Corriere della Sera 8.8.08
Sanità e terapie del dolore
I numeri I pazienti che avrebbero bisogno di questo tipo di assistenza sono 250 mila, ma gli spazi sono per poco più di 2000
Le cure Terapia del dolore, assistenza psicologica, «coccole» per gli ultimi giorni di vita. E conta solo la volontà del ricoverato
Hospice, dove si sceglie come morire
Niente accanimento nelle 206 strutture per malati terminali Pochi posti letto, ma i fondi stanziati non vengono spesi
di Mario Pappagallo
Il primo hospitium per malati e morenti risale al V secolo d.C. e fu fondato da Fabiola, matrona della Gens Fabia. Nel 1843, a Lione, fu aperto un Hospice per morenti da Jeanne Garnier, ma è Cicely Saunders, con il suo St. Cristopher del 1967 a Londra, la fondatrice degli Hospice moderni
I morti per tumore sono circa 130 mila ogni anno in Italia. Di questi, almeno 100 mila avrebbero bisogno di cure palliative nella fase terminale. A domicilio, se l'ambiente e la famiglia lo consentono. In una struttura dedicata, se si è soli o con familiari con problemi socio- economici o psicologici. Assistere alla fine della vita di un congiunto non sempre è emotivamente sostenibile. Per questo esistono gli Hospice.
Che oggi emergono dal silenzio, perché in uno di questi centri verrà ricoverata Eluana Englaro negli ultimi giorni della sua esistenza.
Negli Hospice non ci sono né sondini per l'alimentazione forzata, né respiratori. Tutto questo, se non richiesto, è accanimento terapeutico. Le cure sono per ridurre i sintomi, il dolore, la sofferenza anche psicologica, rasserenare nel momento terminale. O per aiutare chi terminale non è, ma non è più curabile.
Numeri insufficienti
Ma in Italia gli Hospice, nati tardi, sono ancora pochi: 2.346 posti letto. Insufficienti. Si stima che almeno 250 mila malati vi dovrebbero ricorrere, molti dei quali attualmente degenti in ospedale (con costi elevati per il servizio sanitario). Gli Hospice sarebbero la tappa più giusta per persone con malattie incurabili come sclerosi multipla, gravi cirrosi (fegato), la Sla (che ha portato Welby a chiedere l'eutanasia), con insufficienze respiratorie o cardiache che non rispondono più ai farmaci. Se i numeri lo consentissero.
Non è però questione di soldi. Anzi. Duecentosei milioni e 566 mila euro sono stati finalizzati a una rete di queste strutture. Erogati nel 1999 e ancora nel 2001. Nel 2008 restano ancora da spendere 44 milioni e rotti. E di Hospice a disposizione ce ne vorrebbero sempre di più perché aumenta la consapevolezza delle diagnosi, anche le più infauste, e perché sempre un maggior numero di persone vuole decidere come morire.
L'ultima diagnosi
Per accedere ad un Hospice
bisogna avere una diagnosi terminale, il che vuol dire, teoricamente, 2-3 mesi di vita. È così negli Usa e in Inghilterra, è così anche in Italia. Ma succede che il malato, finalmente senza dolore e coccolato, vive anche molto di più. «Anche un anno», dice Piero Morino, responsabile dell'Hospice delle Oblate di Firenze. Potere delle cure palliative, cioè di quei trattamenti destinati a rendere sopportabili e vivibili con dignità e senza dolore gli ultimi mesi dei malati terminali.
«Senza sondini per alimentazione forzata, né macchine da vita artificiale. In pieno rispetto della volontà del malato e dei familiari», ribadisce Morino. «Manca però un consenso informato adatto agli Hospice », avverte Mauro Marinari, direttore del Nespolo di Airuno (Lecco). Alcuni familiari pretenderebbero le stesse terapie di una rianimazione. Invece, filosofia dell'Hospice è: solo trattamenti sintomatici, psicologici e fisioterapici. Una filosofia che abbatte anche la richiesta di eutanasia. Un fine vita «coccolati » accresce il desiderio di continuare a sperare.
I finanziamenti
In un'Italia «affamata» di fondi i finanziamenti per gli Hospice hanno stentato a essere attivati. Tant'è che alla fine del 2007 c'era ancora un residuo di 44 milioni da spendere e solo tre Regioni che avevano completato il piano: Emilia Romagna, la Provincia autonoma di Bolzano e il Molise. A otto anni dall'erogazione dei fondi mancano all'appello 18 hospice del piano iniziale: ai 206 previsti si arriverà a fine 2008 (con l'aiuto di altri 100 milioni stanziati con la finanziaria 2006). E dovranno salire a 243 nel 2011. In alcune regioni, poi, prevalgono i centri privati: otto nel Lazio contro i due pubblici, con ancora 3 milioni e 800 mila euro da spendere.
