sabato 29 novembre 2008

I Don Chiscotte della sacralità della vita

I Don Chiscotte della sacralità della vita
Liberazione del 27 novembre 2008, pag. 12

di Maurizio Mori
Don Chisciotte è passato alla storia per la pertinacia posta nel negare la realtà. Il suo fedele scudiero Sancho (il senso del reale) lo avvertiva che i mulini a vento non erano affatto giganti dalle braccia smisurate, ma lui si lanciava lancia in resta senza timore. E dopo averle buscate, invece di riconoscere che le cose erano diverse da come le immaginava, diceva che era stato il mago Frestone, suo nemico, a trasformare all'ultimo momento i giganti in mulini a vento. Così sembrano fare oggi quei vitalisti che in tutti i modi fanno ostruzionismo alla sentenza ormai definitiva della corte d'Appello di Milano sul caso Eluana.
A luglio hanno cominciato col conflitto d'attribuzione che ha tenuto fermo per settimane il Parlamento su un tema che si è rivelato essere una mera operazione di bassa propaganda, visto che la Corte Costituzionale neanche ne ha ravvisato l'ammissibilità. Invece di riflettere, si è ribadita la tesi di un presunto "complotto" dei giudici contro il Parlamento! Poi c'è stato il ricorso della procura generale di Milano, con motivazioni risibili perché dopo quasi diciassette anni di Stato vegetativo permanente anche Don Chisciotte avrebbe riconosciuto che il "risveglio" è impossibile. Ma è stato sostenuto da "luminari" della neurologia che ancora credono in ataviche concezioni vitaliste che nulla hanno di scientifico: pazienza. Ma è stato bocciato anche quello. E ancora una volta la colpa è sempre dei giudici, sicuramente manovrati da un qualche sostituto del mago Frestone. Ieri l'altro c'è stato il ricorso d'urgenza alla corte europea di giustizia. Avvenire informa che sarà un professore dell'università (cattolica) di Lovanio a decidere se ammettere o no il ricorso. E intanto ci si affretta a sottolineare con enfasi ottimistica che «l'importante è che il ricorso ora è registrato dalla Corte. Chiederemo la fissazione il prima possibile di un'udienza e una comunicazione ufficiale da parte di Strasburgo sul caso al governo italiano». La semplice apertura di un fascicolo - un atto dovuto in un ordinamento civile - è subito annunciato come se già comportasse l'accettazione dello stesso. Peccato che, proprio quel professore cattolico abbia respinto il ricorso: si vede che in Europa non vale il "tengo famiglia …" ancora tanto diffuso da noi.
Non sarà il caso che i vitalisti nostrani facciano una pausa di riflessione? La realtà è diversa da quella prospettata dalla sacralità della vita, perché la rivoluzione biomedica ci obbliga a fare scelte e prendere decisioni sulla vita. Continuare a dire che «la vita è nelle mani di Dio e solo lui può decidere» è un bel modo di dire che può anche rassicurare gli animi sbigottiti o impauriti del nuovo, ma che non corrisponde più alla realtà dei nostri ospedali. Di questo devono prendere atto gli oppositori alla conclusione della vicenda Eluana, compresi quei politici nostrani dell'opposizione, sempre pronti ad accordi da sagrestia.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Università di Torino

Caso Englaro, spartiacque tra laici e vitalisti

Caso Englaro, spartiacque tra laici e vitalisti

Liberazione del 27 novembre 2008, pag. 12

di Sergio Bartolommei
l caso Englaro costituirà a lungo lo spartiacque tra laici e non laici in un Paese in cui una delle questioni cruciali da chiarire riguarda la sovranità e l'indipendenza dello Stato italiano da agenzie religiose e poteri ultraterreni.
Entrambe sono seriamente state messe in discussione dai furibondi attacchi delle gerarchie cattoliche e di certe associazioni "di base" alle recenti storiche sentenze delle Corti di giustizia italiane che hanno riconosciuto il diritto di Eluana a non prolungare ulteriormente il processo della morte iniziato irreversibilmente in una notte del gennaio 1992.
La violenza delle parole e delle espressioni usate non ha paragoni e non merita citazioni. C'è da osservare che quanto più aggressive e sprezzanti sono queste espressioni, tanto più rivelano insicurezza, cupo e sordo risentimento per la perdita della presa, sulle coscienze degli stessi credenti, di quella legge morale naturale di origine divina che sancisce la sacralità e vieta la disponibilità della vita umana. D'altra parte questi attacchi segnano un pericoloso crescendo del ruolo della moral (ma meglio sarebbe dire immoral ) suasion da parte delle gerarchie cattoliche sulle forze politiche e nell'area delle decisioni legislative. E' palese la volontà di bruciare i tempi dell'azione di convincimento pastorale delle anime dei fedeli. Si preferisce ricorrere alle scorciatoie e affidare al cosiddetto "partito di Dio", che accoglie adepti di entrambi gli schieramenti parlamentari, il compito di far capire con la forza della legge al cittadino medio come devono restare le cose in questo Paese in fatto di modi del morire, dopo che con la legge 40/2004 si è dato un saggio eloquente su come devono restare in fatto di modi del nascere.
Il Parlamento del nostro Paese si è rivelato poco avvezzo negli ultimi anni a pensare che le scelte ispirate a convinzioni religiose non debbano venire imposte a chi non le condivide. In tale contesto diviene facile far passare come un fatto naturale che le Curie, tetragone alle sentenze dei tribunali italiani, premano sui rappresentanti del potere politico locale per continuare, di fatto, a tormentare e tenere in scacco una famiglia che per 16 anni ha chiesto, senza ottenerla, giustizia. Purtroppo, anziché tutelare i cittadini Englaro dal fanatismo della persecuzione religiosa e rivendicare la propria autonomia dal neotemporalismo della Chiesa, lo Stato e il Legislatore italiano stanno facendo il possibile per non irritare il persecutore. Si spera non si debba attendere un novello Voltaire (e un nuovo Jean Calas…) per liberare definitivamente Eluana dalla prigione di un corpo ridotto a mero contenitore di liquidi e tutelare l'azione del padre dalle crociate dei poteri confessionali.
La richiesta che Eluana ha formulato attraverso il padre e che le Corti hanno infine e solennemente riconosciuto legittima è d'altra parte semplice: vedere assicurato il diritto a esercitare potere e sovranità sul proprio corpo in tutte le fasi della propria vita, compresa questa, in cui malauguratamente è andata per sempre persa la sua coscienza ed ella non può esprimersi direttamente. Anche a non volere qui contestare il linguaggio della morale religiosa che considera anche gli individui in Stato vegetativo permanente "persone", la domanda che sorge immediata è la seguente. Chi crede che un essere umano sia "persona", con la sua intatta "dignità" durante tutta la sua esistenza, come può sostenere che in fase di incoscienza la "persona" Eluana Englaro possa avere meno dignità di una "persona", Testimone di Geova, che sceglie, non ostacolata e senza obbligare altri a fare la sua scelta, di morire piuttosto che subire un'emotrasfusione? Perché dovrebbe essere riconosciuto a una persona cosciente il diritto di rifiutare le cure in base ai suoi valori e lo stesso diritto negato a una persona che non abbia più questa capacità nonostante abbia espresso con chiarezza la sua volontà quando era lucida e cosciente? Non ha anche quest'ultima il diritto di non subire violenze inutili e indesiderate?
Sino a quando a queste domande non saranno date risposte razionali, chiare e convincenti da parte vitalista, dovere dei laici e dello Stato è di proteggere se stessi dal linguaggio eversivo del fanatismo religioso e i diritti giuridicamente acquisiti dei cittadini Englaro dai ripetuti tentativi di boicottarli.

NOTE

Dipartimento di Filosofia Università di Pisa
Consulta di Bioetica

mercoledì 26 novembre 2008

Testamento biologico, ora il Pdl accelera d’intesa con Lega e Casini

Testamento biologico, ora il Pdl accelera d’intesa con Lega e Casini

Il Manifesto del 26 novembre 2008, pag. 7

di Alessandro Braga

Per carità, nessuno parli di «rincorsa con il caso Englaro», ha precisato subito il relatore della proposta di legge sulle «direttive anticipate di tratta- mento», il senatore del Popolo della libertà Raffaele Calabrò. Certo però, ha aggiunto. «sarebbe bello arrivare prima del suo epilogo perché in questo modo sarebbe la legge, e non la magistratura in assenza della legge, a decidere». E, in ogni caso, bisognerà arrivarci «entro i primi mesi del prossimo anno, entro la primavera». Quale sarà la direzione di questa legge, è abbastanza facile da indovinare. Il ministro Maurizio Sacconi ieri, rispondendo all’attacco di Famiglia Cristiana, che aveva accusato l’esecutivo di non aver preso una posizione chiara sul caso Englaro, ha detto senza troppi giri di parole: «Siamo schierati a favore della vita, credo che non potremo assistere passivamente al venir meno dei diritti fondamentali della persona, come quello all’idratazione e all’alimentazione».



Ieri, proprio nel giorno del trentottesimo compleanno di Eluana, a ribadire l’urgenza di una legge sul testamento biologico, è stato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: un intervento legislativo in materia è «indispensabile e non più procrastinabile», ha scritto il capo dello Stato rispondendo a una lettera del presidente del movimento per la vita Carlo Casini. Aggiungendo anche che è necessario «un ampio consenso, come auspicato anche dalla Corte costituzionale» e che questa legge «deve essere fondata su adeguati punti di equilibrio tra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». Un appello, quello di Napolitano, che ha trovato, come ovvio, apprezzamenti bipartisan: dal presidente del Senato Schifani a monsignor Fisichella, da Silvio Viale, membro della direzione nazionale dell’associazione Luca Coscioni a Paola Binetti, fino al senatore del Partito democratico Ignazio Marino, primo firmatario di un disegno di legge sulla materia che raccoglie le firme di 101 senatori di entrambi gli schieramenti, tutti a dar ragione al capo dello Stato.



Ma qualcuno ha addirittura colto l’occasione per fare un passo in più. E il caso di alcuni parlamentari del Pdl che hanno proposto ai colleghi di Udc e Lega un’azione comune. «Si è aperto un confronto e si sono condivise molte delle buone ragioni del disegno di legge Bianconi al Senato e della proposta di legge Cota alla Camera», hanno dichiarato ieri. Che sfocerà nei prossimi giorni in una proposta di legge che «unisca rigore, ragionevolezza alle riflessioni fatte nell’incontro» di ieri. Partendo ovviamente dal ddl Bianconi, che si pone in forte contrasto con ogni forma di eutanasia e testamento biologico. E già questa mattina i rappresentanti del Popolo della libertà nella commissione sanità del Senato insieme ai vertici del gruppo del Pdl Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliarello si riuniranno per «tirare le somme» del dibattito interno e dare il via a «un’accelerazione dell’iter legislativo sulla fine della vita. Insomma, al di là delle ovvie dichiarazioni di circostanza sulla necessità di una soluzione condivisa in materia, il centrodestra sembra voler dare una sterzata e imporre la propria posizione, con la scusa dei tempi stretti. Giocando anche sulle divisioni interne al Pd. Se Ignazio Marino ieri ha stemperato i toni augurandosi un dialogo conciliante tra le parti, i teodem non hanno perso l’occasione per ribadire che il Pd «ha raggiunto un livello di convergenza su quasi tutto». Ma sul quel «quasi» ci sarà sicuramente da battagliare aspramente.

