domenica 27 luglio 2008

Caso Eluana, in Parlamento una mozione che calpesta le regole

l’Unità 27.7.08
Caso Eluana, in Parlamento una mozione che calpesta le regole
di Vannino Chiti

La prossima settimana il Senato e forse anche la Camera affronteranno con una mozione il caso di Eluana.
Voglio esprimere prima di tutto la vicinanza al padre, il rispetto per una prova così drammatica come quella che ha dovuto e deve affrontare. Mi ha colpito la dignità di quest’uomo.
La vicenda di Eluana nel merito non si presta a decisioni facili. Ho letto le valutazioni di tanti costituzionalisti ed esperti: il loro giudizio non è univoco e le differenze non sono coincidenti con le scansioni determinate dalle convinzioni ideali o dalle appartenenze politiche.
Se si ritiene che Eluana sia artificialmente tenuta in vita, allora saremmo di fronte ad un caso di accanimento terapeutico, che può essere rifiutato: del resto proprio chi si appella alla fede religiosa più di altri fa riferimento a leggi di natura che non possono essere forzate ad arbitrio dell’uomo.
Se si assume invece come punto di vista il dovere di assicurare l’alimentazione - cibo e bevande - allora la collettività non può in alcun modo farle mancare ad Eluana.
Difficile, almeno per me, farsi un’idea della decisione giusta o semplicemente più giusta. Certo non si è di fronte ad un caso come quello di Welby. Di sicuro, come già avvenne negli Usa per Terry Schiavo, morire per fame e sete produce un’agonia lenta, lunga, inumana.
Non su questo comunque sono chiamate a pronunciarsi le Camere. La mozione sottoposta alla nostra attenzione segna, di fronte ad un immenso dramma umano, la pochezza, il cinismo, la lontananza di una politica che nasconde dietro strumentalizzazioni ideologiche o freddi tatticismi la sua incapacità di farsi carico realmente dei problemi della vita nella sua concretezza.
La mozione a mio giudizio è improponibile. Non si è mai visto una Camera impegnare se stessa anziché il Governo. Né si può sollevare conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale riguardo ad una sentenza non definitiva della Cassazione. Non si tratta soltanto di spreco di risorse pubbliche, in un momento nel quale è richiesto alla politica estremo rigore, sobrietà, senso di responsabilità. È ancor più il prestigio delle istituzioni che viene meno, quando le regole vengono calpestate, il rapporto tra i diversi poteri sacrificato a calcoli di politica contingente.
Le regole invece si rispettano fino a quando non siano state cambiate. In caso contrario la democrazia si svuota e impoverisce.
Il dovere che oggi le Camere dovrebbero avvertire come primario è quello di aprire un confronto serio e approfondito per una legge sul testamento ideologico: consentire ad ognuno di noi, se lo vuole, di lasciare scritte le sue volontà sulle cure accettabili in drammatiche situazioni che ci potranno riguardare; prevedere per i medici una funzione non puramente notarile perché le conoscenze si modificano e possono essersi evolute tra il momento in cui si esprime una volontà e le circostanze che ne chiamano in causa l’attuazione.
Un tale equilibrio è possibile ed è questo il compito del Parlamento e di una politica seria.
La missione dei medici è quella di aiutare la vita e di sconfiggere nei limiti del possibile il dolore. Anche la politica deve far proprio il valore della vita, rendendola inseparabile, sempre, dalla dignità della persona.
Sono i ritardi della politica, per prevalente responsabilità della destra, ad aver determinato per il nostro Paese la mancanza di una legge che altre nazioni avanzate hanno: una legge di civiltà, non di abbandono di persone, delle famiglie, degli stessi medici.
In questo impegno, senza pregiudiziali e senza certezze assolute di cui nessuno è detentore, è giusto mettere passione e competenza.
Personalmente non intendo partecipare al voto: in questo caso non per libertà di coscienza ma per manifestare dissenso nei confronti di una mozione che secondo me calpesta regole, procedure parlamentari e non sa calarsi nel dramma di una difficile vicenda umana.

sabato 26 luglio 2008

Un vuoto da riempire

Un vuoto da riempire
L'Opinione del 25 luglio 2008, pag. 3

di Afra Fanizzi

Un caso che continua a far discutere, che fa notizia. È la storia di Eluana Englaro, ridotta in stato vegetativo dal 1992 in seguito ad un incidente, della quale si è continuato a parlare proprio ieri durante un incontro presso la sede romana de l’Opinione dal titolo “Consenso informato, libertà terapeutica e testamento biologico: lo Stato di diritto è dalla parte di Eluana”. A portare avanti la discussione Benedetto della Vedova, deputato del Pdl e presidente dei Riformatori Liberali, primo di quattordici firmatari di una mozione presentata alla Camera, che sottolinea l’importanza di “rispettare la libertà terapeutica”, ma che vuole essere un primo inizio per avviare il dibattito in parlamento. Alla base della mozione, infatti, c’è il voler dare, da parte dei firmatari (oltre a Della Vedova anche Boniver, Antonione, Calderisi, Costa, Golfo, La Malfa, Moroni, Nirenstein, Nucara, Papa, Pepe M., Pizzolante e Scapagnini) una valutazione non negativa sulla sentenza emessa nei giorni scorsi dalla Corte di appello di Milano, ma anche un voler sottolineare un vuoto legislativo che bisognerà colmare quanto prima.

Questi gli elementi principali della conferenza alla quale hanno preso parte anche i deputati del Pdl Alfonso Papa, Margherita Boniver e Fiamma Nirenstein e che nella mozione, che sperano venga discussa già la prossima settimana, chiedono che il Governo si impegni da un lato a completare la procedura di ratifica della convenzione di Oviedo e a compiere gli atti necessari per dare ad essa una piena ed intera esecuzione, e dall’altro lato vogliono che il Governo stessi si impegni ad esercitare l’iniziativa legislativa sul tema del cosiddetto testamento biologico, tenendo in considerazione le indicazioni dei numerosi progetti di legge presentati nella scorsa e nella presenta legislatura, per definire le condizioni e i termini di esercizio della libertà terapeutica da parte dei pazienti che versano in stato di incoscienza. Il principio della libertà terapeutica, riconosciuto nel contestato pronunciamento della Corte di Appello di Milano, trova già oggi un ampio e univoco riscontro nell’ordinamento giuridico italiano (e nella disciplina deontologica della professione medica) e merita, per questa ragione, una più precisa regolamentazione normativa, che chiarisca ogni possibile incertezza circa i termini di esercizio di un diritto (quello a prestare o revocare il consenso ai trattamenti sanitari) che è, e deve continuare a rimanere, indisponibile.

Pessimista su come potrebbe andare avanti la vicenda di Eluana Englaro, la deputata Boniver, per la quale “il rischio concreto in questo momento è che ci sia un replay della vicenda Terry Schiavo, oltre al fatto che già pensare che Eluana debba morire di fame e di sete, visto che dovranno staccarle il sondino che l’alimenta, mi sembra davvero un scena dell’orrore”, ha commentato. Fiamma Nirenstein, invece, ha scelto di appoggiare la mozione di Della Vedova per due motivi, uno politico e l’altro più squisitamente personale. “Per prima cosa – ha detto la deputata e giornalista – sono contro l’eutanasia e contro quella di Stato, e proprio per questo capisco quanto sia importante portare in parlamento la discussione sul testamento biologico, e poi – ha aggiunto – politicamente queste quattordici firme pongono una questione di democrazia ed è bene che a farlo sia proprio il Pdl, appena nato e che già nel suo nome parla di libertà”.

Insomma la sensazione che si ha è che ormai i tempi siano maturi per portare a forti cambiamenti in una materia che deve necessariamente essere regolata, e nella quale, comunque “sarà importante valutare i casi specifici”, ha sottolineato Della Vedova. E che fosse necessario il passaggio al parlamento era stato sottolineato, qualche giorno prima della presentazione della mozione, anche da Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare con delega alla Salute, in alcune interviste, mettendo in luce quasi un punto di non ritorno per la questione medica-biologica ed etica. Lontani dal sistema common law, che permette al giudice di formulare verdetti sulla base del caso che gli viene presentato, ora il prossimo passo spetta al Governo. Questo eviterebbe gli eccessi che in questi giorni hanno preso piede nelle discussioni e che scivolano in estremi contrapposti: dalle bottiglie davanti alle chiese all’avvocato di Eluana che giudica illegale che la sua assistita continui a vivere.

In principio era Coscioni, adesso tocca a tutti gli altri

In principio era Coscioni, adesso tocca a tutti gli altri

L'Opinione del 25 luglio 2008, pag. 3

di Alessandro Litta Modignani

Quando Luca Coscioni si presentò per la prima volta via internet ai Radicali, nella primavera del 2001, Marco Pannella intuì subito e appieno la portata autentica, rivoluzionaria, del suo messaggio. Si era alla vigilia delle elezioni e Coscioni divenne una bandiera, con risultati elettorali insignificanti. Infatti non era quello il senso della sua proposta, come solo adesso si inizia a comprendere.
Occorrono investimenti, diceva, nella ricerca sulle cellule staminali embrionali, individuate per la prima volta qualche anno prima dallo scienziato australiano Thompson. Forse così molte malattie, fra cui la mia, potranno essere sconfitte. Ma la Chiesa si oppose, in nome della difesa degli embrioni, esercitò forti pressioni e ne venne la contestata legge 40. L’aspetto più importante di quel messaggio, tuttavia, non era tanto nella richiesta in sé, quanto nel fatto che un malato considerato “incurabile” volesse assumere l’iniziativa e dare centralità politica a temi che fino a quel momento non erano neppure presi in considerazione. Egli sfidava così, al contempo, le due “caste” italiane più potenti: quella politica a livello istituzionale, quella religiosa a livello culturale. Quella duplice sfida, autenticamente prometeica, comincia oggi a manifestare i suoi effetti.

Il povero Luca morì il 20 febbraio 2006 (suscitando commozione in molti e sollievo in alcuni) ma i suoi semi avrebbero presto germogliato. Esattamente dieci mesi dopo, il 20 dicembre, Piergiorgio Welby centuplicava la stessa lotta: se ne andò per sua espressa volontà, non prima di essersi appellato al capo dello Stato e non senza aver scritto un libro significativamente intitolato“Lasciatemi morire”. Morto Welby, non moriva però la sua battaglia. Dopo il caso di Giovanni Nuvòli, giusto un anno fa, ecco riesplodere all’improvviso la vicenda di Eluana Englaro, un fatto che ha nuovamente precipitato nel panico tutta il mondo cattolico-integralista italiano. Mentre si contesta il parere espresso tanti anni fa da Eluana ai familiari, che non avrebbe rilevanza, si presenta Paolo Ravasin, anch’egli militante dell’associazione Luca Coscioni. Se dovessi peggiorare, ripete forte e chiaro Ravasin, non desidero l’alimentazione forzata. Intanto si apprende che, pur in assenza di una legge sul testamento biologico – bloccata ancora una volta dal veto della Chiesa cattolica – sono circa settemila gli italiani che hanno lasciato disposizioni sul proprio “percorso di fine vita”. Coscioni, Welby, Nuvòli, Englaro, Ravasin e migliaia d’altri.

Dilaga inarrestabile un fiume di esseri umani che affermano di essere voler essere padroni del proprio destino. Soggetti della propria storia, avrebbe detto Gramsci. Insomma titolari della propria vita. Tutti costoro recitano una preghiera diversa da quella imparata da bambini: “sia fatta la MIA volontà”, dicono. Coloro che credono, fra questi, affermano di volerne rispondere direttamente a Dio, non alla Chiesa. La sofferenza, come fonte di salvezza eterna, non rappresenta più un punto di riferimento universale. Prevale il pensiero moderno, scientifico, laico e razionale dell’occidente liberale. Le gerarchie religiose, grandi dissimulatrici, cercano di reggere il confronto ma sentono che, alla loro apparente vittoria politica, fa riscontro una sconfitta sul piano culturale e valoriale, dalle conseguenze incalcolabili.

La battaglia politica di Ravasin

La battaglia politica di Ravasin

Left del 25 luglio 2008, pag. 82

di s.l.

Una voce flebile con cui chiedere al mondo di non torturarlo. È quella di Paolo Ravasin: il suo testamento biologico video registrato, diffuso dall’associazione Luca Coscioni, ha fatto il giro del web: ha commosso, fatto discutere, indignare, riflettere. Ancora una volta una persona sceglie di usare la propria malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, per una lotta politica. E questa scelta non può lasciare indifferente Maria Antonietta Coscioni. Lei, che al suo fianco ha avuto un uomo che, da malato, ha lottato per la libertà di ricerca (ma anche di scelta del malato). E che oggi prosegue la lotta di Luca dai banchi della pattuglia radicale eletta nella lista del Pd alla Camera. Le prime parole, e non potrebbe essere altrimenti, sono di vicinanza al signor Ravasin: «Paolo è vicino all’associazione Coscioni, e la sua vicinanza ci onora».



