martedì 28 ottobre 2008

Eutanasia per neonati, guerra a Firenze

La Repubblica 28.10.08
Eutanasia per neonati, guerra a Firenze
An contro un convegno: quel medico olandese la pratica, non parli
Uno degli organizzatori: "Vogliamo solo sentire cosa ha da dirci"
di Michele Bocci

FIRENZE - No al convegno sull´eutanasia infantile. E soprattutto no all´arrivo del medico olandese noto per aver messo a punto un protocollo sulla «buona morte» per i neonati portatori di malattie incurabili e dolorosissime. Il parlamentare e coordinatore toscano di Alleanza Nazionale, Riccardo Migliori, si scaglia in un´interrogazione al presidente del Consiglio contro un incontro scientifico che si svolgerà giovedì e venerdì prossimi all´ospedale Meyer di Firenze, una delle strutture di avanguardia per la pediatria. «Vorrei sapere se il Comune e la Regione patrocinano un incontro del genere», attacca Migliori. Dall´ospedale rispondono che si tratta di un incontro scientifico, dove verrà discussa e forse aggiornata la cosiddetta Carta di Firenze, un documento a cui hanno lavorato trenta tra neonatologi ed esperti di bioetica e che tratta la rianimazione dei neonati prematuri. La linea di demarcazione è quella delle nascite dopo le 23 e le 24 settimane di gestazione. Per la Carta di Firenze in quei casi la rianimazione deve avvenire di comune accordo tra il neonatologo e i genitori. Prima di quel limite non ha mai senso farla, dopo va comunque affrontata perché quel bambino ha speranze di sopravvivere in condizioni di salute accettabili.
Migliori attacca la Carta dicendo che le tesi contenute sono state smentite dalla Società italiana di neonatologia e dal Consiglio superiore di sanità. L´affondo arriva però per la presenza «del medico olandese Eduard Verhagen, ideatore del protocollo di Groningen, contenente le linee guida per l´eutanasia dei bambini la cui futura qualità della vita sarà molto bassa e senza possibilità di miglioramento». La risposta a questa affermazione arriva da Giampaolo Donzelli, neonatologo che ha contribuito alla Carta ed organizza l´incontro. «Invitare un rappresentante della comunità scientifica internazionale per farsi esporre le sue tesi non vuol dire sposarle. Verhagen opera in un paese dove l´eutanasia è ammessa dalla legge, in casi specifici, e vogliamo sentire su cosa basa le sue convinzioni. Ha lavorato a lungo sulle cure di fine vita dei neonati terminali, cioè che nascono malati e sono condannati a morire rapidamente. Per lui assisterli cercando di evitare loro il massimo di sofferenze è come assistere in una analoga situazione qualsiasi altro malato, ad esempio un anziano. Inoltre per casi selezionatissimi, come l´ittiosi, una malattia dolorosissima che non dà scampo e uccide in pochi giorni, Verhagen pratica una forma di eutanasia. Noi non siamo d´accordo su questo: nella carta di Firenze c´è scritto che i firmatari sono completamente estranei da ogni forma di eutanasia pediatrica e neonatale. Non per questo rifiutiamo il confronto con la realtà olandese».
Al convegno parteciperanno vari rappresentanti delle università italiane e della Consulta di bioetica, tra cui il ginecologo Carlo Flamigni. L´intervento di Verhagen si intitola: «Perché decisioni di fine vita all´inizio della vita?». Regione Toscana e Comune di Firenze hanno dato il loro patrocinio.

sabato 25 ottobre 2008

"Il malato cosciente può dire no alle cure”

La Repubblica 25.10.08
"Il malato cosciente può dire no alle cure”
Il Comitato di bioetica dà ragione a Welby. Silenzio sul caso Eluana
Documento votato con l´astensione di 3 membri che temono via libera all´eutanasia
di Caterina Pasolini

ROMA - Welby è morto a dicembre, dopo aver lottato tra ricorsi e sentenze per vedere riconosciuto il suo diritto a smettere di curarsi, a staccare il respiratore che lo teneva in vita. Ora anche il Comitato nazionale di bioetica gli dà ragione.
In un documento appena approvato scrive infatti che il malato cosciente e informato può dire no alle cure e rinunciare a tutte le terapie, anche quelle salvavita. E che se il medico può rifiutarsi per motivi etici o professionali di eseguire il suo volere, il paziente ha in ogni caso diritto a vedere realizzato il suo desiderio altrove e deve essere sempre seguito e assistito sino alla fine con cure palliative. «Ha insomma diritto a dire no alla sovranità delle macchine sul proprio corpo».
Il testo della relazione dei professori Canestrari, d´Avack e Palazzani, frutto di 30 mesi di lavoro e 15 elaborate stesure, è stato votato quasi all´unanimità, tre le astensioni di chi teme rappresenti un passo verso l´eutanasia. Non fa riferimento al caso di Eluana Englaro, dal momento che il diritto a �dire no´ riguarda solo soggetti «consapevoli e coscienti», ma è sicuramente un passo avanti per il rispetto dei diritti del malato, visto che unisce «laici e cattolici anche nella condanna dell´accanimento terapeutico e impegna i medici ad assistere sino alla fine i pazienti raccomandandosi di evitare l´abbandono dei malati terminali», sottolinea il professor d´Avack.
Uniti sul diritto a dire no alle cure, i membri del Cnb sono divisi sulle valutazioni etiche della scelta. Se infatti i laici sono per la totale autodeterminazione giustificata moralmente e giuridicamente, quelli di formazione cattolica pensano che il malato, pur avendo diritto a rinunciare alle cure, ha l´obbligo morale di vivere avendo una responsabilità verso sé e la società. E considerano inammissibile la richiesta di un malato dipendente che ha bisogno del medico per rinunciare alle cure. Un chiaro riferimento al caso di Piergiorgio Welby che, completamente paralizzato, da solo non avrebbe potuto staccare il respiratore che gli avevano messo contro la sua volontà. Il rifiuto delle terapie, dice il professor Stefano Canestrari, deve essere comunque «l´ipotesi estrema» e il medico «deve tentare di convincere il paziente a curarsi, ma se questi, consapevole, rifiuta, ha diritto a dire no alla sovranità delle macchine sul proprio corpo».
Ecco i punti fondamentali del documento. Il malato può chiedere di non iniziare o di sospendere trattamenti sanitari salva-vita, ma condizione che sia «cosciente e capace di intendere e volere, informato sulle terapie, in grado di manifestare in modo attuale la propria volontà». Se la rinuncia alle cure richiede «un comportamento attivo da parte del medico è riconosciuto il diritto a quest´ultimo di astensione da comportamenti ritenuti contrari alle proprie concezioni etiche e professionali». Si accetta dunque il principio dell´obiezione di coscienza da parte del medico, anche se «il paziente ha in ogni caso il diritto ad ottenere altrimenti la realizzazione della propria richiesta all´interruzione delle cure».
Anche i tre astenuti concordano con i principi di base del documento ma ne denunciano anche alcune «lacune». Secondo il bioeticista Francesco D´Agostino, ad esempio, il documento è «elusivo» su un possibile nesso tra eutanasia e stop alle cure che alcuni potrebbero ipotizzare: «Alcuni potrebbero leggervi un passo verso la legalizzazione dell´eutanasia passiva».

martedì 21 ottobre 2008

«Sembra un invito all’accanimento»

«Sembra un invito all’accanimento»

Il Mattino del 21 ottobre 2008, pag. 13

di Gaty Sepe

«Alleanza terapeutica, non abbandono dei malati inguaribili, umanizzazione della medicina: come si fa a non essere d’accordo? Eppure, il discorso del Papa è pieno di contraddizioni: alla fine, il suo, sembra quasi un appello all’accanimento terapeutico». Mina Welby, la piccola grande donna che ha accompagnato il marito Piergiorgio nel suo viaggio più duro, parla da cattolica. Una cattolica che era stata educata a pensare che eutanasia significa uccidere, e che invece oggi si batte perché il «no alle cure sia considerato non un rifiuto alla vita ma un’accettazione della morte».



Signora Welby, il Papa chiede ai medici di stringere un’alleanza terapeutica con i propri pazienti e di non abbandonare gli inguaribili. Ma ai medici affida anche la responsabilità di stabilire qual è il «vero bene» del malato.