Napolitano: «Fate legge su testamento biologico»

Napolitano: «Fate legge su testamento biologico»

Liberazione del 26 novembre 2008, pag. 3

Sui temi della vita «è necessario il massimo sforzo di convergenza, in parlamento, tra i diversi modi» per un intervento legislativo «ormai indispensabile e non più procrastinabile». Lo afferma il Capo dello Stato Giorgio Napolitano in una lettera inviata a Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, che l'ha resa nota. L' associazione aveva scritto a sua volta al presidente sulla vicenda di Eluana Englaro. E con riferimento al "caso Welby", il capo dello Stato ricorda come «allora auspicai un confronto reale perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l'elusione di ogni responsabile chiarimento. Ribadisco oggi questo mio convincimento».
«Bravo Presidente. C'è bisogno di una legge e bene ha fatto Giorgio Napolitano a ricordare che deve essere fondata su adeguati punti di equilibri tra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». Lo ha affermato Silvio Viale, membro della direzione nazionale dell'associazione Luca Coscioni e del comitato scientifico di Exit-Italia. «In altre parole - sottolinea Viale - ci vuole una legge per il testamento biologico e non contro il testamento biologico, che ampli le garanzie di scelta e non le riduca. Per una singolare coincidenza la lettera del Presidente Giorgio Napolitano al Movimento per la vita giunge nel giorno in cui Eluana avrebbe compiuto 38 anni. Ora - conclude - tocca al Parlamento avviare una discussione franca, senza veti e senza tabù, senza disciplina di partito e ricatti ai "nominati". Se cosi accadrà, sono certo, che questo Parlamento non potrà che decidere come farebbe l'80% degli italiani». Parallelamente si dice contento pure monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: «Non posso che rallegrarmi. Si vede che sente anche lui l'esigenza del Paese di legiferare in una situazione che con il caso di Eluana Englaro è divenuta drammatica».

martedì 25 novembre 2008

Treviso, spina staccata al neonato

l’Unità 25.11.08
Treviso, spina staccata al neonato
il vescovo: no ad accanimenti
di Toni Fontana

«Professionalità e sensibilità». Mentre infuriano le polemiche (Luca Volontè, Udc, ha parlato di «introduzione di una eugenetica soft») sulla vicenda del neonato con gravissime malformazioni ricoverato al reparto di Patologia neonatale di Treviso, cui i medici hanno sospeso i trattamenti, ritenendo che non vi erano speranze di salvezza, interviene il vescovo del capoluogo veneto, Andrea Bruno Mazzocato. Il prelato si schiera con la scelta compiuta dai sanitari: «Ogni vita umana - dice - è sacra e chiede di essere sostenuta con assoluto rispetto e con mezzi possibili, in ogni momento. Questo sostegno non deve però offendere la dignità della persona con accanimenti terapeutici inutili». Il vescovo non parla di eutanasia; nel suo intervento accenna alla «notizia riportata dai mezzi di comunicazione circa la prassi medica seguita nei confronti del neonato affetto da gravissime malformazioni morto a Ca’Foncello» e, dopo aver ricordato «i principi morali più volte espressi dalla Chiesa» si schiera contro «accanimenti terapeutici inutili, anche se tecnicamente possibili». Tra le righe il prelato ripropone le indicazioni del centro di bioetica dell’Università Cattolica di Roma che, nel 2006, diffuse le linee guida «per l’astensione dall’accanimento terapeutico nella pratica neonatoligica» schierandosi appunto per la sospensione di trattamenti inutili. A Treviso il procuratore capo Antonio Fojadelli fa notare che sul «testamento biologico non esiste ancora un quadro normativo certo e completo».
Su Eluana Englaro e i temi che riguardano il «trattamento di fine vita» interviene Famiglia Cristiana. L’editoriale del prossimo numero recita tra l’altro che «siamo di fronte al suicidio di un Parlamento, sempre più svilito, che abdica alle proprie responsabilità e si autosospende dalla sua funzione legislativa».
Berlusconi - dice il settimanale - «una legge non la vuole e se ne lava le mani, affidandosi ai giudici (almeno in questo caso!).. Veltroni «è l'eterno indeciso».

lunedì 24 novembre 2008

"Così i medici si sono accaniti contro mio padre Nino Manfredi"

"Così i medici si sono accaniti contro mio padre Nino Manfredi"

La Repubblica del 24 novembre 2008, pag. 12

di Caterina Pasolini

«Mio padre Nino Manfredi come Eluana, è stato una vittima. Anche lui ha subito accanimento terapeutico per un lunghissimo e atroce annodi agonia. Salvato in extremis tre volte è stato rianimato, legato alle macchine per respirare, intubato con una tracheotomia, con cannule in tutto il corpo per farlo mangiare e bere a forza. Lui non avrebbe voluto questa inutile tortura ma non poteva parlare, non poteva difendersi. Abbiamo cercato di farlo noi per lui ma non è servito. Nessuno ci ha ascoltato. Per questo ci vuole una legge sul testamento biologico: perché sia rispettata la volontà della persona, perché non accada come a papà di doversi conquistare il diritto a smettere di soffrire solo dopo un anno di straziante agonia. Aspettando la morte come una liberazione». Roberta Manfredi misura le parole. Le costa un dolore infinito ricordare la sofferenza del padre morto nel giugno del 2004. Ma non si tira indietro e ripercorre ora ancora una volta il calvario del grande Nino, dopo averlo fatto in un’intervista al settimanale Gente oggi in edicola.



«Parlo perché se può servire agli altri, se verrà fatta una legge forse così ha un senso il suo e nostro dolore». Parla con pudore velato da indignazione quando pensa a «quelli che giudicano e condannano in maniera brutale e impietosa Beppino Englaro: è come ferirlo ancora quando la vita lo ha già colpito così duramente visto che non c’è nulla di peggio che perdere un figlio. Lo ammiro. Quanto dolore, quanto coraggio nella sua scelta straziante di amore immenso per rispettare il volere della sua Eluana».



Una scelta, approvata anche dall’ultima sentenza della Cassazione di lasciare andare la giovane in coma da 16 anni, che continua a provocare proteste. Così oggi il Movimento perla vita lancia una staffetta del digiuno contro «la sentenza di morte per Eluana», e l’Avvenire in un duro editoriale dice che «sarà uccisa e il suo caso si inserirà nel lunghissimo novero degli omicidi pietosi, perché è eutanasia».



Cattolici contro atei? Roberta Manfredi non è d’accordo. «Credo in Dio, ma proprio lui ci ha dato il libero arbitrio, il diritto di decidere sulla nostra vita, quindi...». Per lei, anche chi pensa che la vita sia di Dio dovrebbe a maggior ragione lasciarle seguire il suo corso, «e in questo caso senza tubi e cannule, senza l’intervento delle macchine mio padre ed Eluana sarebbero morti prima. Insistere, contro la volontà del malato, significa sostituire le macchine a Dio».



È preoccupata per il futuro Roberta Manfredi, che ha prodotto un emozionante film sulla storia vera di un ragazzo svegliatosi dopo un mese di coma, appena andato in onda su Raiuno. «Se, come sembra, verrà fatta una legge che prevede nutrizione e idratazione obbligatorie, questo significa obbligarmi a vivere in condizioni che giudico inaccettabili. Significa che la mia vita è dello Stato? Un assurdo, e io non voglio finire prigioniera di decisioni altrui il giorno in cui non potrò parlare. Per questo io e tutta la mia famiglia stiamo informandoci per andare da un notaio, per essere sicuri che le nostre volontà siano rispettate il giorno in cui non potremo più esprimerle».

La morte del neonato: ora è scontro politico

La morte del neonato: ora è scontro politico

Il Gazzettino del 24 novembre 2008, pag. 2

di M. Ant.

«Non è stata fermata nessuna macchina, non è stata staccata nessuna spina, il bambino è stato ventilato col respiratore automatico fino a quando si è spento tra le braccia della mamma: ma come si può pensare ad un modo più umano di assistere un paziente e la sua famiglia in una situazione così drammatica?»: Ignazio Marino (foto), chirurgo capo della Divisione trapianti e chirurgia del fegato della "Jefferson" di Philadelphia (Usa), senatore del Pd, non ha dubbi. Ma il fronte cattolico insorge, denuncia il preoccupante profilarsi di una «eugenetica soft», parla di «omicidio assistito spacciato per compassionevole» e chiede ispezioni ministeriali negli ospedali. Dopo il caso Englaro, un’altra triste vicenda arriva alla ribalta della cronaca, tra le polemiche che astiosamente sempre accompagnano questi drammi.



Sul caso di Treviso, Marino parte da una premessa: «È una vicenda ovviamente drammatica e dolorosa, ma si tratta di una situazione, così come è stata descritta dal direttore sanitario dell’Ospedale di Treviso, in cui la prognosi è chiaramente infausta è sotto gli occhi di tutti: insistendo con la somministrazione di alcuni farmaci, non si farebbe altro che prolungare l’agonia di una persona. II fatto di “interrompere cure sproporzionate" è un concetto che è presente nella deontologia medica, è presente nella etica di molte religioni, è chiarissimo nel catechismo della Chiesa cattolica, secondo al quale l’interruzione di cure sproporzionate rispetto al risultato è legittima e non significa procurare la morte. Lo si dice con chiarezza: significa riconoscere che non si può evitarla, che si è arrivati alla fine di quanto umanamente si può fare». Il senatore del Pd sottolinea poi la necessità di affrontare questi problemi con più serietà di quanto normalmente non succeda: «E sbagliato paragonare, come tuttavia ho letto, il caso di Treviso alla "eutanasia come in Olanda". Bisogna sapere di che cosa stiamo parlando: l’eutanasia è la somministrazione del veleno per fermare una vita (in Olanda, in alcuni casi è legittimo), mentre a Treviso ci si è astenuti dal somministrare cure che avrebbero prolungato l’agonia ad un bambino che pesava meno di un chilo. Sono cose sostanzialmente diverse».



Quanto ad una legge che regoli la materia, il professor Marino non ha esitazioni a giudicarla «necessaria e assolutamente urgente, oltre che auspicabile. L’importante è che conservi il principio sapientemente introdotto nella nostra Costituzione: gli italiani hanno il diritto alla salute, ma non hanno un dovere alle terapie, cioè sono liberi di poter scegliere a quali terapie sottoporsi e a quali no. Mi pare di una semplicità e di una democrazia assoluti». Ma avverte: «Arriveremo ad una legge di cui essere orgogliosi come Paese solo se, discutendo di argomenti così delicati e seri, sapremo trattarli con umiltà e rigore. Non si usino violenza verbale, le grida all’omicidio di Stato. Sono temi che richiedono interlocutori seri, preparati e sereni».



Sul fronte opposto, però, la reazione è ben di- versa. Luca Volontè (Udc) denuncia: «Inquietanti dati e superficiali strumentalizzazioni sui casi dei bambini di Treviso, portano alla introduzione di una eugenetica soft», Ricordato che «gli infanticidi negli ospedali Carreggi di Firenze e San Camillo di Roma, sono ancora impuniti», Volontè sollecita i giudici a fare il loro lavoro e il ministero del Welfare a fare «le dovute ispezioni». Per Raffaele Calabrò (Pdl), una legge in materia è urgentissima: «Ieri la magistratura, oggi è un singolo professionista ad arrogarsi il diritto di scegliere il confine tra vita e morte. Si esige un intervento del legislatore che dica no ad ogni forma di eutanasia, di omicidio assistito o di suicidio assistito, spacciato per compassionevole».

