l’Unità 4.2.09
Le sei bugie sul caso Englaro. Ecco come stanno le cose
di Luca Landò
Le sue condizioni. Eluana non ha più parola, percezione di dolore, fame o sete
La sua volontà. Una vita artificiale grazie a trattamenti sanitari. Che rifiutava
Il cervello di Eluana è stato irrimediabilmente compromesso la notte del 18 gennaio 1992 quando la sua auto slittò sul terreno ghiacciato e andò a sbattere contro un muro. L’incidente lasciò intatte le parti del cervello che controllano le funzioni fisiologiche primarie, come la respirazione e il battito cardiaco, che si trovano nel cosiddetto tronco encefalico. I danni più gravi riguardarono invece la corteccia cerebrale, una sorta di “cuffia” che avvolge il cervello e nella quale vengono elaborate funzioni più complesse come la parola, la visione, la percezione del dolore ma anche la fame e la sete. Quando i medici della clinica di Udine inizieranno a ridurre progressivamente l’idratazione e l’alimentazione artificiale, Eluana non si accorgerà di nulla, così come è da 17 anni che non avverte né fame, né sete, né dolore.
Dire che Eluana si possa riprendere dalla situazione in cui si trova (stato vegetativo permanente) è come dire che il treno su cui viaggiamo deraglierà sicuramente o che la casa in cui ci troviamo crollerà tra cinque minuti: tutto è possibile, ma le probabilità che simili eventi accadano sono talmente basse da non poter essere prese in considerazione ai fini delle nostre decisioni (altrimenti non viaggeremmo sui treni o non abiteremmo dentro case).
Eluana è stata definita la Terry Schiavo italiana, con riferimento alla giovane americana su cui si è accesa una violenta battaglia giuridica. Come scrive Maurizio Mori nel suo libro («Il caso Eluana Englaro», Pendragon Editore), «l’analogia è corretta per quanto riguarda l’aspetto clinico (in entrambi i casi si parla di stato vegetativo permanente), è invece sbagliata per quanto riguarda i risvolti giuridici». La vicenda di Terri Schiavo divenne una “caso” per via della fortissima divergenza tra i famigliari. Il marito asseriva che lei non avrebbe mai voluto restare in stato vegetativo e chiedeva la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiali; al contrario, il padre, la madre e il fratello della donna sostenevano che quella non era la volontà di Terri.
«Il caso Eluana - ricorda Mori, che ben conosce la famiglia - non ha mai presentato alcun contrasto tra i famigliari. Anzi, la situazione è diametralmente opposta: i genitori Englaro sono perfettamente concordi circa la sospensione dei trattamenti».
Il caso Terri Schiavo, semmai, insegna un’altra cosa: l’autopsia eseguita subito dopo la morte della donna rivelò che il cervello si era irrimediabilmente atrofizzato al punto da pesare soltanto 615 grammi (circa la metà del normale). Quell’esame stabilì senza ombra di dubbio che le sue condizioni erano «irreversibili e che nessun tipo di terapia o cura riabilitativa avrebbero potuto cambiare le cose», come disse il dottor John R. Thogmartin, patologo del sesto distretto giudiziario della Florida che condusse l’autopsia.
Dicono: interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiale ad Eluana è come togliere il pane e l’acqua a una persona. L’analogia fa effetto ma è sbagliata: si tratta infatti di trattamenti sanitari che richiedono un intervento del medico sia per quanto la modalità di somministrazione (nel caso di Eluana un sondino nasogastrico) sia per il tipo sostanze inserite (non un frullato di frutta preparato in cucina ma una miscela di proteine, vitamine e quant’altro indicate dietro rigorosa prescrizione medica). Se si decide di interrompere ogni forma di accanimento terapeutico, come in questo caso, è giusto sospendere anche questi trattamenti artificiali.
Maurizio Gasparri, presidente dei Senatori PdL, ha detto ieri che «è iniziato l’omicidio di Eluana», frase che si accompagna a quella di Enrico La Loggia, vicepresidente del Gruppo PdL alla Camera («A Udine si sta per compiere un vero e proprio omicidio») e a quella del cardinale Barragan («Fermate quella mano assassina»). Infine l’associazione cattolica «Scienza & Vita», lo scorso anno, ha lanciato un appello che iniziava con queste parole: No alla prima esecuzione capitale della storia repubblicana».
