martedì 10 febbraio 2009

Eluana, testimone del limite

Eluana, testimone del limite

Il Manifesto del 10 febbraio 2009, pag. 12

di Ida Dominijanni

Un occhio al parlamento contando i minuti dell`approvazione del disegno di legge di Berlusconi, un altro alla clinica di Udine contando i minuti restanti alla vita senza Vita di Eluana Englaro. Un orecchio al dibattito politico, agli argomenti e agli emendamenti, alla conta dei voti, al calcolo dei sì dei no e delle assenze, un altro ai tassi di disidratazione, ai diagrammi della funzionalità renale, ai battiti cardiaci. Il paese non avrebbe potuto reggere per giorni a questa tensione schizofrenica senza collassare. Non ha retto Eluana, sottraendosi al cinico timing stabilito da Silvio Berlusconi per usare politicamente il suo corpo sofferente, gettarlo per una settimana in pasto all`immaginario collettivo e attribuirne la fine all`opposizione. Resta a noi adesso il compito di sottrarla allo sciacallaggio politico che il suo decesso non arresta: «Eluana non è morta, è stata ammazzata», parola del senatore Quagliariello, nel ruolo consueto del kamikaze di maggioranza. «Manteniamo l`iter previsto per il ddl, perché il sacrificio di Eluana non sia stato inutile», parola del presidente dei senato Schifani, nel ruolo del sacerdote di una macabra messa nera. Il minuto di silenzio osservato dalla camera e dal senato non silenzia lo spettacolo di degrado politico e istituzionale che questa vicenda ci consegna, né tacita i progetti eversivi di Silvio Berlusconi. E l`umana, troppo umana morte di Eluana, una giovane donna a cui, stando a come ce l`hanno raccontata, la vocazione sacrificale era del tutto estranea, non va eretta a sacrificio di nulla, e tantomeno di una legge sulla fine-vita che la maggioranza di governo, se avesse davvero voluto, avrebbe potuto e dovuto mettere all`ordine del giorno mesi fa. Va solo rispettata nella sua infinita tragicità, e serbata nella nostra coscienza a testimonianza di un troppo - un troppo di fondamentalismo, di strumentalità e di onnipotenza - che rischia di sfondare, ammesso cge non l`abbia già sfondato, il patto democratico. Si sa che a contatto con le questioni della vita e della morte, e della crescita dei saperi sulla vita e sulla morte, ovunque la politica perde i suoi connotati classici, trapassando in un paradigma biopolitico che ne altera poteri, strategie e tattiche, muta i contorni della sovranità, minaccia la forma della legge e la certezza del diritto, alza le pretese di controllo e sorveglianza sull`esistenza degli individui e delle popolazioni. Ma quello che la cronaca minuta di questa trasformazione ci insegna è che essa avviene in modo turbolentissimo, resuscitando ideologie e fondamentalismi, ricorrendo a supplementi teologici e moralistici, incattivendo sovranità spodestate, svilendo diritti fondamentali e stracciando costituzioni. Che è precisamente il catalogo di quanto è accaduto in Italia sul caso Englaro, all`apice di quanto era già avvenuto su altre scottanti materie bioetiche. Dalla mistica dell`embrione dispiegata sulla legge sulla procreazione assistita e sulla proposta di «moratoria» dell`aborto al miracolistico slogan «salviamo una vita» di questi giorni, la palla di neve del fondamentalismo teo-con non ha fatto che ingrossarsi, perseguendo due obiettivi connessi e concomitanti. Primo, la riduzione della vita a una concezione biologisticocreaturale, astratta dai contesti relazionali e linguistici che fanno della vita una vita umana. Secondo, la riconduzione di una vita siffatta sotto il dominio dei politico e sotto le pretese regolative della legge. E` il carattere relazionale dell`esistenza, dato ontologico ineliminabile della costituzione dell`umano, nonché bussola prima di orientamento etico delle vite reali, a farne le spese, che si tratti della relazione primaria del concepito con la madre all`inizio della vita o delle relazioni di cura e affidamento alla fine della vita. La macabra uscita di Berlusconi sulle possibilità di procreare di Eluana è lì a testimoniare questo filo sottile che lega i deliri di onnipotenza del biopotere sulla nascita e sulla morte: avocare a sé il corpo terminale di Eluana sottraendolo alla volontà del padre è del tutto in linea con la fantasia di un corpo di Eluana ingravidato, indipendentemente dal suo desiderio, dalla sua soggettività, dalla sua parola. Non per caso è toccato ancora una volta a una donna, a un corpo femminile, incarnare e testimoniare tragicamente il limite a questo delirio di onnipotenza. Opportunamente, sul manifesto di sabato scorso, Eligio Resta ha evocato il mito di Antigone, figura del conflitto irriducibile fra la legge del sovrano e la legge delle relazioni familiari. Ma vale la pena di sottolineare in questo caso anche le differenze dal mito. Antigone parla, lotta, confligge con Creonte; Eluana non poteva parlare, né lottare né confliggere. Creonte incarna la legge dello stato, Berlusconi la destituisce e la distrugge. Muta e protetta nel suo mutismo obbligato dal silenzio materno, Eluana non avrebbe potuto smascherare meglio la fantasia virile del premier di appropriarsi di un corpo femminile finalmente tacitato. Silenziata da un destino crudele, Eluana resta testimone parlante di questo smascheramento, limite vivo e, questo sì, generativo alle velleità onnipotenti di una sovranità impazzita.

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