venerdì 21 novembre 2008

Caso Eluana, l'eutanasia del linguaggio

Caso Eluana, l'eutanasia del linguaggio

Liberazione del 21 novembre 2008, pag. 1

di Maurizio Mori
A scorrere la rassegna stampa sul caso Eluana ci sono molti punti che colpiscono, ma due di essi meritano una pausa di riflessione.
Il primo riguarda l'uso del linguaggio. Ormai tutti si lamentano che le parole sono usate nel significato sbagliato. Per risolvere la stortura, la sottosegretaria Roccella ha fatto scrivere un vero e proprio "Glossario" in cui si definiscono i termini chiave circa lo stato vegetativo permanente, nella speranza di poter controllare almeno le parole - visto che il resto è già sfuggito di mano. L'obiettivo è quello di sempre: dando il nome alle cose si vuole dare una rassicurazione ai cittadini turbati dicendo loro che non devono preoccuparsi di niente, che tutto è come prima, e che presto si riporteranno indietro le lancette della storia. L'impegno sembra illusorio, perché è difficile riuscire ad impadronirsi del linguaggio: ci hanno provato in tanti, e non sembra basti l'aiuto di qualche medico devoto e compiacente, unito a una campagna mediatica. Ma ciascuno ha le proprie illusioni ed è bene che se le coltivi come può. Ci sarà modo di esaminare anche questo aspetto.
Un altro termine al centro dell'attenzione è "eutanasia", visto che da più parti si ripete che Eluana morirà per "eutanasia" o per iniqua "condanna a morte". È chiaro che l'uso di queste parole è teso a sottolineare un'incongruenza, dal momento che in Italia l'eutanasia è vietata come lo è la pena di morte. Ancora di più: il termine "eutanasia" è ancora associato all'orrendo "Euthanasie Programme" di Hitler, che nulla ha a che fare con quanto si indica oggi con quella parole.
La pena di morte ci fa tornare alla mente le esecuzioni (impiccagioni ecc.) in tempi o paesi meno "civili". Insomma, si usano questi termini non per descrivere la situazione o dare un'informazione, bensì per suscitare emozioni di sdegno ed incitare all'attacco. Non per ragionare e far ragionare, ma per evocare le passioni più intense.
Per chi vuole mettersi a ragionare (e non è indispensabile visto che alcuni irrazionalisti hanno esplicitamente dichiarato di non voler ragionare né discutere, ma solo protestare), il punto di partenza è considerare le definizioni tecniche, sulle quali c'è stata un'attenta riflessione. In questo senso l'aspetto fondamentale è che quando si parla di "eutanasia" si suppone un intervento umano che presuppone la richiesta o il consenso di un paziente alle fasi finali che volontariamente accetta in qualche modo di porre fine ai propri giorni. Senza la volontarietà non è "eutanasia": ecco perché il programma nazista non c'entra niente. Là non c'era alcun consenso degli interessati (né alcuna malattia), era solo la pura eliminazione fisica.
Se andiamo a vedere il tipo di intervento in questione, può essere un'azione o un'omissione. Di solito con "eutanasia" si intende quella attiva consistente in un atto che anticipa la morte su richiesta del paziente interessato. Si parlava anche di "eutanasia" passiva quando c'è l'omissione di interventi dovuti, e qui si presenta il problema di sapere quali essi siano. Infatti, sembrerebbero non dovuti quelli che provocano l'accanimento terapeutico, mentre sarebbero dovuti tutti gli altri. Il problema di questo modo di impostare il problema è che nessuno dice di fare l'accanimento che è una "cosa cattiva". Che cos'è "accanimento"? A suo tempo si disse che il respiratore di Welby non era accanimento. Adesso si dice lo stesso con Eluana. Ancora, alcuni distinguono tra le "terapie mediche" e i "mezzi di sostentamento di base", osservando che alimentazione e idratazione non sono terapie ma assistenza umana. Tutte queste distinzioni servono per puntellare l'etica della sacralità della vita secondo cui la vita umana è buona in sé (a prescindere dai contenuti), per cui le scelte al riguardo non spettano all'interessato. Assomigliano agli epicicli che venivano introdotti per far collimare il sistema tolemaico: bastava aggiungerne uno per riuscire a spiegare l'anomalia.
Sarebbe meglio abolire tutti quei termini e distinzioni per restare alla volontarietà degli interventi. Nessuno ha la facoltà di farmi i capelli (fosse anche solo per ragioni estetiche) senza il mio consenso: così le cure, siano esse di qualsiasi tipo. E il punto da considerare è che nelle società moderne la fine della vita è sempre - lo si voglia o no - sempre "decisa" o "scelta". Questo punto è diventato chiaro anche quando Eluana ha avuto l'emorragia che l'ha messa in pericolo e si è deciso e scelto di non fare alcuna trasfusione di sangue: se fosse morta allora, quella non era una "morte naturale", ma sempre decisa perché si è scelto di non trasfondere sangue pur avendone la possibilità. Il problema da chiarire riguarda le diverse ragioni che giustificano la scelta nell'uno o nell'altro senso.
Ma in ogni caso, sempre di "scelta" si tratta, ed è per questo che è preferibile limitare il termine "eutanasia" solo a quella attiva cioè solo al caso in cui si procede con un'azione specifica a causare la morte in un paziente che lo ha richiesto. Nel caso di Eluana, però, così non è ed è per questo che non ha senso parlare di "eutanasia".
L'altro punto che colpisce l'attenzione guardando la rassegna stampa è l'insistenza con cui si sottolinea che la "cosa giusta" è lasciare Eluana alle cure delle suore Misericordine, lasciando intendere che eccessiva sarebbe l'insistenza di Beppino nel chiedere il rispetto della volontà di Eluana. Così si mandano in onda in prima serata casi di "risveglio" e di altre situazioni di malattia diverse dallo stato vegetativo (e che quindi non c'entrano niente) per evocare assonanze indebite e far credere che Beppino sia stato travolto da eccesso di sofferenza. A volte quest'insistenza assume un sentimentalismo melenso e stucchevole, altre viene ammantato di toni legati alla sacralità della vita. Resta che Beppino ci fa la figura del cattivo senza cuore, disposto a tutto pur di giungere al suo scopo - anche a far morire la figlia di "morte atroce" cioè tra grandi sofferenze.
Anche qui si usano i termini a vanvera, e c'è bisogno di precisarli. Come riconosce anche Francesco D'Agostino, «Eluana, come tutti i malati in coma, non soffre. …far morire d'inedia un malato, sospendendogli alimentazione e idratazione, è intuitivamente atroce, non perché il malato soffra, ma per la valenza di freddo distacco da lui che è implicita nella sospensione delle cure» ( Avvenire , 11 luglio 2008). L'atrocità della morte, quindi, non riguarda Eluana, la quale non soffre perché i centri nervosi della sofferenza sono distrutti. E le terapie previste anche dalla corte d'Appello sono per mantenere la compostezza del decesso, non per togliere sofferenze che non ci possono essere.
Chiarito questo, il problema per D'Agostino è "intuitivamente atroce" il fatto di sospendere la nutrizione perché sul piano simbolico questo indica un "freddo distacco" umano. Quest'intuizione di D'Agostino, però, dipende forse dal suo personale mondo simbolico, che forse non tiene conto della realtà morale da considerare. Infatti, tralasciando il fatto se ad Eluana si possa fare del "bene" o del "male", il problema vero è che non sempre atti benefici sono moralmente buoni. Ad esempio, dare un'elemosina ad un indigente è atto benefico, ma ove non fosse richiesta o fosse non voluta, sarebbe offensivo farla ed anche proporla.
Per questo, insistere nel chiedere che venga accolta l'offerta delle suore (quand'anche fosse in qualche senso "benefica") è qualcosa d'improprio. Grande è la cortesia di Beppino che non replica e che sopporta con pazienza anche quest'ennesimo affronto, mostrando di essere davvero una persona di straordinaria caratura morale.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Università di Torino

Eluana, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso urgente

l’Unità 21.11.08
Eluana, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso urgente
di Federica Fantozzi

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dice no alla procedura d’urgenza nel ricorso contro la sentenza che autorizza lo stop alle cure per Eluana. Il presidente del Consiglio superiore di sanità: «È eutanasia».
Decisione lampo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso di Eluana, la ragazza in coma irreversibile da 16 anni. Ieri i giudici comunitari hanno aperto un fascicolo sulla vicenda respingendo però la richiesta di misure provvisorie avanzata da 34 associazioni per bloccare la sentenza che autorizza lo stop alle terapie. Nessuna procedura d’urgenza, dunque: se i ricorrenti vorranno procedere e se il caso verrà considerato rilevante, la Corte seguirà tempi e modi ordinari. Vale a dire non brevi. E nel frattempo la sentenza ha forza di legge ed è immediatamente attuativa.
Intanto il presidente del Consiglio superiore della Sanità Franco Cuccurullo ha affermato che se si staccherà il sondino la morte della giovane donna «non sarà diversa dall'eutanasia o dall'omicidio» perché «non muore della patologia da cui è affetta, ma di fame e di sete: anzi, viene fatta morire». Secondo Cuccurullo, che è anche rettore dell'Università di Chieti-Pescara, «si apre una deriva pericolosa per le persone incapaci».
Il ricorso alla Corte Europea era stato accolto con amarezza da Beppino Englaro, il padre di Eluana che da un decennio porta avanti la battaglia giudiziaria per farla morire: «Ho agito sempre con grande limpidezza - ha detto, ricordando di avere in mano un decreto immediatamente esecutivo - Stanno ostacolando quello che è stato deciso. Le provano tutte, ma credo che da un punto di vista umano, io non ho più nulla da dire».
Il signor Englaro dopo aver ringraziato i media «per l’aiuto e il sostegno in questi anni» ha annunciato il silenzio stampa: «Non mi resta altra scelta che tacere. Devo conservare le poche forze per portare a termine quello che mia figlia si aspetta da anni da me».
L’avvocato che ha curato il ricorso europeo, Rosaria Elefante, precisa che «non è stato respinto, semplicemente non è stata accettata la procedura d’urgenza» e ribadisce la richiesta che venga fissata un’udienza. L’apertura di un fascicolo a Strasburgo è stata considerata «un fatto positivo» dal governatore della Lombardia, il ciellino Roberto Formigoni, invitato dai Radicali a recedere sul veto all’accoglienza di Eluana negli hospice della sua regione. I Verdi hanno invece offerto la disponibilità di una struttura a Forlì.
In queste ore gli avvocati della famiglia Englaro sono in contatto con diversi hospice friulani, destinazione privilegiata per le radici paterne. Tutto sta a vedere se andranno a buon fine. L’équipe medica, composta dal neurologo che da anni segue Eluana, il professor Carlo Alberto Defanti, e da un anestesista, è già pronta. Si attende soltanto di ricevere luce verde e firmare l’accettazione nella struttura privata prima di chiedere le dimissioni dalla clinica di Lecco dove la giovane è accudita dalle suore Misericordine.
Tuttavia, le voci contrarie alla decisione della Corte Suprema non si rassegnano. Il vescovo di Como monsignor Diego Coletti ha invitato i fedeli della diocesi domenica prossima a «pregare per Eluana» perché «appellarsi al rispetto della libertà individuale è solo un pretesto per nascondere le inadempienza della nostra solidarietà».
Sette senatori del Pd (la Teodem Baio, Bosone, Gustavino, Papania, Del Vecchio, Biondelli e De Luca) hanno sottoscritto la petizione europea promossa dal “Movimento per la Vita”. Mentre dalle file del centrodestra il segretario del Pri Francesco Nucara invita a fare un passo indietro: «È ora di accettare la sentenza della Cassazione e di lasciare il padre di Eluana in pace. Va rispettato il suo silenzio, è un caso tragico su cui c’è stata una strumentalizzazione intollerabile».

mercoledì 19 novembre 2008

Nei paese degli Englaro «Quel dolore merita rispetto»

Nei paese degli Englaro «Quel dolore merita rispetto»

L'Unità del 19 novembre 2008, pag. 12

di Federica Fantozzi

«Dove si nasce ogni erba pasce. A casa si sta bene». Alza le spalle Armando Englaro a chiedergli della determinazione con cui suo fratello Beppino vuole riportare Eluana a morire in Carnia. Anche la lunga battaglia ha una risposta semplice: «Per un carnico la libertà è tutto, non si scende a compromessi con nessuno».



Paluzza, 3mila anime e sei frazioni, 18 chilometri dall’osteria Le Trote alle montagne, è la terra che ha dato le radici e accoglierà le spoglie della famiglia Englaro. Qui, nella casa bianca con i gerani alle finestre che affaccia sulla piazza e ora ospita un parrucchiere, nacque nonno Giobatta con i suoi dieci fratelli: «Tutti a settembre perché gli emigrati tornavano a Natale». Qui, nel capannone arancio ha sede la florida ditta familiare che da trent’anni vende pavimenti e moquettes. Qui, nella villetta a due piani con giardino e fiocco azzurro sulla porta vivono Armando e moglie. La figlia Germana, la cuginetta di Eluana che scrisse la lettera ai giudici «bella quanto inefficace» perché non ne tennero conto, studia a Padova e pochi giorni fa, in concomitanza con la sentenza, ha avuto Pietro.



Dietro Beppino c’è tutto questo. Tosti e testoni i camici, temprati da miseria ed emigrazione. Anche gli Englaro: 5 fratelli, bambini che raddrizzavano chiodi, adolescenti «con l’imprenditoria nel sangue», partiti all’estero e due ancora lì che «tornano ogni tanto a deporre un fiore sulla tomba di famiglia». Armando, un omone di 62 anni con i capelli grigi, è l’ultimogenito. Beppino, classe’41, il penultimo: «L’unico che ha studiato. Papà ce lo chiese, solo lui aveva voglia». Il rapporto tra i due fratelli è costante: «Da manovale in Germania divenne manager, poi ha messo su l’azienda e mi ha chiamato - dice con semplicità Armando - È il mio artefice».