La novità è nell’uso del videomessaggio come testamento biologico?



Paolo Ravasin vuole vedere rispettata la sua volontà. Se da un lato è impossibilitato a muoversi, d’altro lato può però ancora esprimersi. Da qui l’idea di registrare un videomessaggio. La Sla porta alla morte per soffocamento, e quindi a una fase di perdita di coscienza. Lui vuole premunirsi rispetto a questa condizione con una manifestazione chiara della sua volontà.



Specie nel mondo cattolico, però, sono assai cauti. Un videomessaggio non sarebbe prova certa.

Rispondo dicendo che a questo punto non bisogna credere a nessun tipo di voce. Sono persone che si ergono a difesa della vita a tutti i costi, e che però non vogliono che si possa manifestare la propria volontà. Noi invece diciamo: venga fuori questa volontà, anche attraverso un messaggio audiovisivo, senza nessun tipo di costruzione. In realtà ciò che vuole Ravasin viene messo in discussione come è accaduto con Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli...



Sono situazioni che si ripetono spesso...

Ci troviamo di fronte a persone che con spietatezza e con violenza continuano a negare la vita, a negare la volontà della persona. Per questo ho presentato una mozione a sostegno della volontà e del rispetto di Eluana Englaro, che richiama l’articolo 32 della Costituzione, l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’articolo 9 della convenzione di Oviedo, e che chiede al governo che siano adottate in tempi brevi misure per il riconoscimento legale del testamento biologico. Sotto qualsiasi forma: scritta, o audiovisiva.



Ravasin chiede di non essere sottoposto ad alimentazione e Idratazione artificiali. Per la bioetica non sono trattamenti medici, e non possono essere rifiutati.

La questione è un punto nodale in fatto di consenso informato e di testamento biologico. La cassazione si è espressa dicendo che possono essere sospese, ovviamente in casi di acclarata irreversibilità, e questo rafforza la nostra posizione: ribadiamo che quando la volontà di un malato è chiara, e prevede anche la sospensione di questo tipo di trattamenti, la nostra impostazione è quella di rispettare sempre e comunque la volontà della persona.



Il Comitato nazionale di bioetica approvò nel 2003 delle linee guida di testamento biologico, molto caute ma che avevano un merito: quello di andare bene a tutti I membri del Cnb, da Demetrio Neri a Francesco D’Agostino. Voi Radicali accettereste un modello dei genere?

Noi non vogliamo accettare una cattiva legge sul testamento biologico. Vogliamo una legge che accolga le istanze di tutti i cittadini, sia di quelli che non vogliono pronunciarsi su questi temi, sia di quelli che invece vogliono farlo. Solo una buona legge sul testamento biologico può fare la differenza nel nostro ordinamento.

La consulta appoggia la scelta dei genitori

l’Unità 26.7.08
La consulta appoggia la scelta dei genitori
di Maurizio Mori

Nel 1989 il neurologo milanese Renato Boeri ha voluto la Consulta di Bioetica per sollecitare la riflessione culturale in una prospettiva laica. Dopo aver elaborato la prima proposta di testamento biologico presentata in Italia (1990), la Consulta ha contribuito ai principali dibattiti bioetici: dalla fecondazione assistita, al caso Welby ed ora quello Englaro. Organizzata in Sezioni diffuse in varie parti d’Italia, l’Associazione è aperta a chi vuole sostenere e far crescere i valori e gli stili di vita secolari.
Il caso di Eluana ci è particolarmente vicino perché molti di noi l’hanno seguito con attenzione. Vogliamo qui far sentire una voce diversa dalle reazioni un po’ scomposte di parte della stampa italiana, prone a dare risalto a tesi prive di ogni fondamento scientifico come quella che il concetto di stato vegetativo permanente sarebbe ormai "superato" ed il risveglio di Eluana sempre possibile. Tesi simili sono frutto di concezioni religiose o di veri e propri sogni generati da desideri intensi: è bene ricordare che al tempo di Terry Schiavo queste tesi hanno addirittura portato a dire che la donna parlasse. Si è poi fatto subito scendere una cortina di silenzio sui risultati dell’autopsia che ha confermato la quasi completa distruzione del talamo e l’impossibilità di ogni relazione e capacità di dolore.
La situazione di Eluana è tragica, ma va risolta guardando in faccia alla realtà. E soprattutto vanno rispettate le scelte dei genitori Englaro, troppo spesso oggetto di critiche poco riguardose. La Consulta di Bioetica sostiene la scelta degli Englaro e spera che, col sostegno di tanti cittadini, i valori secolari già prevalenti tra la gente abbiano maggiore rilievo sul piano pubblico e più adeguata rappresentanza su quello politico e istituzionale
*(Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Professore di bioetica, Università di Torino)

Bibliografia
"Sul diritto di autodeterminazione. Riflessioni critiche sulle sentenze Riccio e Englaro"
(a cura di) Immacolato, Mariella Bioetica. Rivista interdisciplinare, XVI (2008) n. 1 inserto. (Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza, 0523 322777).
"Documenti sul caso E.E." Bioetica. Rivista interdisciplinare, VIII (2000), n. 1.
"Sullo stato vegetativo permanente" Bioetica. Rivista interdisciplinare, XII (2005) n. 2.
«Né eutanasia né accanimento terapeutico. La cura del malato in stato vegetativo permanente», Lateran University Press, Roma, 2003.
Comitato per l’etica di fine vita, Carta delle volontà anticipate, Editore Vicolo del Pavone, Piacenza, 2008. (a cura di) Di Pietro, Maria Luisa e José Noriega

Perché è più dignitosa e giusta la scelta che è stata fatta. Dieci domande sul caso Englaro

l’Unità 26.7.08
Perché è più dignitosa e giusta la scelta che è stata fatta. Dieci domande sul caso Englaro

Il 16 ottobre 2007 la Corte di Cassazione ha deciso il riesame del “caso Englaro” stabilendo che la richiesta dei genitori di Eluana di sospendere la terapia che da 16 anni la tiene in Stato Vegetativo Permanente (SVP) fosse valutata sulla scorta dei due seguenti criteri:
1)l’assenza di possibilità di risveglio oltre ogni ragionevole dubbio,
2)l’accertamento della volontà che Eluana non avrebbe voluto vivere in quella condizione.
Dopo gli opportuni approfondimenti, il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano ha accolto la richiesta Englaro, consentendo la sospensione delle terapie. Diversi sondaggi d’opinione confermano che circa l’80% degli italiani condivide la scelta degli Englaro. Ma la chiesa cattolica si oppone con un grande fuoco di sbarramento, che è giunto persino a sollecitare contrasti tra istituzioni statali. Esaminiamo qui le principali critiche mosse dando a ciascuna di esse una breve risposta razionale.
Obiezione 1: La decisione della Corte d’Appello «è un attacco al mistero della vita, alla sua sacralità» (mons. L. Negri, Avvenire, 12 luglio, p. 4).
Risposta. La Corte non muove alcun “attacco” ma solo constata che il “mistero” della vita sta dissolvendosi, perché la scienza ci fornisce conoscenze sempre più precise. Come ha scritto il professor Mario Manfredi, già Presidente della Società Italiana di Neurologia, dopo un periodo di oltre 16 anni la residua possibilità di ricupero è «estremamente minima». La Corte aiuta i cittadini a guardare in faccia la realtà e consente a persone come gli Englaro di decidere con responsabilità sul da farsi, senza continuare a vivere secondo il vecchio criterio sacrale connesso all’alone di mistero che avvolgeva il vivente e che ancora evoca emozioni profonde. È vero, comunque, che la crisi del principio di sacralità della vita umana genera in molti sconcerto, sgomento e anche panico. Hanno l’impressione è che il mondo intero crolli senza scampo e prevedono omicidi e la fine della convivenza civile. Di qui le preghiere e gli altri riti di purificazione richiesti per riparare la violazione dei tabù. L’abbiamo già visto, ad esempio, al tempo del divorzio, quando la crisi dell’indissolubilità sembrava provocasse la disgregazione della famiglia e la dissoluzione della civiltà stessa. Invece le famiglie continuano a formarsi ed assumono nuove forme più rispettose degli affetti e dei diritti personali. Forse c’è stato un miglioramento, che potrebbe ripetersi anche con l’abbandono della sacralità della vita. La crescita civile esige una visione razionale che metta da parte i sentimenti atavici e la viscerale paura del nuovo.
Obiezione 2: La decisione della Corte d’Appello è sbagliata perché «la vita è qualcosa di assolutamente indisponibile all’azione umana» (card. A. Bagnasco, Avvenire, 13 luglio, p. 4).
Risposta. Quest’obiezione è una conseguenza della sacralità e cade con essa. Conosciamo i meccanismi dei processi vitali e li modifichiamo in tanti modi: continuare a ripetere che la vita è indisponibile è chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Volenti o nolenti la vita umana è nelle nostre mani. Chi continua a desiderare o prescrivere che la vita debba seguire un proprio misterioso e imperscrutabile corso cerca solo di sottrarre l’uomo alle proprie responsabilità. Queste a volte sono gravose, ma vanno affrontate.
Obiezione 3: «Il paletto dell’inviolabilità della vita... (DEVE) prevalere, sia pure dolorosamente, sull’interesse del singolo che, non senza le proprie ragioni, richiede allo Stato di farlo saltare... a difesa di tante altre vite deboli... Vedo all’orizzonte troppe vittime se saltasse questo paletto» (dr. P.P. Donadio, Avvenire 19 luglio, p. 12).
Risposta. Un clinico riconosce che la sacralità della vita non vale più in sé: il singolo ha ottime ragioni per farlo saltare! (soprattutto dopo oltre 16 anni di SVP). Ma andrebbe difeso per presunte ragioni di utilità generale! Quest’errore nell’intendere l’utilità generale dimostra come la sacralità della vita sia irrispettosa delle persone.
Obiezione 4: «Un “risveglio” non si può mai negare" (Avvenire, 17 luglio, p. 11), perché 25 “luminari” della neurologia italiana affermano che non c’è la «certezza di irreversibilità» del SVP.
Risposta. L’errore sta nel fatto che nulla è certo circa il futuro: neanche che domani il Sole sorga ancora. Dobbiamo accontentarci delle (altissime) probabilità. E queste ci dicono che dopo 16 anni è fuor di dubbio che per Eluana non ci sarà mai più un «risveglio». Voler alimentare la speranza contro ogni dato ragionevole è un modo di riproporre la sacralità vitalista, che a vo lte ricorre ad affermazioni infondate come quella che circa «metà delle diagnosi (DI SVP) sono sbagliate» (G.B. Guizzetti, Tempi 17 luglio, p. 11) per spaventare facendo terrorismo psicologico.
Obiezione 5: «Togliere idratzione e nutrimento nel caso specifico è come togliere da mangiare e da bere a una persona che ne ha bisogno, come ne ha bisogno ognuno di noi» (card. A. Bagnasco, Avvenire, 16 luglio, p. 9).
Risposta. «Mangiare e bere» è un’azione volontaria con sensazioni: da oltre 16 anni Eluana non «mangia né beve». Le iniettano sostanze chimiche con la terapia nutrizionale. Ecco dove sta la differenza. Eluana non voleva continuare quella terapia.
Obiezione 6: Farla morire di fame e di sete è «la morte peggiore che possa essere inflitta a un essere umano» (“Medicina e Persona”, Comunicato Stampa). Se non soffre «qualcuno mi spieghi allora perché il tribunale raccomanda di sedarla» (dr. G. Gigli, Avvenire, 13 luglio, p. 5).
Risposta. Far credere che Eluana soffrirà la fame e la sete è speculazione di basso profilo tesa a suscitare ripugnanza e raccapriccio facendo appello a immagini note di vario tipo (dal conte Ugolino a Walt Disney). In realtà i centri nervosi responsabili delle ricezione del dolore sono distrutti e la morte avverrà per deperimento. Il tribunale ha raccomandato la sedazione come misura di rispetto e di precauzione. Anche la British Medical Association raccomanda l’anestesia per i morti cerebrali prima del prelievo d’organo (per sopprimere i riflessi viscerali). Non ne discende che i morti soffrano. Assodato questo, si potrebbe pensare ad un intervento attivo che chiuda la partita in modo più rapido. Dal punto di vista morale può essere meglio, ma da quello giuridico non è consentito, per cui ci si deve limitare alla sospensione della terapia- punto garantito dal diritto italiano.
Obiezione 7: Come si fa a dire che Eluana non avrebbe voluto vivere in stato vegetativo? È vero che lo ha detto prima dell’incidente, quando aveva 20 anni ed era sana: «parole che chiunque potrebbe pronunciare e sottoscriverebbe, ma che non possono avere valore di “testamento biologico”» (L. Bellaspiga, Avvenire 16 luglio, p. 9).
Risposta. Sarebbe meglio se il vitalista dicesse chiaro e tondo che il consenso (pregresso o attuale che sia) non vale niente di fronte al valore sacro della vita. Welby lo diede qualche minuto prima della sospensione della terapia ben sapendo che cosa significasse: ma neanche lì il suo consenso contava, e il dr. Mario Riccio ha avuto guai! Se anche ci fosse una firma apposta a 20 anni su un foglio scritto, che valore avrebbe mai?! Non c’è, e ci si aggrappa anche questo, in stile Azzeccagarbugli. Quelle espresse da Eluana sono le sue ultime volontà e non possiamo immaginarcene altre, essendo subito caduta in uno stato che - per via della distruzione della corteccia - non consente di averne più. Se vale il consenso, allora le parole pronunciate da Eluana e fedelmente riportate da testimoni hanno valore decisivo per procedere alla sospensione della terapia nutrizionale.
Obiezione 8: Ma quella nutrizionale non è una terapia, anche perché lo stato vegetativo «non è una malattia» (dr. G.B. Guizzetti, Avvenire 19 luglio, p. 10) ma è «una grave disabilità» da tutelare. L’alimentazione artificiale, poi, non è accanimento terapeutico perché non c’è «nessuna macchina, nessun supporto tecnologico».
Risposta. Evito le discussioni sui concetti di malattia e di disabilità, anche se l’idea che lo SVP sia una semplice diminuzione di capacità sembra dire che lo zero sia un «uno rimpicciolito». Concedendo che lo SVP sia una disabilità estrema, non ne consegue che la sua tutela debba portare al prolungamento della vita: se l’interessato non voleva vivere in quello stato, sarebbe «farle un torto». Il rispetto dovuto a un disabile comporta il rispetto delle sue scelte. L’insistenza «pro vita» è una forma di indebita violenza poco rispettosa della fragilità di chi ha scelto. Che dire poi della pompa che si usa per l’alimentazione artificiale? Non è forse una «macchina»? A parte questo, dire che c’è accanimento solo in presenza di macchinari è un modo ingenuo di ragionare, come quello che porta a credere si possa torturare solo col fuoco, ruota e urla di dolore. Come ci può essere tortura anche senza fuoco, macchine ecc., così ci sono forme più sottili di accanimento anche senza macchinari: quando non c’è volontà e consenso c’è accanimento.
Obiezione 9: Non sarebbe meglio lasciare Eluana alle suore che la curano, invece di procedere alla sospensione della terapia?
Risposta. Non so se sia davvero meglio continuare a vegetare o invece chiudere con dignità. Ma è certo che quand’anche «vegetare» fosse un qualcosa di positivo, non sarebbe «buono» ove non fosse voluto. Dare una carezza o una elemosina sono gesti in prima battuta positivi (che non fanno male) ma diventano cattivi ove fossero imposti ad una persona che non li vuole. Solo un residuo di vitalismo può indurci a credere diversamente: eccessiva è l’insistenza posta nel dissuadere i genitori Englaro. Esemplare è il modo fermo con cui difendono la dignità della figlia. (a cura di m.m.)