«L’alleanza terapeutica e la vicinanza agli inguaribili sono principi giusti. Ma il Papa ha mancato di dire che nei casi di grande solitudine e sofferenza, il medico deve aiutare il malato a concludere la vita nel modo per lui meno doloroso possibile. Solo così, come ha fatto il dottor Riccio con mio marito, non si abbandonano i malati inguaribili. Ed è il malato a dover dire quando le cure si stanno trasformando in un accanimento terapeutico. Io credo che nessuno, né il medico, né un familiare possano espropriare un ammalato delle sue decisioni. Soprattutto se si tratta di fare i conti con il dolore: la Chiesa esalta il valore della sofferenza, ma questa non può essere imposta a nessuno. Altrimenti si pecca d’orgoglio: non ci si può ispirare alle sofferenze di Cristo in croce».



Il Papa, invece, ha ribadito il suo no al testamento biologico e all’eutanasia.

«Ma il testamento biologico può servire proprio a garantire l’alleanza terapeutica tra medico e paziente quando quest’ultimo non sia in grado di decidere. Quanto all’eutanasia, io credo che vada rispettato il Catechismo della nostra Chiesa cattolica che nell’articolo 2278 dice chiaramente che con la rinuncia all’accanimento terapeutico non si vuole "procurare la morte: si accetta di non poterla impedire". Non c’è, insomma, nessun rifiuto della vita».



Ratzinger sottolinea anche la necessità di umanizzare una medicina ormai troppo dominata dalla tecnologia.

«Io credo che la questione vada ribaltata: il problema della medicina moderna è la scarsa presenza umana prevista dal nostro sistema sanitario. Non ci sono troppe macchine, ma poche persone accanto a chi è in rianimazione o a chi è in fin di vita».

Vaticano e ricerca scientifica

Vaticano e ricerca scientifica

Corriere della Sera del 21 ottobre 2008, pag. 37

di Maria Antonietta Farina Coscioni

Secondo il Papa tra la comunità scientifica serpeggerebbe la tentazione dei «facile guadagno», «l’arroganza di sostituirsi a Dio», una forma di «hybris della ragione che può assumere caratteristiche pericolose per le stessa umanità». Mi sembra di tornare a 500 anni fa, ai tempi dei cardinal Carafa poi Papa Paolo IV, alla sua intransigenza castigatrice e persecutoria. Quel pontefice impegnò ogni sua energia contro l’impero spagnolo, per imporre il primato del potere temporale vaticano. Oggi è altra fa-posta in gioco: si mette in continua discussione la libertà della ricerca scientifica, condannandola come arrogante. Tutto ciò non è accettabile, e mi auguro che la comunità scientifica per prima opponga il suo «no» a questa concezione oscurantista ancora una volta offerta dal pontefice. Da laica ritengo che gli Stati non si devono intromettere nelle scelte confessionali; ma al tempo stesso le Chiese non si devono intromettere nelle scelte normative degli Stati. La laicità degli ordinamenti, la distinzione tra «reato» e «peccato», tra norma giuridica e norma «morale», costituiscono la miglior difesa della libertà religiosa: le gerarchie ecclesiastiche hanno il pieno diritto di diffondere i propri messaggi, ma i responsabili politici non devono consentire che le legittime convinzioni morali di alcuni si traducano in imposizione o proibizione per tutti gli altri. Fino a poche ore fa, con i miei compagni radicali parlamentari, occupavo il corridoio antistante la commissione di vigilanza Rai. In quel palazzo di San Macuto venne processato dall’Inquisizione Galilei, che se la cavò solo perché abiurò. In quei giorni ho spesso pensato che fin da quei tempi si è maturata la consapevolezza che il metodo scientifico, la «conoscenza» che produce, quasi sempre «naturalmente» mi verrebbe da dire, entrano in conflitto con le credenze del senso comune, con le tradizioni religiose e le ideologie politiche. Si potrebbe fare una storia di decine di volumi per raccontare i ricorrenti tentativi di censurare la libertà di pensiero e di ricerca. Va insomma rivendicato e difeso il diritto dei laici, del liberali, degli antifondamentalisti, di denunciare che il risultato concreto di alcune politiche proposte dalle gerarchie vaticane è solo quello di proibire terapie, vietare ricerca, imporre inutili e crudeli sofferenze. Opporsi alla libertà della ricerca scientifica significa togliere speranza di vita per milioni di malati come lo erano Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli. Il ministro Gelmini propone che nelle scuole si torni a studiare l’educazione civica. Ben venga questo ritorno, perché significa studio della Costituzione, dove spiccano due articoli di cristallina chiarezza. L’art. 9 dice che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica». L’art. 33, afferma che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Se in questi due articoli c’è arroganza, lo confesso: sono un’arrogante.

NOTE

Membro Commissione Affari Sociali, Co-Presidente «Associazione Luca Coscioniper la libertà di ricerca scientifica»

lunedì 20 ottobre 2008

Il dramma di Eluana, la lezione della Corte

l’Unità 18.10.08
Il dramma di Eluana, la lezione della Corte
di Tania Groppi

La preoccupazione per la sorte di Eluana Englaro dopo i drammatici eventi degli ultimi giorni ha riportato al centro dell’attenzione il suo corpo conteso, facendo apparire sbiadite e remote le dispute giuridiche di cui è stato oggetto.
Ciò è certamente comprensibile. Tuttavia, non si può ignorare l’importanza della ordinanza emessa, qualche giorno or sono, dalla Corte costituzionale, chiamata anch’essa a pronunciarsi, dopo la Corte d’appello di Milano e la Corte di cassazione.
Le Corti costituzionali, e tra esse quella italiana, una delle più antiche ed autorevoli, sono organi all’antica. In un mondo in preda alla frenesia dell’effimero e al culto dell’apparire, si muovono caute con passi felpati, cercando di far parlare di sé il meno possibile. I giudici costituzionali rifuggono le interviste, i talk show, i titoli e finanche le lettere ai giornali. Essi parlano soltanto se interpellati, attraverso le loro pronunce, per di più ammantate dalla copertura della collegialità
A volte una tale riservatezza può far dubitare della loro capacità di comunicare e persino di mantenere un contatto con la realtà del proprio tempo. Ma questo silenzio è ben lontano dall’assenza. Esso è segno di una presenza vigile e tenace, che non alza la guardia quando si tratta di difendere la Costituzione.
Di ciò ci ha appena offerto un esempio la nostra Corte costituzionale, che nel breve volgere di un paio di mesi ha sgombrato il campo da uno dei più inquietanti atti con cui mai un parlamento si sia contrapposto al potere giudiziario: il conflitto sollevato da Camera e Senato a difesa, si è detto, della propria sfera legislativa, ritenuta invasa dalla sentenza con cui la Corte di cassazione aveva reputato legittimo sospendere i trattamenti che permettono di mantenere Eluana Englaro artificialmente in vita.
Un conflitto che ha fatto sgranare gli occhi ai costituzionalisti di tutto il mondo: mai, nella tensione che di sovente attraversa i rapporti tra potere politico e giudici, si era giunti al punto di negare al potere giudiziario la possibilità, in assenza di una legge, di decidere un caso applicando direttamente i principi costituzionali.
Ciò significa infatti negare l’essenza stessa della forma di Stato costituzionale. Nel quale il ruolo del giudice non è quello di mero applicatore della legge, come accadeva nello stato legislativo ottocentesco. Egli è chiamato a far valere a supremazia della Costituzione, nelle forme previste dall’ordinamento. Ciò che comporta, quando una legge da applicare non vi sia, il diretto richiamo ai principi costituzionali.
La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità del ricorso, in camera di consiglio e con ordinanza, affermando che non vi è materia per un conflitto di attribuzione: la Cassazione non ha indebitamente legiferato, ma si è limitata a fare quel che spetta ad ogni giudice, ovvero decidere un caso concreto; e il parlamento si lamenta semplicemente del contenuto di questa pronuncia, che gli risulta sgradita. E’ sufficiente alla Corte richiamare la sua consolidata giurisprudenza, secondo la quale il conflitto di attribuzione «non può essere trasformato in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce dei giudici». Ed è agevole concludere che «d’altra parte, il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti».
Al di là delle conseguenze sul drammatico caso di Eluana, ancora lontano dall’essere concluso (la Corte di cassazione si dovrà pronunciare di nuovo, ad inizio novembre), la sintetica e chiara ordinanza della Corte costituzionale assume suo malgrado una portata storica nella definizione dei rapporti tra i poteri. Altro che decisione pilatesca, come è stato incredibilmente e sfacciatamente commentato a caldo dagli esponenti politici della maggioranza. La Corte, affermando che, qualora il parlamento non legiferi su una materia, non può sollevare conflitto di attribuzione contro un giudice che applichi direttamente i principi costituzionali, riafferma l’essenza dello Stato costituzionale: ovvero la supremazia della costituzione e la sua capacità di pervadere ogni aspetto dell’ordinamento, senza la necessaria intermediazione del legislatore. Ci sembrava una ovvietà, insita già nella prima, celebre sentenza della Corte costituzionale, adottata più di 50 anni fa, ma evidentemente niente può essere dato per scontato nei tempi e nel clima politico in cui viviamo. Un clima nel quale diventa ancora più importante la difesa dell’indipendenza della Corte: l’ambiguità nella quale il Parlamento sta procedendo, dopo mesi e mesi di inadempienza, ad eleggere il quindicesimo giudice, non pare di buon auspicio per il futuro.

