sabato 30 agosto 2008

Il dolore oltre il dolore

l’Unità 30.8.08
Il dolore oltre il dolore
di Beppino Englaro

La Cassazione ha ammesso che nessuno può decidere né «per» né «al posto» di Eluana
La morale medica e religiosa, nel Paese e nella politica, non è stata in grado di stare al passo dell’evoluzione medica

C’è una tragedia nella tragedia che pochi capiscono. C'è una tragedia umana che, malgrado tutto, un senso ancora ce l'ha. E c'è una tragedia artificiale tutta dentro quella umana, cui è difficile dare un senso.
La tragedia umana cui la mia famiglia è stata sottoposta è quella che la sorte ci ha riservato il 18 gennaio 1992: un incidente stradale ad una figlia di ventuno anni è una disgrazia che capita alle famiglie sfortunate. È l'imprevedibile di cui è costellata l'esistenza dagli inizi del tempo, a cui siamo abituati perché contrappasso della stessa possibilità del vivere: accettare che accadano cose sulle quali non è possibile per l'uomo avere un controllo, un governo, che non è possibile prevedere né impedire. Mia figlia uscì da questo incidente in coma profondo, intubata, la testa piena delle lesioni subite, fogliolina muta a brandelli, malamente attaccata all’albero della vita.
Ci dissero di attendere le prime quarantotto ore, poi altre quarantotto, poi ancora. Noi genitori eravamo del tutto sgomenti per quello che vedevamo accadere, ma fin qui ci sembrava di vivere nell'umana consuetudine, cui fa la sua parte vischiosa e drammatica anche il dolore - quello che fa piangere nei corridoi degli ospedali, quello che ti lascia un senso di precarietà così acuto da avvertirlo sotto lo sterno, una vertigine da perdere il fiato, da perdere il senno.
La tragedia maestra, sfidando la legge dell'umana sopportazione e lasciandoci di stucco perché credevamo di essere già sul fondo della disperazione possibile, doveva ancora arrivare.
Mia figlia, in piena salute, aveva avuto modo di vedere nel caso di un amico che cosa adesso le volevano fare, lo aveva visto con i suoi occhi ed aveva intuito che la strada intrapresa dalla medicina d'urgenza era piena di pericoli, o meglio ne sfiorava uno solo, ma profondo come un burrone.
Quando si interviene con i soccorsi e si salvano le persone dalla morte non va sempre bene. È questa una realtà di fatto quasi sconosciuta. I medici possono impedire il decesso ma creare un danno che è ben peggiore. Ben peggiore se viene sbarrata la porta di uscita, se non si può scegliere per la dipartita. Lo stato vegetativo permanente - SVP, è proprio ciò a cui mi riferisco. La sopravvivenza obbligatoria ad oltranza è poi la sua punta nauseabonda d'eccellenza.
Mi spiego: se i medici intervengono e grazie al loro soccorso qualcuno non muore ma entra in SVP, attualmente, non ne può più uscire. Anche se si era espresso in passato dicendo che non avrebbe voluto stare in vita senza accorgersene, con le mani altrui che violano ogni intimità, ogni distanza fra la sfera personale, il proprio corpo, e il resto del mondo, non ne può più uscire.
Mi accorsi con incredulità che i medici con cui parlavo e la gente tutta intorno, avevano un punto di vista antitetico al mio, avevano valori opposti ai nostri; guardando lo stesso punto vedevamo cose diverse. Eccola, la vera tragedia: la civiltà a cui appartenevo, in quel preciso momento storico, aveva fatto valere per tutti dei valori nei quali Eluana, sua madre Saturna ed io non ci riconoscevamo e non ci riconosciamo. Essa difendeva, con i suoi ordinamenti giuridici e deontologici, il dovere di far sopravvivere gli individui in SVP contro la loro volontà per rendere omaggio alla vita, a questo bene personalissimo. Che lo SVP sia eretto, come ora accade, a paradigma della difesa del valore della vita umana, che sia fatto strumento per innalzare osanna verso supposte divinità, mi sembra una follia. Che esso incarni lo stato dell'arte della medicina d'urgenza, dopo un prodigioso acceleratissimo sviluppo, anche.
«Ti strappiamo alla morte, non sei con i vermi», ho dovuto anche sentirmi dire dai medici «non ti basta»? No, non mi basta è la mia risposta.
Non riesco a concepire che questa cultura del «non morto encefalico» (così mi fu definita questa condizione in cui non sei più come le altre persone e non sei in stato di morte cerebrale) si faccia chiamare «cultura della vita». E mi sconvolge la tenacia con cui vogliono difendere questa conquista dell'invasività tecnologica che, ai miei occhi, è un macroscopico fallimento e miete vittime in modo inaudito, come le guerre.
Mi sembra di scorgere quello che è accaduto: la morale medica e religiosa dominante, nel nostro Paese e nella nostra politica, non è stata in grado di stare al passo dell'evoluzione medica e si è limitata a stazionare in quella che era la scelta consona per il secolo scorso, quando l'80% delle persone non moriva, come avviene adesso, nei letti ferrosi degli ospedali.
La tragedia nella tragedia è che Eluana sopravvive finora per il volere di alcune persone che si sono messe tra lei ed i fatti tutti suoi, tra lei ed il suo desiderio di essere lasciata morire senza prima sostare nel corridoio vuoto dello SVP. Mai e poi mai può essere dato ad alcune persone il potere di creare queste cose e ad altre il potere di imporle.
È di una violenza inaudita non poter rifiutare l'offerta terapeutica.
Eluana, Saturna ed io sapevamo come evitarlo, avevamo ben presenti i problemi della rianimazione ad oltranza e lo sbocco possibile nello SVP. Tutto era stato chiarito. I nostri pensieri convergevano verso un'unica opinione: è preferibile rinunciare a questa insensata possibilità di sopravvivenza.
Vorrei fosse sempre chiaro che noi, al contrario di altri, non esprimiamo giudizi su chi nutre fermamente un'opinione diversa dalla nostra. Per la libertà che difendiamo, rispettiamo il desiderio di chiunque riguardo a se stesso.
E nonostante gli scontri e le batoste ricevute non abbiamo mai smesso di cercare il dialogo, il confronto, perché sentiamo la nostra posizione umanamente e razionalmente sostenibile è sempre più condivisa.
Ho notato, con amarezza, che le persone restie ai condizionamenti - delle quali Eluana era una evidente esemplare - vengono mal tollerate dalla nostra società perché, reclamando l'esercizio delle loro libertà fondamentali, sovvertono l'ordine prestabilito, e questo infastidisce e spaventa. Non si coglie che essi sono una ricchezza per la collettività, uno sprone al pensare da sé, un contributo al pacifico e prezioso fermento civile. Forse si teme il contagio che la libertà, come l'allegria, sanno muovere tra le persone dalle sensibilità affini.
Con la sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 16 ottobre 2007 e con il decreto della Corte d'appello del 9 Luglio 2008, è iniziata la controtendenza: da randagio che abbaiavo alla luna son passato ad araldo di un diritto sentito da molti (diritto che, non dimentichiamolo, in alcuni paesi è stato riconosciuto trent'anni fa!).
La Cassazione ha ammesso che nessuno può decidere né «per» né «al posto» di Eluana. Nei fatti sono dovuti trascorrere 5750 giorni, 15 anni e 9 mesi, per poter intravedere la possibilità di decidere «con» Eluana, la stessa che ho osato rivendicare dal lontano gennaio 1992.
Ho sempre dato per scontato che la possibilità di rifiutare la sopravvivenza in SVP dovesse rientrare tra le nostre libertà ed i nostri diritti fondamentali. Credo che le Corti non tarderanno a ribadirlo nonostante l'ultimo ricorso della Procura della Repubblica della Corte d'Appello di Milano.
*Socio della Consulta di bioetica