«Vi racconto mia figlia Eluana e il nostro patto»

l’Unità 26.7.08
«Vi racconto mia figlia Eluana e il nostro patto»

Non avrebbe voluto una vita così Gliene dobbiamo fare una colpa?

Vi parlerò di Eluana. Questo ho fatto, con le mie limitate capacità, per oltre sedici anni infernali: vi ho voluto parlare di lei. Questo potrà servire a capire nel profondo cosa la Corte d’Appello di Milano ha reso possibile, il 9 Luglio 2008, con la sua pronuncia, se qualcuno vorrà farsene un’idea precisa e consapevole.
È evidente che chi non abbia conosciuto Eluana possa non comprendere il suo desiderio e possa non comprendere la mia ferma volontà di procedere verso la liberazione da tutto quello che lei avvertiva come una violenza: la continua profanazione del suo corpo patita per mani altrui, in una condizione di totale inconsapevolezza, impossibilitata ad esprimersi, a compiere un qualunque movimento volontario, incapace di avvertire la presenza del mondo e di se stessa. Questo è il contrario del suo modo di vivere, del suo stile di vita, che emanava da tutto quanto faceva: dai modi di atteggiarsi, di fare, dal suo stesso essere. Questo è quanto ha esplicitato anche nelle due concretissime occasioni in cui si è parlato della eventualità che poi le è capitata.
Questo è quanto è stato giustamente riconosciuto dalla Corte d’Appello di Milano che ha seguito, nel caso di Eluana, i criteri fissati dalla sentenza n. 21748 della Corte di Cassazione, che rendono lecita la sospensione del trattamento vitale in caso di stato vegetativo permanente: l’irreversibilità della condizione - "prolungatasi per un lasso di tempo straordinario" come ha scritto la Corte d’Appello - e la presunta volontà di Eluana, che era proprio quella riferita dal tutore e confermata senza esitazioni, dopo un attento e scrupoloso supplemento d’indagine, dal Curatore Speciale avvocato Franca Alessio.Ciò che ho più apprezzato di questo provvedimento è stato lo sforzo di comprendere Eluana per quello che era: una giovane informata e consapevole, con idee e principi personali pieni di valore, almeno per lei. Ho apprezzato la tutela delle scelte personali che la Magistratura ha messo in atto pronunciandosi, il rispetto per l’autodeterminazione, l’altissimo valore riservato alla persona che Eluana aveva manifestato di essere prima dell’incidente e alle sue riflessioni individuali.
Come ho affermato in questi giorni, c’è da essere fieri di una Corte così. Su tale pronunciamento sono state avanzate obiezioni, remore che, come padre attento, come uomo umile, sento in profondità non riguardare il caso specifico, unico al momento, di mia figlia Eluana. La sua natura indomita la rendeva testarda, contraria alle imposizioni, straordinariamente consapevole ed era inoltre libera, libera di virtù congenita, libera come natura propria.
Con lei, fatta così, io avevo fatto un patto e l’ho rispettato. Ho rispettato e onorato la parola che avevo dato a mia figlia. Non ho tradito la sua fiducia e non potevo fare altrimenti. Non me lo sarei mai perdonato. Se Eluana non voleva intrusioni di sorta nella sua vita - non parliamo poi nel suo corpo! - fossero anche di carattere "terapeutico", se non voleva vivere una vita contrassegnata dalla mancanza della possibilità di vivere, gliene possiamo fare una colpa? La dobbiamo obbligare a subire oltraggi - credo che anche le terapie e gli atti di cura, se indesiderati, si trasformano in aggressioni ingiustificate alla propria integrità fisica - e a vivere inconsapevole ancora per tanti anni perché altri più di lei sanno cosa avrebbe dovuto desiderare?
Non è un segreto che il mio pensiero personale coincide con quello manifestato da mia figlia. Forse per questo ho compreso, giustificato e protetto la sua volontà dal principio, senza mai alcun dubbio. Siamo stati condannati dalla stessa insopprimibile inclinazione alla libertà.
Ma se anche non avessi condiviso il suo giudizio sul valore da attribuire alla vita e alla morte, come avrei potuto, da padre, rassegnarmi nel vedere la sorte volgere proprio verso ciò che - i genitori, le sue amiche, le insegnanti lo sapevano - Eluana aborriva? Non è stato facile per me dover ripetere un numero spropositato di volte cosa diceva Eluana e chi era Eluana, prodigarmi nel chiarire che io davo solo voce a lei che non poteva più esprimersi. Se avesse potuto parlare ve l’avrebbe spiegato da sé.
Eluana era per noi una perla rara, un inedito inebriante di indipendenza, autonomia e buonumore, caparbia e pestifera. Se non accettava compromessi quando non veniva trattata da persona libera e responsabile delle proprie scelte di coscienza, potevo io ignorare la sua natura? Fare finta che non mi fosse capitata in sorte una purosangue della libertà? Le molte persone che hanno conosciuto mia figlia hanno realmente compreso che con questo pronunciamento si stava compiendo la sua volontà.
Veglierò su di lei e ne avrò cura come non ho mai smesso di fare da trentasette anni a questa parte, fino alla fine della sua vita, che continuerà nella nostra e nell’altrui memoria. Il sentimento assoluto che ho provato per lei dal nostro primo incontro non le verrà mai meno. Ho perso mia figlia già sedici anni fa, adesso le permetterò quello che hanno interrotto in passato, quello che hanno ostinatamente impedito, ad oggi, per seimilatrentasei giorni: morire per non continuare a subire un’indebita invasione del suo corpo e per non vivere una vita che aveva manifestato reputare indegna di lei.
* Padre di Eluana, socio della Consulta di Bioetica (Sezione di Milano)

venerdì 25 luglio 2008

Quando la vita si fa crudele dittatura

l’Unità 25.7.08
Quando la vita si fa crudele dittatura
di Sergio Bartolommei, Dipartimento di Filosofia, Università di Pisa, Consulta di Bioetica, Pisa

Sono giorni concitati e drammatici per le cronache bioetiche del nostro Paese. Al Nord un corpo che aveva ospitato una persona di nome Eluana Englaro, scomparsa insieme alla sua coscienza 16 anni fa dopo un incidente stradale, sta per essere trasferito da una casa di cura a un Hospice dopo che sarà stato disattivato il sondino naso-gastrico che lo alimenta artificialmente. Con l’esaurirsi delle funzioni dell’involucro corporeo, alla morte biografica di Eluana - la morte della possibilità di raccontarsi, di mettersi in relazione e di dare un senso alla sua propria vita - seguirà così anche quella organica e anagrafica. Solo allora, e grazie a due storiche sentenze giudiziarie, si avrà il riconoscimento delle sue volontà: quelle che aveva espresso quando, ignara della sua sorte futura, era capace di pronunciarsi su cosa per lei sarebbe stata dignità del vivere e del morire nell’ipotesi di poter piombare un giorno nel buio dello stato vegetativo permanente (SVP) in cui purtroppo poi le accadde effettivamente di entrare.
Al Sud un neonato di tre mesi, Davide Marasco, nato il 28 aprile scorso a Foggia e protagonista di un caso assurto alle cronache nazionali, è morto dopo essere stato sottoposto a rianimazione e dialisi forzate nel tentativo di farlo sopravvivere. Davide era affetto da sindrome di Potter e presentava un quadro clinico caratterizzato da mancanza dei reni, inadeguato sviluppo degli ureteri, della vescica e dei polmoni, malformazioni intestinali e rettali.
Sia lo SVP che la sopravvivenza di neonati colpiti da patologie incompatibili con la vita sono, paradossalmente, nuove condizioni del morire rese possibili dall’avvento delle tecnologie di rianimazione e sostegno vitale. Fino a qualche decennio fa il corso ’naturale’ delle cose avrebbe portato alla morte quasi istantanea i protagonisti di queste due tragiche vicende. Oggi il loro destino dipende in gran parte dalle nostre decisioni e dalla nostra responsabilità.
Sia nel caso di Eluana che in quello di Davide si è optato per soluzioni vitalistiche, pensando che il miglior interesse dei due fosse di prolungarla, la vita, il più possibile, in nome della sua sacralità. Il paternalismo medico è venuto in soccorso del vitalismo. Nel caso della Englaro si sono moltiplicate anche in queste ultime ore una serie di (irrispettose) pressioni - politiche, accademiche, religiose - affinché il padre-tutore non la faccia morire come ella desiderava e come due Tribunali della Repubblica hanno giudicato lecito autorizzare a fare.
Nel caso di Davide è bastato che i genitori manifestassero una titubanza nel dare il consenso alle cure intensive che subito il bimbo è stato sottratto alla loro potestà e affidato al primario degli Ospedali Riuniti di Foggia per essere sottoposto a rianimazione e dialisi. Prigionieri forse dell’alone positivo e di mistero che circonda la parola "vita", si fatica a misurarsi con l’idea che ci siano situazioni in cui vivere è un disvalore o un’oppressione, o perché il vivere è ridotto alle sofferenze e agli accanimenti di quella che non è terapia ma devastante e coatta sperimentazione medica (Davide), o perché le condizioni della vita sono divenute radicalmente incompatibili con le idee di dignità personale nutrite nel corso dell’esistenza cosciente (Eluana).
È difficile però scalfire lo zelo dei vitalisti. Essi non si accorgono che l’astratta ideologia cui aderiscono - "la Vita è sacra" - può rivelarsi crudele nelle situazioni in cui, applicandola con fanatica coerenza, genera solo una inutile e penosa sospensione del morire. Incapace in questi casi di garantire un miglioramento delle condizioni di salute, il vitalismo si rivela spesso veicolo dei danni provocati da un interventismo medico fine a se stesso. Ciò che fa apparire l’uno e l’altro “giusti” è che sembrano la soluzione più semplice e ovvia, optando per la quale sembra di essere meno in gioco con le nostre responsabilità.

giovedì 24 luglio 2008

Testamento biologico, il valore del diritto e quello della morale

Testamento biologico, il valore del diritto e quello della morale

Il Messaggero del 24 luglio 2008, pag. 23

di Francesco Paolo Casavola

Le difficoltà finora incontrate dalle proposte di legge per introdurre anche in Italia il cosiddetto testamento biologico possono ricondursi alla eventualità. da alcuni temuta, da altri auspicata, che in quel documento possa collocarsi una richiesta di eutanasia. Testamento biologico è traduzione in italiano della espressione inglese living will, che indica il testamento sulla vita, vale a dire direttive anticipate sul trattamento medico della fine della vita, redatte quando l’interessato è in stato di piena coscienza e libera volontà.



