sabato 26 luglio 2008

Perché è più dignitosa e giusta la scelta che è stata fatta. Dieci domande sul caso Englaro

l’Unità 26.7.08
Perché è più dignitosa e giusta la scelta che è stata fatta. Dieci domande sul caso Englaro

Il 16 ottobre 2007 la Corte di Cassazione ha deciso il riesame del “caso Englaro” stabilendo che la richiesta dei genitori di Eluana di sospendere la terapia che da 16 anni la tiene in Stato Vegetativo Permanente (SVP) fosse valutata sulla scorta dei due seguenti criteri:
1)l’assenza di possibilità di risveglio oltre ogni ragionevole dubbio,
2)l’accertamento della volontà che Eluana non avrebbe voluto vivere in quella condizione.
Dopo gli opportuni approfondimenti, il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano ha accolto la richiesta Englaro, consentendo la sospensione delle terapie. Diversi sondaggi d’opinione confermano che circa l’80% degli italiani condivide la scelta degli Englaro. Ma la chiesa cattolica si oppone con un grande fuoco di sbarramento, che è giunto persino a sollecitare contrasti tra istituzioni statali. Esaminiamo qui le principali critiche mosse dando a ciascuna di esse una breve risposta razionale.
Obiezione 1: La decisione della Corte d’Appello «è un attacco al mistero della vita, alla sua sacralità» (mons. L. Negri, Avvenire, 12 luglio, p. 4).
Risposta. La Corte non muove alcun “attacco” ma solo constata che il “mistero” della vita sta dissolvendosi, perché la scienza ci fornisce conoscenze sempre più precise. Come ha scritto il professor Mario Manfredi, già Presidente della Società Italiana di Neurologia, dopo un periodo di oltre 16 anni la residua possibilità di ricupero è «estremamente minima». La Corte aiuta i cittadini a guardare in faccia la realtà e consente a persone come gli Englaro di decidere con responsabilità sul da farsi, senza continuare a vivere secondo il vecchio criterio sacrale connesso all’alone di mistero che avvolgeva il vivente e che ancora evoca emozioni profonde. È vero, comunque, che la crisi del principio di sacralità della vita umana genera in molti sconcerto, sgomento e anche panico. Hanno l’impressione è che il mondo intero crolli senza scampo e prevedono omicidi e la fine della convivenza civile. Di qui le preghiere e gli altri riti di purificazione richiesti per riparare la violazione dei tabù. L’abbiamo già visto, ad esempio, al tempo del divorzio, quando la crisi dell’indissolubilità sembrava provocasse la disgregazione della famiglia e la dissoluzione della civiltà stessa. Invece le famiglie continuano a formarsi ed assumono nuove forme più rispettose degli affetti e dei diritti personali. Forse c’è stato un miglioramento, che potrebbe ripetersi anche con l’abbandono della sacralità della vita. La crescita civile esige una visione razionale che metta da parte i sentimenti atavici e la viscerale paura del nuovo.
Obiezione 2: La decisione della Corte d’Appello è sbagliata perché «la vita è qualcosa di assolutamente indisponibile all’azione umana» (card. A. Bagnasco, Avvenire, 13 luglio, p. 4).
Risposta. Quest’obiezione è una conseguenza della sacralità e cade con essa. Conosciamo i meccanismi dei processi vitali e li modifichiamo in tanti modi: continuare a ripetere che la vita è indisponibile è chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Volenti o nolenti la vita umana è nelle nostre mani. Chi continua a desiderare o prescrivere che la vita debba seguire un proprio misterioso e imperscrutabile corso cerca solo di sottrarre l’uomo alle proprie responsabilità. Queste a volte sono gravose, ma vanno affrontate.
Obiezione 3: «Il paletto dell’inviolabilità della vita... (DEVE) prevalere, sia pure dolorosamente, sull’interesse del singolo che, non senza le proprie ragioni, richiede allo Stato di farlo saltare... a difesa di tante altre vite deboli... Vedo all’orizzonte troppe vittime se saltasse questo paletto» (dr. P.P. Donadio, Avvenire 19 luglio, p. 12).
Risposta. Un clinico riconosce che la sacralità della vita non vale più in sé: il singolo ha ottime ragioni per farlo saltare! (soprattutto dopo oltre 16 anni di SVP). Ma andrebbe difeso per presunte ragioni di utilità generale! Quest’errore nell’intendere l’utilità generale dimostra come la sacralità della vita sia irrispettosa delle persone.
Obiezione 4: «Un “risveglio” non si può mai negare" (Avvenire, 17 luglio, p. 11), perché 25 “luminari” della neurologia italiana affermano che non c’è la «certezza di irreversibilità» del SVP.
Risposta. L’errore sta nel fatto che nulla è certo circa il futuro: neanche che domani il Sole sorga ancora. Dobbiamo accontentarci delle (altissime) probabilità. E queste ci dicono che dopo 16 anni è fuor di dubbio che per Eluana non ci sarà mai più un «risveglio». Voler alimentare la speranza contro ogni dato ragionevole è un modo di riproporre la sacralità vitalista, che a vo lte ricorre ad affermazioni infondate come quella che circa «metà delle diagnosi (DI SVP) sono sbagliate» (G.B. Guizzetti, Tempi 17 luglio, p. 11) per spaventare facendo terrorismo psicologico.
