martedì 23 dicembre 2008

Eluana, scontro tra Corte Europea e Vaticano

Eluana, scontro tra Corte Europea e Vaticano

Secolo XIX del 23 dicembre 2008, pag. 2

di Luca De Carolis

Un secco no, che irrita il governo e il Vaticano, concordi nel ribadire l’appoggio al ministro del Welfare Sacconi. "Sconfitto", anche se indirettamente, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ieri ha respinto il ricorso di diversi gruppi cattolici italiani contro la sentenza con cui nel giugno scorso la Corte d’Appello di Milano ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione artificiale per Eluana Englaro.



Un’istanza presentata un mese fa, «irricevibile» secondo i giudici europei. Che motivano così la bocciatura: «Perché venga abolita, non è sufficiente che una sentenza o una legge violi di per sé la Convenzione dei diritti dell’uomo, ma è necessario che sia stata applicata a detrimento della Convenzione stessa». Non solo. La Corte sottolinea anche che i ricorrenti «non hanno nessun legame diretto con Eluana, quindi non possono essere considerati vittime dirette della sentenza, atto che per sua natura riguarda solo le parti direttamente coinvolte e i fatti in oggetto». Porta chiusa, quindi, al ricorso delle associazioni cattoliche, che replicano: «Prendiamo atto che la Corte non è entrata nel merito, ma va sottolineato che nelle motivazioni si dice chiaramente che quanto disposto dai giudici di Milano non obbliga nessuno alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale». Serafico invece Beppino Englaro: «Nessuna sorpresa, sapevo che il ricorso era irricevibile già quando è stato presentato». Mentre il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ribadisce: «La posizione del governo italiano sul caso di Eluana è quella corretta. La direttiva di Sacconi? Quello che ha detto lo ha detto non per piacere, ma perché ne è profondamente convinto».



L’esecutivo quindi, pur tra qualche imbarazzo (e i distinguo dei laici) difende l’atto di indirizzo con cui il ministro del Welfare proibisce a tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, di staccare il sondino alla donna di Lecco. Un provvedimento richiamato ieri sera dal Vaticano che si è espresso per bocca del cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, (una sorta di ministro della Salute d’Oltrevere): «Ammazzare un innocente è qualcosa di totalmente negativo. La settimana scorsa il ministro Sacconi ha emesso una circolare dicendo che non si deve staccare la spina: la bontà o la malignità di un’azione non dipende da quello che decidono un uomo o una collettività, ma da una realtà oggettiva. E la realtà oggettiva è la vita».



La linea del Vaticano, insomma, è chiara: appoggiare Sacconi e la sua direttiva, a cui la Santa Sede si aggrappa come ultimo baluardo contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano, poi confermata dalla Cassazione. Il professore Antonio Spagnolo, membro dell’Accademia pontificia per la vita, precisa: «I medici sono tenuti a non fare atti che possano anticipare la morte di una persona e possono esercitare il legittimo diritto all’obiezione di coscienza . Nella vicenda di Eluana ci si trova di fronte al paradosso di voler dare corso a un’azione prima ancora che vi sia una legge in materia».



Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, ha annunciato il testo sul testamento biologico per la prossima primavera. Nell’attesa, il caso Englaro continua a combattersi nelle aule di giustizia. Gran parte del centrodestra protesta per la decisione di Strasburgo. «Per la Corte Ue contano i cavilli e non la vita delle persone» si lamenta il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. Durissimo Luca Volontè (Udc): «Quella di Strasburgo è una sentenza nazista».



Esultano invece il centrosinistra e i Radicali, che chiedono a Sacconi di ritirare la direttiva. Guido Viale, dell’associazione Luca Coscioni, sostiene: «Bocciando il ricorso la Corte europea ha bocciato i suggeritori occulti delle intimidazioni di Sacconi. Mi auguro che ora il ministro faccia un passo indietro, ritirando l’atto di indirizzo». Mentre Anna Finocchiaro (Pd) precisa: «Commentare la sentenza mi sembra davvero fuori luogo. Ora bisogna smetterla con le polemiche e arrivare a una legge sul testamento biologico».



Si continua a discutere anche in Friuli Venezia Giulia, dove una clinica di Udine dovrebbe ospitare le ultime ore di Eluana. «L’intervento del governo sul caso è sbagliato, perché si tratta di un fatto privato» sostiene il presidente del Consiglio regionale friulano, Eduardo Ballaman (Lega Nord), secondo cui «Roccella non doveva dire alla Regione di seguire l’atto di indirizzo di Sacconi». Stasera a Udine si terrà una proiezione promossa dall’associazione cattolica Scienza e Vita, a cui parteciperà l’arcivescovo, «per riflettere sulla condizione di massima fragilità di Eluana».

Eluana, Strasburgo dice «no» ai ricorsi dei gruppi cattolici. L’ira del Vaticano

l’Unità 23.12.08
Eluana, Strasburgo dice «no» ai ricorsi dei gruppi cattolici. L’ira del Vaticano
di Federica Fantozzi

L’Europa conferma: si tratta di una vicenda privata. Intanto la struttura di Udine conferma la propria disponibilità ad accogliere la ragazza. E anche la Lega friulana dice: il governo stia fuori dalla vicenda.
La Corte Europea per i diritti dell’uomo dà ragione alla famiglia di Eluana Englaro, la donna in stato vegetativo da 16 anni che ha ottenuto il diritto di morire al termine di una decennale battaglia giudiziaria. La Corte ha respinto giudicandolo «irricevibile» perché «totalmente infondato» il ricorso presentato da varie associazioni italiane contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano che autorizza l’interruzione dell’alimentazione artificiale.
A fine novembre la Corte europea aveva già bocciato la procedura d’urgenza stabilendo per il caso l’iter normale. Adesso, la storia è finita. «Nessuna sorpresa - dice papà Beppino -. Mi aspettavo che fosse irricevibile da quando è stato presentato».
Dal Vaticano replica il cardinale Javier Lozano Barragan, sorta di “ministro della Salute” d’Oltretevere. L’uomo non può decidere sulla vita, ha detto il porporato, e «ammazzare un innocente è qualcosa di totalmente negativo». Secondo Barragan «Sacconi ha fatto una circolare dicendo che non si deve staccare la spina. La bontà o malignità di una azione non dipende da ciò che un uomo o una collettività decidono, ma da una realtà oggettiva, la vita».
Anche per il ministro degli Esteri Franco Frattini «la posizione del governo è corretta». Il segretario del Pri Francesco Nucara invece invita Sacconi «a ritirare la circolare».
La Corte Europea ha spiegato che la richiesta di discutere il caso è «irricevibile» in quanto «non è sufficiente che una legge o una sentenza violi di per sé i diritti protetti dalla Convenzione per i diritti dell’uomo, ma deve essere stata applicata a detrimento» della Convenzione stessa. Inoltre, si legge nel provvedimento, «i ricorrenti non hanno nessun legame diretto con Eluana» e quindi non possono «essere considerati vittime dirette della sentenza».
L’atto di cui «criticano il risultato e temono le conseguenze» non li tocca direttamente perché la decisione della Corte d’appello riguarda «solo le parti direttamente coinvolte» e «i fatti oggetto» della decisione. L’Europa, insomma, conferma che si tratta di una vicenda privata riguardante Eluana e i suoi familiari e non chi si senta colpito nella propria sensibilità.
È l’impostazione che sta prevalendo anche in Italia. In Friuli, nella clinica “Città di Udine”, la stanza per Eluana è ancora pronta. Il governatore Renzo Tondo, dopo aver dichiarato che la Regione «si asterrà da atti politici» ha chiarito che non esiste possibilità di revocare la convenzione alla clinica, come ventilato dalla direttiva Sacconi. E ieri, il presidente del consiglio regionale, il leghista Ballaman, si è detto d’accordo: «L’intervento del governo è stato un errore. È un fatto privato: posso auspicare che la ragazza continui a vivere, ma non entrare nelle decisioni del papà». L’Udc, che a parole minaccia la crisi, è rimasto solo.

venerdì 19 dicembre 2008

L’etica e l’ingerenza di Sacconi

l’Unità 19.12.08
L’etica e l’ingerenza di Sacconi
di Vittorio Angiolini

La Corte Costituzionale tedesca, tempo fa, ha ipotizzato che l’aborto, considerato illecito, potesse essere ammesso qualora la donna si sottoponesse preventivamente ad un’opera di persuasione «etica», con cui lo Stato le ricordasse come la scelta di abortire fosse riprovevole.
Giuristi tedeschi ed europei, anche cattolici, criticarono la Corte, sottolineando come compito dello Stato non possa essere quello di ingerirsi nell’ «etica» e nelle «coscienze» individuali, ma debba essere solo quello di distinguere, con sanzioni adeguate, i comportamenti vietati da quelli ammessi e da quelli protetti come diritto dell’individuo.
L’intervento del Ministro Sacconi sul caso Englaro ripropone il problema: il Ministro stesso dice di non aver vincolato comportamenti, non avendone la competenza, ma dice di aver voluto operare un richiamo doveroso «eticamente». Il problema è di nuovo quello di un’autorità statale che vuole porsi come autorità in campo «etico». La questione non è secondaria. La «bio-etica» esige un dibattito ampio, a cui tutti siano ammessi liberamente e senza esclusioni, neanche a carico di chi rivendica la libertà di propri convincimenti religiosi. La «bio-etica», non può divenire «bio-politica», ossia rimessa alla mano statale e pubblica. Lo Stato e la politica che vogliono appropriarsi dell’«etica» sono, per fortuna, solo un ricordo triste.
Lo Stato faccia il compito suo, che è quello di dare norme giuridiche di comportamento e che, nel caso di Eluana, è un compito ormai esaurito, essendo giunti ad una sentenza definitiva.
Per il resto, anche sugli stati vegetativi, il dibattito liberamente. In campo «etico», l’opinione del Ministro vale quella di qualunque altro cittadino, in quanto non si traduca, o come nel caso nostro sia persino intraducibile, in regole di diritto.

Caso Eluana, la clinica denuncia: il ministro tenta di intimidirci

l’Unità 19.12.08
Caso Eluana, la clinica denuncia: il ministro tenta di intimidirci
di Federica Fantozzi

La clinica chiede garanzie formali e denuncia il ricatto del ministro Sacconi. Anche la Corte di Cassazione ribadisce che l’atto di Sacconi non può vanificare la sentenza, e ventila anche l’uso del «ricovero coatto».
Di fronte alle «intimidazioni» del ministro del Welfare la casa di cura «Città di Udine» ribadisce la propria disponibilità «a patto che la Regione si prenda la responsabilità di condividere con un atto inequivocabile questo percorso che noi riteniamo di civiltà e pietas». Al termine di un pomeriggio da cardiopalma, tra voci che Eluana Englaro fosse lì lì per essere trasferita a Udine, l’esito del consiglio di amministrazione è ancora uno stallo. La struttura privata, che al terzo piano ha già pronta una stanza e una squadra di una ventina volontari esterni per accompagnare Eluana al distacco del sondino, non si accontenta della presa di posizione del governatore Tondo. Invoca garanzie formali per evitare che la stessa maggioranza, dove l’assessore alla Sanità Kosic si era messo di traverso, sconfessi il presidente o, peggio, che una giunta in futuro chieda ai sanitari conto della disobbedienza al diktat di Sacconi.
È l’amministratore delegato Claudio Riccobon a comunicare il nuovo stop, frutto di una trattativa con Tondo che chiedeva di non essere messo con le spalle al muro. Incertezza fino all’ultimo: Riccobon sta per iniziare la conferenza, poi ci ripensa e si immerge in una conversazione telefonica. La richiesta della clinica allunga i tempi, è prevedibile che ci voglia qualche giorno per il parere della direzione tecnica o dell’Agenzia della Sanità (gli organismi competenti), ma lascia aperto uno spiraglio. Infatti Tondo continua a pensare che «si tratti di un rapporto tra privati», rafforzando l’idea che alla fine l’orientamento sarà questo. Vale a dire una trattativa privatistica in cui la Regione nonentra e che dunque è fuori dall’ambito di applicazione della circolare ministeriale. Anche Kosic ieri sera adotta questa linea.
Ma il comunicato della «Città di Udine» è soprattutto un j’accuse che contiene parole pesantissime sul titolare del Welfare: «Di fronte a un decreto ormai inoppugnabile e definitivo lancia intimidazioni per colpire l’azienda nel suo interesse vitale arrivando a minacciare la revoca dell’accreditamento al servizio sanitario nazionale. Non ci sono parole per commentare: un ministro deve comportarsi in maniera diversa». Davanti a lettere anonime di insulti come «boia», al paragone «con i nazisti nei campi di sterminio», la clinica ribadisce che la scelta «su base volontaria e in forma gratuita» è stata dettata da «pura umanità per consentire a una famiglia di tornare nella sua terra, per porre fine a uno strazio che dura 17 anni» e di cui «tanti benpensanti cercano pilatescamente di lavarsi le mani».
È l’ultimo colpo di scena nell’odissea della ragazza in coma dal 1992 per un incidente d’auto ma mai abbandonata dal padre Beppino e dallo zio Armando che hanno affrontato un lungo percorso giudiziario ottenendo infine il diritto di interrompere l’alimentazione artificiale. In mattinata anche la Corte di Cassazione, per bocca del sostituto procuratore generale Marcello Matera, aveva chiarito che l’atto di indirizzo di Sacconi «è destinato solo alle strutture amministrative non può vanificare una sentenza» ventilando anche come «teoricamente possibile il ricorso alla forza pubblica», cioè al ricovero coatto, se nessuno volesse accogliere Eluana. Un’ipotesi che gli avvocati stanno valutando in queste ore ma considerano un’extrema ratio di fronte al perdurare del muro contro muro. Al momento perdura la speranza che il «chiarimento» richiesto dalla clinica possa venire esaudito dalla Regione. Si mostra ottimista l’avvocato della famiglia Vittorio Angiolini. Anche la curatrice di Eluana Franca Alessio si limita a sperare che Tondo confermi le sue aperture. Riccobon ritiene che «i tempi possono essere mantenuti brevi, si tratta solo di capire se e come la Regione intende applicare l’atto». Oggi il procuratore di Udine incontra i vertici della clinica.
Il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani giudica la presa di posizione di Sacconi «giuridicamente ininfluente». Ma il sottosegretario Roccella insiste: «Il Friuli la segua o sarà frattura con il governo».