Prima di usare simili espressioni, pronunciate al solo scopo di stimolare emozioni e attirare attenzione, sarebbe bene riflettere su alcuni punti:
1) l’articolo 32 della Costituzione dice che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario» e che «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Proprio di recente, una donna a cui si è prospettata la necessità di amputare un arto, ha deciso di rifiutare l’intervento anche se questa scelta le è costata la vita;
2) il padre di Eluana ha percorso tutto l’iter del nostro sistema giudiziario prima di ottenere l’autorizzazione a interrompere i trattamenti artificiali di alimentazione e idratazione che da 17 anni tengono in vita il corpo di Eluana. I giudici hanno riconosciuto: a) che il padre ha svolto il ruolo di tutore delle volontà della figlia (che non avrebbe voluto vivere in condizioni di stato vegetativo); b) che i trattamenti artificiali di alimentazione e idratazione sono trattamenti medici e, come tali, rientrano in questo caso nella fattispecie di accanimento terapeutico
3) l’omicidio, il più grave dei reati, è punito con le pene più alte: il medico che interrompe, dietro volontà del paziente o del suo tutore, una situazione di accanimento terapeutico non è punito dalla legge; al contrario, lo sarebbe se si ostinasse a curare il paziente contro la sua volontà (abuso di ufficio).
4) a parte la scelta di ignorare il dramma di una famiglia (ma anche quello di altre 2500 nella stessa condizione) gli esponenti di Scienza & Vita hanno deciso di non riconoscere la figura dei giudici della Corte di Appello e della Corte di Cassazione che hanno sentenziato sul caso Englaro. La condanna capitale in Italia è infatti vietata dalla Costituzione (art. 27): cosa intendevano sostenere gli autori dell’appello, che in Italia i giudici non rispettano la Costituzione?
La Cei ha detto ieri che «togliere idratazione e alimentazione ad Eluana è eutanasia».
Va notato come nella frase, ripresa dalle agenzie, manchi l’aggettivo “artificiale”: come spiegato sopra, l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono, in questo caso, trattamenti sanitari e, dunque, da interrompere per volontà del padre che, come riconosciuto dalla legge, rappresenta quella della figlia.
L’eutanasia viene praticata in alcuni Paesi, l’Olanda ad esempio, per alleviare le sofferenze di pazienti terminali. La morte viene indotta con la somministrazione, prima di un sedativo, poi di una sostanza che blocca il battito cardiaco o interrompe la respirazione: è dunque un intervento attivo che viene effettuato dietro volontà del paziente e dopo la decisione di un giudice. Eluana non è una paziente terminale: non ha un male che la consuma giorno dopo giorno. Nessuno, inoltre, ha mai parlato di interrompere il suo battito cardiaco ricorrendo a farmaci. Eluana si trova invece in una situazione vegetativa permanente che si protrae nel tempo solo per i trattamenti di idratazione e alimentazione artificiali. Secondo quanto detto dal padre e dai giudici dopo 12 anni di valutazione del caso, questi trattamenti sono stati sempre effettuati contro la sua volontà.
Le sei bugie sul caso Englaro. Ecco come stanno le cose
di Luca Landò
Le sue condizioni. Eluana non ha più parola, percezione di dolore, fame o sete
La sua volontà. Una vita artificiale grazie a trattamenti sanitari. Che rifiutava
Il cervello di Eluana è stato irrimediabilmente compromesso la notte del 18 gennaio 1992 quando la sua auto slittò sul terreno ghiacciato e andò a sbattere contro un muro. L’incidente lasciò intatte le parti del cervello che controllano le funzioni fisiologiche primarie, come la respirazione e il battito cardiaco, che si trovano nel cosiddetto tronco encefalico. I danni più gravi riguardarono invece la corteccia cerebrale, una sorta di “cuffia” che avvolge il cervello e nella quale vengono elaborate funzioni più complesse come la parola, la visione, la percezione del dolore ma anche la fame e la sete. Quando i medici della clinica di Udine inizieranno a ridurre progressivamente l’idratazione e l’alimentazione artificiale, Eluana non si accorgerà di nulla, così come è da 17 anni che non avverte né fame, né sete, né dolore.
Dire che Eluana si possa riprendere dalla situazione in cui si trova (stato vegetativo permanente) è come dire che il treno su cui viaggiamo deraglierà sicuramente o che la casa in cui ci troviamo crollerà tra cinque minuti: tutto è possibile, ma le probabilità che simili eventi accadano sono talmente basse da non poter essere prese in considerazione ai fini delle nostre decisioni (altrimenti non viaggeremmo sui treni o non abiteremmo dentro case).
Eluana è stata definita la Terry Schiavo italiana, con riferimento alla giovane americana su cui si è accesa una violenta battaglia giuridica. Come scrive Maurizio Mori nel suo libro («Il caso Eluana Englaro», Pendragon Editore), «l’analogia è corretta per quanto riguarda l’aspetto clinico (in entrambi i casi si parla di stato vegetativo permanente), è invece sbagliata per quanto riguarda i risvolti giuridici». La vicenda di Terri Schiavo divenne una “caso” per via della fortissima divergenza tra i famigliari. Il marito asseriva che lei non avrebbe mai voluto restare in stato vegetativo e chiedeva la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiali; al contrario, il padre, la madre e il fratello della donna sostenevano che quella non era la volontà di Terri.
«Il caso Eluana - ricorda Mori, che ben conosce la famiglia - non ha mai presentato alcun contrasto tra i famigliari. Anzi, la situazione è diametralmente opposta: i genitori Englaro sono perfettamente concordi circa la sospensione dei trattamenti».
