diventare un corpo morto. E che sia quello il momento giusto per prelevarne gli organi.
Il fatto è che la morte non è un istante, ma un processo, che può essere più o meno lungo anche a seconda del medico che si incontra, e che oggi può rivelarsi lunghissimo grazie, o per colpa, della moderna terapia intensiva. Per cui i famosi 21 grammi di anima, che se ne vanno istantaneamente quando la vita abbandona il corpo, per la scienza non esistono: esistono piuttosto cellule, tessuti e organi, che piano piano smettono di funzionare, uno alla volta, mentre l'organismo cessa di funzionare come un tutto dopo che il cuore ha battuto il suo ultimo battito.
Ma un momento convenzionale ci vuole, o almeno così la pensavano gli esperti di Harvard, che si trovarono a discutere della questione all'indomani del primo trapianto di cuore. Un istante convenzionale, dopo il quale è possibile trattare il corpo del malato come un cadavere, cessare ogni terapia o ogni supporto, e anche, ovviamente previo consenso dei familiari o del malato stesso, prelevare gli organi per la donazione. Così, il 5 agosto del 1968 fu pubblicato sul giornale dell' American Medical Association il rapporto che definiva la morte come morte cerebrale. E su questo concetto si trovò anche l'adesione di diverse confessioni, tra cui quella cattolica, che anzi incoraggia la donazione di organi. Era stata un'operazione lungimirante, in un certo senso, perché i trapianti diventarono una chirurgia di routine solo all'inizio degli anni ottanta, con l'introduzione dei farmaci immunosoppressori che permettono al malato ricevente di non avere delle reazioni di rigetto e di condurre una vita praticamente normale.
A quella definizione si sono adeguate le leggi di molti paesi, compreso il nostro. E allora dov'è la discussione scientifica? È sul poter ancora oggi, nel 2008, definire la cessazione delle funzioni cerebrali assenza di vita, come se fosse possibile affermare con certezza che non è vita quel poco di funzionalità nervosa od ormonale che i corpi in morte cerebrale a volte manifestano. C'è chi preferisce dire che la morte cerebrale è una prognosi, pessima, irreversibile, certa: un momento prima della morte vera, quella cardiaca. Ma ancora un momento.
È questo, per esempio, il succo del dibattito delle settimane scorse sulla rivista medica New England Journal of Medicine , in cui, tra le altre cose, si propone di rivedere la cosiddetta dead donor rule , cioè la regola per cui si devono prelevare organi solo a cadaveri. Si dice, cioè, che si può pensare di prelevare organi a corpi che stanno certamente morendo (cioè che sono in morte cerebrale secondo le definizioni correnti) anche senza l'ipocrisia di doverli definire già morti per legge.
Ma questa non è l'unica posizione nel mondo scientifico. Anzi, una grossa fetta della medicina attuale vive benissimo con le cose così come sono, con il cervello che per legge è sede della vita. Nel 1968 la medicina aveva fatto passi da gigante rispetto ai decenni precedenti, e si era visto che era possibile riavviare i cuori ma non i cervelli, e tenere in vita corpi ventilati artificialmente e con la circolazione ancora in funzione, ma senza più nessuna coscienza di sé e del mondo. Poi c'erano stati i primi trapianti e soprattutto il trapianto di cuore. Allora, se era possibile spostare un cuore da un corpo all'altro, forse significava che era il cervello la sede della vita, si pensò. E questo si propose al mondo.
Questa la scienza. Ma le leggi sono cose diverse, tanto che oggi, per assurdo, si può essere vivi in America, ma morti in Italia. E le morali anche: si è spesso vivi per un cattolico, ma morti per un laico. Però sul fatto che gli organi di persone irrimediabilmente decedute possano essere utilizzati per ridare la vita ad altri, su questo la Chiesa è sempre stata d'accordo. E allora che cos'è successo adesso? La sensazione degli addetti ai lavori è che la Chiesa stia vivendo un momento di grave difficoltà con il caso di Eluana Englaro: visto che la soluzione definitiva sembra vicina adesso i cattolici annaspano, cercano di confondere le acque, oppure semplicemente sono confusi. E nel dubbio, ha tuonato Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica, hanno deciso che deve morire Sansone con tutti i filistei. Anzi no, hanno deciso che devono rimanere vivi, se non per la loro coscienza, almeno per legge.