mercoledì 15 ottobre 2008

Eutanasia, i vescovi tuonano l’ennesimo no: «E’ una risposta falsa»

Eutanasia, i vescovi tuonano l’ennesimo no: «E’ una risposta falsa»

L'Unità del 15 ottobre 2008, pag. 7

di Roberto Monteforte

Secco e categorico il no dei vescovi italiani all’eutanasia. Mentre si consuma la vicenda di Eluana Englaro e il Parlamento è alle prese con il disegno di legge sulle «dichiarazioni anticipate di trattamento» la Cei, con il documento per Giornata per la vita che si celebrerà il 1 ° febbraio 2009, ribadisce senza possibilità di equivoco i punti fermi della Chiesa. «Rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia» si afferma «vuol dire dare risposte false». «La forza della vita nella sofferenza» è il titolo del documento dei vescovi, nel quale si esprime un giudizio, si sottolinea, con «serenità ma anche con chiarezza». Alla base del ragionamento vi è la convinzione che la vita umana sia «un bene inviolabile e indisponibile» e che quindi «non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione». L’invito della Chiesa è puntare sulla ricerca scientifica «per combattere e vincere le patologie - anche le più difficili - e a non abbandonare mai la speranza». Va alleviata la sofferenza. «A chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose - si precisa - vanno applicate con umanità e sapienza tutte le cure oggi possibili». «Chi soffre non va mai lasciato solo» è l’appello rivolto dai vescovi ai familiari dei malati, in particolare ai parenti degli anziani cui è difficile assicurare cure, compito assolto spesso da «badanti» venute dall’estero. «In molti casi - sottolinea la Cei - il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio, vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento».



Nel loro messaggio i vescovi ribadiscono la condanna dell’aborto. «Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice - scrivono - vedono in una gravidanza inattesa esiti di insopportabile sofferenza. Quando la risposta è l’aborto, viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma, destinato a lasciare una ferita perenne». «Al dolore non si risponde con altro dolore» è la conclusione. In alternativa vengono indicate le «soluzioni positive e aperte alla vita» di cui si fa protagonista con la sua azione l’associazionismo cattolico.



Se il centrodestra con Alfredo Mantovano e con il vicepresidente dei senatori Pdl, Laura Bianconi, plaude al documento dei vescovi in particolare per l’assoluta chiusura all’eutanasia, anche quella «omissiva», l’esponente del Udc, Rocco Buttiglione sottolinea come per la Cei «il vero problema fondamentale non sia (solo) l’accanimento terapeutico», ma piuttosto «d’abbandono terapeutico». Sulla posizione dei vescovi arriva un giudizio critico dal professore Silvio Viale. L’esponente radicale prende atto delle posizione assunta dalla Chiesa. «Nel merito non le condivido, ma le rispetto - afferma -. Credo che anche la Cei dovrebbe rispettare le nostre posizioni». Un invito ad essere «più tolleranti».

lunedì 13 ottobre 2008

«Ma quale vita, io che l’ho vista dico: lasciatela morire»

«Ma quale vita, io che l’ho vista dico: lasciatela morire»

Il Giornale del 13 ottobre 2008, pag. 10

Manila Alfano

«Io l’ho vista Eluana. Ma quale vita. Quello che le stanno facendo è già accanimento». Maria Antonietta Coscioni, moglie di Luca Coscioni e parlamentare radicale nel Pd, non vuol sentire parlare di ripresa. Quello che è successo sabato scorso a Eluana Englaro fa paura. Un’emorragia: per lei sembrava la fine, ma il suo corpo ha reagito, è uscito dal pericolo. Ed è proprio questa ripresa che ora fa discutere, fa venire dubbi alla gente, smuove l’opinione pubblica. E se fosse un segnale? Una sorta di messaggio di aiuto disperato di Eluana? «Impossibile», commenta sicura la Coscioni.


C’è chi dice: Eluana è viva. Sbaglia?
«È speculazione politica. Né più né meno. Chi parla di vita, a quale tipo di vita si riferisce esattamente? In lei non ci sono segnali, non una risposta. Ma non solo. Manca il rispetto prima di tutto nei suoi confronti. E invece qui ci troviamo davanti ad un accanimento lungo 16 anni».


Lei ha visto Eluana?
«Sì, sono andata in clinica a Lecco il 18 gennaio. Sedici anni dopo esatti dal suo incidente. Con il padre abbiamo instaurato un rapporto di grande fiducia. Beppino si fida, per questo sono andata in clinica».


E come l’ha trovata?
«Preferisco non parlarne, dico solo che è un corpo privato del rispetto. Un corpo senza coscienza. Nessuno ha mai dato spazio alla sua volontà, e quello che voleva non era certo ridursi in questo modo».


Come vede Beppino Englaro in questi giorni?
«In lui va riconosciuto il dolore di una persona che vive una situazione così straziante, così al limite della sopportazione umana. Soffre molto».


Come dovrebbe essere una legge giusta?
«Il testamento biologico che proponiamo si concentra su tre punti principali: la volontà della persona, ricondurre cioè la scelta finale alla sua volontà. Considerare l’idratazione e l’alimentazione artificiale accanimento terapeutico. E prevedere la figura di un fiduciario che possa far conoscere in qualsiasi momento la volontà della persona in questione».


E nel caso in cui non ci sia una volontà scritta?
«Allora si ricostruisce lo stile di vita del paziente, del suo spirito, la sua personalità. Come una sorta di fedeltà alla persona. Che poi è esattamente quello che è stato fatto con Eluana e che ha permesso ai giudici della Cassazione di emettere la sentenza favorevole alla morte della ragazza».


E ci riuscirete?
«La difficoltà è molto elevata. Ci sono molte correnti politiche avverse e profondamente contrarie».


Di cosa hanno paura secondo lei?
«Credo che siano politici lontani dalle domande dei cittadini, dalle loro richieste e necessità reali e concrete. Si preferisce mantenere tutto sommerso e lasciare che i medici si prendano tutta la responsabilità, assistendo a quella che Veronesi definì “Eutanasia clandestina”».

venerdì 10 ottobre 2008

Eluana, lasciamola andare in pace

Eluana, lasciamola andare in pace

Liberazione del 9 ottobre 2008, pag. 1

Una buona notizia per Eluana, per il papà Peppino, per la sua famiglia. Per tutti i laici. Ieri sera, la Corte Costituzionale, dopo una lunga seduta, ha respinto al mittente, cioè a Camera e Senato, i ricorsi che chiedevano l'annullamento delle sentenze di Cassazione e Corte d'Appello di Milano. Erano due sentenze importanti: dicevano infatti che si possono fermare le macchine e le terapie che tengono forzatamente in vita la giovane donna. I parlamentari della maggioranza, con l'appoggio di alcuni esponenti del Pd, si erano opposti e si erano rivolti alla Cassazione. Ma la Consulta gli ha detto di no. Quei ricorsi sono inammissibili. In mattinata un'altro segnale importante è arrivato dalla Corte d'Appello che ha deciso di non procedere sulla richiesta di sospensiva della sentenza che autorizza l'interruzione dell'alimentazione forzata. Ora, si spera, che prevalga il silenzio e il rispetto delle decisioni della famiglia Englaro. Ma tutto fa temere che la battaglia legale non sia finita.