giovedì 18 dicembre 2008

Mille casi di eutanasia clandestina, ma ora i malati avranno paura

Mille casi di eutanasia clandestina, ma ora i malati avranno paura

L'Unità del 18 dicembre 2008, pag. 17

di Giuseppe Vittori

Due anni fa, il 20 dicembre, è morto Piergiorgio Welby dopo una dura lotta per il diritto ad esprimere la sua volontà di fine vita. Sabato prossimo in tutt’Italia si raccoglieranno le firme su una petizione al Parlamento che chiede l’autodeterminazione della persona sulle scelte di fine vita. Le firme si raccolgono anche online sul sito www.associazionelucacoscioni.it. Dove è possibile scaricare anche un modulo di testamento biologico (redatto dall’associazione A buon diritto e dall’associazione Luca Coscioni) compilabile anche online.



E’ l’Istat a valutare che nel 2007 mille malati terminali si sono suicidati e almeno ottanta hanno tentato di farlo. Tremila persone, che non hanno avuto la possibilità di decidere il loro percorso di fine vita, sono in stato vegetativo permanente, come Eluana Englaro. E da anni indagini demoscopiche mostrano che una larghissima maggioranza di italiani sono favorevoli a testamento biologico e eutanasia, mentre un numero crescente di medici pratica l’eutanasia clandestina. E’ forte il rischio che l’eutanasia clandestina resti l’unica possibilità di familiari disperati e soli, non tanto dalla difficoltà delle cure quanto dalla mancanza di risposte.



Quel che avviene in Parlamento, infatti, non è rassicurante. Il Presidente del Senato Renato Schifani ha ripetuto, ieri al Quirinale, che «tempi sono maturi per una compiuta discussione parlamentare» sul testamento biologico «dove il dibattito sulle disposizioni anticipate di volontà si è arricchito dell’impegno di tutte le componenti politiche. Non è possibile, su temi di valore istituzionale e di alto contenuto morale, non confrontarsi con chi ha visioni diverse». Ma, dopo la carota, il bastone: «Salvo il diritto della maggioranza, al termine del percorso, di poter decidere».



A considerare urgente una legge sul testamento biologico che sancisca la libertà individuale di cura, è anche il Direttore della I Cattedra di Cardiologia della "Sapienza" di Roma, Francesco Fedele, dopo che dal 69esimo Congresso della Società di Cardiologia (Sic) 8 cardiologi su 10 si sono pronunciati a favore del testamento biologico. «Ovvio che noi ci siamo riferiti - spiega Fedele - al nostro specifico lavoro di cardiologi avendo precisi parametri per dire se il paziente è a fine corso o meno. Senza entrare nel merito del "caso Eluana", ravvedo l’urgenza di una legge che riconosca con la libertà individuale di cura anche l’affidamento al medico della tecnica da usare nei casi accertati di "non ritorno" ad una vita dignitosa, di qualità».



Non dev’essere dunque «la magistratura con le sentenze, né la politica con atti d’indirizzo a trattare e gestire la delicata materia ma una legge dello Stato condivisa con il contributo di tutti ed in particolare delle Società Scientifiche». Alla corretta impostazione del senatore Ignazio Marino, Fedele aggiungerebbe « l’affidamento al medico, che ne può essere anche destinatario, dell’attuazione del testamento biologico».

Tondo a Sacconi: atto legittimo, ma ininfluente

Tondo a Sacconi: atto legittimo, ma ininfluente

Il Gazzettino del 18 dicembre 2008, pag. 8

«Il ministro può applicare le leggi che vengono fatte. È una presa di posizione legittima la sua, ma non credo possa influire». Così il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ha commentato ieri l’atto di indirizzo del ministro del Welfare Maurizio Sacconi rivolto alle Regioni e le conseguenti ricadute sul caso di Eluana Englaro.



«Che io sappia - ha proseguito il governatore Tondo - la vicenda di Eluana è un rapporto tra un soggetto privato, il padre di Eluana, Giuseppe Englaro (che è friulano di Paluzza, ndr) e una clinica privata. Ciò che accade, se dovesse accadere, succede all’interno e in conseguenza di un pronunciamento della Corte di Cassazione, e quindi - ha concluso Renzo Tondo - della giuridizione italiana». Le stringate parole di Tondo sono interpretate dai legali degli Englaro come un paletto a Sacconi: la Regione decide sulle cliniche, c’è una sentenza e va applicata.



Intanto da Roma arrivo un deciso "No" a «speculazioni politiche o dogmatiche sul corpo di Eluana» da parte dei Valdesi che auspicano di assistere a un esito diverso di quanto visto «al tempo di Pier Giorgio Welby o di Terry Schiavo. Sul corpo di Eluana si sta giocando uno scontro politico cinico e lesivo della dignità di una persona e della sua famiglia. Con un vero e proprio accanimento politico, governatori e ministri si ergono a paladini di un simbolo e di una visione della vita che pretendono universale e che invece è parziale ed esclusiva. Politici, teologi, commentatori di ogni tipo disputano su Eluana richiamandosi a principi e dogmi assoluti: guardano verso l’alto sfuggendo allo sguardo spento di una giovane donna che, quando ha potuto, ha chiesto che si ponesse fine a un’esistenza per lei non più vita».



E da Torino attacca Silvio Viale, il medico radicale che si è detto disposto a rimuovere il sondino di Eluana: «Le minacce del ministro Sacconi sono segno di debolezza e rinforzano il sostegno popolare a Eluana. Mi stupisce che o Sacconi si sia fatto fregare dal gruppo di lavoro addomesticato della Roccella. Ridicola poi è la citazione della Convenzione sui disabili quando proprio alla disabile Eluana si nega il diritto al rispetto della propria volontà, come dicono i giudici».





«È cominciato il catto-berluschnismo: il nuovo regime che annulla la separazione dei poteri dello Stato, conferendo tutto il potere all’esecutivo» è l’attacco di Maurizio Mori, presidente della Consulta di bioetica «Così si impone nelle strutture pubbliche e private convenzionate l’alimentazione e l’idratazione artificiale con un atto che segna la fine dello stato liberale con la separazione dei poteri, rendendo quello esecutivo l’unico potere forte che regola la vita sociale italiana. È difficile sapere che tipo di regime si stia aprendo, ma sicuramente segna l’inizio di un catto-berluschismo grazie a una sinistra allo sbando». «È legittimo intervenire - dichiara il prof. Stefano Rodotà (ex garante della privacy) - una struttura privata non violerebbe alcuna norma perché il riferimento alla convenzione Onu sulla disabilità è molto dubbio in questo caso», ma darebbe invece attuazione a una sentenza di Cassazione».

Le minacce (a vuoto) di Sacconi E' certo: Eluana morirà a Udine

Le minacce (a vuoto) di Sacconi E' certo: Eluana morirà a Udine

Liberazione del 18 dicembre 2008, pag. 7

Il ministro Maurizio Sacconi torna all'attacco e minaccia di revocare la convenzione alla clinica di Udine disponibile ad accogliere Eluana Englaro e l'équipe di medici che dovranno sospendere alla donna l'alimentazione e la nutrizione artificiali.
La nuova controffensiva del governo contro la famiglia Englaro giunge il giorno dopo l'emanazione di un atto di indirizzo del ministero del Welfare che vieta agli ospedali italiani di negare acqua e cibo ai disabili, e dunque anche alla donna di Lecco in stato vegetativo da 16 anni alla quale una sentenza della Corte di Appello di Milano, confermata dalla Cassazione, permette invece di morire.
Il dubbio se esista un conflitto tra l'atto di indirizzo ministeriale e la sentenza della Cassazione, ovvero se il documento di Sacconi ritarderà ulteriormente il destino di Eluana, viene immediatamente scartato dai legali della famiglia Englaro. «La lettera di Sacconi è un atto non vincolante» spiega l'avvocato Vittorio Angiolini, secondo il quale la situazione giuridica non viene modificata dagli interventi del ministero. Angiolini invoca pietà per il dolore dei genitori di Eluana: «Forse un atteggiamento più vicino alle persone umane e meno offensivo delle persone umane esistenti non guasterebbe».
A suffragare le convinzioni di Angiolini interviene Filippo Lamanna, giudice alla corte d'appello di Milano ed estensore del decreto che, lo scorso 9 luglio, autorizzò definitivamente il padre Beppino Englaro a sospendere alimentazione e idratazione alla figlia. «Il decreto», spiega Lamanna, «è già esecutivo» specialmente dopo il provvedimento dello scorso 11 novembre della Cassazione che ritenne inammissibile l'impugnazione della Procura generale.
Dal punto di vista giuridico, dunque, Eluana può morire. Medici e strutture che contravvengono all'atto di indirizzo di Sacconi non potranno dunque essere accusati di omicidio, in quanto eseguono una sentenza.
«Certi comportamenti difformi da quei principi determinerebbero inadempienze con conseguenze immaginabili» minaccia Sacconi riferendosi alla disobbedienza della clinica "Città di Udine", pronta a prendersi carico degli ultimi giorni di Eluana. Il trasferimento della donna da Lecco a Udine avverrà, secondo i legali, in tempi e modi sconosciuti alla stampa per tutelare la privacy.
Mentre l'intero Pdl, con poche vistose eccezioni, si schiera al fianco di Sacconi, la moderatora della chiesa valdese Maria Bonafede chiede «rispetto» per la famiglia Englaro e invita a non fare «speculazioni politiche o dogmatiche sul corpo di Eluana».
Il vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D'Avack, contesta il ministro del welfare che ha dichiarato di aver modellato il suo atto di indirizzo anche su un parere del Cnb del 2005 che vietava di sospendere acqua e cibo ai pazienti in stato vegetativo: secondo D'Avack quel parere fu «molto combattuto» e venne affiancato da una postilla espressa dalla minoranza del Comitato nella quale si riteneva che «l'idratazione e la nutrizione artificiale rientrano tra quei trattamenti che il paziente può rifiutare».
Il caso Englaro, giunto ormai al termine, sta sollevando un polverone simile a quello sollevato con Welby e Terry Schiavo. Con l'aggravante che, mesi e anni dopo, il Parlamento non è ancora riuscito a legiferare sulla materia. Resta, a supporto delle tesi a favore della famiglia Englaro, la possibilità di rifiutare le cure garantita dalla Costituzione. La battaglia, però, non è finita: i radicali dell'associazione Coscioni invocano l'intervento di Napolitano mentre il chirurgo e senatore Ignazio Marino (Pd) avverte che «nessuno deve essere obbligato ad una terapia per legge».