In paese si conoscono tutti. Nella piazza rettangolare, tra municipio, scuola, banca e pasticceria, tanti mandano saluti a Lecco. Il sindaco Aulo Maieron, ex Ds ora Pd, ha il nome di un comandante partigiano e pesa le parole: «La sentenza è una pietra miliare sull’eutanasia e pone questioni politiche. Ma qui c’è una tradizione profonda di rispetto per Beppino. Noi siamo abituati al ritmo della vita: si nasce, si cresce, si muore. Vedere Eluana in un limbo ci spiazza, è al di sopra di noi. La solidarietà però è totale». Armando lo guarda, luì prosegue: «C’è un sostegno morale e se fosse necessario anche pratico. Non possiamo tirarci indietro». Non sono frasi vuote: gli Englaro cercano una struttura privata in zona, l’équipe medica c’è già. Nulla di definito, chiarisce lo zio della ragazza: «La voglia c’è, se riusciremo dipende da quanti avranno o no paura».



Tra boschi e campì di granturco, tagliata dal Rio Gelato, la fredda Carnia è un luogo a sé. Tradizionalista, cattolica, eppure collegio di Loris Fortuna, il padre del divorzio «che il giorno dopo le elezioni veniva a ringraziare i concittadini» e vivaio di socialisti. Come Renzo Tondo, il governatore «coraggioso» che ha aperto a Eluana le porte del Friuli: «Ci conosciamo da ragazzini - ricorda Armando - Facevamo le riunioni nell’albergo del padre». Come Ferruccio Saro, il senatore che si è speso e ora chiede silenzio, così potente che «nel centrodestra non si muove foglia che Saro non voglia». Come i due Englaro che si parlano in dialetto e divergono solo su un punto: cattolico lo zio, più volte pellegrino a Lourdes e Santiago di Compostela; senza il «privilegio della fede» il padre. «Beppino non vorrebbe il funerale, per ragioni comprensibili. Mi ha detto: decidi tu. E io credo che a mia nipote farebbe piacere».



Cortei e picchetti hanno un’eco remota. «Non credo che il carnico si presti al clamore», scuote la testa Maieron. Armando Englaro se la prende con le «stupidaggini» di certi medici: «Parlano senza conoscere. Preferirei morire che finire in mani loro» . «Qui non si parla, si vive», gli dà ragione Don Tarcisio, il parroco disposto a celebrare la messa funebre: «Non vedo nessuna difficoltà, non avrei motivo a dire no». Eppure, non è scontato. «Sono di qui dice - Compaesano di questi ragazzi. Noi non esterniamo, non manifestiamo. Io nelle omelie non ho toccato l’argomento: è cosa troppo delicata da buttare in pubblico. So che tutta la popolazione è vicina aBeppino. Abbiamo un comune sentire verso questo papà». Armando ha gli occhi lucidi, Don Tarcisio si siede: «Non nascondo la mia difficoltà, la Eluana per me resta una persona. Mia madre malata vive con me e la amo di più. A lasciarla andare soffrirei troppo». Se lo chiedesse? «Non la ubbidirei». Tuttavia, sussurra, «il miglior giudizio lo dà Dio, lasciamoglielo. Non faccio altro che consegnare questa figliola nelle sue mani. Le dia quella pace che cerchiamo anche noi e che da tempo qui non c’è».

martedì 18 novembre 2008

Eluana, né con te, né contro di te Ma insieme a te, alla tua libertà

Eluana, né con te, né contro di te Ma insieme a te, alla tua libertà

Liberazione del 18 novembre 2008, pag. 1

di Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa
Chiedo silenzio e rispetto. Chiedo che la vicenda di Eluana ritorni nella sfera privata: sono parole di Beppino Englaro dopo che la sentenza della Cassazione ha ribadito, in modo definitivo, la fondatezza della sua richiesta di sospendere i trattamenti che Eluana non avrebbe voluto. E' un richiamo al rispetto della singolarità e della libertà di Eluana. Ma è proprio su questo nocciolo della vicenda umana, che lo scontro politico non pare destinato ad acquietarsi. Anzi, i toni si inaspriscono. Sono in molti a parlare di "eutanasia", perfino di " assassinio". Fisichella, presidente della Pontificia accademia della vita, definisce Eluana «una ragazza mandata a morte» a mo' di schiaffo sulla guancia degli infedeli. Sono parole gravi, tese a colpire innanzitutto le persone più vicine ad Eluana, che più soffrono ed hanno sofferto per il suo stato, in questi lunghi 16 anni. Chi le pronuncia come anatema vuole produrre una rottura insanabile. Tra chi è "a favore" e chi è "contro" Eluana. Giustamente Beppino Englaro aveva già chiarito che i giudici non si sono pronunciati né "a favore" né "contro" Eluana, ma insieme con lei. "Insieme con lei", perché hanno affermato che nessuno può disporre di Eluna e del suo corpo, diversamente da come lei stessa avrebbe scelto. Hanno cioè riconosciuto la libertà di Eluana - sua e non di altri - di definire la propria "dignità di persona", secondo il suo modo singolare, privato o meglio soggettivo, di pensare e di sentire.
Nel volume Eluana. La libertà e la vita , Beppino Englaro scrive che la figlia considerava certe forme di sopravvivenza forzata "inaccettabili, umilianti e inutili". Che non sopportava l'idea di un corpo inerte ed incosciente, costretto a subire continue manipolazioni e violazioni della propria intimità. Ma - non esita a riconoscere - «le sue considerazioni sulla vita e sulla morte rispecchiavano ciò che lei desiderava per se stessa», senza negare altre convinzioni.
Per alcuni/e la "dignità della persona" è legata ad un vissuto di coscienza e relazione col mondo; per altri/e è degna la vita biologica in se stessa. Quale che sia il modo di intenderla, va rispettato e riconosciuto. Questo ha detto la Corte di Cassazione già con la sentenza di luglio.
E' un principio costituzionale, laico e democratico, nel quale la soggettività di ognuno/a trova un suo spazio. Ma è proprio qui il cuore dello scontro, etico e politico. Per alcuni/alcune il rispetto della "dignità della persona" non può prescindere dalle convinzioni e dai sentimenti degli uomini e delle donne, in carne ed ossa. Per altri/e la "dignità" della vita si pone, o meglio deve porsi, al di sopra del singolo essere umano. Per il credente è Dio a disporre della vita e della morte, del loro valore e del loro significato. Tradotta in norma etica assoluta, da far valere verso tutti e tutte, indipendentemente dalle loro credenze, la tutela della "Vita" astratta si presenta come potere di limitare la libertà dei soggetti.
Da qui l'appello alla legge dello Stato. Una legge che deve incardinarsi su una sola concezione etica. Se ieri si riteneva più efficace praticare l'ostracismo sul testamento biologico, bollato come anticamera dell'eutanasia, la legge è invocata dopo la sentenza della Corte. Per chiudere lo spazio che ha aperto. Tenuto conto dei rapporti di forza in Parlamento si punta a limitare drasticamente sia la possibilità di decidere quali terapie rifiutare, sia tempi e modi della dichiarazione di volontà. Si preferisce affidarsi al potere medico, lasciando alla sua discrezionalità la decisione, anche contro la volontà del paziente. (Si leggano in proposito le postille di alcuni componenti del comitato di bioetica al documento "Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico"). Rinunciando ad ogni cautela, ad ogni problematicità sul ricorso alle macchine. E sul potere tecnologico, spesso invasivo, che per loro tramite si esercita sulle vite. Piergiorgio Welby è stato bollato come peccatore, privato del funerale religioso, perché non sopportava più la prigionia dolorosa della macchina che respirava artificialmente in sua vece.
Se vogliamo capire perché il conflitto fra libertà e paternalismo autoritario, in sé non nuovo, è giunto a toni di non ritorno, bisogna nominare il convitato di pietra che pochi, troppo pochi, chiamano in causa, ovvero le tecnologie. Strumenti sempre più sofisticati strappano alla morte, consegnando le persone ad uno stato artificiale, sospeso tra la vita e la morte. Difficile da riconoscere perché è molto lontano dall' esperienza umana di vita (e di morte). E di conseguenza, anche dalle parole che le hanno dato valore e significato. Solo di recente l'uno e l'altro si sono racchiusi nella vita biologica. Ma è proprio questa riduzione della vita al biologico che contrasta con l'esperienza ed il sapere della vita umana, sedimentati nel tempo.
Lo stato attuale di Eluana - scrive con chiarezza Umberto Veronesi - è «una nuova condizione di vegetante, creata come esito non voluto delle metodiche di rianimazione e di terapie intensive» ( Repubblica , 14 novembre '08). Ho promosso una campagna per il testamento biologico - prosegue - per dare, a chi lo desidera, la possibilità di rifiutare una vita artificiale». E' una ammissione importante dei limiti della nuova medicina e degli scenari inquietanti che apre nel rapporto fra natura e artificio, rendendo più incerto il confine fra vita e morte. Questa incertezza è proprio ciò che inquieta. Inquieta tutti, naturalmente, non solo chi propugna un'idea di Vita, come antitesi alla Morte. Anzi. Aggrapparsi alla Vita astratta è un modo per esorcizzare l'inquietudine. Affermare con toni sempre più estremi che la Vita è "data", al di fuori dell'esperienza concreta del vivente, permette infatti di non pensare a quella insostenibile confusione di confini.
Anche l'appello alla legge ha la funzione, pratica e simbolica, di sollevarci dall'onere di pensare le inedite condizioni di vita e di morte che le tecnologie producono. Tutto sarebbe risolto una volta che è sancito, per legge. Questa funzione è tanto più evidente, dopo le sentenze della Corte e del Tribunale di Milano. Grazie alle quali dovrebbe essere evidente che non vi è "vuoto di diritto". Tutto il contrario, vi è un pieno di diritto, del quale il Parlamento non può non tener conto. Se non vi fosse, non vi sarebbe stato modo di pronunciarsi sul merito del caso specifico Englaro; ma, soprattutto, non sulla sua stessa ammissibilità giuridica.
Le due sentenze della Corte dicono con chiarezza che vi sono norme che consentono di valutare nel merito, caso per caso, le situazioni di malati terminali, o di stati vegetativi, o di altro tipo di intervento medico-tecnologico. Ed indicano un preciso orientamento, quello del rispetto della volontà della persona. In definitiva la scelta è nelle mani di ognuno/a di noi. Nessuna legge dovrebbe discostarsi da questo principio. Perché è garantito dalla Costituzione. Ma è molto improbabile che questo avvenga. In questo Parlamento, e nel contesto attuale di scontro, creato dai crociati della "Vita". A cosa serve allora una legge? A mettere in scena il conflitto etico-politico? Ad affermare chi ha il potere di riconoscere o negare, o limitare l'autonomia soggettiva? A dare con l'ennesima legge-manifesto una finta risposta alle inquietudini di tenti e tante? Perché l'autonomia suscita timori, anche comprensibili. Invece di alimentarli con fantasmi di omicidi e altri orrori, andrebbe favorita la presa di coscienza nello spazio pubblico.
Accogliamo la richiesta di silenzio e rispetto di Beppino Englaro. Sarebbe un segno di civiltà consentire, da qui in avanti, che questa concreta vicenda torni alla sfera privata. Mantenendo però vivo il seme che ha gettato nella sfera pubblica. Perché invece che sulla legge, non concentriamo la discussione pubblica sugli scenari inediti di scelta che ci propongono le tecnologie? Un modo concreto per farlo, sarebbe quello di lanciare una campagna per "le dichiarazioni di volontà anticipata". Confrontandoci tra donne ed uomini con idee ed esperienze differenti, sulla domanda se vorremmo o no sottoscriverle. Nella consapevolezza che si arrivi o no ad una legge, buona o cattiva che sia, quale uso faremo delle tecnologie, del loro potere sulla vita e sulla morte, dipenderà dalla coscienza singolare e collettiva. C'è da creare sedi ed occasioni per pensare, per creare senso condiviso. Merita farlo, piuttosto che affidarsi al potere legislativo ed al confronto in Parlamento sulla legge.

«Separarmi da Piergiorgio è stato duro, per amore ho accettato la sua volontà»

«Separarmi da Piergiorgio è stato duro, per amore ho accettato la sua volontà»

Il Messaggero del 18 novembre 2008, pag. 9

di Carla Massi

«Sapevo quali sarebbero stati il giorno e l’ora della sua morte. Me l’avevano detto i medici. Fino all’ultimo, in cuor mio, ho sperato che Piergiorgio ci ripensasse. Per me era difficile lasciarlo andare, non riuscivo a pensare la mia vita senza la sua compagnia. Ma lui aveva scelto e io, per amore, non potevo che accettare le sue volontà». Mina Welby ha amato suo marito Piergiorgio per quasi trent’anni. Dal 1978 al 2006 quando lui, malato di distrofia muscolare, ha deciso di farsi "staccare la spina" e lasciarsi morire.



