sabato 14 febbraio 2009

Lo Stato non può obbligare il cittadino a farsi curare

Lo Stato non può obbligare il cittadino a farsi curare

Il Gazzettino del 13 febbraio 2009, pag. 13

di Massimo Fini

Adesso che si è conclusa la vicenda umana di Eluana Englaro, il Parlamento varerà una legge sul testamento biologico. Non vorrei che nelle more dei provvedimento, in questo clima esagitato, saltasse un fondamentale diritto, costituzionalmente garantito, dei cittadini che, a differenza della Englaro, sono nel pieno possesso delle loro facoltà mentali. La Costituzione all`articolo 32 recita: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario». È quindi del tutto fuorviante quanto ha affermato Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, a "Porta a porta", e cioè che il diritto del malato si limiterebbe alla scelta della cura. Io posso rifiutare qualsiasi cura. Se vado in ospedale e mi diagnosticano un tumore posso uscire e andarmene per i fatti miei. E se i medici cercassero di trattenermi sarebbero responsabili di sequestro di persona («La libertà personale è inviolabile» art. 13 Cost.). Non esiste nessun obbligo in caso di malato cosciente di sommi- nistrargli cibo e acqua se non li vuole, perché non esiste nessun obbligo di alimentarsi. Tanto più se si pretende di farlo inserendomi un tubo nella pancia. Quando Pannella fa lo sciopero della fame e della sete non interviene nessun medico o polizia per impedirglielo. Affermare il contrario e cioè che il malato cosciente ha l`obbligo di farsi curare o alimentare significa consegnare il cittadino allo Stato o alle equipe mediche togliendogli la libertà su scelte privatissime (che è l`esatto contrario di quanto sostiene Berlusconi). Richiamo queste cose che dovrebbero essere elementari perché in questi giorni ho visto fare strame di ogni principio dello stato di diritto, democratico e liberale. Il decreto e il disegno di legge del governo sul caso Englaro sarebbe stato incostituzionale se avesse preteso come pretendeva - di annullare una sentenza definitiva della Cassazione, passata in giudicato. Perché il governo si sarebbe costituito come quarto grado di giudizio, violando il principio fondamentale della separazione dei poteri dello Stato (sarebbe come se i magistrati pretendessero di emanare una legge). Se passasse questa aberrante concezione domani il governo non convinto, poniamo, delle motivazioni della sentenza che ha condannato la Franzoni potrebbe annullarla o sospenderla mandando libera la donna... La Procura di Udine aveva iniziato un`inchiesta sulla base di esposti che la invitavano a verificare la reale volontà della Englaro. A questi esposti la Procura di Udine, se proprio voleva essere gentile, avrebbe potuto rispondere allegando la sentenza della Cassazione che su quella volontà si era già pronunciata. Perché in diritto vale il principio "ne bis in idem": lo stesso fatto non può essere giudicato due volte. In questi giorni l`Italia ha dato un desolante spettacolo di sè. Destra e sinistra hanno inscenato indecorose gazzarre trincerandosi entrambe dietro un improbabile, ipocrita amore per la Englaro. Non si può amare una persona in astratto. Credo alle brave suorine che l`hanno custodita per tanti anni, non posso credere a Maurizio Gasparri o a chi per lui. Sotto le finestre dove agonizzava la Englaro si sono radunati, appropriandosene, gruppi di cattolici e gruppi di laici, schiamazzanti, bercianti, slogananti, senza nessun rispetto, senza nessuna misericordia per la donna e i suoi familiari. Si è voluto dividere il Paese fra i "difensori della vita" e "i cupi partigiani della morte". Ai primi non è venuto il dubbio, perlomeno il dubbio, che invece che il diritto alla vita stavano difendendo il diritto alla tortura? Perché Eluana Englaro è stata torturata per diciassette anni. Non era sufficente»? Un`ultima considerazione. «Nel Medioevo le agonie erano molto dolorose ma molto brevi, due o tre giorni al massimo» scrive Philippe Ariès in "Storie della morte in Occidente". La medicina tecnologia avrà anche allungato la vita ma al prezzo, molto spesso, di inutili, atroci, lunghissime agonie. Che possono durare anche diciassette anni.

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