martedì 7 giugno 2011

Fine vita, volontà del paziente. Quel che insegna la via inglese

Corriere della Sera 2.6.11
Fine vita, volontà del paziente. Quel che insegna la via inglese
Adriana Bazzi

È una soluzione pratica a un problema reale e l’ha decisa, senza tentennamenti di tipo etico, il Royal College of General Practitioner (GP) d’accordo con il Royal College of Nursing, che riunisce gli infermieri: da qui in avanti, i medici di famiglia inglesi chiederanno ai pazienti, malati terminali, di mettere per iscritto le loro volontà di fine vita. Il primo obiettivo è quello di offrire il meglio delle terapie, nel rispetto della volontà del malato e senza venir meno al Giuramento di Ippocrate. Il secondo, quello di rispondere a una serie di critiche, piovute sui sanitari inglesi, accusati di non rispettare i desideri dei pazienti e di non prestare cure adeguate (di solito per difetto, non per eccesso) soprattutto ai malati di cancro. Non solo, la proposta sembra andare nella direzione prevista dal piano di riforma sanitaria del governo conservatore di David Cameron, attualmente in discussione: il piano prevede di affidare la gestione del sistema sanitario (prima modello di efficienza nel mondo, ora pieno di falle) ai medici di medicina generale e ai cittadini, oltre che di stimolare la competitività fra gli ospedali e sviluppare la medicina del territorio. Gli inglesi, dunque, hanno anteposto la soluzione pratica al dibattito etico (anche se qualcuno ha parlato di «apertura» verso l’eutanasia: in realtà, però, la «carta» dei GP inglesi si riferisce a malati terminali e non, per esempio, a persone in stato vegetativo o in coma). E sono stati i medici stessi a prendere la decisione. Da noi, una simile idea incontrerebbe ostacoli a non finire, già all’interno della stessa classe medica (che dà prova di ricorrere spesso all’obiezione di coscienza, per convinzioni ideologiche, morali o religiose, di fronte a certi atti medici previsti dalla legge). E susciterebbe soltanto una discussione etico politico-religiosa. La prova è che la discussione, in Parlamento, della legge sul fine vita, è «slittata» ancora una volta, agli ultimi giorni del mese.

giovedì 2 giugno 2011

In Gran Bretagna l’eutanasia gestita dai medici di base. I pazienti chiederanno come morire

Corriere della Sera 2.6.11
In Gran Bretagna l’eutanasia gestita dai medici di base. I pazienti chiederanno come morire
Fabio Cavalera

Il caso della mamma Kay Gilderdale fece scalpore. Lasciata sola nel decidere se la figlia trentenne Lynn, immobile nel letto per l’astenia ma lucida nell’intelletto, avesse il diritto di scegliere fra una vita di sofferenza o la morte consapevolmente voluta, affrontò il dramma con un atto d’amore. Lynn le chiese di aiutarla a chiudere gli occhi per sempre e lei, Kay, collaborò iniettandole un cocktail di medicine e siringandole aria per provocare l’embolia fatale. Fu accusata di omicidio e rischiò la prigione. Ma l’Alta Corte la perdonò. Il giudice Bean, accogliendo le indicazioni dei rappresentanti popolari, dichiarò che l’assoluzione si era ispirata al «buon senso e all’umanità» . Questione delicata, profonda, terribile, mai risolta: come comportarsi con i pazienti che non hanno speranza di superare l’infermità clinica? Il Royal College dei General Practitioner, l’ordine che raccoglie i medici di base inglesi, e l’ente che raggruppa il personale di assistenza paramedico dicono la loro con un documento di linee guida per il trattamento dei malati terminali. In assenza di una giurisprudenza consolidata e di leggi chiare emerge la necessità di colmare il vuoto. E la «Carta» , che sarà un codice deontologico, va in questa direzione. Lo scopo è di fare emergere, per quanto possibile, nella situazioni non definitivamente compromesse, la volontà di chi è a fine vita. Domande difficili da porre, domande tristi ma forse inevitabili: vuole morire? Come? Vuole che le cure proseguano? È questa la strada che dovranno percorrere i medici di famiglia inglesi. Certificare qual è la scelta dell’essere umano che non ha più speranza di tornare indietro, in modo da non lasciare ombre, dubbi, sospetti sui parenti e sugli amici, sollevandoli, finché vi è possibilità ragionevole, dal peso di una condivisione di morte che non ha coperture giuridiche e in modo da tutelare gli stessi operatori sanitari. Ci sarà un archivio elettronico che gestirà la documentazione in totale segretezza e che conterrà la prova certa di ciò che il malato terminale desidera, la sua volontà farà testo. L’intento è quello di ottenere, nelle situazioni in cui appare ragionevole, un pronunciamento e di garantire che tutto sarà fatto per andare incontro alle richieste del paziente ormai certo che ogni medicina e ogni intervento siano inutili. Si tratta di una «legalizzazione» dell’eutanasia e del suicidio assistito? Il Royal College assicura di no. Il suo presidente, la dottoressa Clare Gerade spiega che «è una protezione sia per i medici sia per le famiglie da esibire ai magistrati quando mancano evidenze certe» . La Carta deontologica pare venire incontro alla «provocatoria» uscita dello scrittore Terry Pratchett, colpito da atrofia corticale posteriore, che nel corso di una trasmissione alla Bbc, invocò l’istituzione di «un tribunale dell’eutanasia» . Disse che «se una persona, senza possibilità di recupero, vuole morire deve potere andare davanti a una corte e presentare il suo caso » . Una posizione che raccolse parecchi consensi. Ora, il malato terminale avrà il diritto di confessarsi con il suo medico di fiducia. E i sondaggi rilevano che 7 britannici su 10 condividono.