Dunque lei, signora, non era d’accordo con la scelta di suo marito?

«Avrei preferito andare avanti così come stava anche se mi rendevo conto che lui non ce la faceva più. Ma l’amore per lui mi ha fatto sempre accettare il suo pensiero».



Ha provato a convincerlo a desistere?

«Ho fatto tutto con lui, ho inventato tutto per continuare ad andare avanti superando gli ostacoli che ogni giorno la malattia progressiva ci proponeva. Durante l’ultima settimana gli ho detto: "Non so più che cosa inventarmi!". E lui: "Non c’è più nulla da inventare, hai già fatto tutto". E lì ho capito che non voleva tornare indietro sulle sue decisioni».



A quel punto come ha fatto ad accettare, a vivere con il dolore e a stare accanto a lui fino alla fine?

«Per amore, solo per amore. Alcuni giorni prima della morte programmata mi passò per la mente di chiamare i carabinieri. Di parlare, di fermare tutto. Poi, in un momento, mi resi conto che gli avrei fatto un oltraggio. Che era puro egoismo. Mi dissi: "Che scema che sei!Fermati"».



Glielo ha fatto capire?

«No, assolutamente no. Non ho voluto mai ostacolarlo. In nome della nostra complicità e della nostra storia. Ho rispettato la dolcezza e l’attenzione che lui ha sempre, avuto per me».



A che cosa si riferisce?

«Finché ha potuto ha minimizzato la sua malattia ai miei occhi. Mi ha confusa, mi ha sempre nascosto quanto stesse male. Fino alla fine, quando non riusciva più a scrivere e a concentrarsi. Fino alla fine con estrema dignità, voleva che gli si facesse la barba, voleva scegliere i vestiti. Non riceveva mai le persone a letto, ma solo in carrozzina».



Quando le ha confessato la sua decisione?

«L’ho capito da tante piccole cose. Dal Belgio vennero a visitarlo alcuni medici, mi resi conto che in quel momento, con lui, potevano decidere qualcosa...».



Le parlava della morte?

«Negli anni prima non ne parlava mai, Piergiorgio era un inno alla vita. Ad un certo momento ha sperato, sono convinta, che io capissi».



E lei non ha voluto capire?

«Io fatto finta per un po’. Poi ho accettato in nome del nostro grande amore. Sempre, in tutti questi anni. Un giorno mi disse: "Non ti rendi conto come sto? Rischiamo di non capirci più..."».



E lei a quel punto è riuscita a sedare il dolore, a mandare via la rabbia e a mettersi da parte per lasciare spazio alle volontà di Piergiorgio?

«Ci sono riuscita senza rabbia e senza rammarico. Per lui è stato un sollievo, per me è stata la fine del lutto».



Il lutto era finito? In realtà, iniziava il distacco.

«Per me il lutto è finito quando Piergiorgio ha finito di soffrire. Poi è iniziato un doloroso distacco che ho riempito andando a rileggere e studiare tutto quello che Piergiorgio ha scritto sull’eutanasia e il testamento biologico. Per questo lotto perché questo paese abbia una legge proprio sul testamento biologico. Ora capisco quale era il suo pensiero da molti anni».



Ma non glielo aveva confidato.

«No, finché ha potuto no. Per non darmi un dolore».



Pensava che lei lo avrebbe voluto far desistere?

«Non lo so. Certo è che abbiamo sempre fatto tutto insieme, per gli ultimi quadri che ha dipinto ero io che spostavo la tela sotto il pennello. Tanto che uno l’ha firmato con il mio nome. Sapeva che, qualsiasi cosa lui avrebbe deciso su di sè, io lo avrei accettato. Fidava nella nostra eterna complicità».

Sul testamento biologico l’ultima crociata integralista

l’Unità 18.11.08
Sul testamento biologico l’ultima crociata integralista
di Luigi Manconi

Con la leggiadria tutta mondana e amorale delle parole buttate là e con la tetragona protervia dei fatti compiuti, il sottosegretario al Welfare per le questioni bioetiche, Eugenia Roccella, si è messa alacremente a «piantare paletti» (ma perché questo linguaggio da ingegnere del Genio civile?). I «paletti» in questione sono i confini invalicabili posti dal governo e da pressoché tutto il centrodestra all’esercizio della autonomia individuale del paziente in tema di trattamenti sanitari.
In altre parole, è altamente probabile che venga approvata una legge sul Testamento biologico che escluda la nutrizione e l’idratazione artificiali dall’ambito delle scelte sulle quali si possa esercitare la volontà del malato. Insomma, nel mio Testamento non posso dichiarare che - qualora mi trovassi in stato vegetativo persistente - non voglio essere sottoposto a nutrizione e idratazione artificiali.
Con ciò, si avrebbe una legge più arretrata rispetto all’attuale vuoto legislativo (peraltro perfettamente colmato dal dettato costituzionale e dall’intera giurisprudenza). Quel «paletto» è stato ulteriormente puntellato dal sottosegretario in un dibattito nel corso di Gr parlamento: qui, Roccella ha fatto riferimento a un documento del Comitato nazionale di bioetica (2003), dove all’«unanimità» sarebbe stata approvata la posizione cui si richiama oggi il governo.
Le cose non stanno affatto così: l’unanimità si raggiunse su un documento dove, a proposito di nutrizione e idratazione, ci si limitava a presentare due posizioni totalmente divergenti. Secondo alcuni e secondo il sottosegretario, nutrizione e idratazione sarebbero misure di sostegno vitale (dunque non interrompibili) e non trattamenti sanitari.
Bene, io e molti altri non la pensiamo così. Al di là dei numeri parlamentari, che ci sono ostili, ci sarà pure un criterio per dirimere il conflitto? Perché mai, invece, dovrebbe prevalere l’opinione di Eugenia Roccella, laureata in lettere, o quella mia, laureato in sociologia: entrambi non propriamente luminari delle scienze mediche?
Dal momento che la materia è strettamente di natura scientifica forse vale la pena ascoltare il parere del Presidente della società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo, Maurizio Muscaritoli: «Si perpetua la confusione terminologica tra "alimentazione" (quella che consiste nella assunzione di alimenti per via naturale) con la "nutrizione" artificiale, la quale, invece si sostanzia nella somministrazione, attraverso una via di accesso artificiale, di nutrienti a persone alle quali è preclusa l’assunzione di alimenti per la via naturale. (…) Inoltre, possibili effetti collaterali indesiderati ed il controllo clinico del paziente rientrano nello specifico ambito delle competenze mediche».
Chiarissimo. Aggiungo che in tutta la letteratura scientifica internazionale, questa è la posizione larghissimamente maggioritaria. Non dico la Roccella, ma anche la Teologia morale dovrebbe saggiamente tenerne conto.

venerdì 14 novembre 2008

Testamento biologico, la sfida del X municipio

Testamento biologico, la sfida del X municipio

La Repubblica - ed. Roma del 14 novembre 2008, pag. 9

di Renata Mambelli

Sarà i1X Municipio il primo a Roma a dotarsi di un registro che raccolga i testamenti biologici dei cittadini. La decisione è stata annunciata ieri dal presidente Sandro Medici. Il registro certificherà il desiderio di chi firma questo testamento di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione sul trattamento sanitario di fine vita. In particolare servirà come prova, contro eventuali contestazioni, della volontà di chi si è registrato di non essere sottoposto a ventilazione o alimentazione forzata nel caso di una malattia o di un incidente che comporti lo stato vegetativo.



Spiega Sandro Medici: «L’idea è nata circa una settimana fa durante un convegno organizzato da Mina Welby e al quale ha partecipato anche il senatore del Pd Ignazio Marino, primo firmatario del disegno di legge sul testamento biologico, attualmente fermo in parlamento. Ci siamo chiesti come si potesse riuscire a prevenire, in mancanza di una legge dello Stato, situazioni terribili come quella in cui si sono trovati Eluana Engaro e la sua famiglia». Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, al quale fu staccata la macchina che lo teneva invita dopo unalunga battaglia, è delegata dei diritti civili al X Municipio. Ed è stata lei che ha avanzato l’idea di un registro municipale.



«Abbiamo pensato», continua Medici, «che sarebbe stato utile un registro in cui venissero raccolte, su base volontaria, le intenzioni di chi non vuole essere tenuto in vita a forza. Ho cercato di controllare se ci fosse l’opportunità di crearlo. Non ho trovato nessun impedimento. E allora, in base al principio che quello che non è proibito è consentito, abbiamo deciso di creare questo registro». Il valore del registro dei testamenti biologici, spiega Medici, è che si tratta di una certificazione provata della volontà del malato, un atto che ha valore pubblico. «Nel caso Englaro, ad esempio, qualcuno ha messo in dubbio la validità della motivazione portata dai familiari, e cioè che Eluana non voleva essere tenuta in vita attraverso la ventilazione e l’alimentazione forzata, perché non c’era un documento che provasse la sua volontà. Col registro dei testamenti biologici questo non potrà accadere».



Nel testo che rappresenterà le volontà di chi lo sottoscrive di esercitare il diritto all’autodeterminazione sul trattamento sanitario sarà specificato che non si intende essere sottoposti a tutte quelle forme di assistenza sanitaria, come appunto la ventilazione e l’alimentazione forzata, che permettono di tenere in vita il paziente oltre i limiti naturali. Si tratta quindi di un documento molto esplicito, che non lascia spazio a dubbi e che avrà valore di certificazione.



L’iter per l’attuazione di questo nuovo strumento amministrativo prevede la presentazione di una delibera su questa materia, che sarà sottoposta al voto del consiglio municipale. «È lo stesso iter», spiega Medici, «che abbiamo percorso per l’altro registro che abbiamo creato nei nostri uffici anagrafici, quello delle unioni civili. Anche in questo caso il X Municipio è un apripista». Perché Medici ha, come dice, « una piccola ambizione», quella cioè che quest’idea divenga un modello e possa essere applicata anche in altri Municipi del territorio. «Il registro», conclude Medici, «non nasce per alimentare contrapposizioni politiche, ma più semplicemente per mettere a disposizione del territorio un nuovo servizio sociale e offrire a chi desidera utilizzarlo un piccolo ambito di democrazia».

Il diritto di dire basta

Il diritto di dire basta

La Stampa del 14 novembre 2008, pag. 1

di Carlo Federico Grosso
Per il Vaticano interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana Englaro costituisce omicidio doloso, addirittura un assassinio: lo ha dichiarato ieri l’altro il cardinale Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per la Salute. E ieri sera mons. Fisichella commentava: «È eutanasia di fatto e di diritto». La Cassazione, un anno fa, aveva valutato diversamente. Con un’importante interpretazione della legislazione vigente, aveva affermato che, a determinate condizioni, sospendere la somministrazione artificiale di sostanze vitali a una persona che si trova in stato vegetativo irreversibile costituisce esercizio legittimo di un diritto. È pacifico che ogni persona capace d’intendere e di volere ha il diritto di rifiutare le cure mediche e di lasciarsi morire.

Lo si ricava dalle norme costituzionali (artt. 2, 13, 32 Cost.), dalle fonti giuridiche soprannazionali (Convenzione di Oviedo e Carta dei diritti fondamentali dell’Ue), dalla giurisprudenza ben salda della Corte di Cassazione in materia di consenso informato quale condizione di liceità dell’intervento medico. Ciò significa che ognuno di noi ha la facoltà di rifiutare una terapia in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale: si tratta dell’esercizio di un diritto fondamentale di libertà. Né si può sostenere che il rifiuto consapevole delle cure, quando conduca alla morte, costituisca un’ipotesi di eutanasia: tale rifiuto esprime, semplicemente, la libera scelta del malato che la malattia segua il suo decorso naturale.

Il problema, a questo punto, è stabilire quale sia la regola applicabile ove il malato non sia in grado di manifestare la sua volontà. La Cassazione, un anno fa, ha stabilito che può decidere il tutore. Se una persona è portata in stato di incoscienza a un pronto soccorso, il medico deve subito effettuare gli interventi urgenti imposti dal migliore interesse terapeutico. Superata l’urgenza, si ripropone peraltro la problematica del consenso informato: il medico che spiega, il paziente che decide, questa volta attraverso la volontà espressa dal suo tutore, soggetto al quale il codice civile riconosce rappresentanza anche con riferimento alla sfera degli interessi non patrimoniali.