Eluana, la Consulta dice no al Parlamento

La Repubblica 9.10.08
Eluana, la Consulta dice no al Parlamento
Aborto terapeutico, il consiglio di Stato boccia la Lombardia e il limite a 22 settimane
di Piero Colaprico

Inammissibile il conflitto di competenza Anche i giudici ordinari danno ragione a papà Englaro

MILANO - Torto al Parlamento sulla vicenda di Eluana Englaro da parte della Corte costituzionale. Torto alla regione Lombardia sulle linee guida dell´aborto da parte del Consiglio di Stato. È un caso, ma questa doppia sconfitta, nello stesso giorno, della politica più prona alle richieste della Santa Sede ha un aspetto comune. Vittorio Angiolini, che è legale sia di papà Beppino sia dei medici della Cgil: «I giudici - dice il costituzionalista - bacchettano chi cerca di piegare le leggi oltre il limite. Comunque in un caso, quello dell´aborto, c´è la questione della difesa del rapporto tra medici e pazienti, tenendo i politici un po´ più lontani di quanto vogliono. Nell´altro, quello di Eluana, siamo all´opposto, e cioè bisogna stabilire che i medici, a un certo punto, devono fermarsi e rispettare il paziente».
Se il consiglio di Stato che respinge il ricorso della Regione Lombardia, già perdente davanti al Tar, era in qualche modo un evento annunciato, bisogna dire che il caso Englaro ha vissuto momenti clamorosi. Ci sono altri due fatti, oltre al no al Parlamento da parte della Corte costituzionale, da registrare: il sì all´udienza in tempi rapidi da parte della Corte di Cassazione; e l´accordo a Milano per eliminare dalla scena la «sospensiva» della sentenza.
«Le cose piano piano stanno andando per il verso giusto», dice papà Beppino ai giornalisti. «Il riconoscimento ci fa capire che le cose giuste vanno avanti. Abbiamo un ostacolo in meno, è il massimo», conclude. Vediamo dunque in dettaglio che cos´è successo.
Come si ricorderà lo scorso luglio, tra lo sconcerto trasversale degli esperti di diritto, alcuni politici, con Francesco Cossiga in testa, avevano sollevato il conflitto di attribuzione. Secca, senza sconti, priva di diplomazie, la risposta è in un aggettivo: «Inammissibili». I ricorsi per rivendicare a Camera e Senato la competenza di legiferare sulla «non-vita» di Eluana vanno bocciati, così hanno stabilito i giudici che regolano i rapporti tra le istituzioni del Paese.
Il centrodestra protesta e s´indigna, ma non ha il monopolio del mondo cattolico. In queste ore circola un appello dal titolo inequivocabile: «Lasciamo che Eluana riposi in pace». A firmarlo sono «ventidue cattolici, appartenenti all´area della Chiesa che si rifà con particolare convinzione al Concilio Vaticano II». Sono conosciuti per fede e impegno culturale. Ritengono che da parte delle gerarchie ecclesiastiche «ci si accanisca nei confronti di Eluana e che non si rispettino le sue precedenti accertate dichiarazioni di volontà prima dell´incidente».
Nel frastuono delle polemiche, la «tartarughesca» macchina della giustizia intanto è dirittura d´arrivo sul «fascicolo Englaro». L´11 novembre la Corte di cassazione si riunirà a Roma. Lo farà a sezioni unite (significa che i giudici vogliono sottolineare che il loro parere sarà definitivo). Ed esaminerà gli ultimissimi ricorsi e controricorsi. Un anno fa la stessa Corte affermò che il medico ha «il dovere giuridico di rispettare la volontà della paziente contraria alle cure»: non si può, cioè, essere «medicalizzati» a forza e senza fine. Può smentire se stessa? Staremo a vedere.
E sempre ieri, ma a Milano, in quaranta minuti, la Corte d´appello ha pronunciato alle 12.45 un «non luogo a provvedere». Non è una decisione neutra: avvocati e magistrati si sono infatti accordati su una linea di «dialogo». Ed è stata smentita l´ «urgenza» a dover bloccare la sentenza favorevole agli Englaro del luglio scorso. Papà Beppino, interpellato direttamente dai giudici Lapertosa, Secchi e Boiti ha assicurato - forse per la centesima volta - che il suo intento era ed è di «muoversi alla luce del sole». D´altra parte, che può fare? È stato ricordato in aula che la Regione Lombardia aveva comunque espresso il «no» a qualsiasi ricovero in uno dei suoi hospice. Questa imposizione dall´alto è stata affrontata e criticata dai legali: secondo loro, i funzionari regionali ne renderanno conto in un futuro processo.

mercoledì 8 ottobre 2008

ELUANA: I GIUDICI, LA SENTENZA E' ESECUTIVA

ELUANA: I GIUDICI, LA SENTENZA E' ESECUTIVA

(AGI) - Milano, 8 ott. - I giudici civili di Milano hanno pronunciato una sentenza di 'non luogo a provvedere' sulla richiesta avanzata dalla Procura generale di sospendere l'esecuzione della decisione che autorizzava lo 'stop' dei trattamenti sanitari che tengono in vita Eluana Englaro, la donna lecchese in stato vegetativo permanente a causa di un incidente stradale. I giudici non hanno ravvisato le 'esigenze di urgenza' che avrebbero giustificato la sospensione dell'esecutivita' della sentenza. L'11 novembre prossimo la Corte di Cassazione si riunira' per decidere sul ricorso della Procura contro la decisione di bloccare la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione forzata che tengono in vita Eluana.

martedì 7 ottobre 2008

Il patto con i pazienti L'oncologo propone una legge sul testamento biologico e lancia 10 diritti etici

Corriere della Sera 7.10.08
Il patto con i pazienti L'oncologo propone una legge sul testamento biologico e lancia 10 diritti etici
Veronesi ai malati: i medici devono ubbidirvi
di Mario Pappagallo

MILANO — «I medici facciano un passo indietro, i pazienti uno avanti». Umberto Veronesi ( foto) nel 1973 è stato il fondatore del primo comitato etico in Italia, all'Istituto nazionale dei tumori di Milano, e ora, dopo 35 anni, si rende conto che occorre rilanciare il motto di quel primo comitato: «Tutto è concesso all'uso della scienza per l'uomo, tutto è negato all'uso dell'uomo per la scienza». Due le azioni: il Veronesi senatore ha presentano il primo ottobre un disegno di legge sul consenso informato e le dichiarazioni anticipate di volontà, il Veronesi medico fissa un suo decalogo dei diritti del malato. Lo presenterà il 13 ottobre al Circolo della Stampa di Milano e l'invierà a tutti i comitati etici italiani. Il «patto» con i malati prevede: cure scientificamente valide e sollecite, diritto a una seconda opinione e alla privacy, diritto a conoscere la verità sulla malattia e a essere informato sulle terapie, diritto a rifiutare le cure e ad esprimere le proprie volontà anticipate, diritto a non soffrire, diritto al rispetto, alla dignità. «Mi sono basato — spiega l'oncologo milanese — sui principi fondanti della bioetica che sono l'autonomia e la beneficenza ». Che cosa significa? «Che ognuno ha il diritto di autodeterminarsi nella malattia così come ce l'ha in salute. È il principio di autonomia: spetta al malato decidere che cosa è bene per lui. Questo è il pilastro su cui si basa anche il secondo principio: la beneficenza. Significa che l'atto medico deve essere a puro vantaggio del malato ». Ma non è tautologico? «Sembra, ma non lo è. La bioetica, per esempio, non ammette che un atto medico sia fatto in nome della ricerca scientifica. Ci si deve concentrare su quel malato in quel momento e non ci deve essere la preoccupazione di ciò che sarà in futuro, perché nessun malato mai deve pagare il prezzo della ricerca».
Nel 1970 Von Potter, nel suo
Bioethics: a bridge to the future,
sostiene che l'etica deve ispirarsi alla biologia dell'uomo e si dichiara preoccupato dello sviluppo di tecnologie che alterano gli equilibri dell'esistenza umana... «Esatto — continua Veronesi —. Una tempesta si è abbattuta su questi equilibri con l'introduzione della vita artificiale, cioè quando (a metà del secolo scorso) sono state introdotte nei reparti di rianimazione macchine in grado di mantenere l'ossigenazione del sangue e il battito del cuore, anche a funzioni cerebrali cessate. Nasce così l'incubo della vita artificiale, come esito non voluto dei progressi della tecnologia». E allora che cosa dovrebbe accadere oggi? «Per la bioetica è importante il rispetto delle leggi naturali. Per esempio Eluana, in base alla natura, sarebbe morta 16 anni fa. La vita artificiale è un'infrazione alle leggi naturali. Oltre che alla volontà del paziente, se espressa».
Eluana non ha lasciato una volontà anticipata scritta? «Se ci fosse stata però andava rispettata. Se una persona può decidere in salute e coscienza di rifiutarsi di mangiare o di bere, nessuno può costringerlo con la forza a farlo. E questo per la legge e per il codice deontologico dei medici. Per questo ho presentato un disegno di legge sul testamento biologico. Per questo lancio i 10 diritti del malato e invito medici e cittadini a farli propri».