Non serve una nuova legge

Non serve una nuova legge

Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 1

di Maria Luisa Boccia

Crudele paradosso quello prodotto dalla sentenza del Tribunale di Milano che autorizza a togliere il sondino ad Eluana Englaro. Finalmente vengono applicate le norme che vi sono per riconoscere qual è la dignità della persona da rispettare. Finalmente si afferma a chiare lettere che si può e si deve accertare qual è il modo di intenderla e di viverla della singola donna e del singolo uomo. Punto. Per il diritto non occorre altro. E' già possibile rispettare la dignità di Eluana Englaro, ponendo termine allo stato di coma vegetativo. Non c'è bisogno di una legge. Di norme specifiche. La sentenza ha valore operativo. Nonostante il ricorso della Procura. Nonostante gli ostacoli frapposti dalle strutture sanitarie e ora dalla Regione Lombardia. E' intollerabile che alla famiglia di Eluana venga impedito di applicare la sentenza.
Ed invece. Quella sentenza ha ri-aperto la crudele disputa. Suscitando dolore "oltre il dolore", come ha scritto Beppino Englaro su L'unità il 30 agosto. Il corpo di Eluana è, di nuovo, preda contesa in nome dell' etica.
Si nega legittimità alla sentenza, perché contrasta con la propria concezione della dignità della persona e della vita. E si invoca il vuoto di legge, da parte di quelle forze politiche, di destra, di centro e di centrosinistra che nella scorsa legislatura hanno impedito l'approvazione di una legge. Questo è il paradosso. Chi non voleva la legge, per non dover riconoscere legittimità a scelte etiche diverse dalle proprie, oggi la invoca come rimedio alle decisioni, legittime, della magistratura.
Si è perfino sollevato un conflitto istituzionale di competenze tra Parlamento e Corte di Cassazione. Come se quest'ultima avesse scritto una legge, invece di pronunciarsi sulle norme esistenti. Che è precisamente il suo compito. Il Parlamento ha realizzato una mostruosità giuridica e politica senza precedenti. Senza però suscitare reazioni adeguate. Anzi. Il Pd ha dato prova di "unità", evitando di opporsi esplicitamente con il voto. Sacrificando ad una discutibile esigenza politica, tutta interna al partito, quella di opporsi con forza ad un atto grave ed arrogante di ingerenza istituzionale.
Grave proprio per la sua evidente inammissibilità. Ma che ha mirato diretto alla fonte. Come ho già avuto modo di scrivere su Liberazione , non si comprende l'importanza della sentenza di Milano, se non la si riconnette a quella della Corte. E' quest'ultima infatti che ha ribadito, con l'autorità che le compete, l'esistenza nel nostro ordinamento giuridico di norme che riconoscono l'autodeterminazione rispetto alla vita. Anche nelle situazioni più delicate e controverse, come è quella del coma vegetativo. Non solo. Poiché le norme in questione sono quelle costituzionali e della Convenzione europea di Oviedo, non potrebbero essere modificate da una legge ordinaria.
E' questo il nocciolo sul quale si è riaperta la discussione sull'opportunità o meno di una legge sul testamento biologico (o "dichiarazioni anticipate"). Da parte di chi vuole chiudere il varco aperto dalla sentenza della Corte si tratta di valutare se il modo più efficace è approvare, in tempi brevi, una legge che di fatto impedisca l'esercizio dell'autodeterminazione. Limitando nettamente i casi nei quali si può esprimere una scelta. Cominciando, ad esempio, con l'escludere tutte le terapie che non vengono considerate tali, come la nutrizione e la ventilazione, ma "semplice" mantenimento in vita. Dilatando, viceversa, la discrezionalità del medico nella valutazione dei trattamenti, se e come iniziarli o interromperli, e dunque se e come vada di fatto attuata la volontà espressa dal/la paziente. Complicando le regole di validità dell'atto, in modo da scoraggiarne l'adozione. E magari obbligando a ripeterlo, perché la volontà deve essere "attuale". Insomma svuotando di senso la dichiarazione anticipata, introducendo ostacoli al suo effettivo esercizio. Una legge scritta su questi presupposti ha oggi una maggioranza ampia in Parlamento, comprendendo di una parte dell'opposizione. Potrebbe essere approvata anche in tempi brevi.