Diritto di morire? No, di lasciarsi morire

l’Unità 30.8.08
Diritto di morire? No, di lasciarsi morire
La sentenza della Corte di Cassazione e il rischio del medico-divinità
di Vittorio Angiolini

Eluana avrebbe già smesso di vivere senza i trattamenti imposti da altri, azione invasiva della sfera personale

NEL FIUME di parole, in cui è sommerso il caso di Eluana Englaro, si è andata perdendo una distinzione che è invece importante. Si è detto fino alla noia, come se questo fosse risolutivo, che non c'è il «diritto di morire», che il diritto alla vita è indisponibile, non rinunciabile e non può essere ceduto ad altri. Il che, per la verità, è stato ricordato anche nella sentenza della Cassazione su Eluana, che pure è stata attaccata, da più parti, come pericolosa «apertura» verso l'eutanasia. La Corte italiana ha ricordato espressamente che non c'è il diritto di procurarsi la morte né il diritto di farsela procurare da altri.
E nello stesso senso si è a suo tempo pronunciata la Corte europea dei diritti dell'uomo, rigettando la richiesta di un «suicidio assistito». Che il diritto alla vita sia considerato indisponibile in questa accezione anche in Italia non c'è dubbio: basterebbe pensare alla repressione penale dell'omicidio del consenziente. Che non si abbia «diritto di morire» significa però, appunto, soltanto che sono legittime contromisure per scongiurare che a porre fine alla vita sia la mano dell'uomo con azioni o anche semplici omissioni di comportamenti dichiarati obbligatori o doverosi. Il «diritto di morire», così concepito, non ha tuttavia con la vicenda Englaro nulla a che vedere. Eluana, dopo l'incidente che l'ha colpita nel 1992, è sopravvissuta grazie a pratiche rianimatorie e solo per la nutrizione artificiale impartita dalla struttura sanitaria in cui si trova ha dovuto prolungare per lunghi 16 anni una vita puramente biologica, priva di ogni esperienza cognitiva ed emotiva. È pacifico che Eluana cesserebbe ed anzi avrebbe già cessato di vivere se i trattamenti imposti da altre persone non avessero continuato ad allontanarne la morte. Il tema del caso Englaro non è dunque il «diritto di morire», ma solo quello del «diritto di lasciarsi morire», che è tema assai differente. Una cosa è che l'uomo uccida un altro uomo, cosa differente è che smetta di prolungarne indefinitamente la vita con accorgimenti tecnico-scientifici. Se non si tiene conto di questo, non si comprende la decisione della Cassazione sul caso Englaro. La questione non è quella di distinguere tra eutanasia attiva o passiva. La questione è, invece, se il medico o qualunque persona possa vedersi riconosciuto il potere di far vivere un altro ad oltranza e senza alcun limite grazie ad un'azione invasiva della sfera personale. Normalmente, il problema è risolto in base al principio costituzionale per cui chiunque può rifiutare ingerenze nella propria persona. Certo, il caso di Eluana Englaro è particolare, perché ella oggi non può più né consentire né dissentire da quello che altri facciano del suo corpo. Ma ciò, come ha osservato la Cassazione, non è affatto una buona ragione per lasciare Eluana priva di tutela riguardo alle intromissioni altrui nella sua sfera personale. A differenza del «diritto di morire», che in Italia e in grande parte dell'Europa non c'è, il «diritto di lasciarsi morire» è in definitiva essenziale perché nessuno possa impossessarsi del vivere altrui. Soprattutto chi del tutto legittimamente collega l'indisponibilità del diritto alla vita all'essere il vivere un dono di Dio, dovrebbe attentamente riflettere su questo aspetto: quando il medico pretendesse di essere sciolto da ogni vincolo nel far proseguire la vita altrui, all'uopo liberamente utilizzando tutto quanto la scienza e la tecnica permettono, in situazioni davvero disperate come quella di Eluana, il medico stesso potrebbe tramutarsi in una sorta di divinità, padrona di manovrare il residuo vivere del suo paziente.
* Ordinario di Diritto Costituzionale Università degli Studi di Milano

L’unica «certezza»: 16 anni senza segnali

l’Unità 30.8.08
L’unica «certezza»: 16 anni senza segnali
L’irreversibilità come probabilità: criterio su cui funziona la pratica medica
di Carlo Alberto Defanti

Alcuni neurologi sostengono che sia impossibile dimostrare il non-ritorno dallo stato vegetativo: una risposta

