venerdì 14 novembre 2008

La svolta della Cassazione. «Nessuno può opporsi al rifiuto delle cure»

l’Unità 14.11.08
La svolta della Cassazione. «Nessuno può opporsi al rifiuto delle cure»
di Giuseppe Vittori

«Una sentenza definitiva non eseguirla è reato»
«La vicenda Englaro è definitivamente chiusa da un punto di vista giuridico. Non eseguire questa sentenza può configurare gli estremi di un reato». Parola di Amedeo Santosuosso, magistrato della Corte d’appello di Milano e componente della Consulta di bioetica, intervenuto alla presentazione del libro scritto dall’anestesista Mario Riccio sulla vicenda Welby, che ribadisce: «La sentenza e il suo percorso giungono a conclusione. A questo punto non vi sono ulteriori possibilità di ricorso da parte di chicchessia».

Il diritto all’autodeterminazione terapeutica esiste in tutte le fasi della vita anche quella terminale. Contro questo diritto personalissimo il giudice non può opporsi. La svolta della Cassazione.
Il diritto personalissimo e costituzionale all’autodeterminazione terapeutica non può essere impugnato da un giudice. È una sentenza che segna una svolta quella con la quale la Cassazione ha dato il via libera alla sospensione dell’alimentazione. Una svolta perché per la prima volta stabilisce che il diritto Costituzionale al rifiuto delle cure «prevale» su quello di altri, come ad esempio sul dovere del medico a rianimare il malato o a quello dei giudici di imporre ancora le cure. I giudici entrano nel merito, per la prima volta. E per la prima volta dicono e risolvono un conflitto normativo che ha tenuto ferme per diversi anni ben otto proposte di legge. Il passaggio cruciale dice così. Dice che «esiste un diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Dice che non si può fare «richiamo alla impugnazione nell’interesse della legge per accogliere il ricorso della Procura. E non si pone nemmeno il dubbio di legittimità costituzionale, in relazione ai precetti di eguaglianza e della ragionevolezza della Costituzione, stante l’evidente ragionevolezza, invece, del non identico trattamento di fattispecie in cui viene in rilievo un diritto personalissimo del soggetto di spessore costituzionale (come nella specie il diritto di autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale), all’esercizio del quale è coerente che il pm non possa contrapporsi fino al punto della impugnazione di decisione di accoglimento della domanda di tutela del titolare, solo in ragione del quale si giustifica l’attribuzione di più incisivi poteri, anche impugnatori, al pm.
Un anno fa, il 16 ottobre, la prima sezione della Cassazione aveva aperto la strada al disco verde per l’interruzione dell’alimentazione. Nella decisione i supremi giudici indicarono due condizioni concorrenti perché il giudice potesse autorizzare l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione: che lo stato vegetativo sia accertato come irreversibile e che il paziente, e cioè Eluana, avesse dimostrato il convincimento, quando era cosciente, che in un caso simile non avrebbe consentito il trattamento. Oggi ventuno pagine, sentenza 27145, hanno scritto la parola fine. Le ultime sei pagine spiegano perché l’impugnazione della Procura di Milano è inammissibile.
Come aveva detto l’avvocato generale Domenico Iannelli anche le sezioni unite hanno sostenuto che la vicenda in questione non riguardava un «interesse generale e pubblico ma una tutela soggettiva e individuale» di Eluana. Nelle cause civili,come in questo caso spiegano i supremi giudici, «la presenza del pm ha carattere eccezionale, risultando normativamente prevista solo in ipotesi di controversie coinvolgenti anche un interesse pubblico».

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