Nei paese degli Englaro «Quel dolore merita rispetto»
L'Unità del 19 novembre 2008, pag. 12
di Federica Fantozzi
«Dove si nasce ogni erba pasce. A casa si sta bene». Alza le spalle Armando Englaro a chiedergli della determinazione con cui suo fratello Beppino vuole riportare Eluana a morire in Carnia. Anche la lunga battaglia ha una risposta semplice: «Per un carnico la libertà è tutto, non si scende a compromessi con nessuno».
Paluzza, 3mila anime e sei frazioni, 18 chilometri dall’osteria Le Trote alle montagne, è la terra che ha dato le radici e accoglierà le spoglie della famiglia Englaro. Qui, nella casa bianca con i gerani alle finestre che affaccia sulla piazza e ora ospita un parrucchiere, nacque nonno Giobatta con i suoi dieci fratelli: «Tutti a settembre perché gli emigrati tornavano a Natale». Qui, nel capannone arancio ha sede la florida ditta familiare che da trent’anni vende pavimenti e moquettes. Qui, nella villetta a due piani con giardino e fiocco azzurro sulla porta vivono Armando e moglie. La figlia Germana, la cuginetta di Eluana che scrisse la lettera ai giudici «bella quanto inefficace» perché non ne tennero conto, studia a Padova e pochi giorni fa, in concomitanza con la sentenza, ha avuto Pietro.
Dietro Beppino c’è tutto questo. Tosti e testoni i camici, temprati da miseria ed emigrazione. Anche gli Englaro: 5 fratelli, bambini che raddrizzavano chiodi, adolescenti «con l’imprenditoria nel sangue», partiti all’estero e due ancora lì che «tornano ogni tanto a deporre un fiore sulla tomba di famiglia». Armando, un omone di 62 anni con i capelli grigi, è l’ultimogenito. Beppino, classe’41, il penultimo: «L’unico che ha studiato. Papà ce lo chiese, solo lui aveva voglia». Il rapporto tra i due fratelli è costante: «Da manovale in Germania divenne manager, poi ha messo su l’azienda e mi ha chiamato - dice con semplicità Armando - È il mio artefice».
In paese si conoscono tutti. Nella piazza rettangolare, tra municipio, scuola, banca e pasticceria, tanti mandano saluti a Lecco. Il sindaco Aulo Maieron, ex Ds ora Pd, ha il nome di un comandante partigiano e pesa le parole: «La sentenza è una pietra miliare sull’eutanasia e pone questioni politiche. Ma qui c’è una tradizione profonda di rispetto per Beppino. Noi siamo abituati al ritmo della vita: si nasce, si cresce, si muore. Vedere Eluana in un limbo ci spiazza, è al di sopra di noi. La solidarietà però è totale». Armando lo guarda, luì prosegue: «C’è un sostegno morale e se fosse necessario anche pratico. Non possiamo tirarci indietro». Non sono frasi vuote: gli Englaro cercano una struttura privata in zona, l’équipe medica c’è già. Nulla di definito, chiarisce lo zio della ragazza: «La voglia c’è, se riusciremo dipende da quanti avranno o no paura».
Tra boschi e campì di granturco, tagliata dal Rio Gelato, la fredda Carnia è un luogo a sé. Tradizionalista, cattolica, eppure collegio di Loris Fortuna, il padre del divorzio «che il giorno dopo le elezioni veniva a ringraziare i concittadini» e vivaio di socialisti. Come Renzo Tondo, il governatore «coraggioso» che ha aperto a Eluana le porte del Friuli: «Ci conosciamo da ragazzini - ricorda Armando - Facevamo le riunioni nell’albergo del padre». Come Ferruccio Saro, il senatore che si è speso e ora chiede silenzio, così potente che «nel centrodestra non si muove foglia che Saro non voglia». Come i due Englaro che si parlano in dialetto e divergono solo su un punto: cattolico lo zio, più volte pellegrino a Lourdes e Santiago di Compostela; senza il «privilegio della fede» il padre. «Beppino non vorrebbe il funerale, per ragioni comprensibili. Mi ha detto: decidi tu. E io credo che a mia nipote farebbe piacere».
Cortei e picchetti hanno un’eco remota. «Non credo che il carnico si presti al clamore», scuote la testa Maieron. Armando Englaro se la prende con le «stupidaggini» di certi medici: «Parlano senza conoscere. Preferirei morire che finire in mani loro» . «Qui non si parla, si vive», gli dà ragione Don Tarcisio, il parroco disposto a celebrare la messa funebre: «Non vedo nessuna difficoltà, non avrei motivo a dire no». Eppure, non è scontato. «Sono di qui dice - Compaesano di questi ragazzi. Noi non esterniamo, non manifestiamo. Io nelle omelie non ho toccato l’argomento: è cosa troppo delicata da buttare in pubblico. So che tutta la popolazione è vicina aBeppino. Abbiamo un comune sentire verso questo papà». Armando ha gli occhi lucidi, Don Tarcisio si siede: «Non nascondo la mia difficoltà, la Eluana per me resta una persona. Mia madre malata vive con me e la amo di più. A lasciarla andare soffrirei troppo». Se lo chiedesse? «Non la ubbidirei». Tuttavia, sussurra, «il miglior giudizio lo dà Dio, lasciamoglielo. Non faccio altro che consegnare questa figliola nelle sue mani. Le dia quella pace che cerchiamo anche noi e che da tempo qui non c’è».