Eluana, Udine è pronta Sacconi ricatta e minaccia

Eluana, Udine è pronta Sacconi ricatta e minaccia

L'Unità del 18 dicembre 2008, pag. 16

di Federica Fantozzi

A sera ciò che Beppino Englaro aveva giudicato, a caldo, l’ennesima «stangata», viene derubricato dai suoi legali a «diversivo», e il terreno sotto i piedi di Sacconi si fa scivoloso. Perché una giornata aperta con lo stop della clinica «Città di Udine» di fronte al diktat del ministro del Welfare su Eluana, si conclude con una raffica di no al gesto che i Radicali, e non solo, chiamano apertamente «ricatto». La magistratura informa che il decreto sull’interruzione delle cure è già esecutivo «perché non è stato impugnato». L’Anm avverte: «Fondamentale in uno stato di diritto rispettare le decisioni dei giudici». Gli avvocati concludono che la circolare del ministro «non è vincolante». E quando Sacconi ventila sanzioni amministrative come la perdita della convenzione sanitaria per la clinica disobbediente - l’uomo forte del PdL friulano Ferruccio Saro gli risponde duro che «il Friuli è fuori dal servizio sanitario nazionale». L’ultima parola spetterà alla casa di cura udinese, ma la speranza di un approdo c’è.



Dopo aver studiato la circolare gli avvocati Angiolini e Campeis diramano una nota: «La lettera di Sacconi non è un atto vincolante dal punto di vista giuridico, non produce effetti sull’attuazione della sentenza». Significa che chi ricoverasse Eluana non correrebbe rischi giudiziari. E la conclusione che i legali speravano, per cui hanno lavorato tutta la giornata. Passo facilitato dalla precisazione del giudice Filippo Lamanna della Corte d’Appello di Milano, l’estensore del decreto che ha stabilito le modalità per la fine dello stato vegetativo della ragazza in coma da 16 anni: Al decreto è già esecutivo per mancata impugnazione». Dunque nessun ostacolo di diritto si frappone tra quel provvedimento e il ricovero di Eluana nella clinica alla periferia di Udine dove è già pronta una stanza per lei.



Il concetto, ribadito da giuristi e costituzionalisti, è chiaro allo stesso Sacconi. Infatti il ministro esplicita il senso del suo divieto: «L’inadempienza avrebbe conseguenze immaginabili» per la casa di cura. Non civili o penali ma amministrative. Nel campo sanitario, dove il ministero gestisce convenzioni e accreditamenti. Si indigna Maurizio Mori della Consulta di Bioetica: «Un atto sconvolgente dal punto di vista etico e politico. E un’intimidazione ai cittadini. Con metodi propri non dello Stato ma di altre organizzazioni». Il professor Carlo Alberto Defanti, il neurologo che segue Eluana e che martedì era pronto per partire con lei sull’ambulanza, individua «un’ingerenza senza precedenti del potere esecutivo su una sentenza passata in giudicato. Credo - aggiunge - che abbiano individuato l’anello debole, cioè la casa di cura, che ha tutto da perdere. Il timore è che le venga revocata la convenzione».



In effetti, ieri mattina l’amministratore della «Città di Udine» Claudio Riccobon aveva messo le mani avanti: «Confermiamo la disponibilità ma in un percorso legale chiaro». Fuori dai denti, la clinica chiede copertura. Batte un colpo Renzo Tondo, governatore del Friuli e amico degli Englaro che per primo aprì le porte della Regione ma fu costretto poi a defilarsi: «Da Sacconi un atto legittimo - dice - Ma non credo influisca. E’ un rapporto privato tra il papà di Eluana e la struttura». E batte un colpo più forte il senatore Saro: «Il Friuli è fuori dal servizio sanitario nazionale - avverte Sacconi - E c’è un accordo privatistico».



Resta da vedere se la clinica si sentirà rassicurata o vorrà garanzie formali. Ma c’è cauto ottimismo tra gli avvocati che, avuta per le mani la direttiva, si sono resi conto che è più blanda delle enunciazioni in tv: più un suggerimento alle Regioni che un ordine. «In questo rapporto lo Stato non entra -. chiarisce Angiolini - E sulle convenzioni hanno potestà le Regioni non il ministero». Insomma: «Sacconi ha fatto un diversivo. Ora siamo tornati al punto di partenza». Udine aspetta ancora Eluana.

mercoledì 17 dicembre 2008

Il diktat di Sacconi: Eluana non può morire in nessun ospedale

Il diktat di Sacconi: Eluana non può morire in nessun ospedale

Liberazione del 17 dicembre 2008, pag. 1

di Laura Eduati
Eluana Englaro non deve morire poiché, in quanto disabile, è protetta dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dalle Nazioni Unite e dunque non possono esserle sospese l'idratazione e l'alimentazione nasogastrica.
L'ultima trovata del governo italiano per impedire la morte della donna di Lecco, in stato vegetativo permanente da sedici anni, tira in ballo persino l'Onu. E con un atto di indirizzo del ministero a tutte le Regioni, il responsabile di welfare e salute Maurizio Sacconi vieta alle strutture pubbliche e private di staccare il sondino a Eluana perché ciò andrebbe contro la legge. Secondo il legale della famiglia Englaro, questo atto non varrebbe nulla «poiché la legge non la fa Sacconi». Specialmente, fa osservare il neurologo ed ex primario del Niguarda di Milano che dal 1995 ha in cura Eluana e si è detto disposto a staccare il sondino, Carlo Alberto Defanti, il divieto di Sacconi cozza tremendamente con la sentenza della Cassazione che dopo anni di battaglie giudiziarie ha finalmente dato il permesso al padre della ragazza, Beppino Englaro, di interrompere idratazione e alimentazione forzate per concedere alla figlia ciò che desiderava se si fosse ritrovata a vivere come un vegetale: la morte.
Sacconi dice di fare riferimento alla Convenzione sui disabili approvata dall'Onu pochi giorni orsono, il 13 dicembre, secondo la quale occorre evitare la discriminazione nei confronti delle persone con handicap fornendo «assistenza medica o prestazione di cure e servizi sanitari o cibo e liquidi».
Eppure il caso Englaro è diverso, diversissimo: alla ragazza è stato fornito il massimo delle cure per sedici lunghi anni, mentre il padre lottava per ottenere la fine delle sue sofferenze. L'atto di indirizzo è conformato anche sul parere del 30 settembre 2005 del Comitato nazionale di bioetica, secondo cui la sospensione di nutrizione e idratazione «va valutata come una forma particolarmente crudele di abbandono del malato».
Sebbene l'avvocato della famiglia di Lecco, Vittorio Angiolini, mantenga un cauto ottimismo, è chiaro che si tratta dell'ennesimo intralcio all'esecuzione della sentenza della Cassazione. Settimane orsono Beppino Englaro, accusato dal presidente del Consiglio superiore di sanità di volere praticare l'eutanasia alla figlia lasciandola morire di fame e di sete, decise di dichiarare il silenzio stampa. Alla dura battaglia ingaggiata da maggioranza e Vaticano, si è aggiunto il problema di trovare una struttura disponibile ad accogliere Eluana nei suoi ultimi giorni. Dopo il secco "niet" del presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, che ha negato le ultime cure a Eluana in tutto il territorio regionale, sembra che una casa di cura di Udine abbia accolto le richieste degli Englaro e lo conformerebbe un protocollo legale sull'esecuzione della sentenza, messo a punto dai legali che seguono la vicenda di Eluana. Gli stessi legali, però, impongono «il massimo riserbo» e la casa di cura "Città di Udine" si affretta a smentire il trasferimento di Eluana nelle proprie strutture.
La curatrice speciale della ragazza ormai trentottenne, Franca Alessi, è convinta che l'atto di indirizzo del ministero non potrà ostacolare la sentenza della Cassazione. Il divieto di sospendere idratazione e alimentazione, ha spiegato, potrebbe vigere per le strutture del servizio sanitario nazionale ma non varrebbe per i medici che si presterebbero a staccare il sondino, se estranei alla struttura di accoglienza.
Resta il vuoto legislativo. Il caso Englaro ha spinto lo stesso Pdl a proporre delle leggi contro il testamento biologico con l'eccezione di Dalla Vedova e Boniver, favorevoli a considerare alimentazione e idratazione come un qualsiasi trattamento sanitario. L'ex chirurgo Ignazio Marino (Pd) ha presentato un appello per una legge sulle direttive anticipate in applicazione con l'art 32 della Costituzione (libertà di rifiutare le cure). Che il Pd sia lacerato sul tema lo dimostrano gli elogi a Sacconi espressi dalle parlamentari Binetti e Baio.

venerdì 12 dicembre 2008

Il caso Englaro è la nuova breccia di Porta Pia

Liberazione 12.12.08
Il caso Englaro è la nuova breccia di Porta Pia
di Maurizio Mori

Anticipiamo l'introduzione dell'ultimo saggio di Maurizio Mori, a giorni nelle librerie

Perché non permettere ai genitori di Eluana di liberare la figlia dai vincoli tecnici che la tengono prigioniera in una condizione di "non vita" che da lei era aborrita e lo sarebbe ancora di più oggi? Perché tanti contrasti?
(...) Più che di per sé (di persone ne muoiono tante, anche in situazioni ben peggiori), il caso Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l'analogo del caso creatosi con la breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina. Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana. Sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell'umanità e cambiare l'idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell'ippocratismo e anche prima nella visione dell'homo religiosus, per affermarne una nuova da costruire.
Come Porta Pia segna la fine del papa re e di un paradigma del ruolo sacrale della religione in politica, gettando le basi di un'aurorale democrazia in Italia, così il caso Eluana segna la fine (sul piano teorico) del paternalismo in medicina e di un paradigma medico fondato sul vitalismo ippocratico, gettando le basi di un aurorale controllo della propria vita da parte delle persone. Come c'è voluto parecchio tempo prima che in campo politico la democrazia si consolidasse e il diritto di voto diventasse fatto acquisito e rilevante, così è probabile che ci vorrà ancora del tempo prima che in campo medico si consolidi l'idea che il paziente deve avere il controllo della propria vita, e che l'autodeterminazione (col suo consenso informato) diventi davvero il centro della pratica clinica. Come Porta Pia ha dato origine a quella durissima opposizione della Chiesa cattolica romana che ha portato alla "questione romana", al Non expedit e al papa che, per oltre mezzo, secolo si è ritenuto "prigioniero" e "usurpato", così il caso Eluana ha suscitato opposizioni e ostruzionismi davvero straordinari e fuori dal comune, anche se non sappiamo per quanto tempo ancora durerà il turbamento per il tabù violato.
Se vale l'analogia, allora si può anche azzardare una previsione: è facile che, prima o poi, anche sulla "breccia di Eluana" ci sarà la conciliazione, come è avvenuto con la "breccia di Porta Pia". Anche quest'ultima all'inizio sembrava una tragedia, un danno irreparabile: come osservava nel 1962 l'allora cardinale Gian Battista Montini (diventato l'anno seguente papa Paolo VI), la perdita dello Stato pontificio «parve un crollo (…) e parve allora, e per tanti anni successivi, a molti ecclesiastici ed a molti cattolici non potere la Chiesa romana rinunciarvi». Eppure, «la Provvidenza, ora lo vediamo bene, aveva diversamente disposto le cose». Infatti, oggi è comune ritenere che sia stato un bene per la Chiesa cattolica romana non essere più gravata dalle incombenze del potere temporale. È facile che qualcosa del genere accada anche con il caso Eluana: ora ai cattolici romani pare impossibile poter accettare l'autonomia e l'autodeterminazione in bioetica, valori che sono condannati essendo il frutto avvelenato di un individualismo possessivo e selvaggio. Ma anche in passato condannavano la democrazia, l'autonomia in politica, la libertà di pensiero e via dicendo: verranno dapprima a più miti consigli e poi, forse, anche a riconoscere che l'autodeterminazione sulla vita è centrale per la realizzazione personale. Può darsi anche che in qualche modo riconosceranno di avere sbagliato o che, storicizzando, attribuiranno agli "eccessi" degli individualisti o dei nichilisti la ragione dell'attuale dura opposizione, venendo a concludere che da sempre l'autonomia e l'autodeterminazione sono stati "valori cristiani", e che gli attuali contrasti sul caso Eluana sono il frutto di meri e banali fraintendimenti.
Oggi, però, lo scontro è durissimo: "tremendo", come direbbe Beppino Englaro. E non sembra che sia per qualche fraintendimento, ma perché ci sono reali, forti e insanabili divergenze su punti cruciali - che ho cercato di chiarire nel libro. L'uomo è animale simbolico che ha bisogno di significati: vive anche (o forse soprattutto) di simboli, non di solo pane. Come ha scritto Peter Berger: «Il significato è il fenomeno centrale della vita sociale (…). Né la vita collettiva né quella individuale è possibile senza un'intelaiatura di significato (…). Una società non può stare in piedi senza una serie di significati condivisi dai suoi membri; un individuo non può dare un senso alla propria vita senza una simile serie di significati». Lo scontro sul caso Eluana è durissimo perché esso scardina la tradizionale "mappa di significati", fenomeno questo che getta alcune persone in quella terribile e insopportabile condizione che è l'anomia, ossia la situazione di totale disorientamento e di privazione di simboli in cui le persone si sentono quando sono prive di riferimenti, di mete da raggiungere, di valori in cui credere.
In particolare, si ripropongono per il campo biomedico i problemi che già si sono posti in passato per altri aspetti della modernità. Come ricorda sempre Berger, nelle società premoderne i «significati sono presentati all'individuo come fatti scontati, generalmente sacri, sui quali egli può esercitare tanta poca scelta quanto sui fatti naturali: i valori che governano la vita familiare, per esempio, esistono più o meno come esiste una roccia, un albero e il colore dei propri capelli. Invece nelle società moderne un numero sempre maggiore di significati importanti è offerto all'individuo in una sorta di supermercato dei significati, in cui egli si aggira come un consumatore con ampie possibilità di scelta: per esempio fra diversi valori familiari, stili di vita, e anche preferenze sessuali [ed ora anche sulla vita biologica stessa]. Di conseguenza, il "diritto al significato" implica nei due tipi di società cose quasi opposte: in una società moderna implica il diritto dell'individuo di scegliere i propri significati; nelle società premoderne implica il suo diritto di attenersi alla tradizione».
L'asimmetria tra le due opposte "mappe di significati" o "paradigmi morali" non è da poco, perché nel primo caso i significati "ci sono", sono "dati" (come le pietre o le case), mentre nell'altro "sono da costruire". Per questo il nuovo è in svantaggio e chi sostiene la tradizione difende a gran voce i bei tempi passati. Consapevole di questa situazione, ho cercato di esaminare gli argomenti a sostegno dell'una e dell'altra prospettiva per indicare le buone ragioni della nuova risposta etica al caso Eluana. L'uomo ha bisogno di simboli e l'etica è una grande costruzione simbolica. Quando un'etica diventa inadeguata e incapace di dare risposte soddisfacenti, alcuni hanno la sensazione del "crollo" e protestano perché si sentono sull'orlo del precipizio o già sprofondare nel baratro. Altri però sono perplessi e non sanno che dire; e altri ancora intuiscono la positività del nuovo, magari senza riuscire ad articolarne le ragioni. In queste situazioni c'è bisogno di presentare le ragioni morali che sostengono la nuova "mappa di significati" o il nuovo "paradigma morale". Dando una risposta alle domande postemi da Beppino Englaro ho cercato anche di esplicitare le ragioni che sostengono la moralità della richiesta di sospendere la terapia nutrizionale di Eluana.