Ma vi è il dubbio che, definendo lo strumento giuridico, comunque risulterebbe una legittimazione del principio dell'autodeterminazione e un'estensione del suo esercizio. Una legge potrebbe insomma fornire ulteriori supporti ad altre sentenze favorevoli. Nessuna legge infatti potrebbe eliminare ogni margine di contenzioso giuridico e relativa interpretazione del giudice. A questa preoccupazione ha dato voce il Comitato di Bioetica dell'Università cattolica di Milano. Meglio nessuna legge, per non correre il rischio che si possa estendere il principio su cui poggia la sentenza di Milano: il giudice può, anzi deve, ricostruire l'effettiva volontà del paziente. Vi è insomma una parte del mondo cattolico che non si fida dei paletti che il Parlamento può mettere.
Non so quale delle due posizioni prevarrà a breve. Quello che so è che chi vuole affermare il principio e l'esercizio dell'autodeterminazione non deve scegliere come via maestra quella della legge. Perché non vi sono i numeri in Parlamento, certo. Ma non solo, o soprattutto, per questo. Personalmente non rinuncerei al risultato più importante della lunga, tenace e intelligente battaglia della famiglia Englaro. Quella di aver ottenuto un'autorizzazione a togliere il sondino, in nome e in ragione del diritto vigente. Non c'è vuoto legislativo, questo ci dicono le due sentenze. Non si può negare ai pazienti in stato di come vegetativo, quello che ogni cittadino/a ha riconosciuto dalla Costituzione. Ovvero poter decidere se vuole essere sottoposto a un trattamento o no, anche a rischio della propria vita.
Non è questione di "malati terminali" o no, come afferma il comitato dell'Università Cattolica. E' paradossale che una persona possa rifiutare un'amputazione, preferendo morire, come è accaduto, ma non possa dichiarare, in caso di coma, di non voler vegetare attaccata a un sondino. Nessuno/a può decidere per lei se quella è vita, se la sua dignità di persona è rispettata. Con buona pace dell'on. Paola Binetti e del prof. Adriano Pessina. Non è affatto democratico, come afferma quest'ultimo, ma massimamente dispotico sancire la «non disponibilità della vita per volontà propria». Al solo fine di disporne, in sua vece. Di fare del suo corpo l' emblema sacrificale di una concezione etica del tutto estranea, e dunque ostile, alla persona che incarna.
Per rendere operativo il principio dell'autodeterminazione penso che sarebbe più efficace di una legge, lanciare una campagna di opinione pubblica, invitando a sottoscrivere una dichiarazione anticipata. In modo da dare concreta espressione a quello che risulta essere un orientamento diffuso nella società italiana, a favore della scelta soggettiva. Se avviata tempestivamente questa campagna avrebbe anche un'influenza positiva su un eventuale dibattito parlamentare sulla legge. Per il quale si potrebbe promuovere una legge di iniziativa popolare, riprendendo le proposte di legge della scorsa legislatura. Ho dovuto adottare il verbo condizionale. Vi è infatti una domanda preliminare. C'è la volontà politica di dare corpo a queste scelte, o ad altre analoghe? E' questa una delle priorità sulle quali proviamo a mettere alla prova la sinistra da fare? A costruire la nostra capacità di radicamento, di creazione di senso, di invenzione di pratiche, di alleanze culturali e politiche?