LA PROCURA di Milano ha presentato un ricorso contro la sentenza della Corte di Appello che ha autorizzato la sospensione dell'alimentazione artificiale di Eluana adducendo che non vi è stato un «rigoroso apprezzamento clinico» convalidante l'irreversibilità dello stato vegetativo. Secondo il Sostituto Procuratore Maria Antonietta Pezza vi sarebbe incertezza «sul fatto che il paziente in stato vegetativo permanente sia del tutto privo di consapevolezza»; inoltre ella fa cenno ai recenti lavori di alcuni studiosi, fra cui Adrian M. Owen, da cui sembra emergere che in tali stati è possibile, mediante nuove tecniche di indagine come la Risonanza Magnetica funzionale, «dimostrare che possono residuare aspetti di percezione della parola, processi emozionali, comprensione del linguaggio». Non c'è dubbio che, nella decisione della Procura, abbia avuto un peso rilevante la lettera inviata alla stessa Procura da un gruppo di 25 neurologi in cui vengono citati i lavori di cui sopra e si asserisce in maniera generale l'impossibilità di formulare una prognosi attendibile di irreversibilità dello stato vegetativo.
Avendo avuto in cura Eluana in tutti questi anni ed avendo fornito due diverse certificazioni del suo stato, credo di dover intervenire. Ebbi modo di studiare il suo caso già nel 1996. Non rilevando in lei, malgrado una prolungata osservazione, alcun indizio di contatto con l'ambiente, conclusi per uno stato vegetativo permanente, formulai cioè una prognosi di irreversibilità attendendomi rigorosamente alle conclusioni di una importante Task Force statunitense che risalivano a due anni prima (1994) e che tuttora costituiscono le Linee Guida più autorevoli per la diagnosi/prognosi di stato vegetativo. In quel documento si afferma che la prognosi di irreversibilità può essere formulata già a partire da un anno dopo l'insulto traumatico, mentre nel caso di Eluana ne erano trascorsi già quattro (il trauma risaliva al 1992). A distanza di sei anni, nel 2002, ricoverai nuovamente Eluana, sottoponendola a nuovi esami, e raggiunsi la stessa conclusione. Infine circa un mese fa, pochi giorni dopo la sentenza, ho visitato nuovamente l'ammalata e non ho notato in lei alcun mutamento clinico. Gli anni trascorsi sono ben sedici. Ora, è del tutto pacifico tra gli specialisti che il criterio prognostico più forte di cui disponiamo è proprio il lasso di tempo trascorso dopo l'evento traumatico in completa assenza di indizi di contatto con l'ambiente.
Mi si può obiettare che la certezza assoluta della prognosi non esiste neppure dopo tutti questi anni e su ciò potrei anche concordare, ma solo a condizione che si tenga presente che nessuna certezza è raggiungibile in medicina. Nella pratica medica, «certezza» significa «altissima probabilità» ed è su basi probabilistiche che noi medici prendiamo quotidianamente le decisioni. Ad esempio, non esiste ad oggi nessuno studio che dimostri in modo inequivocabile l'irreversibilità della morte cerebrale, e ciò malgrado questa diagnosi viene posta ogni giorno in decine di casi e ne conseguono decisioni fondamentali come il prelievo di organi e la cessazione delle cure intensive. A questo punto mi domando perché non si voglia da parte dei colleghi mettere in questione la stessa diagnosi/prognosi di morte cerebrale.
L'intervento dei colleghi neurologi, quindi, ha avuto un carattere strumentale e ideologico: esso ha teso a minare la base scientifica della sentenza e a scongiurarne non solo l'applicazione nel caso in oggetto, ma soprattutto la sua possibile estensione ai molti casi simili che ci sono nel nostro paese.
* Primario neurologo emerito Ospedale Niguarda, Milano; Consulta di Bioetica

La vita e la civiltà

l’Unità 30.8.08
La vita e la civiltà
di Maurizio Mori

Il caso Englaro ha assunto una straordinaria importanza nella vita italiana. Basti pensare che, per la prima volta nella storia della Repubblica, si è creata una situazione per cui è stato intravisto un «conflitto d'attribuzione» tra poteri dello Stato. Il Parlamento ha ritenuto che la Cassazione sia andata oltre i suoi poteri con la sentenza del 16 ottobre 2007 in cui ha stabilito liceità della sospensione dell'alimentazione e idratazione artificiali ove fosse accertata l'irreversibilità dello stato vegetativo permanente e la volontà di Eluana di non permanere in tale stato. La Corte Costituzionale dovrà dirimere la controversia. Nell’attesa, possiamo osservare come ormai i temi bioetici abbiano investito i vertici delle istituzioni democratiche sollevando problemi circa il fondamento stesso della vita civile del paese. Sul piano concreto l'azione del Parlamento non avrebbe inciso sul caso specifico di Eluana perché la sua vicenda avrebbe potuto concludersi prima del giudizio della Corte Costituzionale. Ma c'è stata una pausa forzata sia per la difficoltà di trovare una struttura idonea (essendo quasi tutti gli hospice privati e in qualche modo controllati dalla longa manus della chiesa) sia perché la Procura ha ricorso contro la sentenza di Milano. In queste pagine Beppino Englaro ripresenta la sua posizione, che - è bene sottolinearlo - i sondaggi dicono essere condivisa da circa l'80% degli italiani.
Presidente della Consulta di Bioetica Onlus

lunedì 11 agosto 2008

Sanità e terapie del dolore

Corriere della Sera 8.8.08
Sanità e terapie del dolore
I numeri I pazienti che avrebbero bisogno di questo tipo di assistenza sono 250 mila, ma gli spazi sono per poco più di 2000
Le cure Terapia del dolore, assistenza psicologica, «coccole» per gli ultimi giorni di vita. E conta solo la volontà del ricoverato
Hospice, dove si sceglie come morire
Niente accanimento nelle 206 strutture per malati terminali Pochi posti letto, ma i fondi stanziati non vengono spesi
di Mario Pappagallo

Il primo hospitium per malati e morenti risale al V secolo d.C. e fu fondato da Fabiola, matrona della Gens Fabia. Nel 1843, a Lione, fu aperto un Hospice per morenti da Jeanne Garnier, ma è Cicely Saunders, con il suo St. Cristopher del 1967 a Londra, la fondatrice degli Hospice moderni