La struttura tipo
Un Hospice tipo dovrebbe avere 10-12 posti letto. E tre medici, 8-10 infermieri, 8-10 operatori socio-sanitari. Una struttura che non sembra complicata da costruire e organizzare. Eppure nel nostro Paese la crescita è stata, e continua ad essere, faticosa. Nel 2002 gli Hospice erano appena 20, nel 2006 114, nonostante i soldi a disposizione. E con i 206 operativi a fine 2008 si avrà una percentuale di 0,40 posti letto ogni 10 mila abitanti. Nonostante ogni anno in Italia siano 250 mila persone ad avere necessità di questo tipo di assistenza. Terapia del dolore in primis. Da uno studio dell'Irc di Genova (2006), risulta che in Italia, per il 42% dei malati di tumore, il dolore risulta talmente insopportabile da far loro desiderare la morte, nel 66% dei casi ostacola anche le semplici attività quotidiane, e per la metà di loro il dolore influisce negativamente sulla vita familiare.
La lista di attesa
Ma come si accede a un Hospice?
Franco Henriquet, responsabile del Gigi Ghirotti di Genova, spiega: «La richiesta per il ricovero deve essere fatta da un medico che fa assistenza domiciliare perché diamo precedenza ai malati che stanno a casa rispetto a quelli ricoverati in ospedale. Limitatamente alla disponibilità dei posti. Al Gigi Ghirotti nel 2007 ci sono stati 219 ricoverati, su 414 richieste. Circa la metà non esaudite». Alcuni in lista d'attesa muoiono prima. E' richiesta una previsione di fine vita non oltre i tre mesi. «Tuttavia — dice Henriquet — abbiamo avuto pazienti terminali che sono rimasti qui anche un anno. Non è così facile diagnosticare i tempi della malattia».
Il medico dell'Hospice valuta le richieste secondo i criteri stabiliti da una convenzione con la Asl. Non si tiene conto della patologia (tipo gli oncologici prima dei neurologici o cose così) o della gravità (sono tutti gravi) ma solo della data in cui è stata presentata la domanda. I pazienti provenienti dalle altre Regioni non sono esclusi, ma devono essere sottoposti a autorizzazione della Regione ospitante.
E l'attesa? «Tre, quattro giorni», risponde Marinari che aggiunge: «Da noi il 12% dei ricoverati non sono malati terminali di tumore. Ci sono anche scompensati di cuore e polmonari. Il ricovero a volte è breve, per correggere la situazione, stabilizzarla. Poi assistenza a domicilio». E Morino conclude: «Gli hospice non sono posti dove si va a morire, ma centri in cui si allevia la sofferenza».
Sanità e terapie del dolore
I numeri I pazienti che avrebbero bisogno di questo tipo di assistenza sono 250 mila, ma gli spazi sono per poco più di 2000
Le cure Terapia del dolore, assistenza psicologica, «coccole» per gli ultimi giorni di vita. E conta solo la volontà del ricoverato
Hospice, dove si sceglie come morire
Niente accanimento nelle 206 strutture per malati terminali Pochi posti letto, ma i fondi stanziati non vengono spesi
di Mario Pappagallo
Il primo hospitium per malati e morenti risale al V secolo d.C. e fu fondato da Fabiola, matrona della Gens Fabia. Nel 1843, a Lione, fu aperto un Hospice per morenti da Jeanne Garnier, ma è Cicely Saunders, con il suo St. Cristopher del 1967 a Londra, la fondatrice degli Hospice moderni
I morti per tumore sono circa 130 mila ogni anno in Italia. Di questi, almeno 100 mila avrebbero bisogno di cure palliative nella fase terminale. A domicilio, se l'ambiente e la famiglia lo consentono. In una struttura dedicata, se si è soli o con familiari con problemi socio- economici o psicologici. Assistere alla fine della vita di un congiunto non sempre è emotivamente sostenibile. Per questo esistono gli Hospice.
Che oggi emergono dal silenzio, perché in uno di questi centri verrà ricoverata Eluana Englaro negli ultimi giorni della sua esistenza.
Negli Hospice non ci sono né sondini per l'alimentazione forzata, né respiratori. Tutto questo, se non richiesto, è accanimento terapeutico. Le cure sono per ridurre i sintomi, il dolore, la sofferenza anche psicologica, rasserenare nel momento terminale. O per aiutare chi terminale non è, ma non è più curabile.
Numeri insufficienti
Ma in Italia gli Hospice, nati tardi, sono ancora pochi: 2.346 posti letto. Insufficienti. Si stima che almeno 250 mila malati vi dovrebbero ricorrere, molti dei quali attualmente degenti in ospedale (con costi elevati per il servizio sanitario). Gli Hospice sarebbero la tappa più giusta per persone con malattie incurabili come sclerosi multipla, gravi cirrosi (fegato), la Sla (che ha portato Welby a chiedere l'eutanasia), con insufficienze respiratorie o cardiache che non rispondono più ai farmaci. Se i numeri lo consentissero.