Ma quale è il valore di simili direttive per il medico, che ne è il naturale destinatario? Nel 1997, gli Stati aderenti a quel Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, per promuovere e tutelare le libertà fondamentali dell’individuo, firmarono ad Oviedo una Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina. in cui all’articolo 9 si prevede che i desideri precedentemente espressi dal paziente. che al momento di un trattamento medico non è in grado di manifestare la sua volontà, saranno tenuti in considerazione.



Il principio qui postulato è quello dell’autodeterminazione del malato alle cure, o con altra formulazione del consenso informato. che evoca quell’alleanza terapeutica, che dovrebbe guidare la relazione medico e paziente. Ma se così è. non è troppo debole quel risultato dei desideri di cui si dice dalla Convenzione di Oviedo che saranno presi in conto? Non si conferma qui la superiorità del medico, per il suo sapere scientifico e per la esperienza clinica, in grado di disattendere le richieste del malato? Il 18 dicembre 2003, il Comitato nazionale per la bioetica approvava un documento assai importante per fare effettività nel nostro ordinamento alla Convenzione di Oviedo su quella materia. Visi auspicava l’intervento del legislatore italiano ispirato ad obbligare il medico a prendere in esame le dichiarazioni del paziente e a motivare ogni diversa decisione in cartella clinica.



Sarebbe da prevedersi la indicazione, in questo vero e proprio testamento biologico, di uno o più fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente da parte dei medici nelle decisioni da assumere nei riguardi di pazienti divenuti incapaci di intendere e volere. Una legittimità bioetica potrebbe confortare la disciplina legislativa, se questa regolasse le condizioni di libera volontà, informazione, autonomia del disponente, senza pressioni familiari, sociali, ambientali, nonché l’assenza di finalità eutanasiche, che sarebbero in contrasto con il nostro diritto positivo, con le regole di pratica e di deontologia medica. E. andrebbe aggiunto, con il principio costituzionale del diritto fondamentale alla vita, che non può essere contraddetto da un gemello diritto a morire, come accade in alcuni ordinamenti. che hanno evidentemente altra storia culturale e morale.



Quanto alla redazione di un così rilevante atto privato. sarebbe opportuno ch’esso fosse compilato con l’assistenza dì un medico, che può controfirmarlo, e tale da garantire la massima personalizzazione della volontà del futuro paziente, escluse pertanto le sottoscrizioni a moduli preconfezionati. Sotto questi profili, il testamento biologico sarebbe strumento di libertà e di uguaglianza dei cittadini, riscattati da diversità di cultura e di condizione sociale, dinanzi a quella soglia in cui medico e paziente aiutano la vita o accettano la sua non resistibile conclusione. Ma perché il legislatore non consumi inutilmente un’altra e nuova occasione di stabilire regole, che non facciano violenza a coscienza alcuna, laica o religiosa, occorre non scendere in campo con opposti principi, che fanno torto, agli uni e agli altri, in termini di umana pietà e di retta ragione.

Giuristi contro la Cassazione Ma il padre resiste

Giuristi contro la Cassazione Ma il padre resiste

Il Manifesto del 24 luglio 2008, pag. 7

«La sentenza ha messo fine ad un inferno durato anni. Non vorrei un nuovo incubo. Ognuno può dire la sua ma io non raccolgo, spero solo che sia rispettata la sentenza e la volontà di mia figlia». Beppino Englaro, il padre di Eluana, la ragazza in stato vegetativo mantenuta in vita da 16 anni da un sondino nasogastrico, sfoga così tutto il suo dolore in un’intervista al Giornale. Fuori, lontano dalla tragedia che investe la sua famiglia, c’è il gran polverone alzato dal centrodestra. Dopo il conflitto di attribuzione che i senatori del Pdl vorrebbero sollevare contro la Corte di Cassazione (se ne discuterà in aula martedì) a causa della sentenza emessa nell’ottobre scorso e che ha portato la Corte d’Assise di Milano a riconoscere il diritto di sospendere le cure ad Eluana, è ora la volta della sottosegretaria al welfare, Eugenia Roccella, e di un gruppo di giuristi che ha firmato un appello contro la sentenza perché, dicono, «finisce per consentire una pratica di eutanasia». L’ex portavoce del Family day, invece, con un astruso gioco di parole prende le distanze dal «testamento biologico» al quale, dice, preferisce «una legge condivisa di garanzia sulle dichiarazioni anticipate ai trattamenti». Perché - ha spiegato presentando un documento contro la sentenza firmato da 33 associazioni - «parlare di testamento biologico sarebbe uno slittamento semantico». Insomma, ci risiamo. Sembra di ritornare ai tempi dei Pacs-Dico-Cus approdati infine in un nulla di fatto. Però, promette Roccella, «arriveranno presto un Registro e un Osservatorio nazionale sulle persone in stato vegetativo». «Inconsistente, come la questione del conflitto di attribuzione», commenta l’avvocato dei Welby, Giuseppe Rossodivita. «È un’iniziativa tutta politica che non appena uscirà dal parlamento per diventare questione giuridica troverà la propria giusta collocazione con una pronuncia di inammissibilità».

mercoledì 23 luglio 2008

Vivere non è soltanto continuare a respirare

Vivere non è soltanto continuare a respirare

Il Riformista del 10 luglio 2008, pag. 1

di Mario Ricciardi

La decisione con cui la Corte d’Appello di Milano ha accolto la richiesta del padre di Eluana Englaro di avere l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione e l’idratazione della figlia, in coma vegetativo permanente da sedici anni, dovrebbe por fine a una lunga e tormentata vicenda giudiziaria. Da quando è rimasta vittima di un incidente stradale gli organi vitali della donna funzionano perché il suo corpo è collegato a macchine che le somministrano ciò di cui ha bisogno. Tale situazione si è protratta oltre il limite che buona parte della comunità scientifica ritiene ragionevole Infatti, c’è largo consenso tra i medici nel negare la possibilità, sia pure remota, che un essere umano che si trova nella condizione di Eluana si risvegli ritornando alla coscienza.



Ciò nonostante, la domanda di sospensione del trattamento è stata respinta diverse volte in passato. Uno spiraglio si è aperto soltanto con la sentenza della Cassazione del 16 ottobre del 2007, che ha riconosciuto la legittimità della richiesta di sospendere i trattamenti se sono soddisfatte due condizioni: che (1) lo stato vegetativo del paziente sia irreversibile e che (2) si accerti, sulla base di elementi di fatto ritenuti attendibili dai giudici, che il paziente, quando era cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.



La pronuncia della Corte di Cassazione ha fornito alla Corte d’Appello di Milano una cornice normativa per quanto formulata in modo inevitabilmente vago - entro la quale dare risposta alla richiesta del padre di Eluana, che ne è anche il tutore legale. La concessione dell’autorizzazione indica che i giudici milanesi hanno ritenuto che le due condizioni sono soddisfatte, e quindi si può procedere con il distacco dalle macchine che alimentano Eluana. Rimane tuttavia un’obiezione morale Presentata più volte, specialmente da ambienti cattolici. La natura dell’obiezione è la seguente- cessare l’alimentazione e l’idratazione sarebbe inammissibile perché "nutrimento"e "acqua"non sono "terapie", e dunque non sarebbero coperte dal divieto di accanimento terapeutico. In altre parole, continuando a nutrire e a idratare il corpo di Eluana, i medici non la starebbero curando inutilmente, ma invece la terrebbero in vita La conseguenza che se ne dovrebbe trarre è che cessare di farlo sarebbe equivalente a ucciderla. Si tratta di un’obiezione importante, che bisogna prendere sul serio. Tuttavia, non credo che si possa accoglierla. Se è vero che le sostanze nutritive che vengono somministrate a Eluana non sono in senso stretto "terapie", c’è da chiedersi se questa sia una ragione sufficiente per ritenere che sospenderle equivalga a uccidere un essere umano.



Si ha l’impressione che chi ragiona in questo modo assuma una concezione della vita che finisce per farla coincidere con lo svolgimento di certe funzioni di parti del corpo umano. Posta questa premessa, impedire che tali funzioni proseguano sarebbe indubbiamente un omicidio. Si tratta di una posizione sorprendente soprattutto quando viene proposta da persone che non dovrebbero essere inclini a ridurre la vita alla materia Appare inaccettabile l’idea che vivere sia semplicemente continuare a respirare Oppure a digerire Sorprende che questo modo di pensare sia difeso dai cattolici, perché la tradizione filosofica cui la chiesa si richiama intende la vita umana in modo più sofisticato, distinguendola dal semplice vegetare

C’è qualcosa di irragionevole verrebbe quasi da dire di blasfemo nel modo in cui certi ambienti hanno accreditato una sorta di idolatria delle funzioni vitali per opporsi agli atti di disposizione della propria vita, o all’eutanasia. La decisione della Corte d’Appello di Milano è un’occasione per riflettere sui guasti gravi che questo modo di reagire alla preoccupazione di abusi, condivisa anche da molti non credenti, ha arrecato al dibattito pubblico del nostro paese. Concentrarsi sugli indici biologici della vita ha fatto perdere di vista la questione della sua dignità, che non può essere assicurata da un’alimentazione artificiale protratta in modo indefinito. Almeno non quando si può escludere la speranza ragionevole di ritorno alla coscienza.

Sconfitta l’ideologia della sofferenza

Sconfitta l’ideologia della sofferenza

L'Opinione del 10 luglio 2008, pag. 1

di Alessandro Litta Modignani

Giunge la notizia, dal Palazzo di Giustizia milanese, che i giudici d’appello hanno deciso di consentire a Beppino Englaro di interrompere l’alimentazione artificialmente in vita sua figlia Eluana, in stato vegetativo permanente da oltre 16 anni. Per chi si riconosce nei valori del la libertà, della laicità e del pensiero razionale moderno, la prima preoccupazione è di evitare qualsiasi trionfalismo. Non è la vittoria di nessuno, sia chiaro. Né di Beppino Englaro, che pure vedrà finalmente giungere al termine la sua missione di padre amorevole, perseguita con mitezza, pazienza e tenacia; né di quanti – come chi scrive – si battono contro l’oscurantismo e il fanatismo religioso. Forse l’unica a vincere è Eluana: non il suo corpo di oggi, ridotto a una larva, ma la bella ragazza di allora, che abbiamo conosciuto attraverso le fotografie.

Ha vinto una giovane donna volitiva e sensibile che tanti anni fa, di fronte a questi problemi, affrontava la discussione in famiglia affermando con determinazione (ce lo raccontano i genitori e le persone amiche) che lei mai, davvero mai avrebbero voluto essere sottoposta a un trattamento simile, se una simile disgrazia le fosse successa. Quella Eluana ora sarà ascoltata: il suo corpo, ormai privo di quello spirito, potrà cessare di soffrire. Nessuna vittoria dunque, ma qualche sconfitta sì. Da questa vicenda escono sconfitti l’ideologia della sofferenza e l’accanimento di Stato. Meglio così. Sul piano giuridico, la sentenza della Cassazione dell’ottobre scorso aveva piantato alcuni paletti ben forti e chiari. Ne ricordiamo due in particolare. Il primo, fondato sul concetto di divieto assoluto di accanimento terapeutico; sarà questo un aspetto che farà scuola anche in altre situazioni analoghe.