"Una scelta civile dimostra che si può morire con dignità"

"Una scelta civile dimostra che si può morire con dignità"

La Repubblica del 11 dicembre 2008, pag. 15

di Paola Coppola

«Guardare in faccia la morte, affrontarla come parte della vita: a questo serve quel documentario. Sulla malattia e la morte ci sono ancora dei tabu: Craig Ewert, come Piergiorgio, amava la vita e la sua scelta è un esempio di civiltà. Anche io continuo a raccontare la malattia di Piergiorgio e di come se ne è andato guardando il sole, è il mio contributo alla discussione sul diritto all’autodeterminazione». Mina Welby fa sue le parole che Mary Ewert ha usato per spiegare perché il marito ha deciso di far riprendere il suo suicidio assistito.



La tv è accusata di alimentare il "voyerismo dell’eutanasia": che pensa?

«Credo di no: chi ha avuto vicino un malato di Sla capirà, qualcuno resterà impressionato perché siamo abituati a nascondere la morte, o non sarà d’accordo, ma tutti sapranno che un malato terminale può morire con dignità».



Per Ewert farsi filmare significava affrontare la sua fine onestamente.

«Come Piergiorgio diceva: "Sono stanco della malattia, non sono stanco di vivere". E inutile prolungare l’agonia di questi malati. Spero che il documentario serva alla discussione su una legge sull’eutanasia in Gran Bretagna».



Avete mai pensato di rivolgervi a una clinica svizzera?

«Piergiorgio voleva che si facesse in Italia per essere un esempio. Oggi sostengo la sua battaglia: vorrei una legge sul testamento biologico che rispetti il dettato della nostra Costituzione».

lunedì 1 dicembre 2008

"Libertà di cura, la scelta al paziente"

La Repubblica 1.12.08
"Libertà di cura, la scelta al paziente"
L'appello di Ignazio Marino. Firmano Levi Montalcini, Epifani, Marcello Lippi
di Paola Coppola

ROMA - Un appello per il diritto alla libertà di cura. Per una legge sul testamento biologico che confermi il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie. Un appello che chiede di rispettare l´articolo 32 della Costituzione.
L´iniziativa è stata lanciata dal chirurgo e senatore del Pd, Ignazio Marino, e già sottoscritta da diverse personalità della politica e dell´informazione, dello sport e dello spettacolo. Il testo ha ricevuto adesioni trasversali come quella del Nobel Rita Levi Montalcini, di Giuliano Amato e Stefano Rodotà. È stato firmato dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, Miriam Mafai, Corrado Augias e Massimo Giannini. E ancora, tra gli altri, dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani e dal ct della nazionale, Marcello Lippi, dall´attrice Simona Marchini, dalla ginecologa Alessandra Kustermann e da Mina Welby.
«Rivendichiamo l´indipendenza dei cittadini nella scelta delle terapie, come scritto nella Costituzione», recita l´appello. E continua: «Rivendichiamo tale diritto per tutte le persone, per coloro che possono parlare e decidere, e anche per chi ha perso l´integrità intellettiva e non può più comunicare, ma ha lasciato precise indicazioni sulle proprie volontà». L´iniziativa nasce dalla preoccupazione che la legge che sarà approvata, rendendo obbligatoria idratazione e nutrizione enterale, come vuole il centrodestra, non rispetti l´orientamento degli italiani. «Negli ultimi due anni e mezzo sono stato invitato a parlare di questo tema in oltre 100 convegni riscontrando che la maggior parte delle persone ritiene che rispetto a malattia e a terapia la scelta debba spettare alla persona», racconta Marino. E chiarisce: «Vogliamo raccogliere centinaia di migliaia di adesioni per dire con forza a chi ha la responsabilità di condurre la discussione sul testamento biologico in Parlamento di ascoltare l´opinione di tutti».
Continua l´appello: «Chiediamo che la legge sul testamento biologico rispetti il diritto di ogni persona a poter scegliere. Chiediamo una legge che dia la possibilità, solo a chi lo vuole, di indicare, quando si è pienamente consapevoli e informati, le terapie alle quali si vuole essere sottoposti così come quelle che si intendono rifiutare, se un giorno si perderà la coscienza e con essa la possibilità di esprimersi». E conclude: «Chiediamo una legge che colmi il vuoto del nostro Paese in questa materia ma rifiutiamo che una qualunque terapia o trattamento medico siano imposti dallo Stato contro la volontà espressa del cittadino». È possibile firmare sul sito: www. appellotestamentobiologico. it.

sabato 29 novembre 2008

I Don Chiscotte della sacralità della vita

I Don Chiscotte della sacralità della vita
Liberazione del 27 novembre 2008, pag. 12

di Maurizio Mori
Don Chisciotte è passato alla storia per la pertinacia posta nel negare la realtà. Il suo fedele scudiero Sancho (il senso del reale) lo avvertiva che i mulini a vento non erano affatto giganti dalle braccia smisurate, ma lui si lanciava lancia in resta senza timore. E dopo averle buscate, invece di riconoscere che le cose erano diverse da come le immaginava, diceva che era stato il mago Frestone, suo nemico, a trasformare all'ultimo momento i giganti in mulini a vento. Così sembrano fare oggi quei vitalisti che in tutti i modi fanno ostruzionismo alla sentenza ormai definitiva della corte d'Appello di Milano sul caso Eluana.
A luglio hanno cominciato col conflitto d'attribuzione che ha tenuto fermo per settimane il Parlamento su un tema che si è rivelato essere una mera operazione di bassa propaganda, visto che la Corte Costituzionale neanche ne ha ravvisato l'ammissibilità. Invece di riflettere, si è ribadita la tesi di un presunto "complotto" dei giudici contro il Parlamento! Poi c'è stato il ricorso della procura generale di Milano, con motivazioni risibili perché dopo quasi diciassette anni di Stato vegetativo permanente anche Don Chisciotte avrebbe riconosciuto che il "risveglio" è impossibile. Ma è stato sostenuto da "luminari" della neurologia che ancora credono in ataviche concezioni vitaliste che nulla hanno di scientifico: pazienza. Ma è stato bocciato anche quello. E ancora una volta la colpa è sempre dei giudici, sicuramente manovrati da un qualche sostituto del mago Frestone. Ieri l'altro c'è stato il ricorso d'urgenza alla corte europea di giustizia. Avvenire informa che sarà un professore dell'università (cattolica) di Lovanio a decidere se ammettere o no il ricorso. E intanto ci si affretta a sottolineare con enfasi ottimistica che «l'importante è che il ricorso ora è registrato dalla Corte. Chiederemo la fissazione il prima possibile di un'udienza e una comunicazione ufficiale da parte di Strasburgo sul caso al governo italiano». La semplice apertura di un fascicolo - un atto dovuto in un ordinamento civile - è subito annunciato come se già comportasse l'accettazione dello stesso. Peccato che, proprio quel professore cattolico abbia respinto il ricorso: si vede che in Europa non vale il "tengo famiglia …" ancora tanto diffuso da noi.
Non sarà il caso che i vitalisti nostrani facciano una pausa di riflessione? La realtà è diversa da quella prospettata dalla sacralità della vita, perché la rivoluzione biomedica ci obbliga a fare scelte e prendere decisioni sulla vita. Continuare a dire che «la vita è nelle mani di Dio e solo lui può decidere» è un bel modo di dire che può anche rassicurare gli animi sbigottiti o impauriti del nuovo, ma che non corrisponde più alla realtà dei nostri ospedali. Di questo devono prendere atto gli oppositori alla conclusione della vicenda Eluana, compresi quei politici nostrani dell'opposizione, sempre pronti ad accordi da sagrestia.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Università di Torino

Caso Englaro, spartiacque tra laici e vitalisti

Caso Englaro, spartiacque tra laici e vitalisti

Liberazione del 27 novembre 2008, pag. 12

di Sergio Bartolommei
l caso Englaro costituirà a lungo lo spartiacque tra laici e non laici in un Paese in cui una delle questioni cruciali da chiarire riguarda la sovranità e l'indipendenza dello Stato italiano da agenzie religiose e poteri ultraterreni.
Entrambe sono seriamente state messe in discussione dai furibondi attacchi delle gerarchie cattoliche e di certe associazioni "di base" alle recenti storiche sentenze delle Corti di giustizia italiane che hanno riconosciuto il diritto di Eluana a non prolungare ulteriormente il processo della morte iniziato irreversibilmente in una notte del gennaio 1992.
La violenza delle parole e delle espressioni usate non ha paragoni e non merita citazioni. C'è da osservare che quanto più aggressive e sprezzanti sono queste espressioni, tanto più rivelano insicurezza, cupo e sordo risentimento per la perdita della presa, sulle coscienze degli stessi credenti, di quella legge morale naturale di origine divina che sancisce la sacralità e vieta la disponibilità della vita umana. D'altra parte questi attacchi segnano un pericoloso crescendo del ruolo della moral (ma meglio sarebbe dire immoral ) suasion da parte delle gerarchie cattoliche sulle forze politiche e nell'area delle decisioni legislative. E' palese la volontà di bruciare i tempi dell'azione di convincimento pastorale delle anime dei fedeli. Si preferisce ricorrere alle scorciatoie e affidare al cosiddetto "partito di Dio", che accoglie adepti di entrambi gli schieramenti parlamentari, il compito di far capire con la forza della legge al cittadino medio come devono restare le cose in questo Paese in fatto di modi del morire, dopo che con la legge 40/2004 si è dato un saggio eloquente su come devono restare in fatto di modi del nascere.
Il Parlamento del nostro Paese si è rivelato poco avvezzo negli ultimi anni a pensare che le scelte ispirate a convinzioni religiose non debbano venire imposte a chi non le condivide. In tale contesto diviene facile far passare come un fatto naturale che le Curie, tetragone alle sentenze dei tribunali italiani, premano sui rappresentanti del potere politico locale per continuare, di fatto, a tormentare e tenere in scacco una famiglia che per 16 anni ha chiesto, senza ottenerla, giustizia. Purtroppo, anziché tutelare i cittadini Englaro dal fanatismo della persecuzione religiosa e rivendicare la propria autonomia dal neotemporalismo della Chiesa, lo Stato e il Legislatore italiano stanno facendo il possibile per non irritare il persecutore. Si spera non si debba attendere un novello Voltaire (e un nuovo Jean Calas…) per liberare definitivamente Eluana dalla prigione di un corpo ridotto a mero contenitore di liquidi e tutelare l'azione del padre dalle crociate dei poteri confessionali.
La richiesta che Eluana ha formulato attraverso il padre e che le Corti hanno infine e solennemente riconosciuto legittima è d'altra parte semplice: vedere assicurato il diritto a esercitare potere e sovranità sul proprio corpo in tutte le fasi della propria vita, compresa questa, in cui malauguratamente è andata per sempre persa la sua coscienza ed ella non può esprimersi direttamente. Anche a non volere qui contestare il linguaggio della morale religiosa che considera anche gli individui in Stato vegetativo permanente "persone", la domanda che sorge immediata è la seguente. Chi crede che un essere umano sia "persona", con la sua intatta "dignità" durante tutta la sua esistenza, come può sostenere che in fase di incoscienza la "persona" Eluana Englaro possa avere meno dignità di una "persona", Testimone di Geova, che sceglie, non ostacolata e senza obbligare altri a fare la sua scelta, di morire piuttosto che subire un'emotrasfusione? Perché dovrebbe essere riconosciuto a una persona cosciente il diritto di rifiutare le cure in base ai suoi valori e lo stesso diritto negato a una persona che non abbia più questa capacità nonostante abbia espresso con chiarezza la sua volontà quando era lucida e cosciente? Non ha anche quest'ultima il diritto di non subire violenze inutili e indesiderate?
Sino a quando a queste domande non saranno date risposte razionali, chiare e convincenti da parte vitalista, dovere dei laici e dello Stato è di proteggere se stessi dal linguaggio eversivo del fanatismo religioso e i diritti giuridicamente acquisiti dei cittadini Englaro dai ripetuti tentativi di boicottarli.