Non è però questione di soldi. Anzi. Duecentosei milioni e 566 mila euro sono stati finalizzati a una rete di queste strutture. Erogati nel 1999 e ancora nel 2001. Nel 2008 restano ancora da spendere 44 milioni e rotti. E di Hospice a disposizione ce ne vorrebbero sempre di più perché aumenta la consapevolezza delle diagnosi, anche le più infauste, e perché sempre un maggior numero di persone vuole decidere come morire.
L'ultima diagnosi
Per accedere ad un Hospice
bisogna avere una diagnosi terminale, il che vuol dire, teoricamente, 2-3 mesi di vita. È così negli Usa e in Inghilterra, è così anche in Italia. Ma succede che il malato, finalmente senza dolore e coccolato, vive anche molto di più. «Anche un anno», dice Piero Morino, responsabile dell'Hospice delle Oblate di Firenze. Potere delle cure palliative, cioè di quei trattamenti destinati a rendere sopportabili e vivibili con dignità e senza dolore gli ultimi mesi dei malati terminali.
«Senza sondini per alimentazione forzata, né macchine da vita artificiale. In pieno rispetto della volontà del malato e dei familiari», ribadisce Morino. «Manca però un consenso informato adatto agli Hospice », avverte Mauro Marinari, direttore del Nespolo di Airuno (Lecco). Alcuni familiari pretenderebbero le stesse terapie di una rianimazione. Invece, filosofia dell'Hospice è: solo trattamenti sintomatici, psicologici e fisioterapici. Una filosofia che abbatte anche la richiesta di eutanasia. Un fine vita «coccolati » accresce il desiderio di continuare a sperare.
I finanziamenti
In un'Italia «affamata» di fondi i finanziamenti per gli Hospice hanno stentato a essere attivati. Tant'è che alla fine del 2007 c'era ancora un residuo di 44 milioni da spendere e solo tre Regioni che avevano completato il piano: Emilia Romagna, la Provincia autonoma di Bolzano e il Molise. A otto anni dall'erogazione dei fondi mancano all'appello 18 hospice del piano iniziale: ai 206 previsti si arriverà a fine 2008 (con l'aiuto di altri 100 milioni stanziati con la finanziaria 2006). E dovranno salire a 243 nel 2011. In alcune regioni, poi, prevalgono i centri privati: otto nel Lazio contro i due pubblici, con ancora 3 milioni e 800 mila euro da spendere.
La struttura tipo
Un Hospice tipo dovrebbe avere 10-12 posti letto. E tre medici, 8-10 infermieri, 8-10 operatori socio-sanitari. Una struttura che non sembra complicata da costruire e organizzare. Eppure nel nostro Paese la crescita è stata, e continua ad essere, faticosa. Nel 2002 gli Hospice erano appena 20, nel 2006 114, nonostante i soldi a disposizione. E con i 206 operativi a fine 2008 si avrà una percentuale di 0,40 posti letto ogni 10 mila abitanti. Nonostante ogni anno in Italia siano 250 mila persone ad avere necessità di questo tipo di assistenza. Terapia del dolore in primis. Da uno studio dell'Irc di Genova (2006), risulta che in Italia, per il 42% dei malati di tumore, il dolore risulta talmente insopportabile da far loro desiderare la morte, nel 66% dei casi ostacola anche le semplici attività quotidiane, e per la metà di loro il dolore influisce negativamente sulla vita familiare.
La lista di attesa
Ma come si accede a un Hospice?
Franco Henriquet, responsabile del Gigi Ghirotti di Genova, spiega: «La richiesta per il ricovero deve essere fatta da un medico che fa assistenza domiciliare perché diamo precedenza ai malati che stanno a casa rispetto a quelli ricoverati in ospedale. Limitatamente alla disponibilità dei posti. Al Gigi Ghirotti nel 2007 ci sono stati 219 ricoverati, su 414 richieste. Circa la metà non esaudite». Alcuni in lista d'attesa muoiono prima. E' richiesta una previsione di fine vita non oltre i tre mesi. «Tuttavia — dice Henriquet — abbiamo avuto pazienti terminali che sono rimasti qui anche un anno. Non è così facile diagnosticare i tempi della malattia».
Il medico dell'Hospice valuta le richieste secondo i criteri stabiliti da una convenzione con la Asl. Non si tiene conto della patologia (tipo gli oncologici prima dei neurologici o cose così) o della gravità (sono tutti gravi) ma solo della data in cui è stata presentata la domanda. I pazienti provenienti dalle altre Regioni non sono esclusi, ma devono essere sottoposti a autorizzazione della Regione ospitante.
E l'attesa? «Tre, quattro giorni», risponde Marinari che aggiunge: «Da noi il 12% dei ricoverati non sono malati terminali di tumore. Ci sono anche scompensati di cuore e polmonari. Il ricovero a volte è breve, per correggere la situazione, stabilizzarla. Poi assistenza a domicilio». E Morino conclude: «Gli hospice non sono posti dove si va a morire, ma centri in cui si allevia la sofferenza».
Nessun commento:
Posta un commento