Il secondo, incentrato sul principio del “consenso informato” per le cure, che in casi particolari – come questo – potrà essere concesso o negato anche per il tramite delle testimonianze dei parenti stretti e delle persone care. I giudici milanesi, evidentemente, non hanno potuto non tenere conto di questi indirizzi. Bisognava davvero aspettare 16 anni per giungere a queste conclusioni? Meglio non commentare. In queste ore Beppino Englaro, letteralmente preso d’assalto dai giornalisti di tutta Italia, chiede con mitezza un momento di riflessione e di tranquillità. Non saremo certo noi a negarglielo. E’ facile immaginare il suo turbamento in questo momento. Bisognerà attendere la sentenza per avere certezze, poi altri eventuali passaggi giudiziari. L’unica cosa che ora è lecito augurarsi, è che la presunta “autorità morale” della Chiesa cattolica non abbia la pretesa di mettersi in mezzo, per impedire che alle sofferenze di Eluana sia posto finalmente termine. Sarebbe davvero troppo. Chi non approva questa decisione si chiuda in preghiera, se crede, e lasci che la volontà di Eluana sia rispettata. Qualsiasi parola di condanna sarebbe blasfema.

Eluana riposerà in pace Per il Vaticano è eutanasia

Eluana riposerà in pace Per il Vaticano è eutanasia

Il Manifesto del 10 luglio 2008

di Mariangela Maturi

Inaspettata e sorprendente, ieri la Corte d’appello civile di Milano ha autorizzato con una sentenza l’interruzione del trattamento di alimentazione forzata di Eluana Englaro. Il padre della ragazza (che è in stato vegetativo permanente da 16 anni) è impegnato da anni in un’estenuante battaglia legale per la sospensione dell’alimentazione forzata, e ora sembra quasi sorpreso: «Mia figlia finalmente sarà libera». La sentenza lo autorizza a interrompere le cure che mantengono in vita il corpo di Eluana dal 1992 nonostante l’irreversibilità dello stato vegetativo. Dopo molte sconfitte, il caso era stato riaperto dalla Cassazione lo scorso ottobre: per procedere con l’autorizzazione, bisognava accertare che non vi fossero interessi egoistici da parte della famiglia nell’avanzare la richiesta di sospensione del trattamento. Al termine dell’indagine, l’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale per il caso Englaro, ha «condiviso la scelta del tutore orientata al rifiuto del trattamento». Alla luce del «definitivo accertamento» dello stato vegetativo permanente, la Corte ha ritenuto di poter accettare le richieste dei familiari. Un altro fattore che ha influito nella decisione del giudice è stata la conferma, tramite la testimonianza di amici e parenti, che la stessa Eluana quand’era in vita avrebbe detto che mai avrebbe voluto sopravvivere in quelle condizioni.



Il testo della sentenza si conclude con le disposizioni per l’interruzione, indicando che la procedura dovrà essere gestita «in hospice o altro luogo di ricovero, garantendo un adeguato e dignitoso accudimento». La clinica in cui Eluana è ricoverata, a Lecco, è gestita dalle suore Misericordine di San Gerardo, che ieri hanno diffuso ai dipendenti della casa di cura il divieto di parlare della questione; pare però che, considerato «l’affetto che le suore provano» per la ragazza, non acconsentirebbero mai alla sospensione del trattamento. In ogni caso il padre di Eluana ha già messo in conto di dover provvedere al trasferimento della figlia. Non ha paura, e le polemiche non lo interessano, perché dice che finalmente «ha prevalso la volontà di Eluana».



Nel frattempo da vari ambienti ecclesiastici si lanciano prevedibili anatemi e scomuniche. Guida la crociata il neopresidente della pontificia accademia per la vita, Rino Fisichella, che usa termini come «amarezza» e «stupore» per quella che considera eutanasia. Chiamati a «rispettare il mistero della vita, non si deve cadere nella tentazione oggi diffusa di leggere la vita soltanto in maniera utilitaristica», conclude monsignore. Seguono a ruota i commenti dagli istituti di bioetica dell’università Cattolica di Roma e di Milano, che sperano si blocchi l’applicazione della sentenza, mentre da radio vaticana ci tengono a ricordare che finora «nessun tribunale aveva mai accolto la sentenza». Si accodano anche i,commenti, spesso superflui, dei politici di tutti gli schieramenti: da Luca Volontè dell’Udc a Emanuela Baio del Pd (per non parlare del Pdl) si parla di «omicidio» e «sconcerto». Marco Pannella, invece, è soddisfatto dalla sentenza, perché «questa è una concreta affermazione della civiltà giuridica»; Mina Welby (moglie di Piergiorgio, che ha dovuto combattere disperatamente per poter scegliere di morire) ritorna sulla necessità di una legge sul testamento biologico. Maurizio Mori, presidente per la Consulta di bioetica, accoglie di buon grado quello che considera un momento di «crescita civile» per il paese, e l’associazione Coscioni parla di «sentenza storica».



In ogni caso il dado è tratto: «Ora comincia una strada verso una dimensione umana, perché prima è stato un inferno», commenta il signor Englaro; adesso spetta a lui scegliere se procedere immediatamente con la sospensione dell’alimentazione forzata o aspettare il termine di legge di sessanta giorni durante i quali si può procedere con un ricorso alla sentenza. In ogni caso, come da sentenza, il provvedimento è immediatamente efficace e può essere attuato. Dopo 16 anni di battaglie, per il padre di Eluana questa non è una vittoria personale, «ma un passo in avanti dello stato di diritto» e un’affermazione delle volontà della ragazza. Un vero passo in avanti, forse anche per chi si ostina ad antepone «il mistero della vita» al rispetto per gli altri esseri umani.



Il testamento biologico è un documento scritto che ha il compito di salvaguardare la volontà dei sottoscrivente In materia di trattamento medico soprattutto quando si è impossibilitati a comunicarla. Con il testamento si chiede la sospensione di provvedimenti medici definiti di «sostegno vitale» come: rianimazione cardiopolmonare, alimentazione artificiale, ventilazione assistita e qualsiasi cura attuata, a giudizio di due medici, di quali uno specialista, con il solo scopo di prolungare la vita in stato vegetativo, o al fine di mantenere uno stato di coscienza permanente o di demenza. È possibile interrompere la terapia anche nel caso di totale paralisi con incapacità a comunicare. È inoltre previsto l’utilizzo di cure palliative per le persone affette da patologie allo stadio terminale, come la somministrazione di farmaci oppiacei al fine di alleviare le sofferenze del malato e anticiparne la fine della vita. La legge italiana non ha sancito la validità del testo.

Marino: «Soddisfatto, ma ora serve il testamento biologico»

Marino: «Soddisfatto, ma ora serve il testamento biologico»

Il Messaggero del 10 luglio 2008, pag. 2

di C.Ma.

Ignazio Marino, capogruppo Pd in commissione Sanità al Senato, dice di parlare come uomo, come medico e come politico. E di questa sentenza, dice, è soddisfatto a metà. «Anche se la decisione del tribunale di Milano è rilevante e giusta».

Perché soddisfatto a metà?

«Perché dopo tre legislature, siamo alla quarta, nulla è stato deciso sul fine vita, sull’alleanza terapeutica, sul testamento biologico».

Voi, nello scorso governo, eravate arrivati a stendere un testo sul testamento biologico accettato da più posizioni, o no?

«Sì, ma ora si deve ricominciare a discutere. Il testamento non dovrebbe far paura a nessuno. Si tratta solo di avere una legge che permette, a chi lo voglia, di dare indicazioni verso una parte o verso un’altra».

Vuol dire che qualcuno potrebbe lasciare scritto che vuole essere curato oltre il limite di un ragionevole risultato terapeutico?

«Ognuno può decidere come crede. Si tratta solo di dare la possibilità di scelta a chi vuole scegliere. Nulla viene imposto».

C’è chi paventa l’eutanasia in quella scelta.

«Avere a disposizione il testamento biologico non significa legittimare un piano inclinato verso l’eutanasia. Contro la quale mi sono sempre battuto e sempre mi batterò».

In questa situazione, dunque, non si poteva che far decidere il tribunale?

«Il tribunale ha fatto il suo lavoro. In altri paesi, come gli Stati Uniti, è dalla fine degli anni Settanta che non sono più i giudici a decidere ma esistono leggi quotidianamente applicate negli ospedali».

Si decide di non alimentare più il paziente in stato vegetativo?

«Da trent’anni c’è l’abitudine a chiamare la famiglia del paziente, ad in formarla sullo stato reale del paziente e a far capire che la situazione non può più mutare».

Che non è più possibile prolungare l’agonia?

«Sospendere una serie di atti è ben diverso dal procurare la morte volontariamente. Troviamo la stessa cultura nel catechismo firmato da Ratzinger».

A che cosa si riferisce?

«A quando si parla della legittima sospensione di terapia straordinaria e sproporzionata rispetto ai risultati ottenuti».

La vedova di Welby: «Giustizia è fatta»

La vedova di Welby: «Giustizia è fatta»

Il Messaggero del 10 luglio 2008, pag. 3

Mina Welby, vedova di Piergiorgio: «Giustizia è fatta». «Dispiace - aggiunge - che ci siano volute così tante sentenze. Ora vorrei che il Parlamento facesse una legge sul testamento biologico. Una legge che eviti tanti accanimenti terapeutici e tanti dubbi dei medici». «Credo che anche per Beppino sia la fine di una tortura. Avrebbe la possibilità di elaborare il lutto della figlia, di avere una tomba su cui portare un fiore invece di un corpo in un letto dove non avrebbe dovuto essere».

La vedova Coscioni: sentenza storica che apre nuove vie

La vedova Coscioni: sentenza storica che apre nuove vie

Il Mattino del 10 luglio 2008, pag. 3

di Carla Di Napoli

Il pronunciamento dei giudici di Milano è importantissimo, perché rispetto a tutte le vicende del passato marca una differenza. Fondamentale». Maria Antonietta Coscioni, presidente dell’associazione Luca Coscioni e deputato Pd in quota Radicali, si allinea alla sentenza milanese che autorizza i medici a sospendere il trattamento che mantiene in vita Eluana da 16 anni.



Perché la sentenza che riguarda Eluana ha un valore così particolare rispetto agli altri casi?

«La questione è questa: Eluana non è attaccata a un ventilatore come lo era Piergiorgio Welby, perfettamente cosciente nella malattia. Eluana ha gli occhi semiaperti ma è solo un corpo cosciente, che resta tale da 16 anni grazie a un sondino naso-gastrico che la alimenta artificialmente. La sua è una vita solo vegetativa. La volontà della ragazza è stata però ascoltata ugualmente per voce del padre».



Per il Vaticano, però, si tratta di una sentenza grave.

«Il fatto è che procedure di assistenza come l’alimentazione e l’idratazione artificiali prima di oggi non erano considerate trattamenti invasivi. Ora invece è stato deciso che lo sono, anche nei soggetti con gli occhi vigili ma allo stato vegetativo».





Ha sentito il papà di Eluana? «Sì, sono in stretto contatto con Beppino Englaro, perché lui ha sempre riconosciuto la serietà della nostra associazione, e insieme abbiamo plaudito a questa apertura grande».

Lei da sempre insegue una legge che introduca il testamento biologico tra i diritti delle persone. Come condurrà ancora questa battaglia?

«Nella scorsa legislatura ho depositato un progetto di legge in materia di "dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari", di cui sono la prima firmataria. Preferisco dire dichiarazione anticipata e non testamento biologico. Poi c’è stato il blocco da parte dei censori della vita a tutti i costi».



E ora?

«Ho ripresentato questa legge. Cercherò consensi trasversali in tutti e due gli schieramenti. Esistono persone che non vogliono pronunciarsi sulla loro morte né scegliere in alcun modo, altre che non accettano di vivere in coma vegetativo. Occorre prevedere tutt’e due le opzioni».

