L’Unità 14.11.08
Eluana, ultimo atto. «Basta accanimenti»
di Andrea Carugati
La decisione della Suprema Corte conferma la sentenza del 9 luglio scorso della Corte d’Appello di Milano. Il ricorso respinto per «difetto di legittimazione all’impugnazione». Un dramma durato 16 anni.
Dopo più di 10 anni, ha vinto Beppino Englaro. E ha vinto, soprattutto, sua figlia Eluana, la sua «straordinaria tensione verso la libertà», come hanno scritto i giudici della Cassazione nella storica sentenza di ieri in cui hanno riconosciuto che si può staccare il sondino che da 16 anni la tiene in vita in uno stato vegetativo. Dopo due giorni di camera di consiglio, i giudici hanno bocciato il ricorso della procura generale di Milano, che aveva impugnato il decreto con cui la Corte d’appello del capoluogo lombardo, nel luglio scorso, aveva dato il primo via libera a interrompere l’alimentazione artificiale. Il primo presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, ha spiegato in un comunicato che il ricorso è stato respinto «per difetto di legittimazione all’impugnazione», come aveva chiesto martedì durante l’udienza pubblica il Pg Domenico Iannelli. La sentenza, numero 27145, è lunga 21 pagine nelle quali il relatore Mario Rosario Morelli spiega il perché del rigetto: la vicenda in questione non riguarda un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. L’intervento del pm, nelle cause civili, si giustifica solo se il caso riguarda un interesse pubblico, ma stavolta si trattava di un «diritto personalissimo del soggetto, di spessore costituzionale come il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale».
Soddisfatti i legali della famiglia Englaro. «È quello che ci aspettavamo e non poteva andare diversamente. La Cassazione ha fatto giustizia», dice Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana. «Hanno vinto la giustizia e le regole del diritto», dice Vittorio Angiolini. «Ora il decreto di luglio può essere eseguito, e il padre può autorizzare lo stop ai trattamenti».
Il relatore Morelli ricostruisce nelle motivazioni la lunga vicenda giudiziaria di Eluana. Le sezioni unite evidenziano come la Corte d’Appello di Milano, il 9 luglio scorso, sia giunta alla decisione di dare l’ok a staccare il sondino «in considerazione sia della straordinaria durata dello stato vegetativo permanente (e quindi irreversibile), sia della, altrettanto straordinaria, tensione del suo carattere verso la libertà, nonché della inconciliabilità della sua concezione sulla dignità della vita con la perdita totale ed irrecuperabile delle facoltà motorie e psichiche e con la sopravvivenza solo biologica del suo corpo in uno stato di assoluta soggezione all’altrui volere». «Tutti fattori - si legge nelle motivazioni- che appaiono prevalenti su una necessità di tutela della vita biologica in sé e per sé considerata». Secondo le Sezioni unite della Cassazione, i giudici d’appello di Milano, a luglio, avevano valutato «analiticamente e approfonditamente» la documentazione sulle condizioni cliniche di Eluana. In sostanza la sentenza di ieri ha confermato quanto stabilito dalla stessa Cassazione nell’ottobre 2007, e cioè che si può “staccare la spina” solo in presenza concomitante di due circostanze: lo stato vegetativo del paziente apprezzata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
E tuttavia la polemica, politica e clericale, contro la Cassazione è durissima. Al punto che tutti i membri togati del Csm hanno firmato per avviare una pratica a tutela dei giudici della Cassazione. Nel documento si sottolinea che la funzione «delicatissima» che spetta alla Cassazione di «mantenere l’unità del diritto nazionale», «richiede una puntuale presa di posizione da parte dell’organo di autogoverno», di fronte agli attacchi ricevuti. L’intervento del Csm servirà a «rammentare al Paese che la Cassazione non si è inventata nulla ma ha applicato la legge», spiega il consigliere Giuseppe Maria Berruti, tra i promotori dell’iniziativa. «Mai prima d’ora ci sono stati attacchi così virulenti nei confronti dell’organo supremo della giustizia italiana», aggiunge il togato Mario Fresa. Un netto stop «agli insulti e alle aggressioni contro una istituzione fondamentale del sistema giudiziario italiano» arriva dai vertici dell’Anm.