I morti per tumore sono circa 130 mila ogni anno in Italia. Di questi, almeno 100 mila avrebbero bisogno di cure palliative nella fase terminale. A domicilio, se l'ambiente e la famiglia lo consentono. In una struttura dedicata, se si è soli o con familiari con problemi socio- economici o psicologici. Assistere alla fine della vita di un congiunto non sempre è emotivamente sostenibile. Per questo esistono gli Hospice.
Che oggi emergono dal silenzio, perché in uno di questi centri verrà ricoverata Eluana Englaro negli ultimi giorni della sua esistenza.
Negli Hospice non ci sono né sondini per l'alimentazione forzata, né respiratori. Tutto questo, se non richiesto, è accanimento terapeutico. Le cure sono per ridurre i sintomi, il dolore, la sofferenza anche psicologica, rasserenare nel momento terminale. O per aiutare chi terminale non è, ma non è più curabile.
Numeri insufficienti
Ma in Italia gli Hospice, nati tardi, sono ancora pochi: 2.346 posti letto. Insufficienti. Si stima che almeno 250 mila malati vi dovrebbero ricorrere, molti dei quali attualmente degenti in ospedale (con costi elevati per il servizio sanitario). Gli Hospice sarebbero la tappa più giusta per persone con malattie incurabili come sclerosi multipla, gravi cirrosi (fegato), la Sla (che ha portato Welby a chiedere l'eutanasia), con insufficienze respiratorie o cardiache che non rispondono più ai farmaci. Se i numeri lo consentissero.
Non è però questione di soldi. Anzi. Duecentosei milioni e 566 mila euro sono stati finalizzati a una rete di queste strutture. Erogati nel 1999 e ancora nel 2001. Nel 2008 restano ancora da spendere 44 milioni e rotti. E di Hospice a disposizione ce ne vorrebbero sempre di più perché aumenta la consapevolezza delle diagnosi, anche le più infauste, e perché sempre un maggior numero di persone vuole decidere come morire.
L'ultima diagnosi
Per accedere ad un Hospice
bisogna avere una diagnosi terminale, il che vuol dire, teoricamente, 2-3 mesi di vita. È così negli Usa e in Inghilterra, è così anche in Italia. Ma succede che il malato, finalmente senza dolore e coccolato, vive anche molto di più. «Anche un anno», dice Piero Morino, responsabile dell'Hospice delle Oblate di Firenze. Potere delle cure palliative, cioè di quei trattamenti destinati a rendere sopportabili e vivibili con dignità e senza dolore gli ultimi mesi dei malati terminali.
«Senza sondini per alimentazione forzata, né macchine da vita artificiale. In pieno rispetto della volontà del malato e dei familiari», ribadisce Morino. «Manca però un consenso informato adatto agli Hospice », avverte Mauro Marinari, direttore del Nespolo di Airuno (Lecco). Alcuni familiari pretenderebbero le stesse terapie di una rianimazione. Invece, filosofia dell'Hospice è: solo trattamenti sintomatici, psicologici e fisioterapici. Una filosofia che abbatte anche la richiesta di eutanasia. Un fine vita «coccolati » accresce il desiderio di continuare a sperare.
I finanziamenti
In un'Italia «affamata» di fondi i finanziamenti per gli Hospice hanno stentato a essere attivati. Tant'è che alla fine del 2007 c'era ancora un residuo di 44 milioni da spendere e solo tre Regioni che avevano completato il piano: Emilia Romagna, la Provincia autonoma di Bolzano e il Molise. A otto anni dall'erogazione dei fondi mancano all'appello 18 hospice del piano iniziale: ai 206 previsti si arriverà a fine 2008 (con l'aiuto di altri 100 milioni stanziati con la finanziaria 2006). E dovranno salire a 243 nel 2011. In alcune regioni, poi, prevalgono i centri privati: otto nel Lazio contro i due pubblici, con ancora 3 milioni e 800 mila euro da spendere.
La struttura tipo
Un Hospice tipo dovrebbe avere 10-12 posti letto. E tre medici, 8-10 infermieri, 8-10 operatori socio-sanitari. Una struttura che non sembra complicata da costruire e organizzare. Eppure nel nostro Paese la crescita è stata, e continua ad essere, faticosa. Nel 2002 gli Hospice erano appena 20, nel 2006 114, nonostante i soldi a disposizione. E con i 206 operativi a fine 2008 si avrà una percentuale di 0,40 posti letto ogni 10 mila abitanti. Nonostante ogni anno in Italia siano 250 mila persone ad avere necessità di questo tipo di assistenza. Terapia del dolore in primis. Da uno studio dell'Irc di Genova (2006), risulta che in Italia, per il 42% dei malati di tumore, il dolore risulta talmente insopportabile da far loro desiderare la morte, nel 66% dei casi ostacola anche le semplici attività quotidiane, e per la metà di loro il dolore influisce negativamente sulla vita familiare.
La lista di attesa
Ma come si accede a un Hospice?
Franco Henriquet, responsabile del Gigi Ghirotti di Genova, spiega: «La richiesta per il ricovero deve essere fatta da un medico che fa assistenza domiciliare perché diamo precedenza ai malati che stanno a casa rispetto a quelli ricoverati in ospedale. Limitatamente alla disponibilità dei posti. Al Gigi Ghirotti nel 2007 ci sono stati 219 ricoverati, su 414 richieste. Circa la metà non esaudite». Alcuni in lista d'attesa muoiono prima. E' richiesta una previsione di fine vita non oltre i tre mesi. «Tuttavia — dice Henriquet — abbiamo avuto pazienti terminali che sono rimasti qui anche un anno. Non è così facile diagnosticare i tempi della malattia».
Il medico dell'Hospice valuta le richieste secondo i criteri stabiliti da una convenzione con la Asl. Non si tiene conto della patologia (tipo gli oncologici prima dei neurologici o cose così) o della gravità (sono tutti gravi) ma solo della data in cui è stata presentata la domanda. I pazienti provenienti dalle altre Regioni non sono esclusi, ma devono essere sottoposti a autorizzazione della Regione ospitante.
E l'attesa? «Tre, quattro giorni», risponde Marinari che aggiunge: «Da noi il 12% dei ricoverati non sono malati terminali di tumore. Ci sono anche scompensati di cuore e polmonari. Il ricovero a volte è breve, per correggere la situazione, stabilizzarla. Poi assistenza a domicilio». E Morino conclude: «Gli hospice non sono posti dove si va a morire, ma centri in cui si allevia la sofferenza».

mercoledì 6 agosto 2008

Eluana, l’ingerenza dei deputati E la Procura: stop alla sentenza

Eluana, l’ingerenza dei deputati E la Procura: stop alla sentenza

L'Unità del 1 agosto 2008, pag. 6

di Anna Tarquini

Dopo 16 anni «non è stata accertata con sufficiente oggettività l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente di Eluana Englaro» e «non vi è certezza sul fatto che il paziente sia del tutto privo di consapevolezza». Con queste motivazioni la procura generale di Milano ha chiesto ufficialmente lo stop. Stop all’esecutività della sentenza dei giudici d’Appello che avevano autorizzato i tutori a staccare il sondino, e ricorso alla Cassazione perché dia un parere sulla sentenza milanese. Erano gli unici a poterlo fare, e lo hanno fatto poche ore dopo il sì della Camera al conflitto di attribuzione, cioè al ricorso alla Corte Costituzionale. Cosa accadrà è difficile dirlo ora. Potrebbe essere una corsa contro il tempo, potrebbe invece rivelarsi una ennesima sconfitta per la famiglia Englaro. L’avvocato degli Englaro ha commentato secco: «Motivazioni sconcertanti. Resisteremo».



II ricorso del Pg è stato depositato ieri, ma non ancora la richiesta della sospensiva dell’esecutività della ordinanza. La Camera ci aveva messo appena mezz’ora a decidere che - sia la Cassazione, sia i giudici d’Appello - avevano scavalcato le prerogative del Parlamento con quella sentenza. Questo perché non essendoci una legge in Italia che disciplina il testamento biologico né tantomeno l’eutanasia - secondo il Pdl ma non solo - i giudici milanesi avevano creato un pericoloso precedente. Si sono riuniti alle 13.30 precise, alle 14.05 sul tabellone appariva l’esito del voto. Pochi interventi e tesi già note. Per il sì ha votato tutta la maggioranza di governo. Qualche astenuto, Italia dei Valori contraria.



Dopo lunga e travagliata discussione il Pd ha confermato la decisione di lasciare l’aula prima del voto. E questo non certo per ipotetici dissensi o condizioni poste dai teodem sulle questioni etiche. Semplicemente, come ha annunciato Zaccaria in aula, perché il Pd ritiene la richiesta di conflitto di attribuzione infondata. La Cassazione non si è sostituita al Parlamento, ha solo deciso - tra l’altro sulla base di una norma costituzionale, l’articolo 32- che Eluana, in vita, si era espressa contro l’accanimento terapeutico.



La mediazione. I cattolici del Pd hanno poi voluto chiarire: «Con una sofferta mediazione il Pd ha offerto un’importante manifestazione di unità e di compattezza non partecipando al voto sul conflitto di attribuzione». La nota è firmata da Paola Binetti, Bobba, Carra, Calgaro, Lusetti, Mosella, Ria e Andrea Sarubbi. «Depositeremo una nostra proposta di legge sul cosiddetto testamento biologico, per mettere in chiaro il nostro no deciso alla eutanasia».