La Costituzione ha salvato Eluana

La Costituzione ha salvato Eluana

Liberazione del 11 luglio 2008, pag. 1

di Maria Luisa Boccia
La sentenza Englaro non è la prima che legittima la scelta di metter fine a terapie e macchine che tengono in vita. In Italia vi sono state quelle per Vincenza Santoro Galani, che ha chiesto ed ottenuto dal giudice di rifiutare terapie che non le avrebbero evitato la morte. Quella che ha legittimato "a posteriori" l'intervento dell'anestesista Riccio per Piergiorgio Welby. E quella che ha prosciolto Carlo Sini il medico curante di Giovanni Nuvoli, che come Welby non voleva più vivere attaccato al respiratore e al sondino. Ma la sentenza dei giudici di Milano è forse la più importante. Almeno dal punto di vista del diritto.
E' nota la lunga e tormentata vicenda giudiziaria. Sedici anni e numerose sentenze che respingono la richiesta del padre di Eluana Englaro di rispettare la sua volontà di non essere tenuta in vita con le macchine. Poi la svolta, con la sentenza della Cassazione nell'ottobre '07 che rinvia al giudice di merito, con precise motivazioni. Una è quella decisiva. Afferma la Corte che «la dignità della persona» va rispettata, quale che sia il modo di intenderla e di viverla della singola donna o del singolo uomo. Per alcuni/e questa dignità è legata ad un vissuto di esperienze e coscienza, per altri/e degna è la vita biologica in se stessa. Quello che conta, per la Corte, è acquisire «elementi chiari, concordanti, convincenti» che diano voce alla persona. E' questo che il tribunale di Milano era chiamato a fare. Ha accertato qual era la dignità della vita per Eluana e ha autorizzato a sospendere ogni trattamento.
Non si apprezza a pieno l'importanza di questa decisione se non si considerano insieme le due sentenze, quella di legittimità e quella di merito. Non solo perché senza la prima non vi sarebbe stato modo di procedere sul piano giudiziario. Almeno in Italia. Ma perché è la Corte che ha fornito i riferimenti giuridici, grazie ai quali il giudizio di merito è stato favorevole alla scelta di Englaro.
La decisione della Corte va oltre il caso specifico. Secondo la massima autorità il nostro sistema di norme riconosce già l'autodeterminazione soggettiva in questa materia.
Per renderla effettiva, e dunque per autorizzare chi ha in cura ad operare in tal senso, è sufficiente accertarla. Non solo. Questo è possibile farlo, anche nelle situazioni più delicate e controverse, come è quella del coma vegetativo.
Per ultimo. Le norme sulle quali poggiano la sentenza della Corte, e poi quella di Milano, sono di rango costituzionale, quindi non possono essere disattese o violate da leggi ordinarie.
Cosa dire, allora, dei due anni di discussione in Parlamento, finiti nel nulla, sul testamento biologico?
Colpisce, soprattutto, la strumentalità del conflitto sui valori. Che piega, strumentalizza appunto, la legge ad una concezione etica. A partire dal valore della vita, indisponibile anche - soprattutto? - per chi la incarna. A seguire su cosa è eutanasia e cosa accanimento terapeutico. Su cosa rientra nel diritto soggettivo e cosa nella responsabilità del medico. Etc, etc… E' strumentale, perché ignora le vicende concrete, umane, attorno alle quali pure si accende la contesa. E perché ignora i principi e le norme che vi sono e che potrebbero e dovrebbero orientare l'opera del legislatore.
Si è discusso infatti come se fossimo in un vuoto legislativo. Come se le frontiere inedite delle tecnologie e della medicina, ci trovassero del tutto sguarniti. Privi di ogni riferimento, di ogni principio. Invece non è così. Il principio dell'autodeterminazione comprende anche la scelta di non essere sottoposto/a a trattamenti sanitari che non si vogliono. E' garantito dalla Costituzione. E può dare risposta anche a problemi e situazioni fino a ieri impensabili. Basta saper leggere la Carta con gli occhi del presente. E non ossificarla nel passato, per svuotarla.
Ha ragione Umberto Veronesi: della legge si può anche fare a meno. Basta compilare una dichiarazione sulle cure che si vogliono o no ricevere, in caso di perdita della capacità di intendere e volere.
La sentenza di Milano dimostra che si può giudicare nel merito, perfino in assenza di questa carta. Ma se non si vogliono impiegare decenni, carichi di sofferenze, di energie e di risorse, la legge può servire. Se non altro come stimolo ad ognuno/a a mettere nero su bianco qual è la sua scelta. E però, visto il Parlamento che abbiamo, ci dà forza sapere che vi è già modo di far valere una scelta come quella di Eluana Englaro.
«Mia figlia è libera». In queste parole di Beppino Englaro è racchiuso il senso di quello che nei tanti discorsi sulla bioetica si tende a coprire. Libera di morire come avrebbe chiesto, se avesse potuto farlo. Sì, ma non solo questo. Libera, senza aggiunte, specificazioni, contenuti che definiscono e limitano. Libera di essere e pensare da sé. Senza dover ritagliare il senso e l'esperienza della libertà, secondo una concezione imposta dall'alto e dall'esterno della vita e della dignità umana.

Quei giudici non hanno invaso il campo

Quei giudici non hanno invaso il campo

Corriere della Sera del 14 luglio 2008, pag. 32

di Benedetto Della Vedova

Caro Direttore, ha ragione Pierluigi Battista, il silenzio della politica italiana sui temi della biopolitica è surreale; più del fracasso ideologico di pochi mesi fa. Oltre le convenienze del momento, infatti, i temi etici sono e saranno uno dei fuochi della politica, lo si voglia o no. Il Pdl giocherà intorno ad essi il proprio destino di forza moderata, liberale e pragmatica sulla scia dei grandi partiti popolari europei, oppure di forza poderosamente conservatrice quando non genuinamente confessionale.



Un partito «anarchico» sulle questioni etiche, per usare l’espressione di Berlusconi, è una forza liberale che non rifugge dagli interrogativi ma rifugge dallo statalismo etico. Un partito che difende i valori della libertà e della dignità dell’individuo e il pluralismo etico-culturale della società ascoltando quello che matura nelle coscienze degli elettori piuttosto che cercando di promuovere o imporre (anche in sede legislativa e, perché no, nelle scelte di governo) una sua propria piattaforma valoriale. Un partito non anarchico, da questo punto di vista, non assomiglierebbe ad un partito «capace di decidere», ma ad un «partito etico». Non credo che gli elettori del Pdl, nel loro variegato insieme, lo desiderino.



Sul futuro del nostro schieramento, Eugenia Roccella ha più certezze di me quando dice che il centrodestra sta elaborando una nuova cultura politica che superi il liberal-liberismo. Rinnovare la cultura politica del Pdl è un compito necessario nel quale tutti dobbiamo cimentarci. Ma l’auspicato superamento degli «schemi» non può sfociare nel frettoloso abbandono del berlusconismo, quell’esperienza - anticipatrice anche rispetto all’Europa che ha saputo coniugare le tradizioni riformatrici laiche, liberali e socialiste con quelle del cattolicesimo liberale. Ponendo al centro la libertà e la responsabilità personale in tutti gli ambiti, da quelli economici a quelli civili. Il Pdl potrà essere un grande partito a vocazione maggioritaria se saprà parlare a tutti gli elettori, rispettando gli spazi di libertà di ognuno e interpretando il desiderio di innovazione civile e sociale della gran parte di essi. E a ciò uniformando non il proprio silenzio sui temi etici, ma la propria capacità di scelte non ideologiche e rispettose della pluralità delle convinzioni e delle ispirazioni. Sul caso della famiglia Englaro, non vedo alcuna invasione di campo da parte della corte d’appello di Milano. L’assenza di una legge sul testamento biologico non può cancellare il diritto fondamentale alla libertà di cura e la possibilità - di fronte ad una legislazione lacunosa - di ricorrere ad un giudice.



Nessuno vuol guardare alla libertà di cura come ad un feticcio: nessuna legge sul testamento biologico consentirebbe mai di impedire un trattamento sanitario rispetto a situazioni reversibili e sanabili. Ma la discussione sulla incerta frontiera tra la vita e la morte è complessa e l’illusione di potere giungere a soluzione ricorrendo ad un principio assoluto è sempre e comunque sbagliata.



Ora si dice che non è certa la volontà di Eluana ma a dirlo sono quanti continuano in ogni modo ad ostacolare o a ritenere superflua l’approvazione di una legge sul testamento biologico, che invece renderebbe più facilmente accertabile la volontà del paziente. Molti di questi, peraltro, ritenevano che la lucida volontà espressa di Piero Welby fosse irrilevante e che la decisione del medico che vi aveva dato attuazione fosse da considerare alla stregua di un omicidio volontario.

NOTE

deputato del Pdl

Caso Englaro, ovvero la fatica di morire

Caso Englaro, ovvero la fatica di morire

Avanti! del 15 luglio 2008, pag. 1

di Venerio Cattani

In Italia è una fatica non solo vivere, ma anche morire. E basti ad esempio la tragica storia della povera Eluana, la ragazza in coma vegetativo da sedici anni, alla quale finalmente è capitato un magistrato di buonsenso, che ha sentenziato di lasciarla morire, ma non basta.



Non basta l’invocazione ripetuta e pressante del padre, brava e coraggiosa persona, che da anni chiede che, vista la manifesta impossibilità di ripresa, vista la volontà manifestata a suo tempo dalla ragazza (che aveva assistito al calvario di un amico in coma nelle medesime condizioni), visto l’inutile trascorrere degli anni, si lasci alla figlia la possibilità di lentamente naufragare nel nulla. Non basta il consenso del suo medico curante, che assiste Eluana da sedici anni e si dichiara disposto a praticare con scienza e coscienza il triste distacco. In Italia occorre ben altro. La Chiesa grida all’omicidio; all’ospedale si oppongono i medici obbiettori di coscienza; le brave suore che la curano e la tengono in vita (chiamiamola vita), decidono con beata incoscienza: "È ancora così bella, lasciatela a noi". E c’è Giuliano Ferrara, al quale da qualche tempo ha evidentemente dato di volta il cervello (non gli è bastata la disavventura elettorale sull’aborto), che accorre con le bottiglie di acqua minerale per dissetare la poveretta. Col che, come sempre da noi, anche la più penosa delle tragedie assume risvolti di comicità.



Così dopo le vicende Welby, Coscioni, Nuvoli e orinai sempre più numerose altre, si aggiunge una storia di vita e di morte. Il direttore de "Il Riformista", Antonio Polito, suggerisce ai legislatori di lasciar perdere: i viventi non sono in grado di giudicare come si debba o non si debba morire. La tesi è suggestiva, ma non ci soddisfa. La prospettiva di vivere infinitamente, anni e anni, una vita puramente vegetativa, meccanica, condizionata dal funzionamento di una macchina, è terrificante. E tanto più se dentro un corpo immobilizzato fosse rimasto un barlume di vita, di sensibilità. Penso a me stesso, se colpito da ragazzo, avessi dovuto invecchiare anno dopo anno senza alcuna reazione, magari costretto ad ascoltare senza poter rispondere. Quale peggior tortura si potrebbe immaginare, peggiore di qualunque morte? E anche ammesso di poter tornare "alla luce", a muovere gli occhi o una mano, dopo dieci, sedici, vent’anni, che senso avrebbe riprendere una vita del genere, a qual fine? Sarebbe assai peggio che uscire da un ergastolo, nel quale dopo tutto hai potuto leggere un giornale, ascoltare una radio, vedere una televisione, scambiare due chiacchiere col carceriere. Questo sarebbe un ritorno, sia pur doloroso e difficile, alla vita; l’altro sarebbe una resurrezione dalla tomba, e non dopo tre giorni, come il Galileo, ma dopo trent’anni. Perciò, non possiamo accettare il suggerimento di Polito, di non farne nulla. Anzi, accelerare la legge, non sulla eutanasia, ma sul testamento biologico. Un testamento biologico a cui i medici siano tenuti ad attenersi nella misura del possibile: una manifestazione di volontà, chiaramente espressa, con la quale chi voglia sopravvivere fino all’estremo e anche oltre possa farlo, e chi voglia spicciarsela decorosamente e silenziosamente sia pure assistito a farlo. Che ognuno si scruti dentro e dica se è disposto a fare la fine di Eluana e anche quella del suo povero padre.

Ma l'alimentazione artificiale non è un accanimento?

Ma l'alimentazione artificiale non è un accanimento?

