Eluana riposerà in pace Per il Vaticano è eutanasia
Il Manifesto del 10 luglio 2008
di Mariangela Maturi
Inaspettata e sorprendente, ieri la Corte d’appello civile di Milano ha autorizzato con una sentenza l’interruzione del trattamento di alimentazione forzata di Eluana Englaro. Il padre della ragazza (che è in stato vegetativo permanente da 16 anni) è impegnato da anni in un’estenuante battaglia legale per la sospensione dell’alimentazione forzata, e ora sembra quasi sorpreso: «Mia figlia finalmente sarà libera». La sentenza lo autorizza a interrompere le cure che mantengono in vita il corpo di Eluana dal 1992 nonostante l’irreversibilità dello stato vegetativo. Dopo molte sconfitte, il caso era stato riaperto dalla Cassazione lo scorso ottobre: per procedere con l’autorizzazione, bisognava accertare che non vi fossero interessi egoistici da parte della famiglia nell’avanzare la richiesta di sospensione del trattamento. Al termine dell’indagine, l’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale per il caso Englaro, ha «condiviso la scelta del tutore orientata al rifiuto del trattamento». Alla luce del «definitivo accertamento» dello stato vegetativo permanente, la Corte ha ritenuto di poter accettare le richieste dei familiari. Un altro fattore che ha influito nella decisione del giudice è stata la conferma, tramite la testimonianza di amici e parenti, che la stessa Eluana quand’era in vita avrebbe detto che mai avrebbe voluto sopravvivere in quelle condizioni.
Il testo della sentenza si conclude con le disposizioni per l’interruzione, indicando che la procedura dovrà essere gestita «in hospice o altro luogo di ricovero, garantendo un adeguato e dignitoso accudimento». La clinica in cui Eluana è ricoverata, a Lecco, è gestita dalle suore Misericordine di San Gerardo, che ieri hanno diffuso ai dipendenti della casa di cura il divieto di parlare della questione; pare però che, considerato «l’affetto che le suore provano» per la ragazza, non acconsentirebbero mai alla sospensione del trattamento. In ogni caso il padre di Eluana ha già messo in conto di dover provvedere al trasferimento della figlia. Non ha paura, e le polemiche non lo interessano, perché dice che finalmente «ha prevalso la volontà di Eluana».
Nel frattempo da vari ambienti ecclesiastici si lanciano prevedibili anatemi e scomuniche. Guida la crociata il neopresidente della pontificia accademia per la vita, Rino Fisichella, che usa termini come «amarezza» e «stupore» per quella che considera eutanasia. Chiamati a «rispettare il mistero della vita, non si deve cadere nella tentazione oggi diffusa di leggere la vita soltanto in maniera utilitaristica», conclude monsignore. Seguono a ruota i commenti dagli istituti di bioetica dell’università Cattolica di Roma e di Milano, che sperano si blocchi l’applicazione della sentenza, mentre da radio vaticana ci tengono a ricordare che finora «nessun tribunale aveva mai accolto la sentenza». Si accodano anche i,commenti, spesso superflui, dei politici di tutti gli schieramenti: da Luca Volontè dell’Udc a Emanuela Baio del Pd (per non parlare del Pdl) si parla di «omicidio» e «sconcerto». Marco Pannella, invece, è soddisfatto dalla sentenza, perché «questa è una concreta affermazione della civiltà giuridica»; Mina Welby (moglie di Piergiorgio, che ha dovuto combattere disperatamente per poter scegliere di morire) ritorna sulla necessità di una legge sul testamento biologico. Maurizio Mori, presidente per la Consulta di bioetica, accoglie di buon grado quello che considera un momento di «crescita civile» per il paese, e l’associazione Coscioni parla di «sentenza storica».
In ogni caso il dado è tratto: «Ora comincia una strada verso una dimensione umana, perché prima è stato un inferno», commenta il signor Englaro; adesso spetta a lui scegliere se procedere immediatamente con la sospensione dell’alimentazione forzata o aspettare il termine di legge di sessanta giorni durante i quali si può procedere con un ricorso alla sentenza. In ogni caso, come da sentenza, il provvedimento è immediatamente efficace e può essere attuato. Dopo 16 anni di battaglie, per il padre di Eluana questa non è una vittoria personale, «ma un passo in avanti dello stato di diritto» e un’affermazione delle volontà della ragazza. Un vero passo in avanti, forse anche per chi si ostina ad antepone «il mistero della vita» al rispetto per gli altri esseri umani.
Il testamento biologico è un documento scritto che ha il compito di salvaguardare la volontà dei sottoscrivente In materia di trattamento medico soprattutto quando si è impossibilitati a comunicarla. Con il testamento si chiede la sospensione di provvedimenti medici definiti di «sostegno vitale» come: rianimazione cardiopolmonare, alimentazione artificiale, ventilazione assistita e qualsiasi cura attuata, a giudizio di due medici, di quali uno specialista, con il solo scopo di prolungare la vita in stato vegetativo, o al fine di mantenere uno stato di coscienza permanente o di demenza. È possibile interrompere la terapia anche nel caso di totale paralisi con incapacità a comunicare. È inoltre previsto l’utilizzo di cure palliative per le persone affette da patologie allo stadio terminale, come la somministrazione di farmaci oppiacei al fine di alleviare le sofferenze del malato e anticiparne la fine della vita. La legge italiana non ha sancito la validità del testo.