Il caso Terri Schiavo, semmai, insegna un’altra cosa: l’autopsia eseguita subito dopo la morte della donna rivelò che il cervello si era irrimediabilmente atrofizzato al punto da pesare soltanto 615 grammi (circa la metà del normale). Quell’esame stabilì senza ombra di dubbio che le sue condizioni erano «irreversibili e che nessun tipo di terapia o cura riabilitativa avrebbero potuto cambiare le cose», come disse il dottor John R. Thogmartin, patologo del sesto distretto giudiziario della Florida che condusse l’autopsia.
Dicono: interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiale ad Eluana è come togliere il pane e l’acqua a una persona. L’analogia fa effetto ma è sbagliata: si tratta infatti di trattamenti sanitari che richiedono un intervento del medico sia per quanto la modalità di somministrazione (nel caso di Eluana un sondino nasogastrico) sia per il tipo sostanze inserite (non un frullato di frutta preparato in cucina ma una miscela di proteine, vitamine e quant’altro indicate dietro rigorosa prescrizione medica). Se si decide di interrompere ogni forma di accanimento terapeutico, come in questo caso, è giusto sospendere anche questi trattamenti artificiali.
Maurizio Gasparri, presidente dei Senatori PdL, ha detto ieri che «è iniziato l’omicidio di Eluana», frase che si accompagna a quella di Enrico La Loggia, vicepresidente del Gruppo PdL alla Camera («A Udine si sta per compiere un vero e proprio omicidio») e a quella del cardinale Barragan («Fermate quella mano assassina»). Infine l’associazione cattolica «Scienza & Vita», lo scorso anno, ha lanciato un appello che iniziava con queste parole: No alla prima esecuzione capitale della storia repubblicana».
Prima di usare simili espressioni, pronunciate al solo scopo di stimolare emozioni e attirare attenzione, sarebbe bene riflettere su alcuni punti:
1) l’articolo 32 della Costituzione dice che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario» e che «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Proprio di recente, una donna a cui si è prospettata la necessità di amputare un arto, ha deciso di rifiutare l’intervento anche se questa scelta le è costata la vita;
2) il padre di Eluana ha percorso tutto l’iter del nostro sistema giudiziario prima di ottenere l’autorizzazione a interrompere i trattamenti artificiali di alimentazione e idratazione che da 17 anni tengono in vita il corpo di Eluana. I giudici hanno riconosciuto: a) che il padre ha svolto il ruolo di tutore delle volontà della figlia (che non avrebbe voluto vivere in condizioni di stato vegetativo); b) che i trattamenti artificiali di alimentazione e idratazione sono trattamenti medici e, come tali, rientrano in questo caso nella fattispecie di accanimento terapeutico
3) l’omicidio, il più grave dei reati, è punito con le pene più alte: il medico che interrompe, dietro volontà del paziente o del suo tutore, una situazione di accanimento terapeutico non è punito dalla legge; al contrario, lo sarebbe se si ostinasse a curare il paziente contro la sua volontà (abuso di ufficio).
4) a parte la scelta di ignorare il dramma di una famiglia (ma anche quello di altre 2500 nella stessa condizione) gli esponenti di Scienza & Vita hanno deciso di non riconoscere la figura dei giudici della Corte di Appello e della Corte di Cassazione che hanno sentenziato sul caso Englaro. La condanna capitale in Italia è infatti vietata dalla Costituzione (art. 27): cosa intendevano sostenere gli autori dell’appello, che in Italia i giudici non rispettano la Costituzione?
La Cei ha detto ieri che «togliere idratazione e alimentazione ad Eluana è eutanasia».
Va notato come nella frase, ripresa dalle agenzie, manchi l’aggettivo “artificiale”: come spiegato sopra, l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono, in questo caso, trattamenti sanitari e, dunque, da interrompere per volontà del padre che, come riconosciuto dalla legge, rappresenta quella della figlia.
L’eutanasia viene praticata in alcuni Paesi, l’Olanda ad esempio, per alleviare le sofferenze di pazienti terminali. La morte viene indotta con la somministrazione, prima di un sedativo, poi di una sostanza che blocca il battito cardiaco o interrompe la respirazione: è dunque un intervento attivo che viene effettuato dietro volontà del paziente e dopo la decisione di un giudice. Eluana non è una paziente terminale: non ha un male che la consuma giorno dopo giorno. Nessuno, inoltre, ha mai parlato di interrompere il suo battito cardiaco ricorrendo a farmaci. Eluana si trova invece in una situazione vegetativa permanente che si protrae nel tempo solo per i trattamenti di idratazione e alimentazione artificiali. Secondo quanto detto dal padre e dai giudici dopo 12 anni di valutazione del caso, questi trattamenti sono stati sempre effettuati contro la sua volontà.
Nessun commento:
Posta un commento