Liberazione del 15 luglio 2008, pag. 1

di Carlo Flamigni
Ho sotto gli occhi l'articolo di Francesco D'Agostino, scritto per l' Avvenire (11 luglio "Una sentenza di morte dai giudici. Ma si può?"). In realtà ho sotto gli occhi una quantità notevole di articoli scritti da cattolici di varia cultura e di differente mediocrità, ma da molti anni tendo a leggere quasi esclusivamente quello che scrive D'Agostino, almeno è intelligente. Di questo articolo mi limito a citare un passo: «E' sottoposta, Eluana - si chiede - ad accanimento terapeutico da parte delle suore che l'accudiscono? La risposta è No. Perché, come tutte le persone in coma, non soffre. Viene semplicemente alimentata e dissetata, atti essenziali, minimali, umanissimi di prossimità umana, portatori di un valore simbolico altissimo». Non atti terapeutici - sottolinea. D'Agostino ha un alto concetto di sé (non ha tutti i torti), ma qualche volta esagera. Qui decide che l'opinione della società scientifica internazionale, che sostiene da molto tempo che l'idratazione e l'alimentazione artificiale costituiscono a tutti gli effetti un trattamento medico pari a quello di altri sostegni vitali, non gli interessa. Fesserie.
E sì che la comunità scientifica internazionale non affronta il problema da un punto di vista ideologico - come invece fa D'Agostino - ma si limita a ricordarci che in realtà non si tratta di acqua e cibo, ma di composti chimici, di soluzioni e di preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici. Usare il linguaggio evocativo che i cattolici stanno utilizzando sull'argomento equivale a un infantile ricatto psicologico che consiste unicamente nel mettere in campo emozioni coinvolgenti: "se sei cattivo la mamma morirà di dolore", se ti tocchi Gesù piangerà.
Siamo seri: alimentare e idratare un corpo in stato vegetativo persistente non ha il minimo significato "simbolico e sociale di sollecitudine per l'altro", l'altro non abita più lì, quel corpo è vuoto. E comunque se valessero questi principi dovrebbero essere tenuti nello stesso conto altri trattamenti (ad esempio la respirazione artificiale), poiché se si accetta questa interpretazione dell'etica della cura non si può accettare come discriminante la natura più o meno tecnologica dei trattamenti.
E trovo aberrante e anche un po' ridicolo abbellire con parole poetiche atti medici niente affatto gradevoli, farli passare come inviti a cena sollecitati dal desiderio di compassione e di solidarietà: dimenticando di dire che poi il commensale viene nutrito con un clistere quotidiano, che gli si fa un bel buco nello stomaco per facilitare l'esecuzione dei nostri affettuosi atti simbolici. Né si può sorvolare sul fatto che l'idratazione e l'alimentazione artificiali non si trasformano mai in una forma di accanimento terapeutico, anche se in molti casi possono diventare forme di puro e semplice accanimento: questi corpi hanno una ridotta capacità di assimilazione, ma non è mai possibile indicare in astratto la soglia al di sotto della quale questa capacità diventa insufficiente e i nutrienti artificialmente somministrati non sono più in grado di modificare favorevolmente i parametri bio-umorali.
In realtà l'unico tema evocato dai cattolici che non abbia più o meno a che fare con la sacralità della vita è quello statistico, un po' miserabile ma per alcuni impressionante, relativo alle probabilità di risveglio. Proviamo a fare un inchiesta tra gli esperti e vediamo quanti di loro ritengano che per Eluana esista ancora un possibilità, una - diciamo - su un miliardo. O forse vogliamo chiamare in causa i miracoli? Non scherziamo. Per quanto mi sembra di capire, poi, neppure D'Agostino, campione cattolico di razionalismo, riesce a nascondere la vera ragione di questa incivile battaglia, la sacralità della vita, il principio della vita donata (prestata?) da Dio. Trovo veramente peculiare l'innocenza con la quale a partire da un postulato non dimostrabile - l'esistenza di Dio - le religioni ci ammanniscono una serie di conclusioni che vengono fatte passare come verità assolute e non discutibili e che tutti dovremmo accettare supinamente, indifferenti a quanto esse possano essere pregiudizievoli per la nostra libertà, i nostri principi, le nostre idee, la nostra dignità.
Vorrei essere molto esplicito, penso di essere giustificato da questa serie infinita di insopportabili provocazioni. Sono ateo, e non credo che la mia esistenza mi sia stata donata, prestata o venduta: se scoprissi che è così, sarei nei guai perché avrei ricevuto qualcosa che per me ha avuto valore - oggi ne ha molto di meno - da uno sconosciuto, e mia madre mi ha ripetuto ad libìtum, quando ero bambino, di non accettare regali dagli sconosciuti.
Sono ateo e sono convinto che il giorno della mia morte lascerò il mio corpo per sempre, e non per andare da qualche parte, la mia storia finisce lì. Ma se in quel corpo resterà un frammento di vita biologica, il mio desiderio è che venga lasciata spegnere naturalmente e, se possibile, nel più breve tempo possibile. E' in gioco la mia dignità, e per favore non mi spiegate cosa significa questa parola, ognuno ha il diritto di darle il significato che crede. Per me si tratta di una sorta di cenestesi dello spirito, e se mi invitate a cena vi spiegherò cosa voglio dire. In ogni caso la mia dignità esige che il mio corpo, pur vuotato di ogni contenuto importante, sia trattato con il rispetto che si deve a tutte le cose che hanno un valore simbolico: non posso immaginare che mia moglie debba assistere a queste forme di oscena violenza e che quando si ricordi di me veda sovrapposte al ricordo del compagno della sua vita le immagine tristi e sgradevoli di un corpo in sfacelo che è solo in grado di vegetare e che, se qualcuno non intervenisse, si decomporrebbe tristemente tra le sue feci e le sue urine. E' vero che, in base a qualche assurda credenza metafisica, potete impormi questa sgradevole fine; è anche vero che, se lo fate, io vi maledirò. Chissà. Potrebbe anche essere una minaccia reale, che ne sapete?

"Da 16 anni mia figlia invasa dalle mani degli altri è ora di lasciarla in pace"

"Da 16 anni mia figlia invasa dalle mani degli altri è ora di lasciarla in pace"

La Repubblica del 16 luglio 2008, pag. 15

di Piero Colaprico

Signor Englaro, sul corpo di una donna sembra combattersi una battaglia ideologica e religiosa. Perl ei, che di questa donna è il padre, come stanno le cose?

«Per me è un errore gravissimo parlare di corpo. Eluana era una persona, che andava e va vista nella sua interezza. Mia figlia da oltre sedici anni è invasa in tutto e per tutto da mani altrui, cosa che detestava dopo aver visto, nelle condizioni in cui è poi finita lei, Alessandro, un suo amico. Aveva acceso una candela in chiesa, perché quel ragazzo morisse».



Da Sydney, il presidente della Conferenza episcopale Bagnasco ha duramente criticato i giudici e parlato di morte per fame e sete...

«Le pare che i giudici del nostro paese siano al livello che dice il cardinal Bagnasco? E’ un’offesa alle istituzioni. Ci sono due sentenze, una della Cassazione, l’altra della Corte d’Appello. E credo che nemmeno lui le abbia lette sino in fondo, anche se sono su Internet. La chiesa è ovviamente sovrana di attenersi ai suoi principi religiosi, ma questa è, come dire?, una sentenza ad personam. Cioè è stato analizzato e affrontato non un criterio generale, un principio-guida, ma un caso specifico. Mia figlia non accettava di vivere in quelle condizioni, ma la rianimazione ha interrotto il percorso naturale, sono stati i protocolli rianimativi a creare questa sua innaturale situazione. E io ho dato voce a lei senza più voce».



Come padre e basta?

«Non sono mai stato strumentalizzato, né politicamente né ideologicamente. Sono stato nominato tutore di Eluana, è stato nominato anche un curatore speciale, sono state ascoltate varie testimonianze per stabilire la volontà e lo stile divita di Eluana. Inoltre, seconda questione, lei non ha e non avrà mai più coscienza di sé e del mondo esterno che la circonda. Non ha, non ha mai avuto e non avrà mai la sensazione della fame e della sete, non nella sua condizione. Non sente l’affetto. Sono tutte relazioni che risiedono nella parte nobile del cervello, nella corteccia cerebrale, che non esiste più. Lascio spazio a tutto campo, ma chi parla di cose che non c’entrano, come eutanasia, o di una condanna a morire di sete, dovrebbe sapere che cosa dice. Questa vicenda, dolorosa, è stata al massimo della limpidezza e della trasparenza da parte di tutti, nessuno escluso, e non ci sono zone d’ombra».



Molti politici sostengono che tocca a loro legiferare su materie tanto delicate, e non si può andare avanti a colpi di sentenza.

«Mia moglie ed io ci eravamo rivolti alle istituzioni, ma anche il professor Ignazio Marino insegna che ci sono volute quarantanove sedute per parlare del testamento biologico e non si è approdati a nulla. Sono andato nella direzione della magistratura, non avevo alternative. Dov’erano i politici che ora accusano i magistrati?».



Come mai per i magistrati ci sono voluti nove passaggi giudiziari?

«Il prezzo delle libertà fondamentali è stato questo, purtroppo, ed è stato pagato sulla pelle di Saturna e Beppino Englaro, con un estremo approfondimento clinico e giuridico. Ma, alla fine, ci sono stati dei giudici che hanno garantito a mia figlia quello che la Costituzione stabilisce, e cioè il diritto del malato a rifiutare le cure, senza discriminazione per la sua condizione di essere capace o incapace di intendere e volere. Quello che non c’era prima di noi, nella giurisprudenza, ora - perquello che riguarda il caso specifico di Eluana, non per qualunque persona - c’è. I cittadini italiani devono essere fieri di magistrati che rendono possibile uno stato di diritto».



Il decreto dice che si può staccare il sondino, ma non è così facile, no?

«Il problema è l’attuazione nel più rigoroso rispetto di quanto espresso nella sede giurisdizionale, che si è occupata di questo primo e unico caso. Su quanto farò non voglio scendere in dettagli, a un certo punto questa vicenda dovrà rientrare nella privatezza che le è dovuta».



La polemica sembra non finire mai, non è stanco?

«Qualcuno mi rimprovera, "che cosa vuoi ancora chiarire nel dialogo, nonostante sia uscito un decreto definitivo?", come se avessi chissà quale esigenza personale. In realtà, in certi casi, replicare è un dovere. Qua non ci sono "magistrati che procedono a dare consumazione a una vita per sentenza". E non posso far finta di non sentire che una storia come la nostra, cominciata con un incidente stradale il 18 gennaio del 1992, venga manipolata, in un senso o nell’altro. In 2008 anni della sua storia la Chiesa dovrebbe sapere quando è il momento di fermarsi, davanti al diritto inviolabile di una persona. E in questo non c’è né sfida, né polemica, è che occorre andare oltre».

«Subito il testamento biologico l'Italia non può aspettare oltre»

«Subito il testamento biologico l'Italia non può aspettare oltre»

Liberazione del 16 luglio 2008, pag. 4

di Tonino Bucci
Dopo la sentenza sul caso Eluana via libera al testamento biologico? La Chiesa si infuria. Le reazioni sono su tutti i giornali. Un commento lo chiediamo a Demetrio Neri, membro del comitato nazionale di bioetica.

Potrebbe essere il momento buono per avere il testamento biologico anche in Italia. O no?
Lo spero. Da un punto di vista storico il testamento biologico - che è legge in California fin dal 1976 - è nato per affrontare questi casi in cui altrimenti noi dovremmo cercare di ricostruire attraverso le testimonianze la volontà delle persone, come è stato fatto nella vicenda di Eluana. Con tutte le difficoltà e i dubbi del caso. Oppure dovremmo fare come in Inghilterra. C'è stato il caso famoso di Tony Bland. Lì la Corte dei Lords ha giudicato sulla base del principio del migliore interesse della persona senza ricostruire la volontà del paziente. Si è chiesta: ma noi tenendo in vita il corpo in queste condizioni stiamo realmente facendo l'interesse migliore della persona? Sono procedure che da un punto di vista giuridico suscitano entrambe perplessità. Il testamento biologico è stato fin dall'inizio consigliato per poter avere una testimonianza di prima mano della persona stessa. Se in futuro vogliamo avere meno casi come quello di Eluana, dobbiamo favorire questo strumento. Se il nostro parlamento riprendesse la discussione che si è interrotta nella precedente legislatura, farebbe una cosa ottima.

Quale sarebbe una buona legge?
Ce l'hanno già in Francia e in Spagna. Sarebbe augurabile anche da noi. Non possiamo pensare che sia la magistratura a decidere su ogni singolo caso. Ci vuole una legge che permetta a ognuno di noi, quando è ancora in buona salute, di lasciare delle disposizioni. Il problema che nella scorsa legislatura ha intralciato i lavori riguarda quali trattamenti si possano rifiutare. Se per ipotesi fosse passata la legge Binetti il caso di Eluana sarebbe rimasto comunque fuori - a prescindere dal fatto che Eluana non ha lasciato alcun testamento. Prevedeva che il paziente non potesse dare disposizioni riguardo all'idratazione e all'alimentazione artificiali. E' un errore gravissimo. A una persona adulta e consapevole non si possono imporre divieti su quali trattamenti voglia o non voglia rifiutare. Dire poi che l'idratazione e l'alimentazione artificiali non siano trattamenti medici è una sciocchezza dal punto di vista scientifico.