Il carattere personalissimo del diritto alla salute impedisce tuttavia che al rappresentante legale possano essere trasferiti poteri incondizionati. Il tutore dovrà decidere, ha stabilito la Cassazione, non «al posto» del malato, ma «insieme a lui», ricostruendo la presunta volontà del paziente inconsapevole tenendo conto dei desideri da lui espressi quando era cosciente ovvero desumendo la sua volontà, dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori, dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali. Di qui l’importante principio di diritto enunciato. In caso di malato incapace tenuto artificialmente in vita, il giudice può autorizzare la disattivazione del presidio sanitario, ma unicamente quando sia provato con certezza che lo stato vegetativo è irreversibile e che la richiesta d’interruzione da parte del rappresentante legale corrisponde alla presumibile volontà del paziente. In applicazione di questo principio di diritto la Corte d’Appello di Milano, alla quale la Cassazione aveva rinviato la causa per la decisione di merito, verificata l’esistenza dei menzionati presupposti, a metà 2008 ha autorizzato l’interruzione dell’alimentazione artificiale di Eluana Englaro.

Questa decisione potrà essere condivisa, potrà essere criticata. Si tratta, in ogni caso, di un’importante operazione interpretativa «per principi» della legislazione italiana con la quale la Cassazione, in assenza di una regolamentazione specifica del testamento biologico, ha desunto la regola di giudizio applicabile attraverso un’attenta ricostruzione dei principi costituzionali, della giurisprudenza pregressa in tema di consenso informato, delle norme di diritto soprannazionale in materia.

In questo contesto, parlare d’illegittima autorizzazione all’omicidio mi sembra, quantomeno, indice di scarso rispetto per le istituzioni giudiziarie che hanno valutato e deciso. Non ho, d’altronde, mai dubitato che la suprema magistratura italiana non si sarebbe lasciata condizionare da pressioni esterne. La decisione di ieri, che ha dichiarato inammissibile il ricorso della procura generale di Milano, conferma la libertà di giudizio dei nostri alti magistrati; ma, soprattutto, ha il grande merito di porre fine a una questione dalla grandissima rilevanza umana e sociale, sancendo il primato della libertà di decidere sulla volontà di proteggere a tutti i costi una vita in condizione vegetativa irreversibile, che non è più, propriamente, vita umana meritevole di ogni protezione giuridica.

Vivere e morire con dignità

Vivere e morire con dignità

Il Manifesto del 14 novembre 2008, pag. 1

di Eligio Resta

Ha ragione Beppino Englaro nell’affermare che c’è lo «stato di diritto». C’è perché i giudici della Suprema Corte hanno applicato regole e principi che le leggi prescrivono: le leggi e non le parole d’ordine che certa opinione pubblica e certe ideologie hanno suggerito in maniera corposa.



Englaro non avrebbe potuto parlare di «stato di diritto» se fosse passata la linea della maggioranza che aveva sollevato il conflitto di attribuzioni contro un atto «dovuto» della giurisdizione. Se fosse stata vincente quella ipotesi ci saremmo infatti trovati di fronte alla lesione dei principio fondamentale dello «stato di diritto» per cui il giudice non può negare giustizia. Si chiama divieto del non liquet quello imposto al giudice ed è garanzia che ai diritti invocati dai cittadini a rispondere debba essere lui, e non altri, ad esempio il sovrano, l’amministrazione, i centri di potere.



La Corte Costituzionale, investita della questione, ha decisamente respinto il conflitto che la maggioranza aveva sollevato e ne ha rilevato l’infondatezza, proprio in nome dello stato di diritto. Nella tradizione anglosassone la formula usata è quella della rule of law, che non significa altro se non il «governo della legge»: il suo contrario è, non a caso, il «governo degli uomini», con i loro poteri, spesso con le loro prepotenze, le loro passioni, le loro preferenze ideologiche. Si invocava dalla maggioranza l’assenza della «legge» da rivendicare alla competenza del Parlamento, senza tener conto che delle leggi fanno parte la Costituzione e i suoi principi: si chiama, non per caso, legge fondamentale. È stata lunga e faticosa la lotta per il diritto che i familiari di Eluana hanno dovuto intraprendere. Si sono trovati di fronte a una serie di ostacoli formali e informali che definirei come una generale assenza di carità. Quella carità avrebbe potuto guardare con tutto il rispetto e tutta la com-passione alla tragedia di Eluana e dei suoi. Non è andata così e ha prevalso un accanimento ideologico, troppo sordo alla «dignità» di questa persona nella sua esistenza tragicamente concreta.



Nel ribadire l’inammissibilità del ricorso della Procura Generale di Milano, la Suprema Corte ha dunque confermato la precedente decisione. Ed è nel merito che è bene ancora discutere. I giudici hanno applicato la legge che prescrive che ogni trattamento sanitario deve perseguire la dignità: il punto è proprio qui. La dignità è il diritto a riconoscersi come uomo e donna capaci di auto-determinazione e di liberi di sottrarsi a sofferenze ulteriori. Il diritto fondamentale della tradizione moderna è appunto quello «a sottrarsi alle proprie catene»: l’assenza di «sacralità» sta invece proprio nella volontà di perpetuare una vita soltanto artificiale. Paradossalmente è il contrario della natura: è contro natura, e, se vogliamo, a essere contro natura è proprio l’assenza di carità e di com-passione.



Non si tratta di una decisione con la quale i giudici legittimano l’eutanasia: consentire a una richiesta così dolorosa delle persone che più amano Eluana significa riconoscere il diritto alla propria vita, non a quella imposta dalla tecnica e dalle ideologie. Proprio quella tecnica che viene rifiutata quando è in gioco la possibilità di alleviare sofferenze, viene invocata invece per perpetuarle. Non ci sarebbe neanche bisogno di una legge sul testamento biologico, dal momento che autodeterminazione, dignità e divieto di discriminazione sono principi fondamentali del nostro ordinamento. Senza poi dimenticare che nessun «sovrano» può imporre di vivere né di lasciar morire. L’unica possibile sovranità è quella di ognuno su se stesso; a ricordarcelo è la vecchia filosofia liberale, non il gauchiste di turno: la vera natura morale degli individui si può infatti esplicare soltanto quando siano tolti i pesi che leggi e poteri sulla vita impongono.

Caso Englaro, dalla Cassazione sentenza di civiltà: staccate la spina

Caso Englaro, dalla Cassazione sentenza di civiltà: staccate la spina

Liberazione del 14 novembre 2008, pag. 20

di Vittorio Bonanni
Ha vinto l'autodeterminazione, la laicità dello Stato, il rispetto della volontà della persona. C'è tutto questo nella sentenza numero 27145/08 delle sezioni unite della Cassazione, sul caso della giovane Eluana Englaro, che ha dichiarato «inammissibile per difetto di legittimazione all'impugnazione il ricorso presentato dal pubblico ministero presso la procura generale della corte d'Appello di Milano» che aveva invece autorizzato «il distacco del sondino della paziente, in stato vegetativo permanente». Da questo momento la famiglia Englaro può portare a compimento il desiderio della figlia: smettere l'alimentazione forzata e porre fine al coma vegetativo permanente in cui sta da sedici anni.
Una decisione clamorosa che, come era ovvio, ha scatenato una serie di reazioni a catena, pro e contro. Tanti i commenti positivi. Il padre della ragazza, Beppino - in prima fila in questa lunga battaglia cominciata nel 1999 quando chiese, otto anni dopo l'incidente che rese invalida Eluana, al tribunale di Lecco l'interruzione dell'alimentazione artificiale - ha gridato alla vittoria dello Stato di diritto. Mina Welby, moglie di Piergiorgio, ha detto: «Oggi finisce il lutto di Beppino Englaro». Per gli esponenti radicali, dall'anestesista Tommaso Ciacca alla senatrice Donatella Poretti, si tratta di una vittoria del concetto di autodeterminazione che rende ora necessaria una legge adeguata. Il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero ha sottolineato che siamo di fronte ad «una sentenza di civiltà che raccoglie e rispetta lo spirito di umanità e il rispetto del diritto e delle volontà delle persone che anima l'intera nostra Costituzione».
Anche dal mondo della chiesa non ufficiale sono arrivati giudizi positivi. L'associazione cattolica "Noi siamo chiesa" invita tutti ad «accettare la sentenza sul caso Englaro, come richiede il messaggio di libertà, di umanità e di rispetto della vita e della morte contenuto nel Vangelo». Ma tutte le altre reazioni, provenienti dalle file della destra e dagli ambienti cattolici, hanno tutt'altro tono. Prima fra tutte, quella dell'associazione Scienza&Vita, che equiparando l'interruzione dell'alimentazione alla pena di morte chiede che, come avviene in tanti paesi, l'«esecuzione venga resa pubblica con testimoni e video». «Così i nostri figli e i nostri nipoti - conclude Scienza&Vita - potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete». Affermazioni che richiamano quelle di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia della vita: «Si manda a morte una ragazza di 37 anni».
Non sono da meno le reazioni dei tanti esponenti del Pdl: per il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi la Cassazione ha deciso di ucciderla; la ministra delle pari opportunità Mara Carfagna ha affermato dal canto suo che «togliere l'alimentazione equivale ad ucciderla», mentre il sottosegretario all'interno Alfredo Mantovano attacca la magistratura, sostenendo che «rifiuta la tutela della vita umana», un'accusa stigmatizzata dall'Associazione nazionale magistrati e dallo stesso Csm. E la lista potrebbe continuare.
La verità è che, dietro l'angolo, potrebbe esserci ancora qualche sorpresa tesa ad ostacolare una decisione che potrebbe concretizzarsi ad Udine fra alcuni giorni. Non è un caso che proprio Benedetto Della Vedova, un parlamentare del Pdl, presidente dei Riformatori Liberali, in controtendenza con il parere dei suoi, abbia ammonito il Parlamento a non cercare una rivincita che sarebbe «insensata e irresponsabile». E a proposito di Parlamento, proprio le Camere ora dovrebbero sentirsi in obbligo di formulare una legge che accolga le indicazioni della magistratura. Ma il rischio è grosso. Come ha sottolineato la deputata radicale Maria Antonietta Coscioni «il fatto che il centrodestra si dica quasi pronto a legiferare in materia proprio oggi, dopo che questo caso va avanti da sedici anni, rappresenta un atto di disonestà intellettuale e di ipocrisia nei confronti delle 2.500 "vittime" che si trovano nel suo stesso stato». Tanta fretta del resto non è casuale e trova d'accordo anche le gerarchie vaticane. Sempre Fisichella ha infatti auspicato che si arrivi al più presto «a formulare una legge, il più possibile condivisa perché venga evitata qualsiasi esperienza di eutanasia passiva o attiva nel nostro Paese». L'altra carta che la destra e il Vaticano possono giocare è quella mediatica. Lo si evince dalle parole del sottosegretario al Welfare con delega ai temi etici, Eugenia Roccella: «Nessun obbligo di applicazione della sentenza e nessuna possibilità di intervento da parte del governo» ha detto, sostenendo che, di fatto, la scelta ora ricade sulle spalle del padre e delle altre persone coinvolte in questa vicenda. Come dire che se deciderannno di mettere in pratica la sentenza si renderanno insomma colpevoli di un assassinio, sia pure legale. Già immaginiamo il linciaggio morale del quale potrebbero essere vittime. Come la donna di Napoli, colpevole solo, come tutti ricorderanno, di aver praticato un aborto legale. A proposito, a gridare "assassini" manca proprio Giuliano Ferrara. Lo ammettiamo, ci manca tanto.

