Quando si muore? Non lo sanno né la legge né la fede
Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 2
di Silvia Bencivelli
La morte del cervello non è la morte dell'individuo. Quindi fermiamo i prelievi di organi nei cadaveri a cuor battente, anche se nel nostro paese salvano 3mila persone ogni anno, perché quelli cadaveri, ancora non sono. Questo è, in sintesi, l'appello lanciato dalla storica Lucetta Scaraffia, dalla prima pagina dell' Osservatore Romano , e ripreso in un tam tam scomposto da giornali e telegiornali di tutto il paese. Un appello che ha suscitato immediatamente numerose reazioni, anche in Vaticano. E soprattutto ha provocato reazioni accese nei medici, che adesso hanno paura che da domani il sistema dei trapianti vada al tappeto, steso dal cosiddetto "effetto Celentano": cioè un calo drastico delle donazioni di organi per la diffusione di un insensato panico da chirurgo pazzo, capace di espiantare cuori e fegati da corpi ancora vivi, causato dall'appello pubblico di un personaggio autorevole ma non competente in materia, come successe con l'omonimo cantante nel 2001 durante un varietà in diretta alla tivù.
Ma la questione sollevata dalla Scaraffia è sottile, perché la morte cerebrale come criterio di morte clinica (quando il medico legge l'orologio e sentenzia la cessazione della vita del paziente) è stato deciso quarant'anni fa e oggi ricomincia effettivamente a essere discusso nel mondo scientifico. Quello che invece preoccupa i medici è il passaggio successivo proposto dalla Scaraffia e da Celentano, cioè il passaggio alla donazione di organi. Perché per quanto si discuta, oggi come secoli fa, di quando finisca la vita e di quando cominci la morte, ciò non toglie che tutti siano concordi nel dire che al momento della cessazione delle funzioni cerebrali, oggi, non ci sono più possibilità di interrompere il percorso che porta un individuo vivo a diventare un corpo morto. E che sia quello il momento giusto per prelevarne gli organi.
Il fatto è che la morte non è un istante, ma un processo, che può essere più o meno lungo anche a seconda del medico che si incontra, e che oggi può rivelarsi lunghissimo grazie, o per colpa, della moderna terapia intensiva. Per cui i famosi 21 grammi di anima, che se ne vanno istantaneamente quando la vita abbandona il corpo, per la scienza non esistono: esistono piuttosto cellule, tessuti e organi, che piano piano smettono di funzionare, uno alla volta, mentre l'organismo cessa di funzionare come un tutto dopo che il cuore ha battuto il suo ultimo battito.
Ma un momento convenzionale ci vuole, o almeno così la pensavano gli esperti di Harvard, che si trovarono a discutere della questione all'indomani del primo trapianto di cuore. Un istante convenzionale, dopo il quale è possibile trattare il corpo del malato come un cadavere, cessare ogni terapia o ogni supporto, e anche, ovviamente previo consenso dei familiari o del malato stesso, prelevare gli organi per la donazione. Così, il 5 agosto del 1968 fu pubblicato sul giornale dell' American Medical Association il rapporto che definiva la morte come morte cerebrale. E su questo concetto si trovò anche l'adesione di diverse confessioni, tra cui quella cattolica, che anzi incoraggia la donazione di organi. Era stata un'operazione lungimirante, in un certo senso, perché i trapianti diventarono una chirurgia di routine solo all'inizio degli anni ottanta, con l'introduzione dei farmaci immunosoppressori che permettono al malato ricevente di non avere delle reazioni di rigetto e di condurre una vita praticamente normale.
A quella definizione si sono adeguate le leggi di molti paesi, compreso il nostro. E allora dov'è la discussione scientifica? È sul poter ancora oggi, nel 2008, definire la cessazione delle funzioni cerebrali assenza di vita, come se fosse possibile affermare con certezza che non è vita quel poco di funzionalità nervosa od ormonale che i corpi in morte cerebrale a volte manifestano. C'è chi preferisce dire che la morte cerebrale è una prognosi, pessima, irreversibile, certa: un momento prima della morte vera, quella cardiaca. Ma ancora un momento.
