venerdì 26 ottobre 2012

Malati terminali cercansi, l’ultima campagna shock

La Repubblica, 05.10.2012
Malati terminali cercansi, l’ultima campagna shock
“Spot con persone che vogliono l’eutanasia”. Mina Welby: orrendo ma necessario. Subito polemica
Caterina Pasolini


ROMA — «Cerchiamo malati terminali per ruolo da protagonisti. Fatevi vivi». Voce da spot pubblicitario e immagine fissa di un letto vuoto dove qualcuno poggia un contenitore col liquido che aiuterà per l’ultimo viaggio. Pubblicità choc, che colpisce come uno pugno allo stomaco. Volutamente. L’ha fatta l’associazione radicale Luca Coscioni, che ieri ha lanciato la sua campagna per rendere legale l’eutanasia. «Per impedire che siano altri a decidere per noi, in nome di Stati o religioni; per garantire libertà e responsabilità delle nostre scelte, drammatiche e felici. Fino alla fine ». Pochi secondi (verranno messi sul sito www.eutanasialegale. it, su You tube, social network e Ebay, ma sono pronti anche formati per giornali e radio) che hanno provocato polemiche e condanne bipartisan, da Beppe Fioroni del Pd a Eugenia Roccella del Pdl. Discussioni e dibattiti in questi giorni già tesi in cui si discute della legge sul testamento biologico, duramente contestata da laici e centrosinistra perché «non rispetta le volontà del malato e lascia l’ultima parola al medico».
«Cerchiamo malati terminali, ma anche attori disposti a recitare negli spot sulla libertà di scelta, perché il punto è sempre quello: il diritto di decidere sulla propria vita, su come essere curati e come morire». Filomena Gallo, presidente della Coscioni, annuncia l’avvio di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul diritto all’eutanasia e sul testamento biologico. «Siamo in uno Stato laico e non si può dover finire ogni volta in tribunale per vedere rispettati i propri diritti, violati per ignoranza o paura. Oggi chi aiuta un malato senza speranze a morire rischia dodici anni di carcere. Se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo darci da fare e farci sentire».
Già nel 2010 i radicali scelsero la via della provocazione mettendo in rete uno spot pro eutanasia girato dall’associazione Exit internazional. Immagini senza enfasi, senza toni da crociata: un attore raccontava la sua vita, fatta di scelte banali, quotidiane. Fino a quella finale. «Perché non ho scelto di essere un malato terminale, perché non posso mangiare, mi fa male come ingoiare lamette da barba, perché non ho scelto io che la mia famiglia viva questo inferno con me». Fotogrammi vietati in Australia, permessi in Canada e mai trasmessi in tv in Italia, dove provocarono dure reazioni.
Eugenia Roccella, Pdl, allora sottosegretario alla salute, sul nuovo spot è categorica: «C’è la libertà di drogarsi, guidare senza casco, uccidersi, ma non un diritto per legge, esigibile dal servizio sanitario. Questo annuncio mortifero non credo troverà clienti. I malati vogliono cure, assistenza, condivisione, solidarietà. Quasi sempre chi decide di farla finita si sente solo oppure un peso per gli altri. Dobbiamo aiutare i malati a vivere, non a morire».
Contrario all’iniziativa anche Fioroni del Pd: «Il tema della morte coinvolge in modo cosi profondo le persone che esige rispetto. Questo spot non è una provocazione, ma diventa offesa alle coscienze di molti. Io comunque dico no all’accanimento terapeutico come all’eutanasia».
Diversa la posizione di Mina Welby. Lei il dolore di lasciar andare una persona amata lo conosce bene, avendo rispettato con sofferenza il desiderio di suo marito Piergiorgio di staccare le macchine che lo legavano alla vita
dopo anni di completa paralisi, tranne un battito di ciglia che usava per comunicare. «Quando ho visto lo spot sono rimasta senza parole, non sono riuscita a dormite, tanto l’ho trovato duro. Poi ho pensato a quelli che mi chiamano, che vogliono farla finita
ma non hanno soldi per andare all’estero, che non ne possono più. E allora ho pensato che sì, anche questa comunicazione violenta ha un senso, perché se ne parli e si discuta di un problema reale e drammatico».

domenica 14 ottobre 2012

“Grace ha il diritto di morire” gli Usa e la nuova Terri Schiavo

La Repubblica,  06.10.2012
Ok dai giudici nonostante il no dei genitori: la ragazza ha chiesto di staccare la spina
“Grace ha il diritto di morire” gli Usa e la nuova Terri Schiavo


NEW YORK — La ragazza che vuole morire ha tutto il diritto di farlo. La più alta corte dello stato ha deciso che Grace Sung Eun Lee può fare staccare i tubi che la tengono ancora in vita per non si sa però più quanto: perché Grace è malata terminale di tumore al cervello, paralizzata dal collo in giù, e per lei non ci sono più speranze.
Grace è la nuova Terri Schiavo che divide l’America. Ma come nel caso di Terri Schiavo a dividersi è prima di tutto una famiglia. Grace ha 28 anni, fa l’analista finanziaria, e ha confessato ai medici del North Shore University Hospital, Manhasset, New York che non sopporta più di vivere così com’è: e dice basta all’accanimento terapeutico. Ma i suoi genitori si oppongono. Sono immigrati coreani e sostengono che staccare i tubi è contro la loro religione: di cui il padre è anche un pastore. Per lui smettere la terapia sarebbe, per la ragazza, un suicidio. Grace finirebbe all’inferno.
Proprio come nel caso di Terri Schiavo, anche qui c’è una prova che dimostrerebbe che Grace deve vivere: è il video registrato dai genitori sta già facendo il giro di YouTube. C’è un uomo che solleva il capo della ragazza: «Vuoi che sia tuo padre a prendersi legalmente cura di te per cure?». «Sì». «E quando vorresti lasciare l’ospedale?». «Subito». Quell’uomo è il cugino e il video dura solo 24 secondi. Troppo pochi: i critici sostengono che possa essere stato manipolato. Anche perché quello che Grace dice nelle immagine è il contrario di quello che raccontano i medici. «Noi vogliamo solo aderire alla sua volontà», dice Terry Lynam, la portavoce dell’ospedale che col New York Times non vuole però commentare sul video. Chiamato senza mezzi termini: «Grace ci dice che vuole lasciare quest’ospedale».
La battaglia non è solo giuridica. Lo psichiatra della clinica sostiene che — malgrado la malattia terminale — Grace è in grado di intendere e prendere le sue decisioni da sé. Il padre Man Ho Lee, pastore dell’Antioch Missionary Church nel Queens, giura invece che è stata manipolata dai dottori: «E’ sotto la loro influenza». Il dramma è cominciato nell’ottobre dell’anno scorso e la malattia implacabile ha in brevissimo travolto questa ragazza che lavorava alla Bank of America e si stava allenando per la maratona di New York. Malgrado il video su YouTube, la sentenza dell’alta corte adesso raccoglierebbe le sue ultime volontà: fine della corsa.