Cosa accadrà? Solo il voto della Camera non avrebbe cambiato nulla per la famiglia Englaro. Non così il ricorso della Procura generale. «Questa è solo la politicizzazione del caso di Eluana Englaro. La sentenza c’è e non può essere né sospesa né annullata» aveva detto Franca Alessio, curatrice speciale della ragazza. «Per noi - ha invece spiegato l’avvocato Angiolini dopo il voto dell’aula -, la situazione oggi è uguale a ieri, e identica a tre settimane fa: la Corte d’Appello, come poi confermato dalla Cassazione, ha autorizzato il signor Englaro a porre fine alle sofferenze della figlia, ed è quello che farà quando lo riterrà opportuno, né prima né dopo».



La legge è chiara. «Per interrompere una sentenza esecutiva come quella della Corte d’Appello ci vuole una richiesta esplicita di sospensione alla stessa Corte». Ora quella richiesta c’è e aveva visto bene il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl), tra i firmatari della richiesta di ricorso alla Consulta, che poche ore prima aveva detto: «I tempi? Crediamo che saranno molto brevi proprio per l’importanza del caso».



Otto disegni di legge in Parlamento, dalla richiesta di regolamentare il testamento biologico alla legalizzazione dell’eutanasia. Quando un anno fa si era vicini a una sintesi possibile delle varie proposte, una sintesi di garanzia che preludeva alla discussione in Commissione Sanità prevista per maggio, intervenne la Cei con una nota secca. «Non riteniamo necessaria una legge specifica sul testamento biologico». Tutto si fermò. I casi Welby, Nuvoli, Englaro, tornarono nelle mani dei giudici. Ieri Antonello Soro, capogruppo del Pd alla Camera, ha scritto a Fini. Il vuoto legislativo attorno al «fine vita» va colmato al più presto. Serve che il «testamento biologico sia in tempi rapidi calendarizzato a Montecitorio.

Eluana, sì della Camera al conflitto di attribuzione

Eluana, sì della Camera al conflitto di attribuzione

Corriere della Sera del 1 agosto 2008, pag. 5

di M. A. C.

Sì della Camera (oggi farà lo stesso il Senato) al conflitto d’attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della Suprema Corte di Cassazione e della Corte d’appello di Milano per aver di fatto «legiferato», autorizzando l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro.



La votazione è avvenuta con il sistema elettronico, ma senza la registrazione dei voti, quindi, in pratica è come se fosse stata per alzata di mano. Hanno votato a favore quasi tutti i deputati del Popolo della Libertà e la Lega. A favore, nell’opposizione, anche l’Udc di Casini. I deputati del Partito democratico, pur presenti in Aula, non hanno preso alla votazione. E così pure una piccola pattuglia di esponenti del Pdl capitanata dall’ex radicale Della Vedova e composta da Papa, Moroni,La Malfa, Pepe, Golfo, Costa e Stracquadanio. Contro ha votato solo l’Italia dei Valori di Di Pietro che ha accusato il Pd di aver adottato una «soluzione pilatesca: noi siamo dalla parte dei giudici». Tutti i deputati radicali, a cominciare dalla Bernardini alla Farina Coscioni invece erano assenti dall’Aula in quanto impegnati ad occupare la Commissione di vigilanza Rai.



«Per noi la situazione oggi è uguale a ieri, e identica a tre settimane fa». Così il legale della famiglia Englaro ha commentato il voto della Camera. «La Corte d’Appello di Milano ha autorizzato il signor Englaro a porre fine alle sofferenze della figlia, ed è quello che farà quando lo riterrà opportuno». Ma un appello al papà della ragazza perché non si avvalga di questa possibilità è stato fatto dal presidente del Centro aiuto alla vita di Lecco, Gulisano: «Le chiediamo un gesto eroico, per non introdurre di fatto l’eutanasia in Italia». Il capogruppo del Pdl Cicchitto ha comunque annunciato la volontà della maggioranza di arrivare presto ad una legge. Su queste materie in ogni caso, ha sottolineato, «c’è e ci sarà nel Pdl libertà di coscienza». Soddisfatto della decisione di Montecitorio, il senatore Quagliariello. Quanto ai tempi in cui deciderà la Consulta, il vicepresidente della Camera, Lupi, confida che «siano brevi».

Pannella: la chiesa ha rispettato Giovanni Paolo II. Ed Eluana?

Pannella: la chiesa ha rispettato Giovanni Paolo II. Ed Eluana?

L'Unità del 4 agosto 2008, pag. 9

di Anna Tarquini

«Wojtyla sarebbe ora vivissimo e nominalmente regnante se si fossero usati contro di lui anche un decimo solo delle cure che vengono imposte a Eluana». Qual è il confine tra accanimento terapeutico e libertà di cura? Tra diritto del paziente e dovere del medico? Marco Pannella lo ha sintetizzato così, con un messaggio provocatorio ma chiarissimo per i cattolici che credono nell’obbligo di alimentazione di un corpo. «Giovanni Paolo II è stato ascoltato quando ha permesso che la sua supplica ("Lasciatemi tornare al Padre") fosse comunque resa pubblica. E sarebbe ora vivissimo se si fossero usati contro di lui anche un decimo solo delle cure che vengono imposte da potenti, che impongono a tutti torture indicibili e inedite con l’uso diabolico delle scoperte scientifiche e del Potere mondano, ai genitori e alla civiltà costituzionale italiana e internazionale avendo preso in ostaggio il corpo di Eluana. Perché Eluana non viene ascoltata?».



Il confine è proprio quello segnato da Marco Pannella. Ed è il nodo che divide in maniera trasversale destra e sinistra: c’è obbligo di cura? E l’alimentazione è o no accanimento terapeutico e chi è che decide? La Chiesa dice che non è accanimento, i cattolici anche e con questa argomentazione, da anni, fermano qualunque ipotetico disegno di legge. Mille e cinquecento persone in stato di coma vegetativo permanente, trecentomila quelle che ogni anno entrano in coma e tra loro settecento sono i bambini. La famiglia Englaro dà per scontata la sospensione della sentenza e si prepara alla battaglia legale. L’istanza dovrebbe arrivare nei prossimi giorni sul tavolo del collegio di turno; sarà poi fissata un’udienza alla quale saranno convocate anche la parti: il padre di Eluana, in qualità di tutore della figlia, i suoi legali gli avvocati Vittorio Angiolini e Marco Cuniberti, e il curatore speciale di Eluana, Franca Alessio. Dopo questo passaggio la Suprema Corte dovrà fissare in tempi non molto lunghi (si parla alla ripresa dell’attività dopo le ferie) l’udienza per decidere se il ricorso del pg è inammissibile o valutare se accogliere la richiesta di accertare ancora l’effettiva irreversibilità dello stato vegetativo permanente di Eluana. Infatti, sul piatto della bilancia, la Procura generale di Milano ha voluto rimettere in discussione un argomento che pesa molto di più e che rimette tutto in discussione. «Non vi è certezza sul fatto che il paziente in stato vegetativo permanente sia del tutto privo di consapevolezza», ha scritto nella motivazione del ricorso il pg Maria Antonietta Pezza scontrandosi anche con i colleghi della procura. «La scienza medica è in continua evoluzione e illustri sanitari hanno evidenziato chegli studi più aggiornati dimostrano come in alcuni pazienti in stato vegetativo permanente sia possibile ottenere risposte che danno conto di una residua possibilità, spesso elementare, di percepire impulsi dall’ambiente con correlata analisi e discriminazione delle in formazioni».