lunedì 6 ottobre 2008

Bioetica. La polemica tra Roberta de Monticelli e monsignor Giuseppe Betori

Corriere della Sera 6.10.08
Bioetica. La polemica tra Roberta de Monticelli e monsignor Giuseppe Betori
Spetta alla persona decidere sulla sua vita
di Vito Mancuso

Il 1˚ottobre monsignor Giuseppe Betori, segretario uscente della Cei, dichiara che sull'interruzione o meno delle cure «non spetta alla persona decidere». Il giorno dopo la filosofa Roberta de Monticelli scrive sul Foglio che «questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione dell'esistenza della possibilità stessa di ogni morale», e con ciò sancisce «l'addio a qualunque collaborazione diretta o indiretta con la Chiesa cattolica italiana». Il giorno dopo monsignor Betori replica su Avvenire, distinguendo la libertà di coscienza (che approva) dal principio di autodeterminazione (che deplora). Non riuscendo a cogliere la pertinenza di tale distinzione, io chiedo in che senso la libertà di coscienza sarebbe diversa dalla libertà di autodeterminazione. Che cosa se ne fa un uomo di una coscienza libera a livello teorico, se poi, a livello pratico, non può autodeterminarsi deliberando su se stesso? Di se stessi infatti si tratta quando si parla di testamento biologico, della propria vita e della propria morte, non di quella di altri.
Il fatto è che noi cattolici non abbiamo le idee chiare in materia di libertà di coscienza.
L'abbiamo rivendicata contro l'Impero romano quando eravamo minoranza, poi l'abbiamo negata quando siamo diventati maggioranza, arrivando persino (noi che oggi difendiamo gli embrioni!) a uccidere chissà quante migliaia di eretici solo per il fatto che esercitavano la loro libertà di coscienza. Tale repressione della Chiesa era motivata dalla difesa della verità, oggettivamente superiore alla capacità soggettiva di intenderla. Oggi che i Papi sono paladini della libertà di coscienza, si è forse svenduto il primato della verità? No, si è semplicemente fatto un passo in avanti, capendo che il rapporto dell'uomo con la verità passa necessariamente attraverso la coscienza. Il primato oggettivo della verità permane, ma non è tale da sopprimere la libertà della coscienza, la quale può persino giungere a rifiutare la verità; e immagino che anche monsignor Betori sia contrario a punire con il rogo una tale condotta.
Allo stesso modo questo vale per la vita fisica. L'affermazione del primato della vita come dono non può esercitarsi a scapito di chi, tale dono, non lo riconosce o non lo vuole più. Se è un dono, dono deve rimanere, e non trasformarsi in un giogo. Nel Vangelo è lampante la libertà di cui si gode: i figli se ne possono andare da casa, le pecore allontanarsi dal gregge, persino le monete si possono perdere. Dio rispetta l'autodeterminazione dei singoli. Se così non fosse, non sarebbe la fede ciò che ci lega a lui, ma l'evidenza che non ammette deviazioni. Insomma a me pare che sia molto più evangelica (oltre che molto più moderna) l'identificazione tra libertà di coscienza e principio di autodeterminazione sostenuta da Roberta de Monticelli, che non la loro distinzione sostenuta da monsignor Betori. Ma ho fiducia nello Spirito: come la Chiesa è giunta ad accettare la libertà di coscienza sulla dottrina, così giungerà ad accettare la libertà del soggetto rispetto alla propria (alla propria, non a quella di altri!) vita biologica. Spetta alla persona decidere; non ai medici (che vanno ascoltati), non ai vescovi (che vanno ascoltati), ma alla persona, a ognuno di noi.

giovedì 2 ottobre 2008

Le ultime ore di Welby

Le ultime ore di Welby

L'Unità del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Mario Riccio e Gianna Milano

Il testo che riportiamo è tratto da «Storia di una morta opportuna», il diario del medico, Mario Riccio, che ha seguito Welby negli ultimi momenti di vita. Il diario, scritto insieme a Gianna Milano, è pubblicato da Sironi editore e sarà in libreria dal 10 ottobre.

Mercoledì 20 Dicembre

E’ arrivato il giorno scelto da Welby. L’appuntamento al mattino è come sempre alla sede del Partito radicale. Arrivando, avverto una certa tensione. Chiedo a Cappato a che ora andremo da Welby. Non prima di sera, così ha deciso lui: vuole vedere la trasmissione su Rai1 "dei pacchi". (...)



Mantenere la riservatezza si fa difficile: l’Unità scrive che sul caso Welby è giallo, che un anestesista di Cremona, membro della Consulta di Bioetica, è arrivato a Roma per una consulenza.

Guardo la rassegna stampa del mattino: è incredibile l’approssimazione che regna su terminologia e definizioni. Si fa confusione fra eutanasia, sospensione delle cure, testamento di vita, accanimento terapeutico. Mi domando che succederà da domani se le cose andranno come si spera. Forse la confusione non è del tutto casuale e fa gioco a chi non vuole chiarezza su questi temi. Chissà se l’impegno di Welby servirà a sgombrare il campo da tanti equivoci. E io, mi chiedo, contribuirò a cambiare qualcosa rispondendo alla sua richiesta?



Di nuovo mi incontro con Pannella e Cappato, e con i due medici belgi, che Welby ha conosciuto via internet, arrivati in tarda mattinata. Parlano solo francese, che io non parlo, ma capiscono l’inglese. Cappato fa da interprete. Hanno una valigia nella quale, dicono, c’è il necessario per portare a termine un atto eutanasico secondo il protocollo belga. Si mostrano convinti che questo sarebbe il modo giusto di agire, ma a me sembra un atteggiamento un po’ ideologico, che non valuta adeguatamente né la condizione di Welby, né il contesto in cui si trova. Del resto, mi spiegano che se dovessero procedere (in Italia l’eutanasia è contro la legge) non corrono il rischio di estradizione dal Belgio. Non è prevista per questo reato. Perciò non vedono problemi, salvo l’inconveniente che non potranno più venire in Italia. Io, invece, non sono disponibile a essere coinvolto in decisioni che conducano a una eutanasia: sul piano personale, ciò mi esporrebbe a una incriminazione per omicidio volontario e all’immediata sospensione dall’Albo dell’Ordine dei medici, che verosimilmente si trasformerebbe in radiazione. Insomma, perderei il lavoro e rischierei quindici anni di galera. Sul piano pubblico, poi, una scelta eutanasica significherebbe rinnegare quello in cui credo e che voglio affermare: e cioè il diritto di Welby e con lui di tutti i malati - al rifiuto di una terapia per lui intollerabile. L’eutanasia non è l’unica strada percorribile per risolvere una situazione come quella di Piergiorgio: ripeto a Pannella e Cappato che, anzi, sarebbe il fallimento della nostra tesi, ossia che è possibile ottenere la sospensione della terapia anche se salvavita, in un percorso di piena legalità, per un paziente cosciente e in grado di esprimere le sue volontà. Una volta stabilito legalmente questo precedente, sarà possibile compiere il passo successivo, e cioè quello della legge sul testamento biologico: rendere cioè valida la volontà dei singoli rispetto a determinati trattamenti medici, esprimendola anticipatamente da coscienti per il caso in cui non lo si fosse più. La battaglia che abbiamo condotto fin qui poggia su basi ben diverse da quelle eutanasiche. Se ne convincono infine sia Pannella sia Cappato.



