l’Unità 9.9.08
Eluana, l’ultimo affronto
di Giancarlo Ferrero
La lettera del direttore generale della sanità milanese, dottor Lacchini, al padre di Eluana Englaro va al di là d una mera comunicazione tra un utente del servizio sanitario ed il responsabile di un pubblico istituto: assume il valore e l’efficacia di un atto amministrativo. Come tale deve essere considerato per rilevarne l’eventuale illegittimità e la conseguente sua impugnabilità innanzi al giudice competente.
Certamente di fronte ad una precisa richiesta del padre di Eluana, il direttore aveva il dovere-potere di rispondere. Rientrava, altresì, nei suoi poteri respingere la richiesta motivandola sulla circostanza obbiettiva che le strutture sanitarie regionali non erano attrezzate né deputate a dare attuazione ad un intervento sanitario di quel tipo. Ciò che non poteva giuridicamente fare era definire la natura dell’assistenza sanitaria e soprattutto vietare ai medici di intervenire nel senso richiesto, pena le conseguenze sanzionatorie per la corrispondente violazione dei loro obblighi professionali e di servizio.
In questo modo il direttore generale lombardo si pone in netto contrasto con una decisione di un organo giurisdizionale della cui competenza nessuno dubita. I giudici milanesi, infatti, hanno esplicitamente riconosciuto (anche se con pronuncia impugnata dalla Procura Generale) il diritto del padre di Eluana di far sospendere il trattamento terapeutico che la mantiene artificialmente in vita. È consequenziale che se un comportamento è ritenuto manifestazione di un diritto, il comportamento relativo è assolutamente lecito. I sanitari che in piena loro coscienza vi danno attuazione non commettono alcuna violazione di legge e, quindi, non violano alcuna obbligazione professionale e non possono certamente essere sanzionati.
Un direttore di strutture sanitarie, sia pure al vertice, non può porsi in contrasto con una decisione legittimamente presa da un organo giurisdizionale, con efficacia su tutto il territorio nazionale. Se questo contrasto è contenuto in un atto ufficiale con effetti indeterminati verso un gruppo di sanitari, si realizza un’ipotesi, se non di reato (ma il fatto meriterebbe l’attenzione della locale Procura della Repubblica) certamente di illegittimità amministrativa. Con il dolore che gli pesa sulle spalle non si può pretendere che sia il padre ad impugnare il ricorso al Tar e chieder in via d’urgenza e cautelare l’immediata sospensione dell’atto. Troverà facilmente in altre strutture sanitarie quell’accogliente rispetto della sua pena e del suo diritto che gli è stato così rigorosamente negato, dimenticando che (errore interpretativo a parte) è «la legge ad essere fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge».
Eluana, l’ultimo affronto
di Giancarlo Ferrero
La lettera del direttore generale della sanità milanese, dottor Lacchini, al padre di Eluana Englaro va al di là d una mera comunicazione tra un utente del servizio sanitario ed il responsabile di un pubblico istituto: assume il valore e l’efficacia di un atto amministrativo. Come tale deve essere considerato per rilevarne l’eventuale illegittimità e la conseguente sua impugnabilità innanzi al giudice competente.
Certamente di fronte ad una precisa richiesta del padre di Eluana, il direttore aveva il dovere-potere di rispondere. Rientrava, altresì, nei suoi poteri respingere la richiesta motivandola sulla circostanza obbiettiva che le strutture sanitarie regionali non erano attrezzate né deputate a dare attuazione ad un intervento sanitario di quel tipo. Ciò che non poteva giuridicamente fare era definire la natura dell’assistenza sanitaria e soprattutto vietare ai medici di intervenire nel senso richiesto, pena le conseguenze sanzionatorie per la corrispondente violazione dei loro obblighi professionali e di servizio.
In questo modo il direttore generale lombardo si pone in netto contrasto con una decisione di un organo giurisdizionale della cui competenza nessuno dubita. I giudici milanesi, infatti, hanno esplicitamente riconosciuto (anche se con pronuncia impugnata dalla Procura Generale) il diritto del padre di Eluana di far sospendere il trattamento terapeutico che la mantiene artificialmente in vita. È consequenziale che se un comportamento è ritenuto manifestazione di un diritto, il comportamento relativo è assolutamente lecito. I sanitari che in piena loro coscienza vi danno attuazione non commettono alcuna violazione di legge e, quindi, non violano alcuna obbligazione professionale e non possono certamente essere sanzionati.
Un direttore di strutture sanitarie, sia pure al vertice, non può porsi in contrasto con una decisione legittimamente presa da un organo giurisdizionale, con efficacia su tutto il territorio nazionale. Se questo contrasto è contenuto in un atto ufficiale con effetti indeterminati verso un gruppo di sanitari, si realizza un’ipotesi, se non di reato (ma il fatto meriterebbe l’attenzione della locale Procura della Repubblica) certamente di illegittimità amministrativa. Con il dolore che gli pesa sulle spalle non si può pretendere che sia il padre ad impugnare il ricorso al Tar e chieder in via d’urgenza e cautelare l’immediata sospensione dell’atto. Troverà facilmente in altre strutture sanitarie quell’accogliente rispetto della sua pena e del suo diritto che gli è stato così rigorosamente negato, dimenticando che (errore interpretativo a parte) è «la legge ad essere fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge».
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