E’ «para para» la tesi sostenuta da un gruppo di 25 neurologi universitari e del servizio sanitario nazionale ha scritto al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano e, per conoscenza, al presidente della Repubblica e al Governo, chiedendo lo stop all’esecutività della sentenza che autorizza Eluana Englaro a morire. È la tesi di un famoso specialista cattolico come Gian Luigi Gigli, una tesi cui risposero, il giorno dopo, il doppio degli specialisti sostenendo che i veri medici non parlano mai di «risvegli impossibili». Eppure il magistrato Maria Antonietta Pezza ha ragione di porre in questi termini la domanda. La condizione di coma o stato vegetativo può essere definita, con sicurezza irreversibile? Nel 2005 una commissione del ministero della Salute aveva affrontato questo nodo arrivando ad una soluzione alternativa. Non si può arrivare a una definizione di coma o stato vegetativo irreversibile, ma cronico sì. La differenza - spiegarono gli esperti della Sanità - è se il paziente non presenta miglioramenti clinici sostanziali per un certo arco di tempo. Si tratta di un periodo superiore ad un anno per i pazienti che hanno subito traumi e superiore a sei mesi per quelli nei quali lo stato vegetativo è conseguenza di fenomeni di anossia, ovvero mancanza di ossigeno. «Nel caso di Eluana - sostennero sempre gli esperti - si può dire che si tratta di uno stato vegetativo cronico, ovvero di una condizione nella quale le possibilità di ripresa sono davvero minime». Ma possibilità dire possibilità minime è cosa diversa da impossibili e «cronicità» è parola diversa da «irreversibilità». Ecco spiegata la scelta della motivazione del ricorso. Ecco spiegato perché avranno ragione di fermare tutto.




Scienza e Vita. Dietrofront sul testamento biologico

Corriere della Sera 5.8.08
Scienza e Vita. Dietrofront sul testamento biologico
di M.D.B.

ROMA — Corregge il tiro per la seconda volta in pochi giorni, l'associazione Scienza e Vita. Dopo le forti critiche rivolte da alcuni esponenti dell'esecutivo, la presidenza ha fatto marcia indietro ribadendo: «Mai una legge sul testamento biologico. Prendiamo atto del dibattito riportato dai media e dal disappunto di alcuni membri del consiglio confermiamo la nostra posizione: netto rifiuto di una ipotesi di legge sul testamento biologico». Il comunicato è firmato dai presidenti Bruno Dallapiccola e Maria Luisa Di Pietro che solo l'altro giorno avevano annunciato l'apertura dell'associazione a un provvedimento che regolasse le dichiarazioni anticipate di volontà sulle cure da ricevere, o rifiutare, alla fine della vita. Un cambiamento di rotta rispetto alle posizioni storiche di «Scienza e Vita» che aveva determinato le dimissioni di Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica dell'università Cattolica. Criticato soprattutto il metodo, la mancanza cioè di un confronto con il consiglio esecutivo. Sul sito web è stata pubblicata due giorni fa l'inchiesta svolta tra i medici che condividono le idee elaborate dal «pensatoio» di bioeticisti soprattutto cattolici: un corale schieramento contro il testamento biologico. Per una legge di fine vita «bisogna mettere in campo la trasversalità dei cattolici — afferma Savino Pezzotta (Udc)— dovrà ruotare attorno a due concetti di base: no all'accanimento terapeutico, no all'eutanasia».

domenica 3 agosto 2008

Eluana, l’ingerenza dei deputati

l’Unità 1.8.08
Eluana, l’ingerenza dei deputati
E la Procura: stop alla sentenza
di Anna Tarquini

Dopo 16 anni «non è stata accertata con sufficiente oggettività l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente di Eluana Englaro» e «non vi è certezza sul fatto che il paziente sia del tutto privo di consapevolezza». Con queste motivazioni la procura generale di Milano ha chiesto ufficialmente lo stop. Stop all’esecutività della sentenza dei giudici d’Appello che avevano autorizzato i tutori a staccare il sondino, e ricorso alla Cassazione perché dia un parere sulla sentenza milanese. Erano gli unici a poterlo fare, e lo hanno fatto poche ore dopo il sì della Camera al conflitto di attribuzione, cioè al ricorso alla Corte Costituzionale. Cosa accadrà è difficile dirlo ora. Potrebbe essere una corsa contro il tempo, potrebbe invece rivelarsi una ennesima sconfitta per la famiglia Englaro. L’avvocato degli Englaro ha commentato secco: «Motivazioni sconcertanti. Resisteremo».
Il ricorso del Pg è stato depositato ieri, ma non ancora la richiesta della sospensiva dell’esecutività della ordinanza. La Camera ci aveva messo appena mezz’ora a decidere che - sia la Cassazione, sia i giudici d’Appello - avevano scavalcato le prerogative del Parlamento con quella sentenza. Questo perché non essendoci una legge in Italia che disciplina il testamento biologico né tantomeno l’eutanasia - secondo il Pdl ma non solo - i giudici milanesi avevano creato un pericoloso precedente. Si sono riuniti alle 13.30 precise, alle 14.05 sul tabellone appariva l’esito del voto. Pochi interventi e tesi già note. Per il sì ha votato tutta la maggioranza di governo. Qualche astenuto, Italia dei Valori contraria.
Dopo lunga e travagliata discussione il Pd ha confermato la decisione di lasciare l’aula prima del voto. E questo non certo per ipotetici dissensi o condizioni poste dai teodem sulle questioni etiche. Semplicemente, come ha annunciato Zaccaria in aula, perché il Pd ritiene la richiesta di conflitto di attribuzione infondata. La Cassazione non si è sostituita al Parlamento, ha solo deciso - tra l’altro sulla base di una norma costituzionale, l’articolo 32 - che Eluana, in vita, si era espressa contro l’accanimento terapeutico.
La mediazione I cattolici del Pd hanno poi voluto chiarire: «Con una sofferta mediazione il Pd ha offerto un’importante manifestazione di unità e di compattezza non partecipando al voto sul conflitto di attribuzione». La nota è firmata da Paola Binetti, Bobba, Carra, Calgaro, Lusetti, Mosella, Ria e Andrea Sarubbi. «Depositeremo una nostra proposta di legge sul cosiddetto testamento biologico, per mettere in chiaro il nostro no deciso alla eutanasia».
Cosa accadrà? Solo il voto della Camera non avrebbe cambiato nulla per la famiglia Englaro. Non così il ricorso della Procura generale. «Questa è solo la politicizzazione del caso di Eluana Englaro. La sentenza c’è e non può essere né sospesa né annullata» aveva detto Franca Alessio, curatrice speciale della ragazza. «Per noi - ha invece spiegato l’avvocato Angiolini dopo il voto dell’aula -, la situazione oggi è uguale a ieri, e identica a tre settimane fa: la Corte d’Appello, come poi confermato dalla Cassazione, ha autorizzato il signor Englaro a porre fine alle sofferenze della figlia, ed è quello che farà quando lo riterrà opportuno, né prima né dopo».
La legge è chiara «Per interrompere una sentenza esecutiva come quella della Corte d’Appello ci vuole una richiesta esplicita di sospensione alla stessa Corte». Ora quella richiesta c’è e aveva visto bene il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl), tra i firmatari della richiesta di ricorso alla Consulta, che poche ore prima aveva detto: «I tempi? Crediamo che saranno molto brevi proprio per l’importanza del caso».
Otto disegni di legge in Parlamento, dalla richiesta di regolamentare il testamento biologico alla legalizzazione dell’eutanasia. Quando un anno fa si era vicini a una sintesi possibile delle varie proposte, una sintesi di garanzia che preludeva alla discussione in Commissione Sanità prevista per maggio, intervenne la Cei con una nota secca. «Non riteniamo necessaria una legge specifica sul testamento biologico». Tutto si fermò. I casi Welby, Nuvoli, Englaro, tornarono nelle mani dei giudici. Ieri Antonello Soro, capogruppo del Pd alla Camera, ha scritto a Fini. Il vuoto legislativo attorno al «fine vita» va colmato al più presto. Serve che il «testamento biologico sia in tempi rapidi calendarizzato a Montecitorio.