Il Celeste al capezzale di Eluana

Il Celeste al capezzale di Eluana

Il Riformista del 4 settembre 2008, pag. 1

di Alessandro Da Rold

«Il personale sanitario non può sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale del paziente: verrebbe meno ai suoi obblighi professionali e di servizio». Firmato Carlo Zucchina, direttore generale della Sanità di Regione Lombardia, in risposta all’istanza presentata dai legali del padre di Eluana Englaro, la ragazza in stato vegetativo permanente da 16 anni per la quale i giudici della Corte d’appello di Milano hanno autorizzato la sospensione del trattamento di idratazione e alimentazione forzata. «Niente di diverso da quanto ci aspettavamo» ha commentato a caldo Franca Alessio, curatrice della giovane. «Un atto gravemente illecito e lesivo del diritto fondamentale a ricevere dall’ente pubblico trattamenti sanitari conformi a quanto stabilito in sede giudiziaria»: ha affermato invece uno dei legali della famiglia Englaro, l’avvocato Vittorio Angiolini. Nella sostanza, una risposta negativa neppure tanto inaspettata, perché, a parte il vuoto normativo in materia, dietro alle parole di Lucchina ci sono quasi quindici anni di governo regionale sanitario firmato questa volta da Roberto Formigoni: prese di posizione che hanno trovato più di una volta il totale benestare del Vaticano. «Mi risulta - ha commentato Formigoni - che il procedimento giurisdizionale abbia ancora delle pronunce possibili e, comunque, il provvedimento della Corte di Appello di Milano non determina chi e dove deve dare esecuzione allo stesso».



Il governatore di Comunione e Liberazione, movimento cattolico ispirato alla parola di Don Luigi Giussani, già appartenente ai Memores Domini, associazione i cui membri vivono i consigli evangelici di povertà, castità perfetta e obbedienza secondo il carisma del movimento ecclesiale di Cl, porta avanti da anni la battaglia politica a difesa e promozione della vita, «in ogni sua forma e condizione».

A testimoniarlo non sono solo i direttori generali nominati nei più importanti ospedali lombardi, spesso appartenenti anch’essi a CI, ma i numerosi provvedimenti legislativi in materia, promossi in questi anni dal Pirellone. Non bisogna andare troppo in là nel tempo, per scoprire che agli inizi di agosto la regione Lombardia ha approvato due misure significative in aiuto alle famiglie che hanno in cura malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla): un assegno di 500 euro destinato a chi «quotidianamente dedica tempo ed energie per aiutare queste persone alla cura, igiene, alimentazione e mobilizzazione». A questo si aggiunge «la possibilità di ricovero temporaneo di sollievo fino a 90 giorni, a titolo completamente gratuito, nelle residenze sanitarie lombarde».



Ma le questioni più scottanti, quelle contro cui da tempo si scaglia l’associazione Enzo Tortora dei Radicali di Milano, sono altre, e riguardano da vicino proprio il concepimento della vita, toccando il tasto della legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza nel nostro paese. A gennaio, la giunta lombarda ha approvato alcune "linee innovative" di attuazione della 194, stanziando 64 milioni di euro per potenziare i consultori di sostegno alle donne che scelgono di abortire. Un aumento consistente rispetto agli scorsi anni, con il 75 per cento della spesa destinato "ad aumentare il numero delle persone che operano nei consultori pubblici", il 5 per cento "alla formazione degli operatori dei consultori sia pubblici che privati" e il restante 20 per cento per sostenere le tariffe erogate dalla regione. Ma su tutto, le "linee innovative sulla 194" riguardavano un’altra questione ben più importante, cioè "l’individuazione del termine ultimo di effettuazione delle interruzioni di gravidanza, (di cui all’articolo 6b della legge 194, cioè il cosiddetto aborto terapeutico)" che non può essere effettuato "oltre la 22esima settimana più tre giorni ad eccezione dei casi in cui non sussista la possibilità di vita autonoma del feto". In Lombardia, dunque, è stato abbassato di 11 giorni il limite di 24 settimane generalmente accettato dai medici in Italia. Infine, a giugno dello scorso anno, scatenò una polemica nazionale il nuovo regolamento varato dal Pirellone sulla sepoltura dei feti. Modifiche riguardanti le attività funebri e cimiteriali, attraverso cui, "i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione o estrazione del feto, domanda di seppellimento all’unità sanitaria locale". Impostazioni di legge che secondo la magistratura, dopo la denuncia dei Radicali, «non violano alcun precetto penale, ma spiegò all’epoca il pubblico ministero Marco Ghezzi - la possibilità di seppellire i feti è oggettivamente un ostacolo, di tipo psicologico, all’interruzione volontaria della gravidanza». Per la curatrice Alessio non c’è altro da fare «che prendere contatti con altre regioni».

