In principio era Coscioni, adesso tocca a tutti gli altri
L'Opinione del 25 luglio 2008, pag. 3
di Alessandro Litta Modignani
Quando Luca Coscioni si presentò per la prima volta via internet ai Radicali, nella primavera del 2001, Marco Pannella intuì subito e appieno la portata autentica, rivoluzionaria, del suo messaggio. Si era alla vigilia delle elezioni e Coscioni divenne una bandiera, con risultati elettorali insignificanti. Infatti non era quello il senso della sua proposta, come solo adesso si inizia a comprendere.
Occorrono investimenti, diceva, nella ricerca sulle cellule staminali embrionali, individuate per la prima volta qualche anno prima dallo scienziato australiano Thompson. Forse così molte malattie, fra cui la mia, potranno essere sconfitte. Ma la Chiesa si oppose, in nome della difesa degli embrioni, esercitò forti pressioni e ne venne la contestata legge 40. L’aspetto più importante di quel messaggio, tuttavia, non era tanto nella richiesta in sé, quanto nel fatto che un malato considerato “incurabile” volesse assumere l’iniziativa e dare centralità politica a temi che fino a quel momento non erano neppure presi in considerazione. Egli sfidava così, al contempo, le due “caste” italiane più potenti: quella politica a livello istituzionale, quella religiosa a livello culturale. Quella duplice sfida, autenticamente prometeica, comincia oggi a manifestare i suoi effetti.
Il povero Luca morì il 20 febbraio 2006 (suscitando commozione in molti e sollievo in alcuni) ma i suoi semi avrebbero presto germogliato. Esattamente dieci mesi dopo, il 20 dicembre, Piergiorgio Welby centuplicava la stessa lotta: se ne andò per sua espressa volontà, non prima di essersi appellato al capo dello Stato e non senza aver scritto un libro significativamente intitolato“Lasciatemi morire”. Morto Welby, non moriva però la sua battaglia. Dopo il caso di Giovanni Nuvòli, giusto un anno fa, ecco riesplodere all’improvviso la vicenda di Eluana Englaro, un fatto che ha nuovamente precipitato nel panico tutta il mondo cattolico-integralista italiano. Mentre si contesta il parere espresso tanti anni fa da Eluana ai familiari, che non avrebbe rilevanza, si presenta Paolo Ravasin, anch’egli militante dell’associazione Luca Coscioni. Se dovessi peggiorare, ripete forte e chiaro Ravasin, non desidero l’alimentazione forzata. Intanto si apprende che, pur in assenza di una legge sul testamento biologico – bloccata ancora una volta dal veto della Chiesa cattolica – sono circa settemila gli italiani che hanno lasciato disposizioni sul proprio “percorso di fine vita”. Coscioni, Welby, Nuvòli, Englaro, Ravasin e migliaia d’altri.
Dilaga inarrestabile un fiume di esseri umani che affermano di essere voler essere padroni del proprio destino. Soggetti della propria storia, avrebbe detto Gramsci. Insomma titolari della propria vita. Tutti costoro recitano una preghiera diversa da quella imparata da bambini: “sia fatta la MIA volontà”, dicono. Coloro che credono, fra questi, affermano di volerne rispondere direttamente a Dio, non alla Chiesa. La sofferenza, come fonte di salvezza eterna, non rappresenta più un punto di riferimento universale. Prevale il pensiero moderno, scientifico, laico e razionale dell’occidente liberale. Le gerarchie religiose, grandi dissimulatrici, cercano di reggere il confronto ma sentono che, alla loro apparente vittoria politica, fa riscontro una sconfitta sul piano culturale e valoriale, dalle conseguenze incalcolabili.
L'Opinione del 25 luglio 2008, pag. 3
di Alessandro Litta Modignani
Quando Luca Coscioni si presentò per la prima volta via internet ai Radicali, nella primavera del 2001, Marco Pannella intuì subito e appieno la portata autentica, rivoluzionaria, del suo messaggio. Si era alla vigilia delle elezioni e Coscioni divenne una bandiera, con risultati elettorali insignificanti. Infatti non era quello il senso della sua proposta, come solo adesso si inizia a comprendere.
Occorrono investimenti, diceva, nella ricerca sulle cellule staminali embrionali, individuate per la prima volta qualche anno prima dallo scienziato australiano Thompson. Forse così molte malattie, fra cui la mia, potranno essere sconfitte. Ma la Chiesa si oppose, in nome della difesa degli embrioni, esercitò forti pressioni e ne venne la contestata legge 40. L’aspetto più importante di quel messaggio, tuttavia, non era tanto nella richiesta in sé, quanto nel fatto che un malato considerato “incurabile” volesse assumere l’iniziativa e dare centralità politica a temi che fino a quel momento non erano neppure presi in considerazione. Egli sfidava così, al contempo, le due “caste” italiane più potenti: quella politica a livello istituzionale, quella religiosa a livello culturale. Quella duplice sfida, autenticamente prometeica, comincia oggi a manifestare i suoi effetti.
Il povero Luca morì il 20 febbraio 2006 (suscitando commozione in molti e sollievo in alcuni) ma i suoi semi avrebbero presto germogliato. Esattamente dieci mesi dopo, il 20 dicembre, Piergiorgio Welby centuplicava la stessa lotta: se ne andò per sua espressa volontà, non prima di essersi appellato al capo dello Stato e non senza aver scritto un libro significativamente intitolato“Lasciatemi morire”. Morto Welby, non moriva però la sua battaglia. Dopo il caso di Giovanni Nuvòli, giusto un anno fa, ecco riesplodere all’improvviso la vicenda di Eluana Englaro, un fatto che ha nuovamente precipitato nel panico tutta il mondo cattolico-integralista italiano. Mentre si contesta il parere espresso tanti anni fa da Eluana ai familiari, che non avrebbe rilevanza, si presenta Paolo Ravasin, anch’egli militante dell’associazione Luca Coscioni. Se dovessi peggiorare, ripete forte e chiaro Ravasin, non desidero l’alimentazione forzata. Intanto si apprende che, pur in assenza di una legge sul testamento biologico – bloccata ancora una volta dal veto della Chiesa cattolica – sono circa settemila gli italiani che hanno lasciato disposizioni sul proprio “percorso di fine vita”. Coscioni, Welby, Nuvòli, Englaro, Ravasin e migliaia d’altri.
Dilaga inarrestabile un fiume di esseri umani che affermano di essere voler essere padroni del proprio destino. Soggetti della propria storia, avrebbe detto Gramsci. Insomma titolari della propria vita. Tutti costoro recitano una preghiera diversa da quella imparata da bambini: “sia fatta la MIA volontà”, dicono. Coloro che credono, fra questi, affermano di volerne rispondere direttamente a Dio, non alla Chiesa. La sofferenza, come fonte di salvezza eterna, non rappresenta più un punto di riferimento universale. Prevale il pensiero moderno, scientifico, laico e razionale dell’occidente liberale. Le gerarchie religiose, grandi dissimulatrici, cercano di reggere il confronto ma sentono che, alla loro apparente vittoria politica, fa riscontro una sconfitta sul piano culturale e valoriale, dalle conseguenze incalcolabili.
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