Anche il Senato vota contro il padre di Eluana

l’Unità 2.8.08
Anche il Senato vota contro il padre di Eluana
Sì al conflitto di attribuzione con la Cassazione. Il Pd lascia l’aula. Veltroni: «È una destra cinica»
di Roberto Monteforte

Dopo il sì della Camera arriva quello del Senato: il Parlamento apre il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale contro la decisione della Cassazione sul caso di Eluana Englaro. Un’«iniziativa strumentale e cinica», commenta Walter Veltroni. Il Pd anche a Palazzo Madama ha lasciato polemicamente l’aula mentre Pdl, Lega e Mpa votavano sì e Idv e senatori radicali ribadivano il no. Ormai è un vero accanimento nei confronti della ragazza in coma vegetativo permanente da 16 anni e contro i familiari che vorrebbero «staccare la spina», rispettando la volontà di Eluana. Approvata mozione Pd per far approvare entro l’anno il testamento biologico.

SARÀ LA CORTE Costituzionale a decidere se vi è stato o meno un conflitto di competenze tra poteri dello Stato, quello giudiziario e quello legislativo a proposito del caso Englaro. Se cioè, la Corte di appello civile di Milano, autorizzando la sospensione dell’alimentazione e dell’idradazione forzata della giovane che da 16 anni è in stato vegetativo permanente, abbia o meno violato le prerogative del Parlamento. Questa è la decisione presa ieri dal Senato a maggioranza. A favore della mozione Cossiga-Quagliarello hanno votato i parlamentari del Pdl, della Lega e del Mpa. Contro quelli dell’Italia dei Valori e i «radicali» del Pd in «dissenso con il loro gruppo» che, invece, hanno deciso di non partecipare al voto. Una decisione che ricalca quella già assunta a Montecitorio e che è stata spiegata dal senatore Ignazio Marino. «La maggioranza, che potrebbe mettere all'ordine del giorno una legge che interessa tutto il Paese, non lo fa. Lo ha fatto per difendere l'immunità del premier e non si occupa invece di qualcosa che riguarda la vita di tutti i cittadini». In una nota lo stesso segretario del Pd, Walter Veltroni chiarisce come «dal voto del Parlamento sul conflitto d'attribuzione non dipende affatto la drammatica vicenda personale di Eluana Englaro». «L'iniziativa del centrodestra è strumentale e cinica» commenta. «È il tentativo - ha chiarito - di limitare il potere della giurisdizione di decidere sulla base delle norme e dei principi del diritto». Questo è un piano che il Pd «respinge in blocco». Da qui la scelta di non partecipare al voto. Il punto vero è l’approvazione di una legge seria che regolamenti il testamento biologico. Il Pd incalza. Ha presentato una sua mozione, prima firmataria la presidente del gruppo Anna Finocchiaro, che impegna il Senato ad approvare entro il 2008 una legge in materia. La mozione passa. L’impegno è congiunto. Lo sottolinea anche una dichiarazione del presidente del Senato, Renato Schifani: «Sul tema delicatissimo del testamento biologico il Parlamento faccia la sua parte». In autunno vi sarà un’apposita sessione di Palazzo Madama.
Intanto vanno registrate le reazioni alla decisione della Procura generale di Milano di presentare ricorso contro la sentenza della Corte d'Appello che aveva autorizzato il padre della ragazza a interrompere l'alimentazione artificiale di Eluana. Non solo il medico della giovane, Carlo Alberto Defanti, attacca la decisione definendola «un ricorso ideologico copiato dagli studi dei medici cattolici». Ma anche il procuratore generale aggiunto di Milano, Gianfranco Montera non nasconde il suo imbarazzo. Prende le distanze dalla decisione assunta dai coleghi che finisce per «cozzare con la sentenza della Cassazione dell’ottobre 2007» sul tema, vero «decalogo» e «capolavoro giuridico e umano». Quello che bolla come «un mostro giuridico» è il ricorso alla Consulta per «conflitto di attribuzione» sollevato dal Parlamento. «In questo Paese - commenta - si soggiace alle necessità politiche e alle scelte ideologiche». Comunque nei prossimi giorni la Procura chiederà alla Corte d’Appello di sospendere l’esecutività della sentenza.
«Il vuoto legislativo è enorme» afferma il vice presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, Lorenzo D'Avack che aggiunge: «Le colpe dei politici sono altrettanto enormi» visto che «si discute dalla decima legislatura sul problema». Chi plaude alla decisione della Procura di Milano è mons. Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: pone il problema dei limiti della scienza nel definire l’«irreversibilità» di uno stato come quello di Eluana.