Formigoni, accanimento terapeutico: per Eluana alimentazione forzata

Formigoni, accanimento terapeutico: per Eluana alimentazione forzata

Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 1

di Laura Eduati

Eluana Englaro non deve morire negli ospedali lombardi: il personale sanitario non può sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiale alla ragazza di Lecco in stato vegetativo da 16 anni, poiché verrebbe meno ai suoi obblighi personali e di servizio. Insomma, medici e infermieri che aiuterebbero il corpo di Eluana a morire potrebbero incorrere in seri provvedimenti disciplinari.
Così il direttore sanitario della Regione Lombardia, Carlo Lucchina, risponde ad una lettera inviata da Beppino Englaro, padre e tutore legale della giovane, che lo scorso luglio aveva ottenuto dai giudici milanesi il via libera per staccare il sondino nasogastrico della figlia. Per Lucchina, in perfetta linea con Formigoni e Vaticano, l'idratazione e l'alimentazione non possono essere considerate accanimento terapeutico. La Regione Lombardia si appiglia alla sentenza, che non obbliga alcuna struttura ospedaliera ad accogliere la ragazza.
Per Beppino Englaro, ormai abituato ai colpi di scena nella lunga battaglia giudiziaria intrapresa alla fine degli anni '90, si tratta soltanto di una ennesima questione legale: «C'è un decreto e deve essere eseguito». C'è dell'altro: l'obiezione di coscienza di una intera Regione, certamente non sanzionabile dall'autorità giudiziaria. Si schiera con Formigoni l'associazione degli anestesisti e rianimatori (Aaroi) con una motivazione paradossale: «nessun medico» può sospendere l'idratazione e l'alimentazione artificiali in quanto Eluana non presenta «morte cerebrale». Ovvero: non possiamo far morire Eluana perché Eluana non è clinicamente morta. Di parere nettamente contrario la Cgil medici: «Le sentenze vanno apllicate nel rispetto della legge».
Dalla vicenda Englaro al dibattito sul testamento biologico il passo è breve, e non sorprende il fatto che sia il centrodestra a sollecitare una legge in merito visto il recente sdoganamento della questione ad opera del vicepresidente del Senato Maurizio Lupi (ciellino) e del monsignor Fisichella.
Il Pdl vorrebbe coinvolgere il Pd nel dibattito parlamentare, e finora le adesioni più entusiastiche sono venute dai teodem come Paola Binetti che nei primi giorni di agosto ha depositato una proposta di legge sulle volontà anticipate - un altro dei modi per indicare il testamento biologico - che però esclude alimentazione e idratazione artificiali dall'accanimento terapeutico e dunque non risolverebbe la questione posta dai malati in stato vegetativo permanente come Eluana.
Linea opposta a quella sostenuta dalla proposta di legge dei radicali: «Alimentazione e idratazione forzate vanno sospese se questa è la volontà dichiarata dal paziente prima di cadere nell'incoscienza» spiega Maria Antonietta Coscioni: «La volontà del malato deve venire prima del medico». A metà strada si trova il pensiero del chirurgo Ignazio Marino, esponente del Pd, per il quale ogni persona dovrebbe avere il diritto di elencare quali trattamenti ricevere in caso di grave malattia, e questo in accordo con l'articolo 32 della Costituzione che stabilisce il diritto a rifiutare ogni trattamento sanitario.
Il paradosso è che, nel completo vuoto legislativo, un paziente in possesso delle proprie facoltà mentali può decidere di non iniziare un trattamento terapeutico, ma non può decidere di interromperlo se questo implica morire. Nello stato di incoscienza, invece, viene interrotto soltanto l'accanimento terapeutico nella fase terminale della malattia.
Eluana non è nella fase terminale. E il suo caso non tocca per nulla il dibattito sulla morte cerebrale, lanciato nei giorni scorsi dall' Osservatore Romano attraverso un articolo di Lucetta Scaraffia secondo la quale l'encefalogramma piatto non determina la fine della vita umana se il cuore non ha ancora smesso di battere. Dopo che lo stesso Vaticano ha precisato di non approvare l'articolo di Scaraffia, prendono le distanze dall' Osservatore Romano anche Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita e parlamentare Udc, e la stessa università Cattolica di Milano attraverso il centro di bioetica dell'ateneo: «Rischia di confondere situazioni tra loro assolutamente differenti, come lo stato vegetativo e la morte cerebrale». Nello stato vegetativo le cellule cerebrali continuano a vivere garantendo, ad esempio, la respirazione e il funzionamento dell'apparato gastro-intestinale, mentre nella morte cerebrale queste funzioni si spengono.
Nel pomeriggio arriva una precisazione del cardinale José Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio pastorale sulla salute, secondo il quale la Chiesa, è vero, riconosce la morte cerebrale ma attende dalla comunità scientifica «segni sempre più sicuri». Destando così la reazione della Società italiana per la sicurezza e la qualità dei trapianti, preoccupata che l'opinione pubblica venga influenzata negativamente sul nobile gesto di donare organi: «Non esistono a oggi evidenze scientifiche per modificare i criteri di diagnosi della morte encefalica». Per Nichi Vendola quella del giornale del Vaticano è «un'invadenza», mentre Paolo Ferrero vede nella decisione della Regione Lombardia un «accanimento terapeutico».