Eluana ultimo atto «Basta accanimenti»

Eluana ultimo atto «Basta accanimenti»

L'Unità del 14 novembre 2008, pag. 4

di Andrea Carugati

Dopo più di 10 anni, ha vinto Beppino Englaro. E ha vinto, soprattutto, sua figlia Eluana, la sua «straordinaria tensione verso la libertà», come hanno scritto i giudici della Cassazione nella storica sentenza di ieri in cui hanno riconosciuto che si può staccare il sondino che da 16 anni la tiene in vita in uno stato vegetativo. Dopo due giorni di camera di consiglio, i giudici hanno bocciato il ricorso della procura generale di Milano, che aveva impugnato il decreto con cui la Corte d’appello del capoluogo lombardo, nel luglio scorso, aveva dato il primo via libera a interrompere l’alimentazione artificiale. Il primo presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, ha spiegato in un comunicato che il ricorso è stato respinto «per difetto di legittimazione all’impugnazione», come aveva chiesto martedì durante l’udienza pubblica il Pg Domenico Iannelli. La sentenza, numero 27145, è lunga 21 pagine nelle quali il relatore Mario Rosario Morelli spiega il perché del rigetto: la vicenda in questione non riguarda un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. L’intervento del pm, nelle cause civili, si giustifica solo se il caso riguarda un interesse pubblico, ma stavolta si trattava di un «diritto personalissimo del soggetto, di. spessore costituzionale come il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale». Soddisfatti i legali della famiglia Englaro. «È quello che ci aspettavamo e non poteva andare diversamente. La Cassazione ha fatto giustizia», dice Franca Alessio, curatrice special le di Eluana. «Hanno vinto la giustizia e le regole del diritto», dice Vittorio Angiolini. «Ora il decreto di luglio può essere eseguito, e il padre può autorizzare lo stop ai trattamenti». Il relatore Morelli ricostruisce nelle motivazioni la lunga vicenda giudiziaria di Eluana. Le sezioni unite evidenziano come la Corte d’Appello di Milano, il 9 luglio scorso, sia giunta alla decisione di dare l’ok a staccare il sondino «in considerazione sia della straordinaria durata dello stato vegetativo permanente (e quindi irreversibile), sia della, altrettanto straordinaria, tensione del suo carattere verso la libertà, nonché della inconciliabilità della sua concezione sulla dignità della vita con la perdita totale ed irrecuperabile delle facoltà motorie e psichiche e con la sopravvivenza solo biologica del suo corpo in uno stato di assoluta soggezione all’altrui volere». «Tutti fattori si legge nelle motivazioni - che appaiono prevalenti su una necessità di tutela della vita biologica in sé e per sé considerata». Secondo le Sezioni unite della Cassazione, i giudici d’appello di Milano, a luglio, avevano valutato «analiticamente e approfonditamente» la documentazione sulle condizioni cliniche di Eluana. In sostanza la sentenza di ieri ha confermato quanto stabilito dalla stessa Cassazione nell’ottobre 2007, e cioè che si può "staccare la spina" solo in presenza concomitante di due circostanze: lo stato vegetativo del paziente apprezzata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. E tuttavia la polemica, politica e clericale, contro la Cassazione è durissima. Al punto che tutti i membri togati del Csm hanno firmato per avviare una pratica a tutela dei giudici della Cassazione. Nel documento si sottolinea che la funzione «delicatissima» che spetta alla Cassazione di «mantenere l’unità del diritto nazionale», «richiede una puntuale presa di posizione da parte dell’organo di autogoverno», di fronte agli attacchi ricevuti. L’intervento del Csm servirà a «rammentare al Paese che la Cassazione non si è inventata nulla ma ha applicato la legge», spiega il consigliere Giuseppe Maria Berruti, tra i promotori dell’iniziativa. «Mai prima d’ora ci sono stati attacchi così virulenti nei confronti dell’organo supremo della giustizia italiana», aggiunge il togato Mario Fresa. Un netto stop «agli insulti e alle aggressioni contro una istituzione fondamentale del sistema giudiziario italiano» arriva dai vertici dell’Anm.

Eluana, la ferocia è finita. Ora puoi morire in pace

Eluana, la ferocia è finita. Ora puoi morire in pace
Liberazione del 14 novembre 2008, pag. 20

di Maria Antonietta Farina Coscioni
Alla famiglia Englaro dico grazie per la straordinaria lezione di dignità e di compostezza che ci hanno dato in tutti questi anni. Una lezione che cercheremo di onorare, portando avanti la battaglia per la difesa della volontà del paziente; quella volontà che nel caso di Eluana per tanto tempo non si è voluto tutelare. C'è chi non vuole pronunciarsi sulla propria morte, né scegliere, affidandosi a quello che sarà. E' una scelta rispettabile e che va rispettata, come quella di chi non accetta di dover continuare a vivere in stato di coma vegetativo. Si deve insomma poter consentire la possibilità di scegliere tra queste due opzioni: non un obbligo, ma una facoltà.
La Corte di Cassazione ieri, la Corte Costituzionale e la Corte di Appello di Milano nelle settimane scorse, si sono pronunciate, tutte, in modo inequivocabile. Non è, la loro, un'invasione di campo come qualcuno, pretestuosamente, ha detto; è piuttosto un solenne, ineccepibile richiamo alla lettera e alla forma della legge, del diritto, oltre che dell'umanità e del miglior senso comune.
Ora tocca a noi politici assicurare una buona legge sul testamento biologico, che garantisca innanzitutto il rispetto della volontà e della dignità del malato; una legge che sia ispirata a criteri diversi da quelli espressi dalla maggioranza del Pdl. Questo è sempre stato il nostro obiettivo, per questo abbiamo lottato, su questo proseguirà irriducibile e più determinato che mai, il nostro impegno.

NOTE

Deputata radicale e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni

La svolta della Cassazione. «Nessuno può opporsi al rifiuto delle cure»

l’Unità 14.11.08
La svolta della Cassazione. «Nessuno può opporsi al rifiuto delle cure»
di Giuseppe Vittori

«Una sentenza definitiva non eseguirla è reato»
«La vicenda Englaro è definitivamente chiusa da un punto di vista giuridico. Non eseguire questa sentenza può configurare gli estremi di un reato». Parola di Amedeo Santosuosso, magistrato della Corte d’appello di Milano e componente della Consulta di bioetica, intervenuto alla presentazione del libro scritto dall’anestesista Mario Riccio sulla vicenda Welby, che ribadisce: «La sentenza e il suo percorso giungono a conclusione. A questo punto non vi sono ulteriori possibilità di ricorso da parte di chicchessia».

Il diritto all’autodeterminazione terapeutica esiste in tutte le fasi della vita anche quella terminale. Contro questo diritto personalissimo il giudice non può opporsi. La svolta della Cassazione.
Il diritto personalissimo e costituzionale all’autodeterminazione terapeutica non può essere impugnato da un giudice. È una sentenza che segna una svolta quella con la quale la Cassazione ha dato il via libera alla sospensione dell’alimentazione. Una svolta perché per la prima volta stabilisce che il diritto Costituzionale al rifiuto delle cure «prevale» su quello di altri, come ad esempio sul dovere del medico a rianimare il malato o a quello dei giudici di imporre ancora le cure. I giudici entrano nel merito, per la prima volta. E per la prima volta dicono e risolvono un conflitto normativo che ha tenuto ferme per diversi anni ben otto proposte di legge. Il passaggio cruciale dice così. Dice che «esiste un diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Dice che non si può fare «richiamo alla impugnazione nell’interesse della legge per accogliere il ricorso della Procura. E non si pone nemmeno il dubbio di legittimità costituzionale, in relazione ai precetti di eguaglianza e della ragionevolezza della Costituzione, stante l’evidente ragionevolezza, invece, del non identico trattamento di fattispecie in cui viene in rilievo un diritto personalissimo del soggetto di spessore costituzionale (come nella specie il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale), all’esercizio del quale è coerente che il pm non possa contrapporsi fino al punto della impugnazione di decisione di accoglimento della domanda di tutela del titolare, solo in ragione del quale si giustifica l’attribuzione di più incisivi poteri, anche impugnatori, al pm.
Un anno fa, il 16 ottobre, la prima sezione della Cassazione aveva aperto la strada al disco verde per l’interruzione dell’alimentazione. Nella decisione i supremi giudici indicarono due condizioni concorrenti perché il giudice potesse autorizzare l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione: che lo stato vegetativo sia accertato come irreversibile e che il paziente, e cioè Eluana, avesse dimostrato il convincimento, quando era cosciente, che in un caso simile non avrebbe consentito il trattamento. Oggi ventuno pagine, sentenza 27145, hanno scritto la parola fine. Le ultime sei pagine spiegano perché l’impugnazione della Procura di Milano è inammissibile.
Come aveva detto l’avvocato generale Domenico Iannelli anche le sezioni unite hanno sostenuto che la vicenda in questione non riguardava un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. Nelle cause civili,come in questo caso spiegano i supremi giudici, «la presenza del pm ha carattere eccezionale, risultando normativamente prevista solo in ipotesi di controversie coinvolgenti anche un interesse pubblico».

Eluana, ultimo atto. «Basta accanimenti»

L’Unità 14.11.08
Eluana, ultimo atto. «Basta accanimenti»
di Andrea Carugati

La decisione della Suprema Corte conferma la sentenza del 9 luglio scorso della Corte d’Appello di Milano. Il ricorso respinto per «difetto di legittimazione all’impugnazione». Un dramma durato 16 anni.
Dopo più di 10 anni, ha vinto Beppino Englaro. E ha vinto, soprattutto, sua figlia Eluana, la sua «straordinaria tensione verso la libertà», come hanno scritto i giudici della Cassazione nella storica sentenza di ieri in cui hanno riconosciuto che si può staccare il sondino che da 16 anni la tiene in vita in uno stato vegetativo. Dopo due giorni di camera di consiglio, i giudici hanno bocciato il ricorso della procura generale di Milano, che aveva impugnato il decreto con cui la Corte d’appello del capoluogo lombardo, nel luglio scorso, aveva dato il primo via libera a interrompere l’alimentazione artificiale. Il primo presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, ha spiegato in un comunicato che il ricorso è stato respinto «per difetto di legittimazione all’impugnazione», come aveva chiesto martedì durante l’udienza pubblica il Pg Domenico Iannelli. La sentenza, numero 27145, è lunga 21 pagine nelle quali il relatore Mario Rosario Morelli spiega il perché del rigetto: la vicenda in questione non riguarda un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. L’intervento del pm, nelle cause civili, si giustifica solo se il caso riguarda un interesse pubblico, ma stavolta si trattava di un «diritto personalissimo del soggetto, di spessore costituzionale come il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale».
Soddisfatti i legali della famiglia Englaro. «È quello che ci aspettavamo e non poteva andare diversamente. La Cassazione ha fatto giustizia», dice Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana. «Hanno vinto la giustizia e le regole del diritto», dice Vittorio Angiolini. «Ora il decreto di luglio può essere eseguito, e il padre può autorizzare lo stop ai trattamenti».
Il relatore Morelli ricostruisce nelle motivazioni la lunga vicenda giudiziaria di Eluana. Le sezioni unite evidenziano come la Corte d’Appello di Milano, il 9 luglio scorso, sia giunta alla decisione di dare l’ok a staccare il sondino «in considerazione sia della straordinaria durata dello stato vegetativo permanente (e quindi irreversibile), sia della, altrettanto straordinaria, tensione del suo carattere verso la libertà, nonché della inconciliabilità della sua concezione sulla dignità della vita con la perdita totale ed irrecuperabile delle facoltà motorie e psichiche e con la sopravvivenza solo biologica del suo corpo in uno stato di assoluta soggezione all’altrui volere». «Tutti fattori - si legge nelle motivazioni- che appaiono prevalenti su una necessità di tutela della vita biologica in sé e per sé considerata». Secondo le Sezioni unite della Cassazione, i giudici d’appello di Milano, a luglio, avevano valutato «analiticamente e approfonditamente» la documentazione sulle condizioni cliniche di Eluana. In sostanza la sentenza di ieri ha confermato quanto stabilito dalla stessa Cassazione nell’ottobre 2007, e cioè che si può “staccare la spina” solo in presenza concomitante di due circostanze: lo stato vegetativo del paziente apprezzata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
E tuttavia la polemica, politica e clericale, contro la Cassazione è durissima. Al punto che tutti i membri togati del Csm hanno firmato per avviare una pratica a tutela dei giudici della Cassazione. Nel documento si sottolinea che la funzione «delicatissima» che spetta alla Cassazione di «mantenere l’unità del diritto nazionale», «richiede una puntuale presa di posizione da parte dell’organo di autogoverno», di fronte agli attacchi ricevuti. L’intervento del Csm servirà a «rammentare al Paese che la Cassazione non si è inventata nulla ma ha applicato la legge», spiega il consigliere Giuseppe Maria Berruti, tra i promotori dell’iniziativa. «Mai prima d’ora ci sono stati attacchi così virulenti nei confronti dell’organo supremo della giustizia italiana», aggiunge il togato Mario Fresa. Un netto stop «agli insulti e alle aggressioni contro una istituzione fondamentale del sistema giudiziario italiano» arriva dai vertici dell’Anm.

lunedì 10 novembre 2008

Il giudice: "Sì al testamento biologico", è la prima sentenza in Italia

Gazzetta di Mantova
Il giudice: "Sì al testamento biologico", è la prima sentenza in Italia
La sentenza del giudice Guido Stanzani segna una svolta in Italia
di Pier Luigi Salinaro
Il giudice tutelare del tribunale di Modena, Guido Stanzani, ha depositato ieri il decreto con il quale ha accolto la richiesta di un uomo che, ancora in ottime condizioni di salute, chiedeva, in caso di malattia invalidante, di nominare la moglie “proprio amministratore di sostegno”, vale a dire “garante delle sue volontà di fine vita”.