NOTE

Dipartimento di Filosofia Università di Pisa
Consulta di Bioetica

mercoledì 26 novembre 2008

Testamento biologico, ora il Pdl accelera d’intesa con Lega e Casini

Testamento biologico, ora il Pdl accelera d’intesa con Lega e Casini

Il Manifesto del 26 novembre 2008, pag. 7

di Alessandro Braga

Per carità, nessuno parli di «rincorsa con il caso Englaro», ha precisato subito il relatore della proposta di legge sulle «direttive anticipate di tratta- mento», il senatore del Popolo della libertà Raffaele Calabrò. Certo però, ha aggiunto. «sarebbe bello arrivare prima del suo epilogo perché in questo modo sarebbe la legge, e non la magistratura in assenza della legge, a decidere». E, in ogni caso, bisognerà arrivarci «entro i primi mesi del prossimo anno, entro la primavera». Quale sarà la direzione di questa legge, è abbastanza facile da indovinare. Il ministro Maurizio Sacconi ieri, rispondendo all’attacco di Famiglia Cristiana, che aveva accusato l’esecutivo di non aver preso una posizione chiara sul caso Englaro, ha detto senza troppi giri di parole: «Siamo schierati a favore della vita, credo che non potremo assistere passivamente al venir meno dei diritti fondamentali della persona, come quello all’idratazione e all’alimentazione».



Ieri, proprio nel giorno del trentottesimo compleanno di Eluana, a ribadire l’urgenza di una legge sul testamento biologico, è stato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: un intervento legislativo in materia è «indispensabile e non più procrastinabile», ha scritto il capo dello Stato rispondendo a una lettera del presidente del movimento per la vita Carlo Casini. Aggiungendo anche che è necessario «un ampio consenso, come auspicato anche dalla Corte costituzionale» e che questa legge «deve essere fondata su adeguati punti di equilibrio tra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». Un appello, quello di Napolitano, che ha trovato, come ovvio, apprezzamenti bipartisan: dal presidente del Senato Schifani a monsignor Fisichella, da Silvio Viale, membro della direzione nazionale dell’associazione Luca Coscioni a Paola Binetti, fino al senatore del Partito democratico Ignazio Marino, primo firmatario di un disegno di legge sulla materia che raccoglie le firme di 101 senatori di entrambi gli schieramenti, tutti a dar ragione al capo dello Stato.



Ma qualcuno ha addirittura colto l’occasione per fare un passo in più. E il caso di alcuni parlamentari del Pdl che hanno proposto ai colleghi di Udc e Lega un’azione comune. «Si è aperto un confronto e si sono condivise molte delle buone ragioni del disegno di legge Bianconi al Senato e della proposta di legge Cota alla Camera», hanno dichiarato ieri. Che sfocerà nei prossimi giorni in una proposta di legge che «unisca rigore, ragionevolezza alle riflessioni fatte nell’incontro» di ieri. Partendo ovviamente dal ddl Bianconi, che si pone in forte contrasto con ogni forma di eutanasia e testamento biologico. E già questa mattina i rappresentanti del Popolo della libertà nella commissione sanità del Senato insieme ai vertici del gruppo del Pdl Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliarello si riuniranno per «tirare le somme» del dibattito interno e dare il via a «un’accelerazione dell’iter legislativo sulla fine della vita. Insomma, al di là delle ovvie dichiarazioni di circostanza sulla necessità di una soluzione condivisa in materia, il centrodestra sembra voler dare una sterzata e imporre la propria posizione, con la scusa dei tempi stretti. Giocando anche sulle divisioni interne al Pd. Se Ignazio Marino ieri ha stemperato i toni augurandosi un dialogo conciliante tra le parti, i teodem non hanno perso l’occasione per ribadire che il Pd «ha raggiunto un livello di convergenza su quasi tutto». Ma sul quel «quasi» ci sarà sicuramente da battagliare aspramente.

Napolitano: «Fate legge su testamento biologico»

Napolitano: «Fate legge su testamento biologico»

Liberazione del 26 novembre 2008, pag. 3

Sui temi della vita «è necessario il massimo sforzo di convergenza, in parlamento, tra i diversi modi» per un intervento legislativo «ormai indispensabile e non più procrastinabile». Lo afferma il Capo dello Stato Giorgio Napolitano in una lettera inviata a Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, che l'ha resa nota. L' associazione aveva scritto a sua volta al presidente sulla vicenda di Eluana Englaro. E con riferimento al "caso Welby", il capo dello Stato ricorda come «allora auspicai un confronto reale perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l'elusione di ogni responsabile chiarimento. Ribadisco oggi questo mio convincimento».
«Bravo Presidente. C'è bisogno di una legge e bene ha fatto Giorgio Napolitano a ricordare che deve essere fondata su adeguati punti di equilibri tra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». Lo ha affermato Silvio Viale, membro della direzione nazionale dell'associazione Luca Coscioni e del comitato scientifico di Exit-Italia. «In altre parole - sottolinea Viale - ci vuole una legge per il testamento biologico e non contro il testamento biologico, che ampli le garanzie di scelta e non le riduca. Per una singolare coincidenza la lettera del Presidente Giorgio Napolitano al Movimento per la vita giunge nel giorno in cui Eluana avrebbe compiuto 38 anni. Ora - conclude - tocca al Parlamento avviare una discussione franca, senza veti e senza tabù, senza disciplina di partito e ricatti ai "nominati". Se cosi accadrà, sono certo, che questo Parlamento non potrà che decidere come farebbe l'80% degli italiani». Parallelamente si dice contento pure monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: «Non posso che rallegrarmi. Si vede che sente anche lui l'esigenza del Paese di legiferare in una situazione che con il caso di Eluana Englaro è divenuta drammatica».

martedì 25 novembre 2008

Treviso, spina staccata al neonato

l’Unità 25.11.08
Treviso, spina staccata al neonato
il vescovo: no ad accanimenti
di Toni Fontana

«Professionalità e sensibilità». Mentre infuriano le polemiche (Luca Volontè, Udc, ha parlato di «introduzione di una eugenetica soft») sulla vicenda del neonato con gravissime malformazioni ricoverato al reparto di Patologia neonatale di Treviso, cui i medici hanno sospeso i trattamenti, ritenendo che non vi erano speranze di salvezza, interviene il vescovo del capoluogo veneto, Andrea Bruno Mazzocato. Il prelato si schiera con la scelta compiuta dai sanitari: «Ogni vita umana - dice - è sacra e chiede di essere sostenuta con assoluto rispetto e con mezzi possibili, in ogni momento. Questo sostegno non deve però offendere la dignità della persona con accanimenti terapeutici inutili». Il vescovo non parla di eutanasia; nel suo intervento accenna alla «notizia riportata dai mezzi di comunicazione circa la prassi medica seguita nei confronti del neonato affetto da gravissime malformazioni morto a Ca’Foncello» e, dopo aver ricordato «i principi morali più volte espressi dalla Chiesa» si schiera contro «accanimenti terapeutici inutili, anche se tecnicamente possibili». Tra le righe il prelato ripropone le indicazioni del centro di bioetica dell’Università Cattolica di Roma che, nel 2006, diffuse le linee guida «per l’astensione dall’accanimento terapeutico nella pratica neonatoligica» schierandosi appunto per la sospensione di trattamenti inutili. A Treviso il procuratore capo Antonio Fojadelli fa notare che sul «testamento biologico non esiste ancora un quadro normativo certo e completo».
Su Eluana Englaro e i temi che riguardano il «trattamento di fine vita» interviene Famiglia Cristiana. L’editoriale del prossimo numero recita tra l’altro che «siamo di fronte al suicidio di un Parlamento, sempre più svilito, che abdica alle proprie responsabilità e si autosospende dalla sua funzione legislativa».
Berlusconi - dice il settimanale - «una legge non la vuole e se ne lava le mani, affidandosi ai giudici (almeno in questo caso!).. Veltroni «è l'eterno indeciso».

lunedì 24 novembre 2008

"Così i medici si sono accaniti contro mio padre Nino Manfredi"

"Così i medici si sono accaniti contro mio padre Nino Manfredi"

La Repubblica del 24 novembre 2008, pag. 12

di Caterina Pasolini

«Mio padre Nino Manfredi come Eluana, è stato una vittima. Anche lui ha subito accanimento terapeutico per un lunghissimo e atroce annodi agonia. Salvato in extremis tre volte è stato rianimato, legato alle macchine per respirare, intubato con una tracheotomia, con cannule in tutto il corpo per farlo mangiare e bere a forza. Lui non avrebbe voluto questa inutile tortura ma non poteva parlare, non poteva difendersi. Abbiamo cercato di farlo noi per lui ma non è servito. Nessuno ci ha ascoltato. Per questo ci vuole una legge sul testamento biologico: perché sia rispettata la volontà della persona, perché non accada come a papà di doversi conquistare il diritto a smettere di soffrire solo dopo un anno di straziante agonia. Aspettando la morte come una liberazione». Roberta Manfredi misura le parole. Le costa un dolore infinito ricordare la sofferenza del padre morto nel giugno del 2004. Ma non si tira indietro e ripercorre ora ancora una volta il calvario del grande Nino, dopo averlo fatto in un’intervista al settimanale Gente oggi in edicola.



«Parlo perché se può servire agli altri, se verrà fatta una legge forse così ha un senso il suo e nostro dolore». Parla con pudore velato da indignazione quando pensa a «quelli che giudicano e condannano in maniera brutale e impietosa Beppino Englaro: è come ferirlo ancora quando la vita lo ha già colpito così duramente visto che non c’è nulla di peggio che perdere un figlio. Lo ammiro. Quanto dolore, quanto coraggio nella sua scelta straziante di amore immenso per rispettare il volere della sua Eluana».



Una scelta, approvata anche dall’ultima sentenza della Cassazione di lasciare andare la giovane in coma da 16 anni, che continua a provocare proteste. Così oggi il Movimento perla vita lancia una staffetta del digiuno contro «la sentenza di morte per Eluana», e l’Avvenire in un duro editoriale dice che «sarà uccisa e il suo caso si inserirà nel lunghissimo novero degli omicidi pietosi, perché è eutanasia».



Cattolici contro atei? Roberta Manfredi non è d’accordo. «Credo in Dio, ma proprio lui ci ha dato il libero arbitrio, il diritto di decidere sulla nostra vita, quindi...». Per lei, anche chi pensa che la vita sia di Dio dovrebbe a maggior ragione lasciarle seguire il suo corso, «e in questo caso senza tubi e cannule, senza l’intervento delle macchine mio padre ed Eluana sarebbero morti prima. Insistere, contro la volontà del malato, significa sostituire le macchine a Dio».