mercoledì 3 settembre 2008

Creare panico

l'Unità 3.8.08
Creare panico
di Maurizio Mori

La Consulta di Bioetica condivide che si debba ridiscutere la definizione di morte, come molti altri presupposti della tradizionale etica medica ippocratica. Ad esempio, si deve riconoscere che l'alimentazione e idratazione artificiali sono terapie mediche e possono essere sospese nei casi di SVP come Eluana Englaro. Forse si deve anche riconoscere che l'esatto confine del concetto di morte dipende da decisioni etiche più che da osservazioni fattuali - come osservato dal neurologo Carlo Defanti nel volume Soglie. Medicina e fine della vita (Bollati Boringhieri, 2007).
Riteniamo che la bioetica comporti un ampio dibattito per rivedere proprio il tradizionale paradigma ippocratico, che non funziona più e va sostituito. Pertanto auspichiamo una più approfondita riflessione su tutte le questioni, avendo di mira l'ampliamento delle libertà individuali e la tutela delle persone.
Ma riteniamo altresì che l'articolo pubblicato da l'Osservatore Romano riveli la situazione di sbando della chiesa cattolica romana: non sapendo più come gestire le nuove tecniche e trovandosi in serissime difficoltà sul caso Englaro, preferisce gettare discredito su tutte le nuove tecnologie, venendo anche a rimettere in discussione i trapianti d'organo. Piuttosto che cedere su un punto, meglio distruggere tutto: muoia Sansone con tutti i filistei! Una tecnica antica per creare panico e favorire svolte conservatrici. L'obiettivo ultimo è chiaro: bloccare il caso Englaro e fissare delle barriere alla possibile legge sul testamento biologico, che sarà tanto restrittiva da essere inutilizzabile. In breve qualcosa di peggio della legge 40/2004.
La Consulta di Bioetica ritiene che ormai la chiesa cattolica stessa si ponga contro il progresso civile: è positivo che emerga la spirito conservatore promosso dalle gerarchie ecclesiastiche, ed invita a difendere i nuovi valori di libertà che vanno affermandosi nella società.
Presidente della Consulta di Bioetica Onlus