In sostanza il giudice gli ha concesso “in caso di malattia terminale o irreversibile”, di “non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico”. La sentenza del giudice Stanzani, la prima in Italia di questo tipo, apre la strada al “testamento biologico”.

Il decreto depositato ieri mattina dal giudice tutelare Guido Stanzani rappresenta una vera e propria rivoluzione in materia. Concede, infatti, ad una persona perfettamente sana di esercitare un diritto primario, quello di pretendere, in caso di malattia o infortunio, il rispetto delle disposizioni terapeutiche in precedenza scelte.

Dunque in caso di malattia invalidante, nello specifico, sarà la moglie, nominata con atto notorio amministratrice di sostegno, a decidere quali terapie salvavita adottare per conto del marito. In sostanza, siccome le volontà dell’uomo sono quelle di non essere sottoposto a terapie che in ogni caso non porterebbero alla propria guarigione, sarà la moglie, decreto alla mano, ad intimare lo “stop”� alle cure e a negare il consenso ai sanitari a praticare alla persona trattamento terapeutico alcuno e, in specifico - precisa il giudice Stanzani - “rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie antibiotiche, ventilazione”.

Ma il giudice va oltre nella sua capillare analisi della situazione fisica in cui potrebbe venirsi a trovare la persona e richiamando “ i sanitari all’obbligo di prestare alla persona, ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più efficaci, compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei”, dà mandato alla moglie di negare agli stessi sanitari “l’idratazione e l’alimentazione forzata e artificiale”.


Quest’ultima precisazione si ricollega ad una vicenda da mesi d’a ttualità, quella di Eluana Englaro, in coma irreversibile da anni, tenuta in vita vegetativa giusto attraverso idratazione, alimentazione forzate ed artificiale. Il decreto firmato dal giudice Stanzani, potrà, forse, fornire soluzione anche a questo caso.

La vicenda giudiziaria modenese, che ha portato alla clamorosa quanto inattesa - in particolare nei termini - decisione, ha avuto inizio lo scorso giugno, quando un libero professionista modenese di 50 anni, noto in città, ma con l’intenzione di preservare l’ anonimato, si è rivolto all’avvocato Maria Grazia Scacchetti per trovare una soluzione a quello che è tuttora un vuoto normativo: la possibilità di accettare o rifiutare una terapia quando, di fatto, non si è più nelle condizioni di intendere e di volere. Il modenese ha seguito l’iter previsto dalla legge sull’amministratore di sostegno. E’ stata redatta una scrittura privata in cui il beneficiario indicava nella moglie e, in subordine, nella figlia, il proprio amministratore di sostegno.

La scrittura è stata poi autenticata dal notaio Giorgio Cariani, dopo che quattro colleghi prima di lui si erano rifiutati di farlo. Accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Scacchetti, ieri il giudice tutelare ha consegnato nelle mani del modenese un documento che non può essere impugnato e che certifica, a futura memoria, le proprie “volontà biologiche”.
(06 novembre 2008)

Marino: «La legge sul testamento biologico non è rinviabile»

Il Messaggero, 10 novembre 2008
Marino: «La legge sul testamento biologico non è rinviabile»
di Anna Maria Sersale
ROMA (10 novembre) - Senatore Marino, in assenza di una legge la magistratura detta le norme, saranno i giudici a decidere se staccare la spina a Eluana. Che cosa ne pensa?
«Da eletto non commento l’operato dei giudici, che rappresentano un potere distinto da quello politico. Però è da quattro legislature che il testamento biologico è all’ordine del giorno nel nostro Parlamento. Questo ritardo è gravissimo. In altri Paesi hanno iniziato a occuparsene un quarto di secolo fa e hanno la legge da tempo». All’intervista risponde Ignazio Marino, senatore del Pd e capogruppo in Commissione sanità, autore di disegni di legge sulla materia.

Gravi ritardi hanno impedito all’Italia di avere una legge.
«Proprio così, ma il problema delle terapie di fine vita non è più rinviabile. Oggi decidono medici e rianimatori, invece occorre una legge che dia garanzie, che rispetti la volontà del singolo. Non può essere lo Stato a decidere, la morte è un fatto personale. Lo ha anche sancito la Corte suprema degli Stati Uniti nel 1987. Non si può non tenere conto di alcune cose fondamentali: da un lato si allunga la vita media, dall’altro aumenta la possibilità di avere tecnologie per supportare funzioni vitali. Ebbene, i padri costituenti nel ’47 definirono il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie. Un concetto avanzatissimo. La Costituzione prevede, con l’articolo 32, la libera scelta sui problemi di salute. Certo, cinque anni prima dell’invenzione del respiratore automatico e 15 anni prima della nutrizione artificiale i padri della Costituzione non sapevano che si può restare in vita senza parlare. Per questo non hanno previsto il consenso esplicito alle cure».

In realtà nessuno può interpretare la volontà di un altro, secondo lei quali sono le garanzie?
«Le volontà per il fine vita devono essere scritte e possibilmente va nominato un fiduciario, io nominerei una persona che mi ama e che io amo e che si prenda la responsabilità di far rispettare la mia volontà. Questo serve quando una persona non ha più una ragionevole speranza di recupero dell’integrità intellettiva».

Nutrizione e idratazione sono i nodi?
«C’è chi vuole renderle sempre e comunque obbligatorie, ma quando una persona è alimentata artificialmente quella è terapia e per me non può essere obbligatoria. Nè ci può essere una legge che obblighi a infrangere l'alleanza tra medico e paziente».

"Dolce morte", la parola alla Cassazione

"Dolce morte", la parola alla Cassazione

Il Messaggero del 10 novembre 2008, pag. 9

di Cristiana Mangani

Saranno ancora una volta i giudici di Cassazione a dover decidere se Eluana Englaro debba vivere o possa morire. Sei medici debbano sospendere l’alimentazione assistita che la tiene in vita da quel 18 gennaio del ‘92, giorno in cui un incidente stradale l’ha ridotta in stato vegetativo permanente. E verrà emessa, ancora una volta, una sentenza che farà discutere, perché parlerà di "dolce morte". L’udienza avrà inizio domattina davanti alle sezioni unite civili e, forse, metterà la parola fine a quello che il papà Beppino ha definito «un calvario che dura da più di seimila giorni». Lui, il genitore-tutore, che da 17 anni combatte per uscire «da questo inferno», sarà presente nell’aula magna di piazza Cavour per assistere all’udienza che si svolgerà a porte aperte.



Sembra difficile immaginare che verranno sconfessati i principi che altri giudici supremi hanno stabilito nella sentenza emessa il 16 ottobre del 2007. Quando nelle 60 pagine di motivazioni gli "ermellini" hanno scelto di pronunciare un’unica volta la parola eutanasia, ma solo per escludere che il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduce alla morte, possa essere scambiato per un comportamento che intende abbreviare la vita. In quella sede, la prima sezione civile con la sentenza Luccioli-Giusti ha definito la causa in tutti i suoi profili di diritto, stabilendo dei principi chiave, e cioè che il malato è libero di curarsi, ma anche di non curarsi. Sino alle estreme conseguenze. Quando poi il paziente non è capace di intendere e di volere, come nel caso di Eluana, è soltanto l’autorità giudiziaria che può autorizzare i medici a interrompere le cure a determinate condizioni.



I supremi giudici decisero quindi di rinviare gli atti alla Corte d’appello per verificare «se la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione», e la necessità che fosse «univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento». La Corte d’appello di Milano, lo scorso 9 luglio, ha dato il via libera al tutore di Eluana (suo padre), per interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, fissando due principi chiave e cioè che «è già stata provata l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente della giovane» ed «è dimostrata la convinzione di Eluana, quando era pienamente cosciente, di preferire la morte all’essere tenuta in vita artificialmente».


A rappresentare la pubblica accusa in Cassazione sarà il sostituto procuratore generale Domenico Iannelli. La Corte sarà presieduta dal primo presidente Vincenzo Carbone e l’estensore della sentenza sarà Mario Rosario Morelli. Un magistrato che i colleghi di piazza Cavour descrivono come «molto scrupoloso», e «non un cattolico militante». La decisione potrebbe arrivare già in serata.

venerdì 7 novembre 2008

Testamento biologico ordine di un giudice

Testamento biologico ordine di un giudice

Il Mattino del 6 novembre 2008, pag. 18

di Luisa Maradei

Un cinquntenne di Modena ha ottenuto dal giudice tutelare Guido Stanzani un decreto che riconosce le sue volontà sul fine vita: «non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico» in caso «di malattia terminale, traumatica cerebrale irreversibile e invalidante» e che «costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione». Nei fatti un vero e proprio testamento biologico, per evitare di replicare una storia come quella di Eluana Englaro.



Nel decreto, infatti, è nominata «amministratore di sostegno» la moglie dell’uomo: è lei la fiduciaria delle sue volontà in caso di malattia terminale. Lo ha deciso lo stesso giudice di Modena che. nel maggio scorso, aveva emesso un decreto simile in materia di testamento biologico per Vincenza Santoro, un’anziana colpita da sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Ma quello di ieri è un decreto di svolta: l’uomo, stavolta, è sano.



Nona caso Maria Grazia Scacchetti, l’avvocato che ha assistito il cinquantenne, parla di «decreto illuminato, che apre una procedura» . E che potrebbe rivoluzionare l’intera materia senza attendere che il Parlamento licenzi uno dei tanti disegni di legge sul testamento biologico. La Scacchetti ha ottenuto lo stesso risultato (libertà di decisione sul fine vita) utilizzando la legge Cendon del 2004 che istituisce una nuova figura di tutore (amministratore di sostegno) per i inalati di mente ma anche per quelli che «nel pieno delle loro facoltà sanno che diventeranno incapaci». La Scacchetti ha quindi applicato questa figura al testamento biologico. «Ho aiutato il mio cliente a redigere una scrittura privata, poi autenticata dal notaio, e accolta dal giudice tutelare» spiega l’avvocato. «Se il cinquantenne dovesse cambiare idea - continua può annullare tutto comunicando la sua volontà al giudice tutelare anche per telefono o via sms». E assicura che il sostegno di un legale è superfluo: chiunque potrebbe eventualmente rivolgersi direttamente al giudice tutelare per comunicare le proprie volontà sul fine vita, pagando 158 euro di spese. Il decreto scatena polemiche. Un «no a modalità surrettizie» arriva dal sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella che invita il Parlamento a legiferare velocemente perché «una cosa è la libertà di cura e un altra è il diritto di morire e dobbiamo stare attenti a non sconfinare nel suicidio assistito». E sul ruolo dell’amministratore di sostegno, la Roccella ha «dubbi». Lecita una domanda: serve ancora una legge sul testamento biologico? «La via del decreto è percorribile, ma serve comunque una legge» dice Antonino Forabosco (associazione Luca Coscioni di Modena) e anche Vittoria Franco (Pd) e Chiara Moroni (Pdl) insistono sulla necessità di una legge.



Ma cosa deve fare il medico che si trovi dinanzi un amministratore di sostegno, nominato con decreto del giudice, che gli dica di non procedere ad alcun trattamento terapeutico per il suo assistito malato terminale? Per Amedeo Santosuosso, consigliere di Corte d’Appello a Milano e docente di Diritto e scienze della vita all’Università di Pavia: «Deve astenersi dalle cure, non può rifiutarsi di rispettare queste volontà e, ivi caso di dubbi, potrà rivolgersi al giudice tutelare, anche per garantirsi da eventuali accuse di omissioni di soccorso».