È preoccupata per il futuro Roberta Manfredi, che ha prodotto un emozionante film sulla storia vera di un ragazzo svegliatosi dopo un mese di coma, appena andato in onda su Raiuno. «Se, come sembra, verrà fatta una legge che prevede nutrizione e idratazione obbligatorie, questo significa obbligarmi a vivere in condizioni che giudico inaccettabili. Significa che la mia vita è dello Stato? Un assurdo, e io non voglio finire prigioniera di decisioni altrui il giorno in cui non potrò parlare. Per questo io e tutta la mia famiglia stiamo informandoci per andare da un notaio, per essere sicuri che le nostre volontà siano rispettate il giorno in cui non potremo più esprimerle».

La morte del neonato: ora è scontro politico

La morte del neonato: ora è scontro politico

Il Gazzettino del 24 novembre 2008, pag. 2

di M. Ant.

«Non è stata fermata nessuna macchina, non è stata staccata nessuna spina, il bambino è stato ventilato col respiratore automatico fino a quando si è spento tra le braccia della mamma: ma come si può pensare ad un modo più umano di assistere un paziente e la sua famiglia in una situazione così drammatica?»: Ignazio Marino (foto), chirurgo capo della Divisione trapianti e chirurgia del fegato della "Jefferson" di Philadelphia (Usa), senatore del Pd, non ha dubbi. Ma il fronte cattolico insorge, denuncia il preoccupante profilarsi di una «eugenetica soft», parla di «omicidio assistito spacciato per compassionevole» e chiede ispezioni ministeriali negli ospedali. Dopo il caso Englaro, un’altra triste vicenda arriva alla ribalta della cronaca, tra le polemiche che astiosamente sempre accompagnano questi drammi.



Sul caso di Treviso, Marino parte da una premessa: «È una vicenda ovviamente drammatica e dolorosa, ma si tratta di una situazione, così come è stata descritta dal direttore sanitario dell’Ospedale di Treviso, in cui la prognosi è chiaramente infausta è sotto gli occhi di tutti: insistendo con la somministrazione di alcuni farmaci, non si farebbe altro che prolungare l’agonia di una persona. II fatto di “interrompere cure sproporzionate" è un concetto che è presente nella deontologia medica, è presente nella etica di molte religioni, è chiarissimo nel catechismo della Chiesa cattolica, secondo al quale l’interruzione di cure sproporzionate rispetto al risultato è legittima e non significa procurare la morte. Lo si dice con chiarezza: significa riconoscere che non si può evitarla, che si è arrivati alla fine di quanto umanamente si può fare». Il senatore del Pd sottolinea poi la necessità di affrontare questi problemi con più serietà di quanto normalmente non succeda: «E sbagliato paragonare, come tuttavia ho letto, il caso di Treviso alla "eutanasia come in Olanda". Bisogna sapere di che cosa stiamo parlando: l’eutanasia è la somministrazione del veleno per fermare una vita (in Olanda, in alcuni casi è legittimo), mentre a Treviso ci si è astenuti dal somministrare cure che avrebbero prolungato l’agonia ad un bambino che pesava meno di un chilo. Sono cose sostanzialmente diverse».



Quanto ad una legge che regoli la materia, il professor Marino non ha esitazioni a giudicarla «necessaria e assolutamente urgente, oltre che auspicabile. L’importante è che conservi il principio sapientemente introdotto nella nostra Costituzione: gli italiani hanno il diritto alla salute, ma non hanno un dovere alle terapie, cioè sono liberi di poter scegliere a quali terapie sottoporsi e a quali no. Mi pare di una semplicità e di una democrazia assoluti». Ma avverte: «Arriveremo ad una legge di cui essere orgogliosi come Paese solo se, discutendo di argomenti così delicati e seri, sapremo trattarli con umiltà e rigore. Non si usino violenza verbale, le grida all’omicidio di Stato. Sono temi che richiedono interlocutori seri, preparati e sereni».



Sul fronte opposto, però, la reazione è ben di- versa. Luca Volontè (Udc) denuncia: «Inquietanti dati e superficiali strumentalizzazioni sui casi dei bambini di Treviso, portano alla introduzione di una eugenetica soft», Ricordato che «gli infanticidi negli ospedali Carreggi di Firenze e San Camillo di Roma, sono ancora impuniti», Volontè sollecita i giudici a fare il loro lavoro e il ministero del Welfare a fare «le dovute ispezioni». Per Raffaele Calabrò (Pdl), una legge in materia è urgentissima: «Ieri la magistratura, oggi è un singolo professionista ad arrogarsi il diritto di scegliere il confine tra vita e morte. Si esige un intervento del legislatore che dica no ad ogni forma di eutanasia, di omicidio assistito o di suicidio assistito, spacciato per compassionevole».

venerdì 21 novembre 2008

Caso Eluana, l'eutanasia del linguaggio

Caso Eluana, l'eutanasia del linguaggio

Liberazione del 21 novembre 2008, pag. 1

di Maurizio Mori
A scorrere la rassegna stampa sul caso Eluana ci sono molti punti che colpiscono, ma due di essi meritano una pausa di riflessione.
Il primo riguarda l'uso del linguaggio. Ormai tutti si lamentano che le parole sono usate nel significato sbagliato. Per risolvere la stortura, la sottosegretaria Roccella ha fatto scrivere un vero e proprio "Glossario" in cui si definiscono i termini chiave circa lo stato vegetativo permanente, nella speranza di poter controllare almeno le parole - visto che il resto è già sfuggito di mano. L'obiettivo è quello di sempre: dando il nome alle cose si vuole dare una rassicurazione ai cittadini turbati dicendo loro che non devono preoccuparsi di niente, che tutto è come prima, e che presto si riporteranno indietro le lancette della storia. L'impegno sembra illusorio, perché è difficile riuscire ad impadronirsi del linguaggio: ci hanno provato in tanti, e non sembra basti l'aiuto di qualche medico devoto e compiacente, unito a una campagna mediatica. Ma ciascuno ha le proprie illusioni ed è bene che se le coltivi come può. Ci sarà modo di esaminare anche questo aspetto.
Un altro termine al centro dell'attenzione è "eutanasia", visto che da più parti si ripete che Eluana morirà per "eutanasia" o per iniqua "condanna a morte". È chiaro che l'uso di queste parole è teso a sottolineare un'incongruenza, dal momento che in Italia l'eutanasia è vietata come lo è la pena di morte. Ancora di più: il termine "eutanasia" è ancora associato all'orrendo "Euthanasie Programme" di Hitler, che nulla ha a che fare con quanto si indica oggi con quella parole.
La pena di morte ci fa tornare alla mente le esecuzioni (impiccagioni ecc.) in tempi o paesi meno "civili". Insomma, si usano questi termini non per descrivere la situazione o dare un'informazione, bensì per suscitare emozioni di sdegno ed incitare all'attacco. Non per ragionare e far ragionare, ma per evocare le passioni più intense.
Per chi vuole mettersi a ragionare (e non è indispensabile visto che alcuni irrazionalisti hanno esplicitamente dichiarato di non voler ragionare né discutere, ma solo protestare), il punto di partenza è considerare le definizioni tecniche, sulle quali c'è stata un'attenta riflessione. In questo senso l'aspetto fondamentale è che quando si parla di "eutanasia" si suppone un intervento umano che presuppone la richiesta o il consenso di un paziente alle fasi finali che volontariamente accetta in qualche modo di porre fine ai propri giorni. Senza la volontarietà non è "eutanasia": ecco perché il programma nazista non c'entra niente. Là non c'era alcun consenso degli interessati (né alcuna malattia), era solo la pura eliminazione fisica.
Se andiamo a vedere il tipo di intervento in questione, può essere un'azione o un'omissione. Di solito con "eutanasia" si intende quella attiva consistente in un atto che anticipa la morte su richiesta del paziente interessato. Si parlava anche di "eutanasia" passiva quando c'è l'omissione di interventi dovuti, e qui si presenta il problema di sapere quali essi siano. Infatti, sembrerebbero non dovuti quelli che provocano l'accanimento terapeutico, mentre sarebbero dovuti tutti gli altri. Il problema di questo modo di impostare il problema è che nessuno dice di fare l'accanimento che è una "cosa cattiva". Che cos'è "accanimento"? A suo tempo si disse che il respiratore di Welby non era accanimento. Adesso si dice lo stesso con Eluana. Ancora, alcuni distinguono tra le "terapie mediche" e i "mezzi di sostentamento di base", osservando che alimentazione e idratazione non sono terapie ma assistenza umana. Tutte queste distinzioni servono per puntellare l'etica della sacralità della vita secondo cui la vita umana è buona in sé (a prescindere dai contenuti), per cui le scelte al riguardo non spettano all'interessato. Assomigliano agli epicicli che venivano introdotti per far collimare il sistema tolemaico: bastava aggiungerne uno per riuscire a spiegare l'anomalia.
Sarebbe meglio abolire tutti quei termini e distinzioni per restare alla volontarietà degli interventi. Nessuno ha la facoltà di farmi i capelli (fosse anche solo per ragioni estetiche) senza il mio consenso: così le cure, siano esse di qualsiasi tipo. E il punto da considerare è che nelle società moderne la fine della vita è sempre - lo si voglia o no - sempre "decisa" o "scelta". Questo punto è diventato chiaro anche quando Eluana ha avuto l'emorragia che l'ha messa in pericolo e si è deciso e scelto di non fare alcuna trasfusione di sangue: se fosse morta allora, quella non era una "morte naturale", ma sempre decisa perché si è scelto di non trasfondere sangue pur avendone la possibilità. Il problema da chiarire riguarda le diverse ragioni che giustificano la scelta nell'uno o nell'altro senso.
Ma in ogni caso, sempre di "scelta" si tratta, ed è per questo che è preferibile limitare il termine "eutanasia" solo a quella attiva cioè solo al caso in cui si procede con un'azione specifica a causare la morte in un paziente che lo ha richiesto. Nel caso di Eluana, però, così non è ed è per questo che non ha senso parlare di "eutanasia".
L'altro punto che colpisce l'attenzione guardando la rassegna stampa è l'insistenza con cui si sottolinea che la "cosa giusta" è lasciare Eluana alle cure delle suore Misericordine, lasciando intendere che eccessiva sarebbe l'insistenza di Beppino nel chiedere il rispetto della volontà di Eluana. Così si mandano in onda in prima serata casi di "risveglio" e di altre situazioni di malattia diverse dallo stato vegetativo (e che quindi non c'entrano niente) per evocare assonanze indebite e far credere che Beppino sia stato travolto da eccesso di sofferenza. A volte quest'insistenza assume un sentimentalismo melenso e stucchevole, altre viene ammantato di toni legati alla sacralità della vita. Resta che Beppino ci fa la figura del cattivo senza cuore, disposto a tutto pur di giungere al suo scopo - anche a far morire la figlia di "morte atroce" cioè tra grandi sofferenze.
Anche qui si usano i termini a vanvera, e c'è bisogno di precisarli. Come riconosce anche Francesco D'Agostino, «Eluana, come tutti i malati in coma, non soffre. …far morire d'inedia un malato, sospendendogli alimentazione e idratazione, è intuitivamente atroce, non perché il malato soffra, ma per la valenza di freddo distacco da lui che è implicita nella sospensione delle cure» ( Avvenire , 11 luglio 2008). L'atrocità della morte, quindi, non riguarda Eluana, la quale non soffre perché i centri nervosi della sofferenza sono distrutti. E le terapie previste anche dalla corte d'Appello sono per mantenere la compostezza del decesso, non per togliere sofferenze che non ci possono essere.
Chiarito questo, il problema per D'Agostino è "intuitivamente atroce" il fatto di sospendere la nutrizione perché sul piano simbolico questo indica un "freddo distacco" umano. Quest'intuizione di D'Agostino, però, dipende forse dal suo personale mondo simbolico, che forse non tiene conto della realtà morale da considerare. Infatti, tralasciando il fatto se ad Eluana si possa fare del "bene" o del "male", il problema vero è che non sempre atti benefici sono moralmente buoni. Ad esempio, dare un'elemosina ad un indigente è atto benefico, ma ove non fosse richiesta o fosse non voluta, sarebbe offensivo farla ed anche proporla.
Per questo, insistere nel chiedere che venga accolta l'offerta delle suore (quand'anche fosse in qualche senso "benefica") è qualcosa d'improprio. Grande è la cortesia di Beppino che non replica e che sopporta con pazienza anche quest'ennesimo affronto, mostrando di essere davvero una persona di straordinaria caratura morale.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Università di Torino

Eluana, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso urgente

l’Unità 21.11.08
Eluana, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso urgente
di Federica Fantozzi

