Corriere della Sera 24.2.09
Lo spauracchio «eutanasia»
di Silvio Viale, comitato scientifico di Exit.Italia
Caro Direttore, Panebianco bluffa quando parla di guelfi e ghibellini, collocandosi dubbiosamente in mezzo. Bluffa, e sbaglia, perché attribuisce ai ghibellini una posizione non loro. Mentre per i neoguelfi la «sacralità della vita» è davvero un valore assoluto non negoziabile da imporre, per i neoghibellini non è affatto vero che vogliono affermare «il principio secondo cui la decisione della morte di un uomo è nell'esclusiva e libera disponibilità di quell'uomo ». I neoghibellini non chiedono la deregulation del suicidio, che peraltro già non è reato, ma solo la possibilità di non essere costretti a prolungare una vita ormai consumata nella sofferenza della malattia in presenza di condizioni precise. Solo in questi casi i neoghibellini chiedono una morte quanto più possibile indolore e senza sofferenza con l'aiuto della medicina. Insomma i neoghibellini sono un po' guelfi perché vogliono dei paletti precisi, mentre i guelfi non sono per niente un po' ghibellini. La vera ipocrisia italiana è quella di temere la parola «eutanasia» e di circoscrivere il dibattito ad un suo surrogato di risulta come è il rifiuto delle terapie, sebbene addolcito da un po' di enfasi sulle cure palliative e appesantito da un po' di confusione sull'accanimento terapeutico.
Infatti, le cure palliative, se ben condotte, non sono così lontane da una terapia eutanasia, mentre l'accanimento terapeutico, che nessuno sa definire, è diventata la litania buona per ogni minestrone. Panebianco sbaglia quando parla di «due torti che si fronteggiano » e la prova del nove sta negli esempi delle leggi sull'eutanasia di Olanda, Belgio ed, ora, Lussemburgo, nonché nella prassi svizzera del «suicidio assistito». Dove sarebbero i torti per i neoguelfi o per i neoghibellini italiani? Ognuno potrebbe continuare a mantenere e propugnare le proprie ragioni. I guelfi potrebbero cercare di persuadere a non ricorrere alla legge. I ghibellini potrebbero accontentarsi di avere un'opportunità in caso di ultima necessità. I guelfi olandesi non sono limitati dalla legge olandese sulla interruzione della vita. Anzi, sia i guelfi e sia i ghibellini olandesi potranno avvalersene se le circostanze, il destino e le convinzioni dovessero farli approdare ad essa. In fondo, noi ghibellini, favorevoli all'eutanasia, siamo solo persone che amano talmente la vita da volerle bene anche nel suo viaggio terminale. Come fu per il divorzio, come fu per l'aborto, non è indifferente per nessuno quale torto finirà per prevalere nel regno dei guelfi.
Lo spauracchio «eutanasia»
di Silvio Viale, comitato scientifico di Exit.Italia
Caro Direttore, Panebianco bluffa quando parla di guelfi e ghibellini, collocandosi dubbiosamente in mezzo. Bluffa, e sbaglia, perché attribuisce ai ghibellini una posizione non loro. Mentre per i neoguelfi la «sacralità della vita» è davvero un valore assoluto non negoziabile da imporre, per i neoghibellini non è affatto vero che vogliono affermare «il principio secondo cui la decisione della morte di un uomo è nell'esclusiva e libera disponibilità di quell'uomo ». I neoghibellini non chiedono la deregulation del suicidio, che peraltro già non è reato, ma solo la possibilità di non essere costretti a prolungare una vita ormai consumata nella sofferenza della malattia in presenza di condizioni precise. Solo in questi casi i neoghibellini chiedono una morte quanto più possibile indolore e senza sofferenza con l'aiuto della medicina. Insomma i neoghibellini sono un po' guelfi perché vogliono dei paletti precisi, mentre i guelfi non sono per niente un po' ghibellini. La vera ipocrisia italiana è quella di temere la parola «eutanasia» e di circoscrivere il dibattito ad un suo surrogato di risulta come è il rifiuto delle terapie, sebbene addolcito da un po' di enfasi sulle cure palliative e appesantito da un po' di confusione sull'accanimento terapeutico.
Infatti, le cure palliative, se ben condotte, non sono così lontane da una terapia eutanasia, mentre l'accanimento terapeutico, che nessuno sa definire, è diventata la litania buona per ogni minestrone. Panebianco sbaglia quando parla di «due torti che si fronteggiano » e la prova del nove sta negli esempi delle leggi sull'eutanasia di Olanda, Belgio ed, ora, Lussemburgo, nonché nella prassi svizzera del «suicidio assistito». Dove sarebbero i torti per i neoguelfi o per i neoghibellini italiani? Ognuno potrebbe continuare a mantenere e propugnare le proprie ragioni. I guelfi potrebbero cercare di persuadere a non ricorrere alla legge. I ghibellini potrebbero accontentarsi di avere un'opportunità in caso di ultima necessità. I guelfi olandesi non sono limitati dalla legge olandese sulla interruzione della vita. Anzi, sia i guelfi e sia i ghibellini olandesi potranno avvalersene se le circostanze, il destino e le convinzioni dovessero farli approdare ad essa. In fondo, noi ghibellini, favorevoli all'eutanasia, siamo solo persone che amano talmente la vita da volerle bene anche nel suo viaggio terminale. Come fu per il divorzio, come fu per l'aborto, non è indifferente per nessuno quale torto finirà per prevalere nel regno dei guelfi.
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