È questo, per esempio, il succo del dibattito delle settimane scorse sulla rivista medica New England Journal of Medicine , in cui, tra le altre cose, si propone di rivedere la cosiddetta dead donor rule , cioè la regola per cui si devono prelevare organi solo a cadaveri. Si dice, cioè, che si può pensare di prelevare organi a corpi che stanno certamente morendo (cioè che sono in morte cerebrale secondo le definizioni correnti) anche senza l'ipocrisia di doverli definire già morti per legge.
Ma questa non è l'unica posizione nel mondo scientifico. Anzi, una grossa fetta della medicina attuale vive benissimo con le cose così come sono, con il cervello che per legge è sede della vita. Nel 1968 la medicina aveva fatto passi da gigante rispetto ai decenni precedenti, e si era visto che era possibile riavviare i cuori ma non i cervelli, e tenere in vita corpi ventilati artificialmente e con la circolazione ancora in funzione, ma senza più nessuna coscienza di sé e del mondo. Poi c'erano stati i primi trapianti e soprattutto il trapianto di cuore. Allora, se era possibile spostare un cuore da un corpo all'altro, forse significava che era il cervello la sede della vita, si pensò. E questo si propose al mondo.
Questa la scienza. Ma le leggi sono cose diverse, tanto che oggi, per assurdo, si può essere vivi in America, ma morti in Italia. E le morali anche: si è spesso vivi per un cattolico, ma morti per un laico. Però sul fatto che gli organi di persone irrimediabilmente decedute possano essere utilizzati per ridare la vita ad altri, su questo la Chiesa è sempre stata d'accordo. E allora che cos'è successo adesso? La sensazione degli addetti ai lavori è che la Chiesa stia vivendo un momento di grave difficoltà con il caso di Eluana Englaro: visto che la soluzione definitiva sembra vicina adesso i cattolici annaspano, cercano di confondere le acque, oppure semplicemente sono confusi. E nel dubbio, ha tuonato Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica, hanno deciso che deve morire Sansone con tutti i filistei. Anzi no, hanno deciso che devono rimanere vivi, se non per la loro coscienza, almeno per legge.
Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 2
di Silvia Bencivelli
La morte del cervello non è la morte dell'individuo. Quindi fermiamo i prelievi di organi nei cadaveri a cuor battente, anche se nel nostro paese salvano 3mila persone ogni anno, perché quelli cadaveri, ancora non sono. Questo è, in sintesi, l'appello lanciato dalla storica Lucetta Scaraffia, dalla prima pagina dell' Osservatore Romano , e ripreso in un tam tam scomposto da giornali e telegiornali di tutto il paese. Un appello che ha suscitato immediatamente numerose reazioni, anche in Vaticano. E soprattutto ha provocato reazioni accese nei medici, che adesso hanno paura che da domani il sistema dei trapianti vada al tappeto, steso dal cosiddetto "effetto Celentano": cioè un calo drastico delle donazioni di organi per la diffusione di un insensato panico da chirurgo pazzo, capace di espiantare cuori e fegati da corpi ancora vivi, causato dall'appello pubblico di un personaggio autorevole ma non competente in materia, come successe con l'omonimo cantante nel 2001 durante un varietà in diretta alla tivù.
Ma la questione sollevata dalla Scaraffia è sottile, perché la morte cerebrale come criterio di morte clinica (quando il medico legge l'orologio e sentenzia la cessazione della vita del paziente) è stato deciso quarant'anni fa e oggi ricomincia effettivamente a essere discusso nel mondo scientifico. Quello che invece preoccupa i medici è il passaggio successivo proposto dalla Scaraffia e da Celentano, cioè il passaggio alla donazione di organi. Perché per quanto si discuta, oggi come secoli fa, di quando finisca la vita e di quando cominci la morte, ciò non toglie che tutti siano concordi nel dire che al momento della cessazione delle funzioni cerebrali, oggi, non ci sono più possibilità di interrompere il percorso che porta un individuo vivo a diventare un corpo morto. E che sia quello il momento giusto per prelevarne gli organi.