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dice no alla procedura d’urgenza nel ricorso contro la sentenza che autorizza lo stop alle cure per Eluana. Il presidente del Consiglio superiore di sanità: «È eutanasia».
Decisione lampo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso di Eluana, la ragazza in coma irreversibile da 16 anni. Ieri i giudici comunitari hanno aperto un fascicolo sulla vicenda respingendo però la richiesta di misure provvisorie avanzata da 34 associazioni per bloccare la sentenza che autorizza lo stop alle terapie. Nessuna procedura d’urgenza, dunque: se i ricorrenti vorranno procedere e se il caso verrà considerato rilevante, la Corte seguirà tempi e modi ordinari. Vale a dire non brevi. E nel frattempo la sentenza ha forza di legge ed è immediatamente attuativa.
Intanto il presidente del Consiglio superiore della Sanità Franco Cuccurullo ha affermato che se si staccherà il sondino la morte della giovane donna «non sarà diversa dall'eutanasia o dall'omicidio» perché «non muore della patologia da cui è affetta, ma di fame e di sete: anzi, viene fatta morire». Secondo Cuccurullo, che è anche rettore dell'Università di Chieti-Pescara, «si apre una deriva pericolosa per le persone incapaci».
Il ricorso alla Corte Europea era stato accolto con amarezza da Beppino Englaro, il padre di Eluana che da un decennio porta avanti la battaglia giudiziaria per farla morire: «Ho agito sempre con grande limpidezza - ha detto, ricordando di avere in mano un decreto immediatamente esecutivo - Stanno ostacolando quello che è stato deciso. Le provano tutte, ma credo che da un punto di vista umano, io non ho più nulla da dire».
Il signor Englaro dopo aver ringraziato i media «per l’aiuto e il sostegno in questi anni» ha annunciato il silenzio stampa: «Non mi resta altra scelta che tacere. Devo conservare le poche forze per portare a termine quello che mia figlia si aspetta da anni da me».
L’avvocato che ha curato il ricorso europeo, Rosaria Elefante, precisa che «non è stato respinto, semplicemente non è stata accettata la procedura d’urgenza» e ribadisce la richiesta che venga fissata un’udienza. L’apertura di un fascicolo a Strasburgo è stata considerata «un fatto positivo» dal governatore della Lombardia, il ciellino Roberto Formigoni, invitato dai Radicali a recedere sul veto all’accoglienza di Eluana negli hospice della sua regione. I Verdi hanno invece offerto la disponibilità di una struttura a Forlì.
In queste ore gli avvocati della famiglia Englaro sono in contatto con diversi hospice friulani, destinazione privilegiata per le radici paterne. Tutto sta a vedere se andranno a buon fine. L’équipe medica, composta dal neurologo che da anni segue Eluana, il professor Carlo Alberto Defanti, e da un anestesista, è già pronta. Si attende soltanto di ricevere luce verde e firmare l’accettazione nella struttura privata prima di chiedere le dimissioni dalla clinica di Lecco dove la giovane è accudita dalle suore Misericordine.
Tuttavia, le voci contrarie alla decisione della Corte Suprema non si rassegnano. Il vescovo di Como monsignor Diego Coletti ha invitato i fedeli della diocesi domenica prossima a «pregare per Eluana» perché «appellarsi al rispetto della libertà individuale è solo un pretesto per nascondere le inadempienza della nostra solidarietà».
Sette senatori del Pd (la Teodem Baio, Bosone, Gustavino, Papania, Del Vecchio, Biondelli e De Luca) hanno sottoscritto la petizione europea promossa dal “Movimento per la Vita”. Mentre dalle file del centrodestra il segretario del Pri Francesco Nucara invita a fare un passo indietro: «È ora di accettare la sentenza della Cassazione e di lasciare il padre di Eluana in pace. Va rispettato il suo silenzio, è un caso tragico su cui c’è stata una strumentalizzazione intollerabile».

mercoledì 19 novembre 2008

Nei paese degli Englaro «Quel dolore merita rispetto»

Nei paese degli Englaro «Quel dolore merita rispetto»

L'Unità del 19 novembre 2008, pag. 12

di Federica Fantozzi

«Dove si nasce ogni erba pasce. A casa si sta bene». Alza le spalle Armando Englaro a chiedergli della determinazione con cui suo fratello Beppino vuole riportare Eluana a morire in Carnia. Anche la lunga battaglia ha una risposta semplice: «Per un carnico la libertà è tutto, non si scende a compromessi con nessuno».



Paluzza, 3mila anime e sei frazioni, 18 chilometri dall’osteria Le Trote alle montagne, è la terra che ha dato le radici e accoglierà le spoglie della famiglia Englaro. Qui, nella casa bianca con i gerani alle finestre che affaccia sulla piazza e ora ospita un parrucchiere, nacque nonno Giobatta con i suoi dieci fratelli: «Tutti a settembre perché gli emigrati tornavano a Natale». Qui, nel capannone arancio ha sede la florida ditta familiare che da trent’anni vende pavimenti e moquettes. Qui, nella villetta a due piani con giardino e fiocco azzurro sulla porta vivono Armando e moglie. La figlia Germana, la cuginetta di Eluana che scrisse la lettera ai giudici «bella quanto inefficace» perché non ne tennero conto, studia a Padova e pochi giorni fa, in concomitanza con la sentenza, ha avuto Pietro.



Dietro Beppino c’è tutto questo. Tosti e testoni i camici, temprati da miseria ed emigrazione. Anche gli Englaro: 5 fratelli, bambini che raddrizzavano chiodi, adolescenti «con l’imprenditoria nel sangue», partiti all’estero e due ancora lì che «tornano ogni tanto a deporre un fiore sulla tomba di famiglia». Armando, un omone di 62 anni con i capelli grigi, è l’ultimogenito. Beppino, classe’41, il penultimo: «L’unico che ha studiato. Papà ce lo chiese, solo lui aveva voglia». Il rapporto tra i due fratelli è costante: «Da manovale in Germania divenne manager, poi ha messo su l’azienda e mi ha chiamato - dice con semplicità Armando - È il mio artefice».



In paese si conoscono tutti. Nella piazza rettangolare, tra municipio, scuola, banca e pasticceria, tanti mandano saluti a Lecco. Il sindaco Aulo Maieron, ex Ds ora Pd, ha il nome di un comandante partigiano e pesa le parole: «La sentenza è una pietra miliare sull’eutanasia e pone questioni politiche. Ma qui c’è una tradizione profonda di rispetto per Beppino. Noi siamo abituati al ritmo della vita: si nasce, si cresce, si muore. Vedere Eluana in un limbo ci spiazza, è al di sopra di noi. La solidarietà però è totale». Armando lo guarda, luì prosegue: «C’è un sostegno morale e se fosse necessario anche pratico. Non possiamo tirarci indietro». Non sono frasi vuote: gli Englaro cercano una struttura privata in zona, l’équipe medica c’è già. Nulla di definito, chiarisce lo zio della ragazza: «La voglia c’è, se riusciremo dipende da quanti avranno o no paura».



Tra boschi e campì di granturco, tagliata dal Rio Gelato, la fredda Carnia è un luogo a sé. Tradizionalista, cattolica, eppure collegio di Loris Fortuna, il padre del divorzio «che il giorno dopo le elezioni veniva a ringraziare i concittadini» e vivaio di socialisti. Come Renzo Tondo, il governatore «coraggioso» che ha aperto a Eluana le porte del Friuli: «Ci conosciamo da ragazzini - ricorda Armando - Facevamo le riunioni nell’albergo del padre». Come Ferruccio Saro, il senatore che si è speso e ora chiede silenzio, così potente che «nel centrodestra non si muove foglia che Saro non voglia». Come i due Englaro che si parlano in dialetto e divergono solo su un punto: cattolico lo zio, più volte pellegrino a Lourdes e Santiago di Compostela; senza il «privilegio della fede» il padre. «Beppino non vorrebbe il funerale, per ragioni comprensibili. Mi ha detto: decidi tu. E io credo che a mia nipote farebbe piacere».



Cortei e picchetti hanno un’eco remota. «Non credo che il carnico si presti al clamore», scuote la testa Maieron. Armando Englaro se la prende con le «stupidaggini» di certi medici: «Parlano senza conoscere. Preferirei morire che finire in mani loro» . «Qui non si parla, si vive», gli dà ragione Don Tarcisio, il parroco disposto a celebrare la messa funebre: «Non vedo nessuna difficoltà, non avrei motivo a dire no». Eppure, non è scontato. «Sono di qui dice - Compaesano di questi ragazzi. Noi non esterniamo, non manifestiamo. Io nelle omelie non ho toccato l’argomento: è cosa troppo delicata da buttare in pubblico. So che tutta la popolazione è vicina aBeppino. Abbiamo un comune sentire verso questo papà». Armando ha gli occhi lucidi, Don Tarcisio si siede: «Non nascondo la mia difficoltà, la Eluana per me resta una persona. Mia madre malata vive con me e la amo di più. A lasciarla andare soffrirei troppo». Se lo chiedesse? «Non la ubbidirei». Tuttavia, sussurra, «il miglior giudizio lo dà Dio, lasciamoglielo. Non faccio altro che consegnare questa figliola nelle sue mani. Le dia quella pace che cerchiamo anche noi e che da tempo qui non c’è».