Obiezione 5: «Togliere idratzione e nutrimento nel caso specifico è come togliere da mangiare e da bere a una persona che ne ha bisogno, come ne ha bisogno ognuno di noi» (card. A. Bagnasco, Avvenire, 16 luglio, p. 9).
Risposta. «Mangiare e bere» è un’azione volontaria con sensazioni: da oltre 16 anni Eluana non «mangia né beve». Le iniettano sostanze chimiche con la terapia nutrizionale. Ecco dove sta la differenza. Eluana non voleva continuare quella terapia.
Obiezione 6: Farla morire di fame e di sete è «la morte peggiore che possa essere inflitta a un essere umano» (“Medicina e Persona”, Comunicato Stampa). Se non soffre «qualcuno mi spieghi allora perché il tribunale raccomanda di sedarla» (dr. G. Gigli, Avvenire, 13 luglio, p. 5).
Risposta. Far credere che Eluana soffrirà la fame e la sete è speculazione di basso profilo tesa a suscitare ripugnanza e raccapriccio facendo appello a immagini note di vario tipo (dal conte Ugolino a Walt Disney). In realtà i centri nervosi responsabili delle ricezione del dolore sono distrutti e la morte avverrà per deperimento. Il tribunale ha raccomandato la sedazione come misura di rispetto e di precauzione. Anche la British Medical Association raccomanda l’anestesia per i morti cerebrali prima del prelievo d’organo (per sopprimere i riflessi viscerali). Non ne discende che i morti soffrano. Assodato questo, si potrebbe pensare ad un intervento attivo che chiuda la partita in modo più rapido. Dal punto di vista morale può essere meglio, ma da quello giuridico non è consentito, per cui ci si deve limitare alla sospensione della terapia- punto garantito dal diritto italiano.
Obiezione 7: Come si fa a dire che Eluana non avrebbe voluto vivere in stato vegetativo? È vero che lo ha detto prima dell’incidente, quando aveva 20 anni ed era sana: «parole che chiunque potrebbe pronunciare e sottoscriverebbe, ma che non possono avere valore di “testamento biologico”» (L. Bellaspiga, Avvenire 16 luglio, p. 9).
Risposta. Sarebbe meglio se il vitalista dicesse chiaro e tondo che il consenso (pregresso o attuale che sia) non vale niente di fronte al valore sacro della vita. Welby lo diede qualche minuto prima della sospensione della terapia ben sapendo che cosa significasse: ma neanche lì il suo consenso contava, e il dr. Mario Riccio ha avuto guai! Se anche ci fosse una firma apposta a 20 anni su un foglio scritto, che valore avrebbe mai?! Non c’è, e ci si aggrappa anche questo, in stile Azzeccagarbugli. Quelle espresse da Eluana sono le sue ultime volontà e non possiamo immaginarcene altre, essendo subito caduta in uno stato che - per via della distruzione della corteccia - non consente di averne più. Se vale il consenso, allora le parole pronunciate da Eluana e fedelmente riportate da testimoni hanno valore decisivo per procedere alla sospensione della terapia nutrizionale.
Obiezione 8: Ma quella nutrizionale non è una terapia, anche perché lo stato vegetativo «non è una malattia» (dr. G.B. Guizzetti, Avvenire 19 luglio, p. 10) ma è «una grave disabilità» da tutelare. L’alimentazione artificiale, poi, non è accanimento terapeutico perché non c’è «nessuna macchina, nessun supporto tecnologico».
Risposta. Evito le discussioni sui concetti di malattia e di disabilità, anche se l’idea che lo SVP sia una semplice diminuzione di capacità sembra dire che lo zero sia un «uno rimpicciolito». Concedendo che lo SVP sia una disabilità estrema, non ne consegue che la sua tutela debba portare al prolungamento della vita: se l’interessato non voleva vivere in quello stato, sarebbe «farle un torto». Il rispetto dovuto a un disabile comporta il rispetto delle sue scelte. L’insistenza «pro vita» è una forma di indebita violenza poco rispettosa della fragilità di chi ha scelto. Che dire poi della pompa che si usa per l’alimentazione artificiale? Non è forse una «macchina»? A parte questo, dire che c’è accanimento solo in presenza di macchinari è un modo ingenuo di ragionare, come quello che porta a credere si possa torturare solo col fuoco, ruota e urla di dolore. Come ci può essere tortura anche senza fuoco, macchine ecc., così ci sono forme più sottili di accanimento anche senza macchinari: quando non c’è volontà e consenso c’è accanimento.
Obiezione 9: Non sarebbe meglio lasciare Eluana alle suore che la curano, invece di procedere alla sospensione della terapia?
Risposta. Non so se sia davvero meglio continuare a vegetare o invece chiudere con dignità. Ma è certo che quand’anche «vegetare» fosse un qualcosa di positivo, non sarebbe «buono» ove non fosse voluto. Dare una carezza o una elemosina sono gesti in prima battuta positivi (che non fanno male) ma diventano cattivi ove fossero imposti ad una persona che non li vuole. Solo un residuo di vitalismo può indurci a credere diversamente: eccessiva è l’insistenza posta nel dissuadere i genitori Englaro. Esemplare è il modo fermo con cui difendono la dignità della figlia. (a cura di m.m.)

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