Il Manifesto del 10 luglio 2008
di Mariangela Maturi
Inaspettata e sorprendente, ieri la Corte d’appello civile di Milano ha autorizzato con una sentenza l’interruzione del trattamento di alimentazione forzata di Eluana Englaro. Il padre della ragazza (che è in stato vegetativo permanente da 16 anni) è impegnato da anni in un’estenuante battaglia legale per la sospensione dell’alimentazione forzata, e ora sembra quasi sorpreso: «Mia figlia finalmente sarà libera». La sentenza lo autorizza a interrompere le cure che mantengono in vita il corpo di Eluana dal 1992 nonostante l’irreversibilità dello stato vegetativo. Dopo molte sconfitte, il caso era stato riaperto dalla Cassazione lo scorso ottobre: per procedere con l’autorizzazione, bisognava accertare che non vi fossero interessi egoistici da parte della famiglia nell’avanzare la richiesta di sospensione del trattamento. Al termine dell’indagine, l’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale per il caso Englaro, ha «condiviso la scelta del tutore orientata al rifiuto del trattamento». Alla luce del «definitivo accertamento» dello stato vegetativo permanente, la Corte ha ritenuto di poter accettare le richieste dei familiari. Un altro fattore che ha influito nella decisione del giudice è stata la conferma, tramite la testimonianza di amici e parenti, che la stessa Eluana quand’era in vita avrebbe detto che mai avrebbe voluto sopravvivere in quelle condizioni.
Il testo della sentenza si conclude con le disposizioni per l’interruzione, indicando che la procedura dovrà essere gestita «in hospice o altro luogo di ricovero, garantendo un adeguato e dignitoso accudimento». La clinica in cui Eluana è ricoverata, a Lecco, è gestita dalle suore Misericordine di San Gerardo, che ieri hanno diffuso ai dipendenti della casa di cura il divieto di parlare della questione; pare però che, considerato «l’affetto che le suore provano» per la ragazza, non acconsentirebbero mai alla sospensione del trattamento. In ogni caso il padre di Eluana ha già messo in conto di dover provvedere al trasferimento della figlia. Non ha paura, e le polemiche non lo interessano, perché dice che finalmente «ha prevalso la volontà di Eluana».
Nel frattempo da vari ambienti ecclesiastici si lanciano prevedibili anatemi e scomuniche. Guida la crociata il neopresidente della pontificia accademia per la vita, Rino Fisichella, che usa termini come «amarezza» e «stupore» per quella che considera eutanasia. Chiamati a «rispettare il mistero della vita, non si deve cadere nella tentazione oggi diffusa di leggere la vita soltanto in maniera utilitaristica», conclude monsignore. Seguono a ruota i commenti dagli istituti di bioetica dell’università Cattolica di Roma e di Milano, che sperano si blocchi l’applicazione della sentenza, mentre da radio vaticana ci tengono a ricordare che finora «nessun tribunale aveva mai accolto la sentenza». Si accodano anche i,commenti, spesso superflui, dei politici di tutti gli schieramenti: da Luca Volontè dell’Udc a Emanuela Baio del Pd (per non parlare del Pdl) si parla di «omicidio» e «sconcerto». Marco Pannella, invece, è soddisfatto dalla sentenza, perché «questa è una concreta affermazione della civiltà giuridica»; Mina Welby (moglie di Piergiorgio, che ha dovuto combattere disperatamente per poter scegliere di morire) ritorna sulla necessità di una legge sul testamento biologico. Maurizio Mori, presidente per la Consulta di bioetica, accoglie di buon grado quello che considera un momento di «crescita civile» per il paese, e l’associazione Coscioni parla di «sentenza storica».
In ogni caso il dado è tratto: «Ora comincia una strada verso una dimensione umana, perché prima è stato un inferno», commenta il signor Englaro; adesso spetta a lui scegliere se procedere immediatamente con la sospensione dell’alimentazione forzata o aspettare il termine di legge di sessanta giorni durante i quali si può procedere con un ricorso alla sentenza. In ogni caso, come da sentenza, il provvedimento è immediatamente efficace e può essere attuato. Dopo 16 anni di battaglie, per il padre di Eluana questa non è una vittoria personale, «ma un passo in avanti dello stato di diritto» e un’affermazione delle volontà della ragazza. Un vero passo in avanti, forse anche per chi si ostina ad antepone «il mistero della vita» al rispetto per gli altri esseri umani.
Il testamento biologico è un documento scritto che ha il compito di salvaguardare la volontà dei sottoscrivente In materia di trattamento medico soprattutto quando si è impossibilitati a comunicarla. Con il testamento si chiede la sospensione di provvedimenti medici definiti di «sostegno vitale» come: rianimazione cardiopolmonare, alimentazione artificiale, ventilazione assistita e qualsiasi cura attuata, a giudizio di due medici, di quali uno specialista, con il solo scopo di prolungare la vita in stato vegetativo, o al fine di mantenere uno stato di coscienza permanente o di demenza. È possibile interrompere la terapia anche nel caso di totale paralisi con incapacità a comunicare. È inoltre previsto l’utilizzo di cure palliative per le persone affette da patologie allo stadio terminale, come la somministrazione di farmaci oppiacei al fine di alleviare le sofferenze del malato e anticiparne la fine della vita. La legge italiana non ha sancito la validità del testo.
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