L'Unità del 19 novembre 2008, pag. 12
di Federica Fantozzi
«Dove si nasce ogni erba pasce. A casa si sta bene». Alza le spalle Armando Englaro a chiedergli della determinazione con cui suo fratello Beppino vuole riportare Eluana a morire in Carnia. Anche la lunga battaglia ha una risposta semplice: «Per un carnico la libertà è tutto, non si scende a compromessi con nessuno».
Paluzza, 3mila anime e sei frazioni, 18 chilometri dall’osteria Le Trote alle montagne, è la terra che ha dato le radici e accoglierà le spoglie della famiglia Englaro. Qui, nella casa bianca con i gerani alle finestre che affaccia sulla piazza e ora ospita un parrucchiere, nacque nonno Giobatta con i suoi dieci fratelli: «Tutti a settembre perché gli emigrati tornavano a Natale». Qui, nel capannone arancio ha sede la florida ditta familiare che da trent’anni vende pavimenti e moquettes. Qui, nella villetta a due piani con giardino e fiocco azzurro sulla porta vivono Armando e moglie. La figlia Germana, la cuginetta di Eluana che scrisse la lettera ai giudici «bella quanto inefficace» perché non ne tennero conto, studia a Padova e pochi giorni fa, in concomitanza con la sentenza, ha avuto Pietro.
Dietro Beppino c’è tutto questo. Tosti e testoni i camici, temprati da miseria ed emigrazione. Anche gli Englaro: 5 fratelli, bambini che raddrizzavano chiodi, adolescenti «con l’imprenditoria nel sangue», partiti all’estero e due ancora lì che «tornano ogni tanto a deporre un fiore sulla tomba di famiglia». Armando, un omone di 62 anni con i capelli grigi, è l’ultimogenito. Beppino, classe’41, il penultimo: «L’unico che ha studiato. Papà ce lo chiese, solo lui aveva voglia». Il rapporto tra i due fratelli è costante: «Da manovale in Germania divenne manager, poi ha messo su l’azienda e mi ha chiamato - dice con semplicità Armando - È il mio artefice».
In paese si conoscono tutti. Nella piazza rettangolare, tra municipio, scuola, banca e pasticceria, tanti mandano saluti a Lecco. Il sindaco Aulo Maieron, ex Ds ora Pd, ha il nome di un comandante partigiano e pesa le parole: «La sentenza è una pietra miliare sull’eutanasia e pone questioni politiche. Ma qui c’è una tradizione profonda di rispetto per Beppino. Noi siamo abituati al ritmo della vita: si nasce, si cresce, si muore. Vedere Eluana in un limbo ci spiazza, è al di sopra di noi. La solidarietà però è totale». Armando lo guarda, luì prosegue: «C’è un sostegno morale e se fosse necessario anche pratico. Non possiamo tirarci indietro». Non sono frasi vuote: gli Englaro cercano una struttura privata in zona, l’équipe medica c’è già. Nulla di definito, chiarisce lo zio della ragazza: «La voglia c’è, se riusciremo dipende da quanti avranno o no paura».
Tra boschi e campì di granturco, tagliata dal Rio Gelato, la fredda Carnia è un luogo a sé. Tradizionalista, cattolica, eppure collegio di Loris Fortuna, il padre del divorzio «che il giorno dopo le elezioni veniva a ringraziare i concittadini» e vivaio di socialisti. Come Renzo Tondo, il governatore «coraggioso» che ha aperto a Eluana le porte del Friuli: «Ci conosciamo da ragazzini - ricorda Armando - Facevamo le riunioni nell’albergo del padre». Come Ferruccio Saro, il senatore che si è speso e ora chiede silenzio, così potente che «nel centrodestra non si muove foglia che Saro non voglia». Come i due Englaro che si parlano in dialetto e divergono solo su un punto: cattolico lo zio, più volte pellegrino a Lourdes e Santiago di Compostela; senza il «privilegio della fede» il padre. «Beppino non vorrebbe il funerale, per ragioni comprensibili. Mi ha detto: decidi tu. E io credo che a mia nipote farebbe piacere».
Cortei e picchetti hanno un’eco remota. «Non credo che il carnico si presti al clamore», scuote la testa Maieron. Armando Englaro se la prende con le «stupidaggini» di certi medici: «Parlano senza conoscere. Preferirei morire che finire in mani loro» . «Qui non si parla, si vive», gli dà ragione Don Tarcisio, il parroco disposto a celebrare la messa funebre: «Non vedo nessuna difficoltà, non avrei motivo a dire no». Eppure, non è scontato. «Sono di qui dice - Compaesano di questi ragazzi. Noi non esterniamo, non manifestiamo. Io nelle omelie non ho toccato l’argomento: è cosa troppo delicata da buttare in pubblico. So che tutta la popolazione è vicina aBeppino. Abbiamo un comune sentire verso questo papà». Armando ha gli occhi lucidi, Don Tarcisio si siede: «Non nascondo la mia difficoltà, la Eluana per me resta una persona. Mia madre malata vive con me e la amo di più. A lasciarla andare soffrirei troppo». Se lo chiedesse? «Non la ubbidirei». Tuttavia, sussurra, «il miglior giudizio lo dà Dio, lasciamoglielo. Non faccio altro che consegnare questa figliola nelle sue mani. Le dia quella pace che cerchiamo anche noi e che da tempo qui non c’è».
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