Quei giudici non hanno invaso il campo
Corriere della Sera del 14 luglio 2008, pag. 32
di Benedetto Della Vedova
Caro Direttore, ha ragione Pierluigi Battista, il silenzio della politica italiana sui temi della biopolitica è surreale; più del fracasso ideologico di pochi mesi fa. Oltre le convenienze del momento, infatti, i temi etici sono e saranno uno dei fuochi della politica, lo si voglia o no. Il Pdl giocherà intorno ad essi il proprio destino di forza moderata, liberale e pragmatica sulla scia dei grandi partiti popolari europei, oppure di forza poderosamente conservatrice quando non genuinamente confessionale.
Un partito «anarchico» sulle questioni etiche, per usare l’espressione di Berlusconi, è una forza liberale che non rifugge dagli interrogativi ma rifugge dallo statalismo etico. Un partito che difende i valori della libertà e della dignità dell’individuo e il pluralismo etico-culturale della società ascoltando quello che matura nelle coscienze degli elettori piuttosto che cercando di promuovere o imporre (anche in sede legislativa e, perché no, nelle scelte di governo) una sua propria piattaforma valoriale. Un partito non anarchico, da questo punto di vista, non assomiglierebbe ad un partito «capace di decidere», ma ad un «partito etico». Non credo che gli elettori del Pdl, nel loro variegato insieme, lo desiderino.
Sul futuro del nostro schieramento, Eugenia Roccella ha più certezze di me quando dice che il centrodestra sta elaborando una nuova cultura politica che superi il liberal-liberismo. Rinnovare la cultura politica del Pdl è un compito necessario nel quale tutti dobbiamo cimentarci. Ma l’auspicato superamento degli «schemi» non può sfociare nel frettoloso abbandono del berlusconismo, quell’esperienza - anticipatrice anche rispetto all’Europa che ha saputo coniugare le tradizioni riformatrici laiche, liberali e socialiste con quelle del cattolicesimo liberale. Ponendo al centro la libertà e la responsabilità personale in tutti gli ambiti, da quelli economici a quelli civili. Il Pdl potrà essere un grande partito a vocazione maggioritaria se saprà parlare a tutti gli elettori, rispettando gli spazi di libertà di ognuno e interpretando il desiderio di innovazione civile e sociale della gran parte di essi. E a ciò uniformando non il proprio silenzio sui temi etici, ma la propria capacità di scelte non ideologiche e rispettose della pluralità delle convinzioni e delle ispirazioni. Sul caso della famiglia Englaro, non vedo alcuna invasione di campo da parte della corte d’appello di Milano. L’assenza di una legge sul testamento biologico non può cancellare il diritto fondamentale alla libertà di cura e la possibilità - di fronte ad una legislazione lacunosa - di ricorrere ad un giudice.
Nessuno vuol guardare alla libertà di cura come ad un feticcio: nessuna legge sul testamento biologico consentirebbe mai di impedire un trattamento sanitario rispetto a situazioni reversibili e sanabili. Ma la discussione sulla incerta frontiera tra la vita e la morte è complessa e l’illusione di potere giungere a soluzione ricorrendo ad un principio assoluto è sempre e comunque sbagliata.
Ora si dice che non è certa la volontà di Eluana ma a dirlo sono quanti continuano in ogni modo ad ostacolare o a ritenere superflua l’approvazione di una legge sul testamento biologico, che invece renderebbe più facilmente accertabile la volontà del paziente. Molti di questi, peraltro, ritenevano che la lucida volontà espressa di Piero Welby fosse irrilevante e che la decisione del medico che vi aveva dato attuazione fosse da considerare alla stregua di un omicidio volontario.
NOTE
deputato del Pdl
Corriere della Sera del 14 luglio 2008, pag. 32
di Benedetto Della Vedova
Caro Direttore, ha ragione Pierluigi Battista, il silenzio della politica italiana sui temi della biopolitica è surreale; più del fracasso ideologico di pochi mesi fa. Oltre le convenienze del momento, infatti, i temi etici sono e saranno uno dei fuochi della politica, lo si voglia o no. Il Pdl giocherà intorno ad essi il proprio destino di forza moderata, liberale e pragmatica sulla scia dei grandi partiti popolari europei, oppure di forza poderosamente conservatrice quando non genuinamente confessionale.
Un partito «anarchico» sulle questioni etiche, per usare l’espressione di Berlusconi, è una forza liberale che non rifugge dagli interrogativi ma rifugge dallo statalismo etico. Un partito che difende i valori della libertà e della dignità dell’individuo e il pluralismo etico-culturale della società ascoltando quello che matura nelle coscienze degli elettori piuttosto che cercando di promuovere o imporre (anche in sede legislativa e, perché no, nelle scelte di governo) una sua propria piattaforma valoriale. Un partito non anarchico, da questo punto di vista, non assomiglierebbe ad un partito «capace di decidere», ma ad un «partito etico». Non credo che gli elettori del Pdl, nel loro variegato insieme, lo desiderino.
Sul futuro del nostro schieramento, Eugenia Roccella ha più certezze di me quando dice che il centrodestra sta elaborando una nuova cultura politica che superi il liberal-liberismo. Rinnovare la cultura politica del Pdl è un compito necessario nel quale tutti dobbiamo cimentarci. Ma l’auspicato superamento degli «schemi» non può sfociare nel frettoloso abbandono del berlusconismo, quell’esperienza - anticipatrice anche rispetto all’Europa che ha saputo coniugare le tradizioni riformatrici laiche, liberali e socialiste con quelle del cattolicesimo liberale. Ponendo al centro la libertà e la responsabilità personale in tutti gli ambiti, da quelli economici a quelli civili. Il Pdl potrà essere un grande partito a vocazione maggioritaria se saprà parlare a tutti gli elettori, rispettando gli spazi di libertà di ognuno e interpretando il desiderio di innovazione civile e sociale della gran parte di essi. E a ciò uniformando non il proprio silenzio sui temi etici, ma la propria capacità di scelte non ideologiche e rispettose della pluralità delle convinzioni e delle ispirazioni. Sul caso della famiglia Englaro, non vedo alcuna invasione di campo da parte della corte d’appello di Milano. L’assenza di una legge sul testamento biologico non può cancellare il diritto fondamentale alla libertà di cura e la possibilità - di fronte ad una legislazione lacunosa - di ricorrere ad un giudice.
Nessuno vuol guardare alla libertà di cura come ad un feticcio: nessuna legge sul testamento biologico consentirebbe mai di impedire un trattamento sanitario rispetto a situazioni reversibili e sanabili. Ma la discussione sulla incerta frontiera tra la vita e la morte è complessa e l’illusione di potere giungere a soluzione ricorrendo ad un principio assoluto è sempre e comunque sbagliata.
Ora si dice che non è certa la volontà di Eluana ma a dirlo sono quanti continuano in ogni modo ad ostacolare o a ritenere superflua l’approvazione di una legge sul testamento biologico, che invece renderebbe più facilmente accertabile la volontà del paziente. Molti di questi, peraltro, ritenevano che la lucida volontà espressa di Piero Welby fosse irrilevante e che la decisione del medico che vi aveva dato attuazione fosse da considerare alla stregua di un omicidio volontario.
NOTE
deputato del Pdl
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