Come può Eluana dividere uno Stato?

l’Unità 3.8.08
Come può Eluana dividere uno Stato?
di Tania Groppi

Il drammatico caso della giovane Eluana non divide soltanto le coscienze (e i gruppi parlamentari). Ma anche i poteri dello Stato. E costituisce l’ennesima occasione per un attacco alla magistratura.
Per la prima volta nella storia della Repubblica, il Parlamento ha deciso di sollevare un conflitto tra poteri per difendere la propria sfera legislativa, ritenuta invasa dalla sentenza con cui la Corte di Cassazione (e poi, di conseguenza, la Corte d’Appello di Milano) ha ritenuto legittimo sospendere i trattamenti che permettono di mantenere Eluana Englaro artificialmente in vita.
La maggioranza parlamentare, con un colpo di fantasia degno di un prestigiatore, di fronte alla mancanza di una legge sulla fine della vita, anziché procedere speditamente ad approvarla (riprendendo il lavoro già svolto nelle precedenti legislature in materia di testamento biologico), ha deciso invece di attaccare il potere giudiziario, nella specie la sua massima e più autorevole espressione, la Corte di Cassazione. Criticando i contenuti della sentenza dell’ottobre 2007 (definita “frettolosa”) ma soprattutto accusandola di avere un contenuto sostanzialmente legislativo. La Corte di Cassazione si sarebbe trasformata indebitamente da interprete del diritto in creatore del diritto, si sarebbe fatta legislatore, violando il principio della separazione dei poteri.
La questione viene quindi sottoposta alla Corte Costituzionale, che dovrà decidere nei prossimi mesi. Una nuova tappa in una lunga e drammatica vicenda umana e giuridica.
Una tappa peraltro anche di un’altra ormai annosa storia, che travaglia la nostra democrazia ben più di quanto avvenga in altri paesi. Si è di fronte, infatti, all’ennesimo tentativo di piegare le ragioni del diritto a quelle della lotta politica, attraverso l’utilizzazione impropria di uno strumento giuridico, il conflitto di attribuzione, al fine di affermare una concezione del diritto dei rapporti tra i poteri alternativa a quella prevista dalla nostra Costituzione.
Sul piano strettamente giuridico, infatti, i precedenti della Corte Costituzionale portano dritti alla manifesta inammissibilità del conflitto, in camera di consiglio e con ordinanza, già in sede di prima delibazione.
Basta richiamare due aspetti. Prima di tutto, la carenza di interesse a ricorrere. Le Camere lamentano l’invasione di una competenza, quella a legiferare sulla fine della vita, che non hanno mai esercitato: la giurisprudenza costituzionale è costante nel richiedere una lesione della competenza “in concreto” affinché possa essere ammissibile il conflitto di attribuzione. Tale lesione non può ritenersi sussistere in un caso come il presente, nel quale per rimuovere l'effetto ritenuto invasivo il parlamento potrebbe semplicemente legiferare, colmando così esso stesso la lacuna.
In secondo luogo, inammissibilità della censura perché si denunciano “errores in iudicando”, ovvero il “cattivo uso” del potere giudiziario. Se accolta, trasformerebbe la Corte Costituzionale in un ulteriore grado di giudizio, attivabile ogni qualvolta il Parlamento non “gradisca” una interpretazione giudiziaria.
Ma c’è di più. Si tratta di un atto che disvela la radicale incomprensione (per non dire la negazione), da parte di questa maggioranza, per la forma di Stato in cui viviamo, quella della democrazia costituzionale. Che si traduce nella nostalgia giacobina per lo Stato legislativo, di cui gli interventi in aula e la stessa delibera di ricorrere sono impregnati. Quello che si vuole “restaurare”, come hanno messo in luce al Senato i relatori dell’opposizione, è lo Stato legislativo basato sulla centralità della legge, fonte suprema del diritto, rispetto alla quale i giudici altro non sono che “bouches de la loi”, chiamati ad applicarla meccanicamente attraverso i meccanismi del sillogismo giudiziario.
Si chiede alla Corte Costituzionale di mettere in atto una sorta di référé legislatif sul modello della costituzione francese del 1791, che implicava, a tutela della legge, il ricorso al Tribunal de Cassation «établi auprès du Corps législatif» per l’annullamento delle sentenze, proprio per impedire l’interpretazione della legge e per assicurare il prevalere della volontà del legislatore su quella dei giudici.
Questa è la separazione dei poteri che si vuole garantire, una separazione dei poteri estranea allo Stato costituzionale in cui viviamo, nel quale al vertice dell'ordinamento non si trova la legge, ma la costituzione e il patrimonio di diritti che essa garantisce ai singoli: una “dotazione di diritti” originaria, indipendente e protetta nei confronti della legge. Nello Stato costituzionale il ruolo del giudice, che lo vogliamo o no, che ne siamo consapevoli o no, non è quello di mero applicatore della legge: egli è chiamato a valutarne la costituzionalità e a dettare la regola del caso concreto, attraverso le tecniche del bilanciamento e l’applicazione diretta dei principi costituzionali. E ciò è tanto più vero quando, come nel caso che qui ci interessa, una legge approvata dal Parlamento non ci sia. Di fronte a questa lacuna, che chiamerei piuttosto “omissione del legislatore”, al fine di garantire i diritti non ci sono che due soluzioni: l’applicazione diretta dei principi costituzionali, con effetti inter partes, nel caso concreto, da parte dei giudici, oppure l’intervento, erga omnes, in funzione di supplenza del legislatore, da parte della Corte Costituzionale.
È stata la Corte stessa, con un orientamento costante nella sua giurisprudenza, ad incoraggiare l'attivismo interpretativo dei giudici, allo scopo, assai chiaro, di preservare la sfera del legislatore. L’alternativa, infatti, una sentenza additiva della Corte Costituzionale con conseguenze erga omnes e vincolante anche per il legislatore (tranne che per quello costituzionale) sarebbe assai più invasiva della pronuncia di un giudice comune, che resta circoscritta alle parti e lascia spazio a un futuro intervento legislativo ordinario.
Leggiamo correttamente, e non stravolgendola come è stato fatto dalla maggioranza nel corso dei lavori parlamentari la sentenza n. 347 del 1998 sulla fecondazione assistita. In assenza di una norma di legge, la Corte dichiarò inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Napoli, che le chiedeva una sentenza additiva, le chiedeva di “farsi legislatore”, affermando che «L’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell’attuale situazione di carenza legislativa, spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali».
Pertanto, invece di sollevare conflitti fasulli a meri scopi propagandistici contro un giudice (e che giudice! È la nostra Corte di Cassazione) che si è limitato a svolgere il suo ruolo costituzionale (garantire i diritti applicando i principi nel caso concreto), sarebbe invece bene che il Parlamento si interrogasse sulle ragioni del suo silenzio.
È davvero il legislatore intenzionato, sulle questioni eticamente sensibili, a tacere? A lasciare al potere giudiziario, sotto la pressione inarrestabile dei casi, la soluzione? Con i rischi in ciò insiti, non solo per il principio democratico, ma anche per quello di uguaglianza, dato che le soluzioni date dai giudici inevitabilmente determinano difformità e disuguaglianze. Oppure, anche nello Stato costituzionale, il Parlamento non ritiene sia giunta l’ora di riappropriarsi della sua funzione di attuare i principi costituzionali garantendo i diritti con effetti erga omnes, smentendo in tal modo chi lo vuole votato ad una inevitabile marginalizzazione? Non è attaccando il potere giudiziario, ma riprendendo il proprio ruolo istituzionale, che il Parlamento potrà difendere la sua potestà legislativa.