Il fatto è che la morte non è un istante, ma un processo, che può essere più o meno lungo anche a seconda del medico che si incontra, e che oggi può rivelarsi lunghissimo grazie, o per colpa, della moderna terapia intensiva. Per cui i famosi 21 grammi di anima, che se ne vanno istantaneamente quando la vita abbandona il corpo, per la scienza non esistono: esistono piuttosto cellule, tessuti e organi, che piano piano smettono di funzionare, uno alla volta, mentre l'organismo cessa di funzionare come un tutto dopo che il cuore ha battuto il suo ultimo battito.
Ma un momento convenzionale ci vuole, o almeno così la pensavano gli esperti di Harvard, che si trovarono a discutere della questione all'indomani del primo trapianto di cuore. Un istante convenzionale, dopo il quale è possibile trattare il corpo del malato come un cadavere, cessare ogni terapia o ogni supporto, e anche, ovviamente previo consenso dei familiari o del malato stesso, prelevare gli organi per la donazione. Così, il 5 agosto del 1968 fu pubblicato sul giornale dell' American Medical Association il rapporto che definiva la morte come morte cerebrale. E su questo concetto si trovò anche l'adesione di diverse confessioni, tra cui quella cattolica, che anzi incoraggia la donazione di organi. Era stata un'operazione lungimirante, in un certo senso, perché i trapianti diventarono una chirurgia di routine solo all'inizio degli anni ottanta, con l'introduzione dei farmaci immunosoppressori che permettono al malato ricevente di non avere delle reazioni di rigetto e di condurre una vita praticamente normale.
A quella definizione si sono adeguate le leggi di molti paesi, compreso il nostro. E allora dov'è la discussione scientifica? È sul poter ancora oggi, nel 2008, definire la cessazione delle funzioni cerebrali assenza di vita, come se fosse possibile affermare con certezza che non è vita quel poco di funzionalità nervosa od ormonale che i corpi in morte cerebrale a volte manifestano. C'è chi preferisce dire che la morte cerebrale è una prognosi, pessima, irreversibile, certa: un momento prima della morte vera, quella cardiaca. Ma ancora un momento.
È questo, per esempio, il succo del dibattito delle settimane scorse sulla rivista medica New England Journal of Medicine , in cui, tra le altre cose, si propone di rivedere la cosiddetta dead donor rule , cioè la regola per cui si devono prelevare organi solo a cadaveri. Si dice, cioè, che si può pensare di prelevare organi a corpi che stanno certamente morendo (cioè che sono in morte cerebrale secondo le definizioni correnti) anche senza l'ipocrisia di doverli definire già morti per legge.
Ma questa non è l'unica posizione nel mondo scientifico. Anzi, una grossa fetta della medicina attuale vive benissimo con le cose così come sono, con il cervello che per legge è sede della vita. Nel 1968 la medicina aveva fatto passi da gigante rispetto ai decenni precedenti, e si era visto che era possibile riavviare i cuori ma non i cervelli, e tenere in vita corpi ventilati artificialmente e con la circolazione ancora in funzione, ma senza più nessuna coscienza di sé e del mondo. Poi c'erano stati i primi trapianti e soprattutto il trapianto di cuore. Allora, se era possibile spostare un cuore da un corpo all'altro, forse significava che era il cervello la sede della vita, si pensò. E questo si propose al mondo.
Questa la scienza. Ma le leggi sono cose diverse, tanto che oggi, per assurdo, si può essere vivi in America, ma morti in Italia. E le morali anche: si è spesso vivi per un cattolico, ma morti per un laico. Però sul fatto che gli organi di persone irrimediabilmente decedute possano essere utilizzati per ridare la vita ad altri, su questo la Chiesa è sempre stata d'accordo. E allora che cos'è successo adesso? La sensazione degli addetti ai lavori è che la Chiesa stia vivendo un momento di grave difficoltà con il caso di Eluana Englaro: visto che la soluzione definitiva sembra vicina adesso i cattolici annaspano, cercano di confondere le acque, oppure semplicemente sono confusi. E nel dubbio, ha tuonato Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica, hanno deciso che deve morire Sansone con tutti i filistei. Anzi no, hanno deciso che devono rimanere vivi, se non per la loro coscienza, almeno per legge.
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