domenica 8 febbraio 2009

«Il caso Eluana? Da noi non sarebbe possibile»

Corriere della Sera 8.2.09
Sanità Le differenze Italia-Spagna: parla il ministro Bernat Soria
«Il caso Eluana? Da noi non sarebbe possibile»
Già raccolti circa 50 mila testamenti biologici

Il testamento biologico in Spagna è realtà dal 2002: il ministro della Sanità racconta i casi più controversi
intervista di Elisabetta Rosaspina

MADRID — I catalani sono stati i primi, e i più numerosi. Da quando la legge sull'Autonomia del Paziente, il 14 novembre del 2002, ha riconosciuto agli spagnoli il diritto di rifiutare l'accanimento terapeutico, 23.000 testamenti biologici sono già stati depositati soltanto al dipartimento della Sanità di Barcellona. E, in 365 occasioni, gli ospedali si sono collegati al registro della Catalogna per consultare le volontà eventualmente espresse da malati terminali non più in grado di manifestarle. A Madrid confluiscono i dati raccolti in tutta la Spagna, e ormai dovrebbero essere quasi 50.000 i testamenti che indicano ai medici la frontiera da non oltrepassare in caso disperato; anche se le statistiche ufficiali, aggiornate a novembre dell'anno scorso, ne segnalano appena 37.500. «Sembrano pochi? Siamo ancora in fase di avvio — spiega il Ministro della Sanità, Bernat Soria — . Nella cultura latina non si pensa volentieri alla morte o allo stato vegetativo, almeno finché non tocca a qualcuno della propria famiglia o agli amici».
O, in Italia, a una ragazza come Eluana...
«Sì, conosco la vicenda. E sicuramente ci sono state anche in Spagna situazioni molto simili, che si sono risolte legalmente senza clamore, senza finire sui giornali, senza dibattiti spettacolari».
Come?
«Limitando lo sforzo terapeutico, come richiede il malato. O un famigliare, se lui non ha più il livello di coscienza necessario per prendere una decisione. In Spagna è illegale solamente il suicidio assistito. Un'iniezione letale, per esempio. Ma tutte le terapie di supporto, dai farmaci alla ventilazione meccanica e all'alimentazione artificiale possono essere interrotte a richiesta. Il problema è che il progresso medico è più rapido di quello legislativo e molti casi non sono contemplati dalla normativa. Per questo è importante poter disporre di volontà scritte lasciate dal paziente, che può modificarle in qualunque momento, anche all'ultimo. Attraverso l'unità centrale del ministero, il suo testamento sarà consultabile da qualunque ospedale spagnolo, nel caso dovesse essere ricoverato in un centro di una comunità autonoma diversa da quella cui appartiene».
Eppure anche la Spagna ha avuto casi controversi, come quello di Ramon Sampedro, tetraplegico per 30 anni, che ha ispirato il film «Mare dentro » di Alejandro Amenabar. O di Inmaculada Echevarria che la distrofia muscolare ha obbligato per 9 anni a vivere attaccata a un respiratore.
«Il caso di Inmaculada Echevarria, che era cosciente e chiedeva l'eutanasia, fu discusso da un comitato etico, di cui io facevo parte come tecnico, e che si pronunciò infine a favore della decisione di staccarla dal respiratore artificiale. Era un comitato composto da specialisti, medici e giuristi, e da profani, perché è importante anche il giudizio dell'uomo della strada. C'era pure un sacerdote e non si oppose».
Restano dilemmi comuni come l'assistenza sanitaria agli immigrati e ai clandestini: che strada segue la Spagna?
«Fin dagli anni Ottanta il sistema nazionale sanitario si è convertito in pubblico e universale. Inizialmente era riservato ai lavoratori stranieri di società estere, ora chiunque riceve assistenza medica. Non chiediamo la nazionalità per un trapianto di cuore, né a chi lo dà né a chi lo riceve. La sanità si finanzia con le tasse, che pagano anche gli immigrati. E il saldo si è rivelato positivo: gli stranieri contribuiscono per il 6,2 per cento e lo utilizzano per il 4,6».
Strano
«No. Gli immigrati sono giovani, si collocano nella fascia d'età più produttiva, tra i 20 e i 40 anni, quella che paga le tasse e richiede poche cure mediche ».
E i clandestini?
«Al pronto soccorso i medici, da noi, non chiedono i documenti. Ma chi è irregolare spesso evita la sanità pubblica per paura di rendersi visibile».

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