Eluana, ultimo atto. «Basta accanimenti»
di Andrea Carugati
La decisione della Suprema Corte conferma la sentenza del 9 luglio scorso della Corte d’Appello di Milano. Il ricorso respinto per «difetto di legittimazione all’impugnazione». Un dramma durato 16 anni.
Dopo più di 10 anni, ha vinto Beppino Englaro. E ha vinto, soprattutto, sua figlia Eluana, la sua «straordinaria tensione verso la libertà», come hanno scritto i giudici della Cassazione nella storica sentenza di ieri in cui hanno riconosciuto che si può staccare il sondino che da 16 anni la tiene in vita in uno stato vegetativo. Dopo due giorni di camera di consiglio, i giudici hanno bocciato il ricorso della procura generale di Milano, che aveva impugnato il decreto con cui la Corte d’appello del capoluogo lombardo, nel luglio scorso, aveva dato il primo via libera a interrompere l’alimentazione artificiale. Il primo presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, ha spiegato in un comunicato che il ricorso è stato respinto «per difetto di legittimazione all’impugnazione», come aveva chiesto martedì durante l’udienza pubblica il Pg Domenico Iannelli. La sentenza, numero 27145, è lunga 21 pagine nelle quali il relatore Mario Rosario Morelli spiega il perché del rigetto: la vicenda in questione non riguarda un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. L’intervento del pm, nelle cause civili, si giustifica solo se il caso riguarda un interesse pubblico, ma stavolta si trattava di un «diritto personalissimo del soggetto, di spessore costituzionale come il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale».
Soddisfatti i legali della famiglia Englaro. «È quello che ci aspettavamo e non poteva andare diversamente. La Cassazione ha fatto giustizia», dice Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana. «Hanno vinto la giustizia e le regole del diritto», dice Vittorio Angiolini. «Ora il decreto di luglio può essere eseguito, e il padre può autorizzare lo stop ai trattamenti».
Il relatore Morelli ricostruisce nelle motivazioni la lunga vicenda giudiziaria di Eluana. Le sezioni unite evidenziano come la Corte d’Appello di Milano, il 9 luglio scorso, sia giunta alla decisione di dare l’ok a staccare il sondino «in considerazione sia della straordinaria durata dello stato vegetativo permanente (e quindi irreversibile), sia della, altrettanto straordinaria, tensione del suo carattere verso la libertà, nonché della inconciliabilità della sua concezione sulla dignità della vita con la perdita totale ed irrecuperabile delle facoltà motorie e psichiche e con la sopravvivenza solo biologica del suo corpo in uno stato di assoluta soggezione all’altrui volere». «Tutti fattori - si legge nelle motivazioni- che appaiono prevalenti su una necessità di tutela della vita biologica in sé e per sé considerata». Secondo le Sezioni unite della Cassazione, i giudici d’appello di Milano, a luglio, avevano valutato «analiticamente e approfonditamente» la documentazione sulle condizioni cliniche di Eluana. In sostanza la sentenza di ieri ha confermato quanto stabilito dalla stessa Cassazione nell’ottobre 2007, e cioè che si può “staccare la spina” solo in presenza concomitante di due circostanze: lo stato vegetativo del paziente apprezzata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
E tuttavia la polemica, politica e clericale, contro la Cassazione è durissima. Al punto che tutti i membri togati del Csm hanno firmato per avviare una pratica a tutela dei giudici della Cassazione. Nel documento si sottolinea che la funzione «delicatissima» che spetta alla Cassazione di «mantenere l’unità del diritto nazionale», «richiede una puntuale presa di posizione da parte dell’organo di autogoverno», di fronte agli attacchi ricevuti. L’intervento del Csm servirà a «rammentare al Paese che la Cassazione non si è inventata nulla ma ha applicato la legge», spiega il consigliere Giuseppe Maria Berruti, tra i promotori dell’iniziativa. «Mai prima d’ora ci sono stati attacchi così virulenti nei confronti dell’organo supremo della giustizia italiana», aggiunge il togato Mario Fresa. Un netto stop «agli insulti e alle aggressioni contro una istituzione fondamentale del sistema giudiziario italiano» arriva dai vertici dell’Anm.
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