I malumori della Chiesa possono mettere in discussione la sentenza?
Da un punto di vista giuridico credo di no. Di queste reazioni mi meraviglia il carattere ideologico. Si fa della questione un problema generale di confine della libertà. C'è gente che non vuole un allargamento della libertà. Nella guida per operatori sanitari del Pontificio consiglio della pastorale degli operatori sanitari del 1994 c'è scritto che anche l'idratazione e l'alimentazione artificiale possono diventare un trattamento gravoso per il paziente e che quindi l'interruzione, in questo caso, non configura eutanasia. Quando i cattolici dicono che questa è eutanasia, è segno che non hanno letto i documenti della loro Chiesa che su questa materia è probabilmente molto più umana di quanto loro stessi suppongano per ragioni puramente di schieramento ideologico.

Eluana che ha perso il gusto della vita Ora lasciatela in pace

Eluana che ha perso il gusto della vita Ora lasciatela in pace

Liberazione del 16 luglio 2008, pag. 4

di Maurizio Mori
Mi ero riproposto di aspettare a rispondere alle varie critiche e replicare alla fine. Ma le parole del cardinal Bagnasco sono di una gravità tale che esigono una risposta immediata. Il cardinale ha affermato che togliere ad Eluana «nutrimento è come togliere da mangiare e da bere a ciascuno di noi». Questo modo di descrivere la realtà non è corretto, anzi la distorce e gravemente, al punto da risultare fuorviante. Infatti, ad essere precisi Eluana ha smesso di "mangiare e bere" come ciascuno di noi il 18 gennaio 1992, oltre sedici anni fa. Questo per a semplice ragione che l'espressione "mangiare e bere" indica consumare un pasto, ad esempio un piatto di pasta con un buon bicchiere di vino, magari in compagnia simpatica e gioiosa e scegliendo quel che più ci pace! "Mangiare e bere" è provare emozioni, gustare i cibi coi loro sapori e profumi, le temperature giuste, è scegliere il piatto giusto abbinando i gusti. Eluana non fa nulla di tutto questo, e per via dello stato vegetativo permanente non sarà mai più in grado di farlo. Eluana, quindi, non "mangia e non beve", come non "fa" nulla: le vengono semplicemente iniettate le terapie nutrizionali, ossia un'insieme vario di sostanze chimiche che consentono all'organismo di continuare a vegetare.
Eluana non prova sapori, non sente profumi, come non sente la temperatura di ciò che le viene iniettato. Non sceglie neanche, né cosa vuole mangiare e bere, né, tantomeno, se vuole o no mangiare e bere. Non può neanche rifiutarsi che le iniettino le terapie nutrizionali: subisce solo, e passivamente. Se potesse, per il suo carattere volitivo, certamente direbbe: "No basta, non voglio!". Lo ripetono da anni entrambe i genitori, e soprattutto Beppino. Ma quando va bene viene compatito, o anche dipinto come un irresponsabile.
Eluana non "mangia e beve", come non "fa" nient'altro. C'è un sondino che "fa" tutto per lei, senza che lei possa opporre resistenza, e ci sono i medici che provvedono a dosare i farmaci nutritivi adeguati per evitare scompensi di sorta. Né vale dire che la situazione di Eluana è simile a quella dei neonati allattati col biberon, per i quali "mangiare e bere" non comporta le azioni che facciamo noi, ossia prendere il cibo e le bevande, portarle alla bocca. Basta proporre l'analogia, che subito diventa chiaro perché non vale. Un infante non fa alcune azioni tipiche del mangiare, ma certamente gusta i cibi, tanto che si capisce bene quelli che preferisce e quelli che non apprezza. L'infante "mangia e beve" perché assume il cibo "facendo": misura l'intensità delle poppate, rifiuta i gusti sgradevoli e "fa" tante altre cose come facciamo noi. Ecco perché l'analogia risulta invalida: ciò che subisce Eluana circa la terapia nutrizionale è qualcosa di essenzialmente diverso anche dal "mangiare e bere" che fa un infante.
Quando il cardinal Bagnasco dice che togliere ad Eluana il «nutrimento è come togliere da mangiare e da bere a ciascuno di noi» usa le parole non in senso descrittivo, per descrivere la situazione, per argomentare e ragionare su un problema serio da esaminare con attenzione. Al contrario, le usa per evocare sentimenti profondi, per suscitare emozioni di ribrezzo, per pescare nella sfera istintiva. All'ascolto di quelle parole, o alla loro lettura, ciascuno di noi ha delle associazioni diverse: chi le associa al conte Ugolino dantesco, chi alle fotografie dei bimbi in Biafra, chi ad altre immagini altrettanto raccapriccianti. Di qui il senso di sgomento che atterrisce. Quelle parole non sono pronunciate per favorire il ragionamento fatto con la dovuta freddezza e razionalità, ma sono lo squillo di tromba che segnala che è giunto il tempo di attaccare a testa bassa senza sentire ragioni. Sono una chiamata a raccolta a difesa della sacralità della vita, che avendo perso credibilità sul piano logico e razionale deve ricorrere alle emozioni profonde insite nelle sfere profonde e sollecitate dallo sconcerto provato da molti per i progressi della scienza.
A guardare le cose razionalmente, le sostanze nutritive iniettate in Eluana non sono affatto "mangiare e bere", ma sono il risultato della "terapia nutrizionale". Il caso Riccio-Welby ci ha insegnato che la Costituzione italiana prevede che le terapie sono volontarie nel senso che non possono essere imposte all'interessato. Al di là dell'aspetto giuridico ci sono ottime ragioni etiche a sostegno del diritto di autodeterminazione delle persone, che è semplicemente un'estensione delle libertà civili proprie dei cittadini moderni. Come ogni altra terapia, quindi, anche la terapia nutrizionale può essere sospesa ove l'interessato lo richiedesse.
È vero che Eluana non può più farlo, ma ci sono inconfutabili testimonianze che l'avrebbe certamente fatto. Per questo la Corte d'appello di Milano ha consentito la sospensione della terapia nutrizionale. Chi obietta che manca una firma scritta a comprovare la volontà di Eluana solleva un ostacolo da Azzeccagarbugli. L'esercizio dei diritti civili deve essere agevole e per tutti, siano di destra o di sinistra. Guai se fosse appesantito da burocrazia: chi invoca i sigilli della burocrazia lo fa perché non ha ancora digerito i diritti civili e continua a vivere secondo lo schema medievale di un obsoleto diritto naturale privo di ogni fondamento. Non avendo poi argomenti razionali per sostenere la posizione, si affida alle emozioni profonde suscitate da parole fuorvianti come quelle pronunciate dal cardinal Bagnasco.

NOTE

Presidentedella Consulta di BioeticaUniversità di Torino

La ritrovata dignità di Eluana

La ritrovata dignità di Eluana

Corriere della Sera del 16 luglio 2008, pag. 34

di Silvio Viale

Caro Direttore, replicando a Pierluigi Battista, il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella scrive che «il caso di Eluana Englaro non è il prodotto di un’incertezza della politica, ma di un’invasione di campo della magistratura».i Direi che è proprio il contrario. La magistratura ha dovuto sopperire all’assenza della politica, a meno che per la Roccella una persona in stato vegetativo perda anche, il diritto di rivolgersi alla magistratura. Proprio lei che ritiene che Eluana sia pienamente in vita. Non essendo un caso giunto improvvisamente alla ribalta, un osservatore attento avrebbe dovuto ritenere possibile che la Corte di appello superasse i pregiudizi delle sentenze precedenti, approfondendo l’accertamento sulla volontà di Eluana e stabilendo, come la scienza medica afferma, che l’alimentazione forzata sia da considerarsi una vera e propria terapia. Siamo sempre di più in presenza di una giurisprudenza consolidata sul diritto a rifiutare le cure, sebbene la Convenzione di Oviedo, ratificata nel 200Ì, attenda ancora in Parlamento di essere applicata.



Eugenia Roccella ammonisce che la «sentenza introduce in Italia qualcosa di molto simile all’eutanasia», ma purtroppo non è così. Pur riconoscendo il diritto a morire bene, rifiutando le terapie, essa non si spinge ad affermare che ciò debba avvenire nel modo migliore, ma prescrive solo come accompagnare in modo «palliativo» il periodo che intercorre tra la sospensione della terapia e l’accertamento legale dell’avvenuta morte. Se avesse autorizzato l’eutanasia, un medico come me potrebbe intervenire per accelerare la morte cardiaca, senza lasciare trascorrere i 14 giorni prevedibili, evitando il protrarsi di una stato teorico di sofferenza ulteriore per Eluana e per i suoi famigliari. Allo stesso modo non è stata eutanasia il distacco del respiratore di Piergiorgio Welby, aiutato dalla sedazione, e non lo è stata la sospensione dell’alimentazione artificiale di Giovanni Nuvoli, sebbene le cure palliative abbiano attenuato la sofferenza. Meno ancora sarà eutanasia per Eluana, poiché il suo stato di coscienza è irrimediabilmente compromesso. Se la sospensione della terapia per Eugenia Roccella è già eutanasia, per me lo è comunque in modo, imperfetto, trattandosi di una soluzione surrogata, che rende lecito il lasciarsi morire, ma impedisce di farlo nel modo migliore.



Eugenia Roccella si chiede: «Se Eluana è morta da 16 anni, allora, perché non autorizzarne sin da subito l’espianto degli organi? Perché non allargare il criterio della morte a chi è in stato vegetativo permanente?». Accettando la provocazione, l’osservazione è pertinente e merita una risposta, simile a quella che si sarebbe data agli scettici quando si cominciò a parlare di morte cerebrale in presenza di un cuore vivo e battente. Ancora oggi una parte dei cittadini rimane sospettosa e notizie incontrollate continuano a diffondere il mito di prodigiosi risvegli. Escludendo che la Roccella sia scettica sulla morte cerebrale e sui trapianti, si tratta di capire cosa avvenga negli stati vegetativi protratti. Come si sa con certezza, si verifica una specie di morte «corticale», con un danno irreparabile della corteccia cerebrale e la conseguente morte dello stato di coscienza, mentre le funzioni vegetative vengono mantenute. Tutto ciò dipende da dove avviene il danno e dalla sua ampiezza, per cui questi pazienti manifestano movimenti involontari e sembrano essere attenti. L’autopsia di Terri Schiavo Eluana è stata definita giustamente la Terri Schiavo italiana - ha confermato che il cervello pesava la metà del normale, con una atrofia corticale irrimediabile. Se la diagnosi può essere dubbia nei primi mesi, diventa certa.dopo due anni, irreversibile dopo cinque e una mostruosità dopo 15. Se è vero che nessun Paese riconosce ancora la morte corticale, è altrettanto vero che con le norme sul consenso e sulla volontà espressa dalla persona, senza tirare in ballo le leggi sull’eutanasia, in molti Paesi non si sarebbe lasciato arrivare il caso a 16 anni. E inevitabile che il progresso della medicina, quello che ha creato gli stati vegetativi, evolva verso il riconoscimento della morte corticale, come è stato per la morte cerebrale.



Infine Eugenia Roccella ci dice che «faranno di tutto perché il caso di Eluana non scivoli nel silenzio lamentato da Battista, non sia una morte burocratica». Cosa ci sia di non burocratico nel protrarre all’infinito uno stato vegetativo non lo so, ma di inevitabile c’è certamente il burocratico accertamento della morte anagrafica che conclude ogni vita biologica e ne affida il ricordo ai propri cari. In questi giorni ho visto gente riunita a pregare per Eluana, ufficialmente perché il buon Dio la tenga in vita, ma credo che la preghiera dei più sia perché il buon Dio la prenda presto con sé per riunirsi a ciò che è già lassù. Eluana non c’è più da anni. È rivissuta, grazie ai suoi genitori, nell’aula di una Corte, che le ha restituito dignità e volontà. Ora si tratta di aiutarla a morire definitivamente. Poi, quando la storia sarà finita, si tratterà di fare in modo che non cali il silenzio e che riviva nelle aule parlamentari affinché la prossima Eluana non debba attendere 16 anni per avere giustizia.

NOTE

medico di «Exit-Italia associazione per il diritto a una morte dignitosa»