lunedì 1 settembre 2008

Englaro: Regione diffidata subito un posto per il ricovero

Englaro: Regione diffidata subito un posto per il ricovero

La Repubblica del 1 settembre 2008, pag. 15

di Piero Colaprico

«Ero un randagio che abbaiava alla luna, sono passato ad araldo di un diritto sentito da molti», ha detto papà Beppino Englaro quando la Cassazione prima (16 ottobre 2007) e la Corte d’appello di Milano poi (9 luglio 2008) gli hanno dato ragione. Sono però trascorsi due mesi e non è successo nulla di nulla. In qualità di tutore della figlia Eluana, in stato vegetativo permanente da oltre sedici anni, Englaro aspetta. Ma a che punto è la vicenda? Lo chiediamo a Vittorio Angiolini, ordinario di diritto costituzionale all’università Statale di Milano e avvocato della famiglia Englaro. «Per noi - risponde - la decisione è esecutiva, cioè potremmo agire anche subito, e infatti abbiamo anche scritto una diffida alla Regione Lombardia».



Una diffida alla Regione? E perché?

«I fatti: abbiamo un cittadino, Englaro, che si rivolge ai giudici e finalmente ottiene la risposta, può quindi fare in modo che il percorso di morte naturale, interrotto dalla rianimazione, possa riprendere. O viceversa, che possa cessare una vita prolungata indefinitamente con accorgimenti tecnico scientifici. Ma dove può avvenire tutto questo? Englaro ha chiesto alla struttura convenzionata dove Eluana è ricoverata e all’ospedale pubblico di Lecco ed entrambi hanno risposto: "Da noi no". Si sono rifiutate».



Il caso, riconoscerà, è delicato sotto vari profili...

«Certamente sì, ma se un cittadino ha un diritto, l’istituzione deve metterlo in condizione di poterlo esercitare. Perciò abbiamo chiesto in Regione di dirci quale sarebbe una struttura idonea».



Risposte?

«Zero, perciò li abbiamo diffidati, dieci giorni fa. Tutto dev’essere chiaro, i nostri sono passi ufficiali. Se la Lombardia ci dirà no, chiederemo questa possibilità ad altre Regioni. Qualche contatto c’è, vedremo poi come regolarci sul piano legale».



Sospendere le cure, l’alimentazione e l’idratazione è una pratica applicata a decine di migliaia di malati terminali, anche in Italia, da tempo. Che cosa vi blocca? Il ricorso della Procura?

«In realtà, non c’è stata alcuna sospensiva. Però questo ricorso, anche se nessun magistrato può contestare le linee già espresse dalla Cassazione a dicembre, crea un’obiettiva nuova incertezza. Minima, ma la crea. Perciò ci resta solo una via. Presenteremo un controricorso entro settembre e attenderemo la Cassazione».



Il conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento?

«Mi faccia tacere. Per altro, il conflitto sarebbe tra Parlamento e Cassazione, non ha effetto sulle parti, cioè non blocca Englaro, non ha titolo. È lui che ha scelto di attendere, un atteggiamento dovuto anche alla sua precisa volontà, non vuole forzare la coscienza di nessuno, anche se mastica amarezza, gli hanno dato persino dell’ assassino. Aun padre che, con dolore, chiede il rispetto della volontà della figlia. Molti che polemizzano non hanno approfondito minimamente il tema, non esiste un diritto di morire, qua non c’è l’eutanasia, e cioè l’aiuto a morire. È 1’opposto, Eluana non ha alcuna relazione con il mondo circostante e avrebbe da tempo cessato di vivere, se altri non avessero tenuto a distanza la morte grazie ai cosiddetti progressi della medicina e alle cure eccezionali, ma inutili, che ha avuto».