I medici belgi invece non capiscono la mia perplessità. Hanno portato il barbiturico da prendere per bocca (un potente sedativo ad azione rapida): la dose è tale da provocare arresto cardiaco e respiratorio, cioè eutanasia. In più hanno il curaro (un farmaco che blocca l’attività muscolare), che potrebbero somministrare con un’iniezione intramuscolare. Sono disorientato. Capisco la preoccupazione che fallisca il mio tentativo di sedare Welby attraverso la vena femorale, ma c’è una netta differenza tra il mio percorso e la loro eutanasia. Ho difficoltà a seguire il dialogo perché devo aspettare che Cappato mi traduca, anche se spesso il senso lo capisco e rispondo in inglese. Loro mi chiedono perché non possono sedare Welby con il barbiturico per bocca dal momento che può deglutire. Rispondo che il tipo di farmaco, e soprattutto la dose, comporterebbero di per sé il reato di omicidio volontario, dato che in Italia l’eutanasia non è prevista nemmeno come reato! Siccome sarà certamente eseguita l’autopsia, il riscontro di una significativa quantità di barbiturico nello stomaco, oltre che nel sangue, anche se non assorbita del tutto, sarebbe la prova di una morte da noi volontariamente e direttamente provocata. A questo punto, dico, se si deciderà di imboccare una strada simile, io dovrò trarne le conseguenze e tornare subito a casa: infatti avevo deciso di venire a Roma spinto da profonda solidarietà, umana e professionale, verso Welby ma anche sulla base di altri principi. Ora temo che venendo meno la battaglia per il diritto al consenso e al rifiuto delle terapie, anche il caso Welby sarà strumentalizzato. Verrebbe preso a riprova che il rifiuto delle terapie non solo non è un diritto perfetto, ma nemmeno un’opzione tecnicamente praticabile; e che l’unica alternativa alla stoica sopportazione di Welby è l’illegale scelta dell’eutanasia.



Insomma, in caso di atto eutanasico, i presenti - non io, che me ne andrei prima, ma i familiari, Cappato e Pannella - correrebbero rischi penali rilevanti; non i medici belgi che tornerebbero a casa loro il giorno dopo. Non so se questi comprendono il mio ragionamento, tanto sono convinti della loro idea, o se fingono. Pannella rompe la tensione che si è creata, dicendo che la decisione finale è di Welby. Se opterà per la soluzione eutanasica, la si praticherà solo dopo che io avrò lasciato Roma con un lasso di tempo sufficiente per tenermi fuori da ogni inchiesta. Ritiene che sarebbe una scelta di tipo politico, ma sulla quale vuole ancora riflettere e di cui intende assumersi in prima persona la responsabilità politica, se e solo se sarà il volere di Welby. Mi sembra di capire che Pannella e Cappato preferirebbero la mia soluzione; dato però che la riuscita dipende dalla mia capacità di reperire la vena femorale, vogliono anche tenere aperta l’opzione belga. La tensione cala. I belgi mi vorrebbero mostrare il contenuto della valigetta, ma dico loro che preferisco di no e che ne rimarrò lontano come il diavolo dall’acqua santa. Anche se, aggiungo scherzando, non so chi sia il diavolo e chi l’acqua santa. Tuttavia avverto il peso della responsabilità: tutto dipende dalla mia abilità nel trovare la vene femorale per la redazione. Mi consolo pensando che Welby ha ben chiara l’importanza di non optare per la soluzione eutanasica: l’ho capito ieri quando ne ho parlato con lui.

(...)

Welby ci aspetta da lui tra le 20.30 e le 21, sempre per via della trasmissione "dei pacchi". Adesso sono quasi le 19. Tutti liberi per un’ora, poi appuntamento qui in sede. Decido di concedermi una passeggiata, anche se sento di essere molto stanco. Mentre cammino tra la folla delle compere natalizie, ritorna quella sensazione di estraneità: come se la mia fosse una presenza furtiva. Tuttavia sono convinto che aiutare Welby aiuterà anche la coscienza civile e sociale di questo Paese che sembra bloccato, irrigidito. Un Paese dove i temi "eticamente sensibili" sono più che altro nervi scoperti, che creano inesorabilmente fronti opposti: laico e religioso. Difficile riuscire a trovare quei valori condivisi di cui leggo nei testi di bioetica di Engelhardt, che è medico, filosofo e credente. (...)



Arriviamo rapidamente ed entriamo senza problemi. Mio zio mi messaggia che Veronesi ha dichiarato che un medico coscienzioso farebbe quello che Welby chiede. Penso che da adesso devo concentrarmi solo su quello che so che devo e voglio fare. Il tempo della riflessione è finito. Ora è il tempo dell’azione. (...)



In casa il clima è il solito: tranquillo e cordiale. Come l’altro giorno siamo accolti da Mina con un sereno saluto. Cappato e Pannella entrano subito nella camera di Welby. Io rimango un po’ a parlare con Mina e Carla. Non si accenna a quello che deve succedere stasera, ma si chiacchiera d’altro. Mi chiedono se c’erano giornalisti sotto casa. Rispondo di no e penso che almeno questa preoccupazione è superata. Ormai sono dentro casa, di certo i giornalisti non potranno entrare con la forza. Mi fermo un attimo a riflettere e mi dico che non mi sto concentrando abbastanza. Ora basta parlare.



Controllo tutto il materiale necessario che peraltro avevo già controllato lunedì. Penso: se stai ricontrollando vuol dire che sei nervoso. Se sei nervoso non riuscirai a prendere questa benedetta femorale. Non è vero, l’importante è non farsi prendere dalla paura di cose non ancora successe. Non voglio fare profezie che poi si avverano. Ho tutto quello che serve.



Entro da Welby. Lo saluto, mi saluta. Gli chiedo se il parere del Css o altro ha cambiato qualcosa nella sua determinazione. La risposta è negativa. Gli domando se intanto posso iniziare a inserire la cannula nella vena femorale, come eravamo d’accordo. Inizio con l’anestesia locale. Sono contento perché vedo che non gli ho fatto male. Gli spiego che devo aspettare qualche minuto perché faccia effetto. Annuisce.



Mi preparo per l’operazione. Metto i guanti, stendo un telo sterile, preparo il catetere. Il letto è molto basso, tanto che devo mettermi in ginocchio, e sulla destra, da dove intendo lavorare, non c’è molto spazio tra letto e parete. Nella stanza con me c’è solo Mina che mi aiuta e mi porge quello che le chiedo. Ho già preparato la flebo con il deflussore. (...) Chiedo a Welby se è pronto e se posso iniziare a sedarlo. Avevamo già concordato lunedì che l’inizio della sedazione coincidesse con il distacco dal ventilatore. Né prima né dopo. In modo che potesse stare il più possibile con i familiari e gli amici ma non dovesse avvertire da cosciente la fase dell’arresto respiratorio. Lo avevo già rassicurato che l’induzione completa della sedazione sarebbe durata non più di 90-120 secondi e che la sua autonomia dal respiratore senza affanno era superiore a questo tempo. Sapevo che con la moglie Mina aveva già fatto alcune prove di breve durata: avevano staccato il respiratore per vedere quanto in fretta scendessero i valori. In 10-15 minuti calavano rapidamente e lui andava in affanno. Sedandolo, gli avrei ridotto l’affanno e quindi allungato i tempi; avrebbe potuto chiudere gli occhi guardando le persone a lui care e mantenendo una espirazione residua in modo non doloroso.Lui chiede di iniziare e io parto con il primo sedativo (mmidazolam) e con la infusione del secondo (propofol), una dose sola in siringa che poi utilizzerò per mantenere la sedazione. Quando comincio avverto Welby, e lui lo vede. Come gli ho spiegato entro pochi secondi gli verrà sonno. Lui risponde annuendo. Lo saluto: «Ciao, Piergiorgio, ora riposerai». Guarda con gli occhi verso l’alto. Da questo momento non dirò più niente, come se lo lasciassi solo con i suoi familiari.

Testamento biologico

Testamento biologico
Il Manifesto del 2 ottobre 2008, pag. 4

Sul testamento biologico l’obiettivo principale è fare presto. Lo ha detto chiaramente il relatore Raffaele Calabrò (Pdl) avviando ieri l’esame dei sei ddl depositati in Commissione Igiene e sanità dei Senato, ai quali si è aggiunto anche il progetto di Umberto Veronesi (Pd). Per velocizzare i tempi si «lavorerà per accorpare le proposte e formare una sottocommissione». Una fretta che ha messo in allarme molti esponenti dell’opposizione, ma anche qualcuno dei Pdl, sul rischio di arrivare ad una legge che violi l’articolo 32 della Costituzione (libertà. di rifiutare le terapie). Preoccupazione condivisa dalla Consulta di bioetica che ha chiesto di includere tra i trattamenti anche idratazione e nutrizione artificiali. Mentre la senatrice radicale Donatella Poretti ha proposto che le sedute della Commissione «siano tutte pubbliche». Intanto, si è stabilito che nel frattempo la Camera sii occuperà della complementare legge sulle terapie palliatine, incluse quelle antidolore.