martedì 18 novembre 2008

Eluana, né con te, né contro di te Ma insieme a te, alla tua libertà

Eluana, né con te, né contro di te Ma insieme a te, alla tua libertà

Liberazione del 18 novembre 2008, pag. 1

di Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa
Chiedo silenzio e rispetto. Chiedo che la vicenda di Eluana ritorni nella sfera privata: sono parole di Beppino Englaro dopo che la sentenza della Cassazione ha ribadito, in modo definitivo, la fondatezza della sua richiesta di sospendere i trattamenti che Eluana non avrebbe voluto. E' un richiamo al rispetto della singolarità e della libertà di Eluana. Ma è proprio su questo nocciolo della vicenda umana, che lo scontro politico non pare destinato ad acquietarsi. Anzi, i toni si inaspriscono. Sono in molti a parlare di "eutanasia", perfino di " assassinio". Fisichella, presidente della Pontificia accademia della vita, definisce Eluana «una ragazza mandata a morte» a mo' di schiaffo sulla guancia degli infedeli. Sono parole gravi, tese a colpire innanzitutto le persone più vicine ad Eluana, che più soffrono ed hanno sofferto per il suo stato, in questi lunghi 16 anni. Chi le pronuncia come anatema vuole produrre una rottura insanabile. Tra chi è "a favore" e chi è "contro" Eluana. Giustamente Beppino Englaro aveva già chiarito che i giudici non si sono pronunciati né "a favore" né "contro" Eluana, ma insieme con lei. "Insieme con lei", perché hanno affermato che nessuno può disporre di Eluna e del suo corpo, diversamente da come lei stessa avrebbe scelto. Hanno cioè riconosciuto la libertà di Eluana - sua e non di altri - di definire la propria "dignità di persona", secondo il suo modo singolare, privato o meglio soggettivo, di pensare e di sentire.
Nel volume Eluana. La libertà e la vita , Beppino Englaro scrive che la figlia considerava certe forme di sopravvivenza forzata "inaccettabili, umilianti e inutili". Che non sopportava l'idea di un corpo inerte ed incosciente, costretto a subire continue manipolazioni e violazioni della propria intimità. Ma - non esita a riconoscere - «le sue considerazioni sulla vita e sulla morte rispecchiavano ciò che lei desiderava per se stessa», senza negare altre convinzioni.
Per alcuni/e la "dignità della persona" è legata ad un vissuto di coscienza e relazione col mondo; per altri/e è degna la vita biologica in se stessa. Quale che sia il modo di intenderla, va rispettato e riconosciuto. Questo ha detto la Corte di Cassazione già con la sentenza di luglio.
E' un principio costituzionale, laico e democratico, nel quale la soggettività di ognuno/a trova un suo spazio. Ma è proprio qui il cuore dello scontro, etico e politico. Per alcuni/alcune il rispetto della "dignità della persona" non può prescindere dalle convinzioni e dai sentimenti degli uomini e delle donne, in carne ed ossa. Per altri/e la "dignità" della vita si pone, o meglio deve porsi, al di sopra del singolo essere umano. Per il credente è Dio a disporre della vita e della morte, del loro valore e del loro significato. Tradotta in norma etica assoluta, da far valere verso tutti e tutte, indipendentemente dalle loro credenze, la tutela della "Vita" astratta si presenta come potere di limitare la libertà dei soggetti.
Da qui l'appello alla legge dello Stato. Una legge che deve incardinarsi su una sola concezione etica. Se ieri si riteneva più efficace praticare l'ostracismo sul testamento biologico, bollato come anticamera dell'eutanasia, la legge è invocata dopo la sentenza della Corte. Per chiudere lo spazio che ha aperto. Tenuto conto dei rapporti di forza in Parlamento si punta a limitare drasticamente sia la possibilità di decidere quali terapie rifiutare, sia tempi e modi della dichiarazione di volontà. Si preferisce affidarsi al potere medico, lasciando alla sua discrezionalità la decisione, anche contro la volontà del paziente. (Si leggano in proposito le postille di alcuni componenti del comitato di bioetica al documento "Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico"). Rinunciando ad ogni cautela, ad ogni problematicità sul ricorso alle macchine. E sul potere tecnologico, spesso invasivo, che per loro tramite si esercita sulle vite. Piergiorgio Welby è stato bollato come peccatore, privato del funerale religioso, perché non sopportava più la prigionia dolorosa della macchina che respirava artificialmente in sua vece.
Se vogliamo capire perché il conflitto fra libertà e paternalismo autoritario, in sé non nuovo, è giunto a toni di non ritorno, bisogna nominare il convitato di pietra che pochi, troppo pochi, chiamano in causa, ovvero le tecnologie. Strumenti sempre più sofisticati strappano alla morte, consegnando le persone ad uno stato artificiale, sospeso tra la vita e la morte. Difficile da riconoscere perché è molto lontano dall' esperienza umana di vita (e di morte). E di conseguenza, anche dalle parole che le hanno dato valore e significato. Solo di recente l'uno e l'altro si sono racchiusi nella vita biologica. Ma è proprio questa riduzione della vita al biologico che contrasta con l'esperienza ed il sapere della vita umana, sedimentati nel tempo.
Lo stato attuale di Eluana - scrive con chiarezza Umberto Veronesi - è «una nuova condizione di vegetante, creata come esito non voluto delle metodiche di rianimazione e di terapie intensive» ( Repubblica , 14 novembre '08). Ho promosso una campagna per il testamento biologico - prosegue - per dare, a chi lo desidera, la possibilità di rifiutare una vita artificiale». E' una ammissione importante dei limiti della nuova medicina e degli scenari inquietanti che apre nel rapporto fra natura e artificio, rendendo più incerto il confine fra vita e morte. Questa incertezza è proprio ciò che inquieta. Inquieta tutti, naturalmente, non solo chi propugna un'idea di Vita, come antitesi alla Morte. Anzi. Aggrapparsi alla Vita astratta è un modo per esorcizzare l'inquietudine. Affermare con toni sempre più estremi che la Vita è "data", al di fuori dell'esperienza concreta del vivente, permette infatti di non pensare a quella insostenibile confusione di confini.
Anche l'appello alla legge ha la funzione, pratica e simbolica, di sollevarci dall'onere di pensare le inedite condizioni di vita e di morte che le tecnologie producono. Tutto sarebbe risolto una volta che è sancito, per legge. Questa funzione è tanto più evidente, dopo le sentenze della Corte e del Tribunale di Milano. Grazie alle quali dovrebbe essere evidente che non vi è "vuoto di diritto". Tutto il contrario, vi è un pieno di diritto, del quale il Parlamento non può non tener conto. Se non vi fosse, non vi sarebbe stato modo di pronunciarsi sul merito del caso specifico Englaro; ma, soprattutto, non sulla sua stessa ammissibilità giuridica.
Le due sentenze della Corte dicono con chiarezza che vi sono norme che consentono di valutare nel merito, caso per caso, le situazioni di malati terminali, o di stati vegetativi, o di altro tipo di intervento medico-tecnologico. Ed indicano un preciso orientamento, quello del rispetto della volontà della persona. In definitiva la scelta è nelle mani di ognuno/a di noi. Nessuna legge dovrebbe discostarsi da questo principio. Perché è garantito dalla Costituzione. Ma è molto improbabile che questo avvenga. In questo Parlamento, e nel contesto attuale di scontro, creato dai crociati della "Vita". A cosa serve allora una legge? A mettere in scena il conflitto etico-politico? Ad affermare chi ha il potere di riconoscere o negare, o limitare l'autonomia soggettiva? A dare con l'ennesima legge-manifesto una finta risposta alle inquietudini di tenti e tante? Perché l'autonomia suscita timori, anche comprensibili. Invece di alimentarli con fantasmi di omicidi e altri orrori, andrebbe favorita la presa di coscienza nello spazio pubblico.
Accogliamo la richiesta di silenzio e rispetto di Beppino Englaro. Sarebbe un segno di civiltà consentire, da qui in avanti, che questa concreta vicenda torni alla sfera privata. Mantenendo però vivo il seme che ha gettato nella sfera pubblica. Perché invece che sulla legge, non concentriamo la discussione pubblica sugli scenari inediti di scelta che ci propongono le tecnologie? Un modo concreto per farlo, sarebbe quello di lanciare una campagna per "le dichiarazioni di volontà anticipata". Confrontandoci tra donne ed uomini con idee ed esperienze differenti, sulla domanda se vorremmo o no sottoscriverle. Nella consapevolezza che si arrivi o no ad una legge, buona o cattiva che sia, quale uso faremo delle tecnologie, del loro potere sulla vita e sulla morte, dipenderà dalla coscienza singolare e collettiva. C'è da creare sedi ed occasioni per pensare, per creare senso condiviso. Merita farlo, piuttosto che affidarsi al potere legislativo ed al confronto in Parlamento sulla legge.

«Separarmi da Piergiorgio è stato duro, per amore ho accettato la sua volontà»

«Separarmi da Piergiorgio è stato duro, per amore ho accettato la sua volontà»

Il Messaggero del 18 novembre 2008, pag. 9

di Carla Massi

«Sapevo quali sarebbero stati il giorno e l’ora della sua morte. Me l’avevano detto i medici. Fino all’ultimo, in cuor mio, ho sperato che Piergiorgio ci ripensasse. Per me era difficile lasciarlo andare, non riuscivo a pensare la mia vita senza la sua compagnia. Ma lui aveva scelto e io, per amore, non potevo che accettare le sue volontà». Mina Welby ha amato suo marito Piergiorgio per quasi trent’anni. Dal 1978 al 2006 quando lui, malato di distrofia muscolare, ha deciso di farsi "staccare la spina" e lasciarsi morire.



Dunque lei, signora, non era d’accordo con la scelta di suo marito?

«Avrei preferito andare avanti così come stava anche se mi rendevo conto che lui non ce la faceva più. Ma l’amore per lui mi ha fatto sempre accettare il suo pensiero».



Ha provato a convincerlo a desistere?

«Ho fatto tutto con lui, ho inventato tutto per continuare ad andare avanti superando gli ostacoli che ogni giorno la malattia progressiva ci proponeva. Durante l’ultima settimana gli ho detto: "Non so più che cosa inventarmi!". E lui: "Non c’è più nulla da inventare, hai già fatto tutto". E lì ho capito che non voleva tornare indietro sulle sue decisioni».



A quel punto come ha fatto ad accettare, a vivere con il dolore e a stare accanto a lui fino alla fine?

«Per amore, solo per amore. Alcuni giorni prima della morte programmata mi passò per la mente di chiamare i carabinieri. Di parlare, di fermare tutto. Poi, in un momento, mi resi conto che gli avrei fatto un oltraggio. Che era puro egoismo. Mi dissi: "Che scema che sei!Fermati"».



Glielo ha fatto capire?

«No, assolutamente no. Non ho voluto mai ostacolarlo. In nome della nostra complicità e della nostra storia. Ho rispettato la dolcezza e l’attenzione che lui ha sempre, avuto per me».



A che cosa si riferisce?

«Finché ha potuto ha minimizzato la sua malattia ai miei occhi. Mi ha confusa, mi ha sempre nascosto quanto stesse male. Fino alla fine, quando non riusciva più a scrivere e a concentrarsi. Fino alla fine con estrema dignità, voleva che gli si facesse la barba, voleva scegliere i vestiti. Non riceveva mai le persone a letto, ma solo in carrozzina».



Quando le ha confessato la sua decisione?

«L’ho capito da tante piccole cose. Dal Belgio vennero a visitarlo alcuni medici, mi resi conto che in quel momento, con lui, potevano decidere qualcosa...».



Le parlava della morte?

«Negli anni prima non ne parlava mai, Piergiorgio era un inno alla vita. Ad un certo momento ha sperato, sono convinta, che io capissi».



E lei non ha voluto capire?

«Io fatto finta per un po’. Poi ho accettato in nome del nostro grande amore. Sempre, in tutti questi anni. Un giorno mi disse: "Non ti rendi conto come sto? Rischiamo di non capirci più..."».



E lei a quel punto è riuscita a sedare il dolore, a mandare via la rabbia e a mettersi da parte per lasciare spazio alle volontà di Piergiorgio?

«Ci sono riuscita senza rabbia e senza rammarico. Per lui è stato un sollievo, per me è stata la fine del lutto».



Il lutto era finito? In realtà, iniziava il distacco.

«Per me il lutto è finito quando Piergiorgio ha finito di soffrire. Poi è iniziato un doloroso distacco che ho riempito andando a rileggere e studiare tutto quello che Piergiorgio ha scritto sull’eutanasia e il testamento biologico. Per questo lotto perché questo paese abbia una legge proprio sul testamento biologico. Ora capisco quale era il suo pensiero da molti anni».



Ma non glielo aveva confidato.

«No, finché ha potuto no. Per non darmi un dolore».



Pensava che lei lo avrebbe voluto far desistere?

«Non lo so. Certo è che abbiamo sempre fatto tutto insieme, per gli ultimi quadri che ha dipinto ero io che spostavo la tela sotto il pennello. Tanto che uno l’ha firmato con il mio nome. Sapeva che, qualsiasi cosa lui avrebbe deciso su di sè, io lo avrei accettato. Fidava nella nostra eterna complicità».

Sul testamento biologico l’ultima crociata integralista

l’Unità 18.11.08
Sul testamento biologico l’ultima crociata integralista
di Luigi Manconi

Con la leggiadria tutta mondana e amorale delle parole buttate là e con la tetragona protervia dei fatti compiuti, il sottosegretario al Welfare per le questioni bioetiche, Eugenia Roccella, si è messa alacremente a «piantare paletti» (ma perché questo linguaggio da ingegnere del Genio civile?). I «paletti» in questione sono i confini invalicabili posti dal governo e da pressoché tutto il centrodestra all’esercizio della autonomia individuale del paziente in tema di trattamenti sanitari.
In altre parole, è altamente probabile che venga approvata una legge sul Testamento biologico che escluda la nutrizione e l’idratazione artificiali dall’ambito delle scelte sulle quali si possa esercitare la volontà del malato. Insomma, nel mio Testamento non posso dichiarare che - qualora mi trovassi in stato vegetativo persistente - non voglio essere sottoposto a nutrizione e idratazione artificiali.
Con ciò, si avrebbe una legge più arretrata rispetto all’attuale vuoto legislativo (peraltro perfettamente colmato dal dettato costituzionale e dall’intera giurisprudenza). Quel «paletto» è stato ulteriormente puntellato dal sottosegretario in un dibattito nel corso di Gr parlamento: qui, Roccella ha fatto riferimento a un documento del Comitato nazionale di bioetica (2003), dove all’«unanimità» sarebbe stata approvata la posizione cui si richiama oggi il governo.
Le cose non stanno affatto così: l’unanimità si raggiunse su un documento dove, a proposito di nutrizione e idratazione, ci si limitava a presentare due posizioni totalmente divergenti. Secondo alcuni e secondo il sottosegretario, nutrizione e idratazione sarebbero misure di sostegno vitale (dunque non interrompibili) e non trattamenti sanitari.
Bene, io e molti altri non la pensiamo così. Al di là dei numeri parlamentari, che ci sono ostili, ci sarà pure un criterio per dirimere il conflitto? Perché mai, invece, dovrebbe prevalere l’opinione di Eugenia Roccella, laureata in lettere, o quella mia, laureato in sociologia: entrambi non propriamente luminari delle scienze mediche?
Dal momento che la materia è strettamente di natura scientifica forse vale la pena ascoltare il parere del Presidente della società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo, Maurizio Muscaritoli: «Si perpetua la confusione terminologica tra "alimentazione" (quella che consiste nella assunzione di alimenti per via naturale) con la "nutrizione" artificiale, la quale, invece si sostanzia nella somministrazione, attraverso una via di accesso artificiale, di nutrienti a persone alle quali è preclusa l’assunzione di alimenti per la via naturale. (…) Inoltre, possibili effetti collaterali indesiderati ed il controllo clinico del paziente rientrano nello specifico ambito delle competenze mediche».
Chiarissimo. Aggiungo che in tutta la letteratura scientifica internazionale, questa è la posizione larghissimamente maggioritaria. Non dico la Roccella, ma anche la Teologia morale dovrebbe saggiamente tenerne conto.