Sconfitta l’ideologia della sofferenza
L'Opinione del 10 luglio 2008, pag. 1
di Alessandro Litta Modignani
Giunge la notizia, dal Palazzo di Giustizia milanese, che i giudici d’appello hanno deciso di consentire a Beppino Englaro di interrompere l’alimentazione artificialmente in vita sua figlia Eluana, in stato vegetativo permanente da oltre 16 anni. Per chi si riconosce nei valori del la libertà, della laicità e del pensiero razionale moderno, la prima preoccupazione è di evitare qualsiasi trionfalismo. Non è la vittoria di nessuno, sia chiaro. Né di Beppino Englaro, che pure vedrà finalmente giungere al termine la sua missione di padre amorevole, perseguita con mitezza, pazienza e tenacia; né di quanti – come chi scrive – si battono contro l’oscurantismo e il fanatismo religioso. Forse l’unica a vincere è Eluana: non il suo corpo di oggi, ridotto a una larva, ma la bella ragazza di allora, che abbiamo conosciuto attraverso le fotografie.
Ha vinto una giovane donna volitiva e sensibile che tanti anni fa, di fronte a questi problemi, affrontava la discussione in famiglia affermando con determinazione (ce lo raccontano i genitori e le persone amiche) che lei mai, davvero mai avrebbero voluto essere sottoposta a un trattamento simile, se una simile disgrazia le fosse successa. Quella Eluana ora sarà ascoltata: il suo corpo, ormai privo di quello spirito, potrà cessare di soffrire. Nessuna vittoria dunque, ma qualche sconfitta sì. Da questa vicenda escono sconfitti l’ideologia della sofferenza e l’accanimento di Stato. Meglio così. Sul piano giuridico, la sentenza della Cassazione dell’ottobre scorso aveva piantato alcuni paletti ben forti e chiari. Ne ricordiamo due in particolare. Il primo, fondato sul concetto di divieto assoluto di accanimento terapeutico; sarà questo un aspetto che farà scuola anche in altre situazioni analoghe.
Il secondo, incentrato sul principio del “consenso informato” per le cure, che in casi particolari – come questo – potrà essere concesso o negato anche per il tramite delle testimonianze dei parenti stretti e delle persone care. I giudici milanesi, evidentemente, non hanno potuto non tenere conto di questi indirizzi. Bisognava davvero aspettare 16 anni per giungere a queste conclusioni? Meglio non commentare. In queste ore Beppino Englaro, letteralmente preso d’assalto dai giornalisti di tutta Italia, chiede con mitezza un momento di riflessione e di tranquillità. Non saremo certo noi a negarglielo. E’ facile immaginare il suo turbamento in questo momento. Bisognerà attendere la sentenza per avere certezze, poi altri eventuali passaggi giudiziari. L’unica cosa che ora è lecito augurarsi, è che la presunta “autorità morale” della Chiesa cattolica non abbia la pretesa di mettersi in mezzo, per impedire che alle sofferenze di Eluana sia posto finalmente termine. Sarebbe davvero troppo. Chi non approva questa decisione si chiuda in preghiera, se crede, e lasci che la volontà di Eluana sia rispettata. Qualsiasi parola di condanna sarebbe blasfema.
L'Opinione del 10 luglio 2008, pag. 1
di Alessandro Litta Modignani
Giunge la notizia, dal Palazzo di Giustizia milanese, che i giudici d’appello hanno deciso di consentire a Beppino Englaro di interrompere l’alimentazione artificialmente in vita sua figlia Eluana, in stato vegetativo permanente da oltre 16 anni. Per chi si riconosce nei valori del la libertà, della laicità e del pensiero razionale moderno, la prima preoccupazione è di evitare qualsiasi trionfalismo. Non è la vittoria di nessuno, sia chiaro. Né di Beppino Englaro, che pure vedrà finalmente giungere al termine la sua missione di padre amorevole, perseguita con mitezza, pazienza e tenacia; né di quanti – come chi scrive – si battono contro l’oscurantismo e il fanatismo religioso. Forse l’unica a vincere è Eluana: non il suo corpo di oggi, ridotto a una larva, ma la bella ragazza di allora, che abbiamo conosciuto attraverso le fotografie.
Ha vinto una giovane donna volitiva e sensibile che tanti anni fa, di fronte a questi problemi, affrontava la discussione in famiglia affermando con determinazione (ce lo raccontano i genitori e le persone amiche) che lei mai, davvero mai avrebbero voluto essere sottoposta a un trattamento simile, se una simile disgrazia le fosse successa. Quella Eluana ora sarà ascoltata: il suo corpo, ormai privo di quello spirito, potrà cessare di soffrire. Nessuna vittoria dunque, ma qualche sconfitta sì. Da questa vicenda escono sconfitti l’ideologia della sofferenza e l’accanimento di Stato. Meglio così. Sul piano giuridico, la sentenza della Cassazione dell’ottobre scorso aveva piantato alcuni paletti ben forti e chiari. Ne ricordiamo due in particolare. Il primo, fondato sul concetto di divieto assoluto di accanimento terapeutico; sarà questo un aspetto che farà scuola anche in altre situazioni analoghe.
Il secondo, incentrato sul principio del “consenso informato” per le cure, che in casi particolari – come questo – potrà essere concesso o negato anche per il tramite delle testimonianze dei parenti stretti e delle persone care. I giudici milanesi, evidentemente, non hanno potuto non tenere conto di questi indirizzi. Bisognava davvero aspettare 16 anni per giungere a queste conclusioni? Meglio non commentare. In queste ore Beppino Englaro, letteralmente preso d’assalto dai giornalisti di tutta Italia, chiede con mitezza un momento di riflessione e di tranquillità. Non saremo certo noi a negarglielo. E’ facile immaginare il suo turbamento in questo momento. Bisognerà attendere la sentenza per avere certezze, poi altri eventuali passaggi giudiziari. L’unica cosa che ora è lecito augurarsi, è che la presunta “autorità morale” della Chiesa cattolica non abbia la pretesa di mettersi in mezzo, per impedire che alle sofferenze di Eluana sia posto finalmente termine. Sarebbe davvero troppo. Chi non approva questa decisione si chiuda in preghiera, se crede, e lasci che la volontà di Eluana sia rispettata. Qualsiasi parola di condanna sarebbe blasfema.
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