Ma quale libero dibattito Senato succube della Cei

Ma quale libero dibattito Senato succube della Cei
Liberazione del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Maurizio Mori
Sarà senza dubbio una pura coincidenza, una di quelle frutto del cieco caso e ben lontana da ogni disegno precostituito o "provvidenziale", ma la Commissione del Senato ha aspettato il comunicato finale della Cei prima di cominciare i lavori. Anzi, i lavori iniziano all'indomani, in segno di deferente rispetto all'autorevole pronunciamento… Diamine! Che volete che ne sappiano i nostri Senatori sui temi eticamente sensibili? Mica possono decidere con la loro testa! Sono cose gravi e delicate, e bisogna ascoltare quelli che più ne sanno: e così si è atteso il comunicato finale della Conferenza episcopale Italiana che ha ben chiarito la posizione della chiesa cattolica romana al riguardo. Poi, naturalmente, i senatori saranno liberi di scegliere, ma adesso agli italiani è chiara la differenza tra l'errore e la verità!
E se qualcuno dovesse deviare da quanto stabilito dalla Cei, ovviamente sarà il solito laicista, individualista, nichilista, cavaliere della "cultura della morte", e via dicendo con tanti bei complimenti.
A parte gli scherzi, vedremo che piega prenderanno i lavori parlamentari. Per adesso sul piano culturale il comunicato finale della Cei è interessante perché offre l'interpretazione autentica delle parole pronunciate dal cardinale Bagnasco nella prolusione di apertura, precisando senza incertezze la posizione della chiesa cattolica romana: la legge non deve riguardare il «testamento biologico, espressione di una cultura dell'autodeterminazione», perché questo sarebbe legittimare la sovranità della persona circa le scelte sulla fine della vita (e quindi anche sul proprio corpo). È invece fattibile una legge sulla fine della vita, che avrebbe due funzioni: 1) bloccare subito le sentenze dei giudici che, in ossequio alla Costituzione repubblicana, mostrano aperture all'autodeterminazione; 2) fare in modo che «non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l'ordinamento italiano».
Si potrebbe osservare che le affermazioni non si limitano all'ambito morale, ma entrano nel vivo di questioni giuridiche ben precise, sollevando un problema di "competenza", ma queste considerazioni sono ormai di tempi passati e lontani, quando il senso delle istituzioni statali era più marcato. Oggi viviamo nella "società liquida" in cui i vescovi discettano di diritto e avanzano la pretesa di essere gli interpreti della Costituzione italiana, ed è vano ricordare che, forse, il loro compito dovrebbe limitarsi ad altri campi. Prendo atto dei tempi, e considero il punto di fondo sotteso al loro discorso che è contro l'autodeterminazione circa la propria vita biologica.
Dicendo che va esaltato il favor vitae e che vanno «evitate forme mascherate di eutanasia», i vescovi vengono a rimettere in discussione lo stesso consenso informato del paziente stesso. Infatti, la nozione di eutanasia è oggi abbastanza chiara: è l'atto con cui si causa la morte di un paziente che è in una situazione infernale e che ha chiesto di essere esentato dal permanere in tale condizione. In parole povere è dare un'iniezione che ponga fine alle sofferenze di un paziente senza scampo che aveva chiesto di essere risparmiato da tale scempio. Fin qui, si potrà condividere o no, ma il discorso è chiaro.
Ma quali sono le forme di eutanasia mascherata o di abbandono terapeutico? Questo lo sanno solo i vescovi e chi segue le loro direttive. Ci troviamo di fronte a belle espressioni che non hanno un significato preciso, la cui interpretazione più accreditata è quella che rimanda alla esaltazione del favor vitae , ossia dell'idea che i dinamismi vitali vanno sempre rispettati e favoriti come chiede l'etica della sacralità della vita. In altre parole, ci si chiede di accettare "a scatola chiusa" l'antica idea dell'ippocratismo secondo cui è il medico che conosce il bene del paziente, perché il medico conosce i dinamismi vitali che sono di per sé sempre buoni. La volontà del paziente non c'entra nulla, a meno che sia conforme con questo indirizzo - perché altrimenti si ha qualche forma di eutanasia mascherata o di abbandono terapeutico.
C'è una profonda coerenza in quest'impostazione. Per la chiesa cattolica romana il cittadino è libero e sovrano di decidere solo nei limiti stabiliti dal diritto naturale, che stabilisce i binari entro cui si esercita l'"autentica libertà". Ove pretendesse di uscire da quei binari trasformerebbe la libertà in licenza, facendo qualcosa di simile ad un treno che pretendesse di uscire dalle rotaie. Questo vale già nel campo politico e familiare, ed a maggior ragione in quello circa la propria vita. Il punto importante da capire è il seguente: il testamento biologico non è altro che uno strumento con cui estendere il consenso informato a situazioni in cui il cittadino non è più in grado di esprimere direttamente le proprie volontà. Ci vuole una buona legge che regoli i numerosi dettagli pratici richiesti dall'esercizio di questo diritto. Rifiutando il testamento biologico, la Cei viene a rimettere in discussione lo stesso consenso informato e in generale il diritto del cittadino di rifiutare le cure (forma di abbandono terapeutico), per riaffermare il vitalismo ippocratico.
Se così fosse sarebbe disastroso, e riporterebbe l'Italia indietro di 30 anni. Ma questa sembra essere la strada imboccata dalla Cei, che sfrutta la grande confusione teorica presente nel paese. Speriamo che l'operazione non riesca, e che il buon senso dei cittadini prevalga. La situazione, però, è difficile perché la nuova coscienza civile trova scarsa rappresentanza sul piano politico.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica, Università di Torino

