"Dolce morte", la parola alla Cassazione
Il Messaggero del 10 novembre 2008, pag. 9
di Cristiana Mangani
Saranno ancora una volta i giudici di Cassazione a dover decidere se Eluana Englaro debba vivere o possa morire. Sei medici debbano sospendere l’alimentazione assistita che la tiene in vita da quel 18 gennaio del ‘92, giorno in cui un incidente stradale l’ha ridotta in stato vegetativo permanente. E verrà emessa, ancora una volta, una sentenza che farà discutere, perché parlerà di "dolce morte". L’udienza avrà inizio domattina davanti alle sezioni unite civili e, forse, metterà la parola fine a quello che il papà Beppino ha definito «un calvario che dura da più di seimila giorni». Lui, il genitore-tutore, che da 17 anni combatte per uscire «da questo inferno», sarà presente nell’aula magna di piazza Cavour per assistere all’udienza che si svolgerà a porte aperte.
Sembra difficile immaginare che verranno sconfessati i principi che altri giudici supremi hanno stabilito nella sentenza emessa il 16 ottobre del 2007. Quando nelle 60 pagine di motivazioni gli "ermellini" hanno scelto di pronunciare un’unica volta la parola eutanasia, ma solo per escludere che il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduce alla morte, possa essere scambiato per un comportamento che intende abbreviare la vita. In quella sede, la prima sezione civile con la sentenza Luccioli-Giusti ha definito la causa in tutti i suoi profili di diritto, stabilendo dei principi chiave, e cioè che il malato è libero di curarsi, ma anche di non curarsi. Sino alle estreme conseguenze. Quando poi il paziente non è capace di intendere e di volere, come nel caso di Eluana, è soltanto l’autorità giudiziaria che può autorizzare i medici a interrompere le cure a determinate condizioni.
I supremi giudici decisero quindi di rinviare gli atti alla Corte d’appello per verificare «se la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione», e la necessità che fosse «univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento». La Corte d’appello di Milano, lo scorso 9 luglio, ha dato il via libera al tutore di Eluana (suo padre), per interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, fissando due principi chiave e cioè che «è già stata provata l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente della giovane» ed «è dimostrata la convinzione di Eluana, quando era pienamente cosciente, di preferire la morte all’essere tenuta in vita artificialmente».
A rappresentare la pubblica accusa in Cassazione sarà il sostituto procuratore generale Domenico Iannelli. La Corte sarà presieduta dal primo presidente Vincenzo Carbone e l’estensore della sentenza sarà Mario Rosario Morelli. Un magistrato che i colleghi di piazza Cavour descrivono come «molto scrupoloso», e «non un cattolico militante». La decisione potrebbe arrivare già in serata.
Il Messaggero del 10 novembre 2008, pag. 9
di Cristiana Mangani
Saranno ancora una volta i giudici di Cassazione a dover decidere se Eluana Englaro debba vivere o possa morire. Sei medici debbano sospendere l’alimentazione assistita che la tiene in vita da quel 18 gennaio del ‘92, giorno in cui un incidente stradale l’ha ridotta in stato vegetativo permanente. E verrà emessa, ancora una volta, una sentenza che farà discutere, perché parlerà di "dolce morte". L’udienza avrà inizio domattina davanti alle sezioni unite civili e, forse, metterà la parola fine a quello che il papà Beppino ha definito «un calvario che dura da più di seimila giorni». Lui, il genitore-tutore, che da 17 anni combatte per uscire «da questo inferno», sarà presente nell’aula magna di piazza Cavour per assistere all’udienza che si svolgerà a porte aperte.
Sembra difficile immaginare che verranno sconfessati i principi che altri giudici supremi hanno stabilito nella sentenza emessa il 16 ottobre del 2007. Quando nelle 60 pagine di motivazioni gli "ermellini" hanno scelto di pronunciare un’unica volta la parola eutanasia, ma solo per escludere che il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduce alla morte, possa essere scambiato per un comportamento che intende abbreviare la vita. In quella sede, la prima sezione civile con la sentenza Luccioli-Giusti ha definito la causa in tutti i suoi profili di diritto, stabilendo dei principi chiave, e cioè che il malato è libero di curarsi, ma anche di non curarsi. Sino alle estreme conseguenze. Quando poi il paziente non è capace di intendere e di volere, come nel caso di Eluana, è soltanto l’autorità giudiziaria che può autorizzare i medici a interrompere le cure a determinate condizioni.
I supremi giudici decisero quindi di rinviare gli atti alla Corte d’appello per verificare «se la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione», e la necessità che fosse «univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento». La Corte d’appello di Milano, lo scorso 9 luglio, ha dato il via libera al tutore di Eluana (suo padre), per interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, fissando due principi chiave e cioè che «è già stata provata l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente della giovane» ed «è dimostrata la convinzione di Eluana, quando era pienamente cosciente, di preferire la morte all’essere tenuta in vita artificialmente».
A rappresentare la pubblica accusa in Cassazione sarà il sostituto procuratore generale Domenico Iannelli. La Corte sarà presieduta dal primo presidente Vincenzo Carbone e l’estensore della sentenza sarà Mario Rosario Morelli. Un magistrato che i colleghi di piazza Cavour descrivono come «molto scrupoloso», e «non un cattolico militante». La decisione potrebbe arrivare già in serata.
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