venerdì 10 dicembre 2010

«Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Intervista a M. Coscioni - «Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Paola Pasquarelli, Il Giorno/Il Resto del Carlino / La Nazione, il 02/12/10

«In questo momento assistiamo a un’operazione truffaldina contro la verità: la verità di quanto accaduto l’altra sera all’ospedale San Giovanni è infatti che Mario Monicelli, persona cosciente e sofferente, ha deciso di porre fine alla sua vita perché non è stato aiutato a non soffrire». Le parole-accuse sono della deputata radicale nel Pd, Maria Antonietta Coscioni, e piovono pesanti sul dibattito che la morte volontaria del regista viareggino ha acceso tra i «sostenitori» del suo estremo gesto e chi invece difende sempre e comunque la vita, intesa come diritto indisponibile dell’uomo.

Perché parla di ‘operazione truffaldina’?
«Perché mira a nascondere il vero problema che è quello di capire se Monicelli abbia o meno chiesto al personale sanitario di aiutarlo a non soffrire. Se lo avesse fatto senza riuscire a ottenere quello che voleva, ci si potrebbe per assurdo addirittura costituire tutti parte civile in un processo contro chi si è rifiutato di dargli questo aiuto».

Una legge a favore dell’eutanasia impedirebbe tutto questo?
«Dico solo che Monicelli aveva 95 anni spesi in modo soddisfacente e proficuo, se ha deciso di farla finita va rispettata la sua decisione. Occorre capire però se sono da ricercarsi delle responsabilità. Lui non ha chiesto di non morire, ha chiesto di non soffrire».

Quanti come lui allora, dovrebbero o potrebbero togliersi la vita?
«Appunto. Lui ha potuto ‘fortunatamente’ farlo grazie a una lucidità e a un coraggio che non è di tutti. Ci sono persone che non hanno neanche questa libertà di azione e di pensiero che ti viene anche dalla fortuna di aver vissuto una vita interessante come la sua».

E se il gesto estremo fosse stato compiuto ‘semplicemente’per uno stato di depressione?
«Non si può sempre liquidare un suicidio in questo modo. Anche se così fosse, sarebbe comunque un gesto di coraggio. Il problema non è quello di creare e sostenere movimenti ‘pro life’ o ‘pro morte’, il problema è quello di rispettare una persona che ha compiuto una scelta responsabile».

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