Più vita ai nostri giorni e non più giorni alla vita

Più vita ai nostri giorni e non più giorni alla vita

Liberazione del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Maria Antonietta Farina Coscioni
Non posso nascondere la mia preoccupazione e inquietudine, a proposito della legge sul testamento biologico, per posizioni e opinioni che vedo manifestarsi anche in questa legislatura, come se non bastassero quelle della passata. Parlo di preoccupazione e di inquietudine perché è minacciato quello che considero un caposaldo: la rigorosa difesa della volontà della persona, del malato, il suo inalienabile, costituzionalmente garantito, diritto alla libertà di scelta.
Dunque una cosa è certa: al Paese serve solo una buona legge sul testamento biologico. Solo questo può fare la differenza rispetto alla situazione attuale.
cardinale Bagnasco, all'inizio dei lavori della Conferenza episcopale italiana, un'apertura. A me, al contrario, è subito sembrato un arroccamento sulle posizioni di sempre. La conferma che ho visto giusto, che non c'è alcuna apertura o segnale importante, è venuta da monsignor Sgreccia prima; da monsignor Fisichella e dal cardinale Ruini poi; e infine dal quotidiano dei vescovi, l'Avvenire .
Questi ultimi e molti esponenti della maggioranza a ruota hanno cura di specificare che la legge non deve contemplare «alcunché sul piano dell'alimentazione e dell'idratazione». Il Parlamento viene sollecitato a varare «una legge sul fine vita che riconoscendo il valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell'ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito, fuori dalle gabbie burocratiche, di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza».
In sostanza si cerca di realizzare quanto concertato nei giorni del meeting riminese di Comunione e Liberazione, dallo stesso Bagnasco con alcuni parlamentari di Cl: approvare una legge prima che la Corte Costituzionale si pronunci sul caso di Eluana Englaro, seguire la stessa strategia seguita per l'approvazione della legge sulla fecondazione assistita, mortificare le presenze laiche sia nella maggioranza che nell'opposizione.
C'è chi teme che il paese si spacchi in due. In realtà l'unica spaccatura è quella tra il "sentire" comune del paese e chi è chiamato a rappresentarlo. Un sondaggio di luglio della Swg rivela che l'81% degli interpellati è favorevole alla richiesta di interruzione delle cure, quando si presentano casi come quelli di Eluana. Questo è il paese reale, che marcia e cammina mentre noi, che lo dovremmo rappresentare, arranchiamo.
Casi come quelli di Coscioni, di Welby e di Nuvoli, si sono imposti alla politica per avere risposte chiare e certe dalla stessa. Hanno lottato per la vita con tutte le forze per sopravvenire alla malattia, utilizzando - e ci si dimentica di questo - tutti gli strumenti possibili ma che non sono a disposizione di tutti, dalla comunicazione alternativa come quella della scrittura con gli occhi, con la testa che faceva muovere un mouse virtuale, all'assistenza domiciliare integrata per i trattamenti fisioterapici non previsti in modo continuativo nel nostro sistema sanitario nazionale perché servono solo per evitare le piaghe da decubito. Luca Coscioni per questa ragione denunciò per «prestazioni sanitarie negate», la Asl di Orvieto.
Questo richiamo dovrebbe bastare a smontare le ingiuste, infondate e false insinuazioni di chi vuole usare i nomi di Coscioni, Welby, Nuvoli e oggi Englaro quali testimoni di una cultura della morte.
E' un punto fondamentale della proposta di legge che mi vede prima firmataria: la volontà della persona deve essere rispettata. Anche se fosse scientificamente provata l'esistenza di una "speranza" per Eluana, sarebbe doveroso rispettare la sua volontà. Ci sono persone che non vogliono pronunciarsi sulla loro morte, né scegliere in alcun modo, altre che non accettano di vivere in coma vegetativo. Penso che si debba prevedere la possibilità di scegliere tra le due opzioni. Non un obbligo, piuttosto una facoltà.
Questo ed altro porterò nel Comitato - di cui faccio parte - dei 6 parlamentari del Pd che proverà a formulare una posizione condivisa sul testamento biologico.
La battaglia da combattere è, da una parte, quella per la libertà della ricerca scientifica, dall'altra una battaglia per affermare i diritti umani fondamentali, fra i quali il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto ad una vita dignitosa fino all'ultimo istante che ciascuno considera degno di essere vissuto, scegliere di vivere senza sentirsi dire che tu questo o quello non lo puoi fare.
Al di là delle opinioni che possiamo avere sull'argomento, dovremmo trovarci uniti nel chiedere un'adeguata copertura informativa, soprattutto da parte del servizio pubblico radio-televisivo. E' tempo che su questi temi si parli e ci si confronti alla luce del sole e che le varie posizioni siano conosciute per poter essere apprezzate dalla pubblica opinione.

NOTE

Co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni - Deputata radicale eletta nelle liste del Pd

mercoledì 1 ottobre 2008

Testamento biologico Un’ altra legge 40?

Testamento biologico Un’ altra legge 40?

Manifesto del 1 ottobre 2008, pag. 5

di Eleonora Martini

Alimentazione e idratazione forzate, e obiezione di coscienza. Il dibattito attorno alla legge sul testamento biologico è più o meno fermo su questi due punti almeno da due anni. E da qui riprenderà oggi in commissione Igiene e Sanità del Senato con l’avvio dell’esame dei sei disegni di legge depositati, quattro dell’opposizione e due del Pdl. Solo che attualmente - con il caso di Eluana Englaro che rischia di essere risolto dalla magistratura e che provoca attacchi di panico tra i cattolici teodem e le gerarchie vaticane - quasi tutti nel centrodestra e nel centrosinistra hanno fretta di arrivare a una legge. Anche il Pd. Che lo aveva promesso quando era al governo e lo ha ribadito all’inizio di agosto facendo passare in Senato un ordine del giorno che impegna il Parlamento a legiferare entro il 2008. Il rischio però, nemmeno troppo remoto, è di fare il bis del disastro ottenuto con la legge 40, quella sulla fecondazione artificiale. Di arrivare cioè a nonne liberticide che sono peggio di niente. I più preoccupati sono i parlamentari radicali che pure non si sono sottratti ad un confronto coni colleghi del Pd, e in ultima analisi appoggerebbero anche il più sottoscritto dei ddl approdati in Commissione Sanità, quello dell’ex presidente Ignazio Marino (101 firmatari), anche se ne esiste uno a fuma di Donatella Poretti e Marco Perduca. Gli altri quattro ddl all’esame della Commissione sanità e affidati al relatore Raffaele Calabrò (Pdl), sono quelli firmati per primi da Tomassini (Pdl), Baio Dossi (Pd), Musi (Pd e Idv) e Massidda (Pd)).



Che tiri una brutta aria lo si è capito ulteriormente ieri quando, dopo Fisichella, Ruini e Bagnasco, anche il segretario generale della Cei Giuseppe Betori ha ribadito i desiderata vaticani. 11 primo, sempre valido, è quello di non considerare l’alimentazione e l’idratazione forzata come terapie mediche - quindi rifiutabili - ma come cura del malato e quindi esenti dalle direttive anticipate di fine vita. E l’ultimo, in ordine di stretta attualità, è il rifiuto del «principio di autodeterminazione del paziente». «Questa - ha spiegato Beton - è una visione che va contro le radici cristiane della nostra cultura». Occorre sì, e subito, una legge sul fine vita, precisa l’arcivescovo confermando l’apertura del presidente Angelo Bagnasco, anche perché «la sentenza della Cassazione sul caso di Eluana ha dimostrato che l’assenza di legislazione non significa protezione delle persone deboli e ha messo in evidenza che che c’è qualcosa che va difeso». Ma «preferiamo non parlare di testamento biologico perché la vita non è a disposizione di nessuno, nemmeno di se stessi. Il problema - conclude il segretario Cei - è proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della nostra esistenza».



Betori, che parla anche a nome del Consiglio episcopale permanente riunitosi ad hoc nei giorni scorsi, è ancora più esplicito: il medico deve confrontarsi con la dichiarazione legalmente riconosciuta del paziente ma alla fine sarà lui soltanto a decidere, «senza cedere né verso l’eutanasia né verso l’accanimento terapeutico». Una posizione, questa, già anticipata domenica dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella in un dibattito con Mina Welby e Beppino Englaro tenutosi nell’ambito del «Festival della salute» di Viareggio. «La libertà del medico deve essere garantita, aveva sottolineato Roccella spiegando bene anche che «la dichiarazione anticipata di trattamento deve essere scritta e autenticata» perché la volontà del paziente «non si può ricostruire sulla base di testimonianze o addirittura sugli stili di vita», come dice la sentenza di Milano che riconosce il diritto di morire a Eluana Englaro.



«Dire no all’autodeterminazione dell’individuo, o sostenere che il medico ha l’ultima parola significa invalidare la volontà del paziente espressa con le direttive anticipate, allora è inutile legiferare». A pensarla così sono in tanti e non solo nelle fila dell’opposizione. Ad affermarlo a chiare lettere sono le radicali Maria Antonietta Farina Coscioni, Mina Welby e Donatella Poretti, ma anche il senatore Antonio Paravia del Pdl che, oltre ad aver firmato il ddl Marino ha anche affidato all’Aula il suo testamento biologico. «Credo nell’autodeterminazione totale del paziente - afferma Paravia - e a pensarla come me sono in tanti dentro al Pd] anche se su materie delicate come queste credo non possano esserci posizioni di partito, ma vanno rispettate la propria e l’altrui coscienza».



Tra i 6 ddl che verranno analizzati da oggi in Commissione ci sono poche differenze ma sostanziali. Tomassini, Baio Dossi e Massidda specificano che l’alimentazione e l’idratazione forzata non sono terapie rifiutabili, esattamente all’opposto di quanto scritto da Poretti e Perduca nel loro ddl, mentre la proposta di Ignazio Marino sorvola sul punto ma insiste sulla promozione delle cure palliative. Le bozze del Pdl invece mettono nero su bianco che «non è richiesto il consenso al trattamento sanitario quando la vita della persona incapace sia in pericolo di vita e il suo consenso o dissenso non possa essere ottenuto e la sua integrità fisica sia minacciata». «È un modo di invalidare la volontà della persona e preparare una legge piena di paletti, liberticida, una nuova legge 40 - insiste Poretti - e la cosa più subdola è che si tenta di spacciare una politica prona alle imposizioni vaticane e incurante delle opinioni dei cittadini come il diritto all’obiezione di coscienza da garantire ai medici. Nessun vero libertario si opporrebbe alla libertà di coscienza ma in questo caso cosa vuol dire? Solo che il medico è libero di imporre un trattamento sanitario a chi lo rifiuta».