martedì 24 febbraio 2009

Pena di morte se la Chiesa non dice no

l’Unità 24.2.09
Pena di morte se la Chiesa non dice no
di Luigi Manconi

Mercoledì 11 febbraio, Benedetto XVI ha riaffermato l'intangibilità della vita umana "dal momento del suo inizio fino al suo naturale compimento". È la frase più frequentemente utilizzata dalla cultura cattolica, per argomentare il rifiuto di scelte come la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali. Ed è stata così tante volte ribadita, da assumere la forza di un dogma irrinunciabile della concezione antropologica della Chiesa cattolica. Ma siamo proprio sicuri che quella frase abbia effettivamente l'assolutezza di una verità irrinunciabile e inderogabile? Per giunta, nei giorni scorsi alcuni cattolici hanno irriso i sostenitori della scelta di Bepino Englaro in questi termini: ma come? siete contro la pena di morte, come lo siamo noi, e poi volete infliggerla alla povera Eluana… L'argomento è già di per sé traballante, ma se preso seriamente può riservare sorprese. La Chiesa cattolica è contro la pena di morte? Vediamo. Nel "Catechismo della Chiesa cattolica" in vigore fino al 1999 si poteva leggere: "Articolo 2266. Difendere il bene comune della società esige che si ponga l'aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l'insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte". Questo ancora nel 1999. Nella successiva edizione del Catechismo, quella attualmente in vigore, la stessa formula risulta attenuata. Attenzione: non abrogata, bensì solo edulcorata. Eccola: "2267. L'insegnamento tradizionale della Chiesa (…) non esclude, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani". Qui emerge un'ambiguità: sembrerebbe che si debba difendere un inerme da un aggressore mentre l'aggressione è in corso. Ma questa è né più né meno che legittima difesa: contraddittoria rispetto all'uso della formula "pena di morte", che richiama inevitabilmente una sentenza comminata da un tribunale. Dunque, si tratta di una vera a propria deroga - ben inteso: in situazioni eccezionali - al principio assoluto. Ma ciò rende meno assoluto quel principio. È inconfutabile che, se si accetta quella possibilità di deroga, l'eccezione può valere anche in altre, e diversissime circostanze (e non siamo stati noi a proporre la comparazione): in presenza, ad esempio, di un caso di stato vegetativo persistente e di un trattamento di nutrizione e idratazione forzate, che prolungano artificialmente una vita ormai esaurita.

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