La rabbia di Marino: «Peggio della legge 40»
Il Riformista del 28 gennaio 2009, pag. 7
di Tommaso Labate
«Peggio della legge 40». Nel giorno in cui il dibattito al Senato sul testamento biologico entra nel vivo è il senatore del Pd Ignazio Marino a prefigurare il più oscuro degli scenari, che comprende anche il rischio di «una selva di ricorsi ai tribunali» e quello di «un referendum». L’accusa che il parlamentare, chirurgo (cattolico) di fama internazionale, affida al Riformista rimanda a quanto successe nel 2004 con la legge sulla fecondazione assistita. «Mi sembra - dice Marino - che si profili uno scenario peggiore di quello della legge 40. Perché appare evidente l’intenzione di negare al cittadino un diritto già presente nella Costituzione italiana: quello di scegliere a quali terapie sottoporsi e a quali non sottoporsi». La maggioranza, seppur con qualche distinguo, difende il testo base presentato in commissione dal senatore del Pdl Calabrò. Il Pd, invece, si divide tra chi (come Marino) chiede al partito di uscire «dall’indecisione»; e chi, come il blocco veltronian-popolare, insiste sul fatto che «una posizione condivisa» già c’è. «Il Pd ha elaborato un disegno di legge: è una proposta equilibrata e di mediazione. Non capisco la necessità di inviare la lettera a un giornale, e poi di posizioni ideologiche in Italia ce ne sono anche troppe», ha detto Rosy Bindi riferendosi a un testo inviato ieri da Marino a Repubblica. Sulla scia del vicepresidente della Camera è intervenuto costituzionalista Stefano Ceccanti: «Sul testamento biologico non è tempo di piantare bandierine individuali odi piccolo gruppo. Non si può discutere oggi come se il Pd non avesse assunto una chiara posizione comune», ha sottolineato il senatore (molto vicino a Veltroni) rimandando alla sintesi espressa dal popolare Di Giovan Paolo sabato su Europa.
La tesi di Marino è che, tra gli obiettivi del Pdl, ci sia anche quello di indebolire la magistratura. La stessa magistratura che - in più sedi - ha dato ragione a Beppino Englaro. «E’ evidente - ha spiegato il senatore pd - che tra i disegni di questa maggioranza c’è quello di indebolire uno dei poteri costitutivi della nostra Repubblica. Era già chiaro quest’estate, quando è stato sollevato il conflitto di attribuzione, che a molti in questo paese non piace che ci sia una magistratura indipendente». La risposta del centrodestra è arrivata con una sfilza di dichiarazioni a mezzo agenzia. «Marino vuole la tecnocrazia (Quagliariello). «L’acrimonia di Marino mi rattrista», (Gasparri, che a sua volta era stato attaccato dal senatore pd). Maggioranza che si dimostra compatta. Opposizione che sembra divisa, con nove senatori pd (tra cui la teodem Baio Dossi) che plaudono al testo del Pdl. Lo scenario è pressoché identico a quello che, nel 2004, portò all’approvazione della legge (40) sulla fecondazione assistita. Con una differenza, rispetto ad allora: questa volta c’è il Pd. «E il Pd - spiega Giorgio Tonini - una sua posizione l’ha maturata. Il caso Eluana? Più la politica rimane lontana da questo caso, meglio è. C’è una sentenza e questa sentenza va applicata». Non la pensa così il governatore lombardo Formigoni. Che, all’indomani del pronunciamento del Tar, ha chiarito: «Per ora non ottemperiamo alla sentenza».
Il Riformista del 28 gennaio 2009, pag. 7
di Tommaso Labate
«Peggio della legge 40». Nel giorno in cui il dibattito al Senato sul testamento biologico entra nel vivo è il senatore del Pd Ignazio Marino a prefigurare il più oscuro degli scenari, che comprende anche il rischio di «una selva di ricorsi ai tribunali» e quello di «un referendum». L’accusa che il parlamentare, chirurgo (cattolico) di fama internazionale, affida al Riformista rimanda a quanto successe nel 2004 con la legge sulla fecondazione assistita. «Mi sembra - dice Marino - che si profili uno scenario peggiore di quello della legge 40. Perché appare evidente l’intenzione di negare al cittadino un diritto già presente nella Costituzione italiana: quello di scegliere a quali terapie sottoporsi e a quali non sottoporsi». La maggioranza, seppur con qualche distinguo, difende il testo base presentato in commissione dal senatore del Pdl Calabrò. Il Pd, invece, si divide tra chi (come Marino) chiede al partito di uscire «dall’indecisione»; e chi, come il blocco veltronian-popolare, insiste sul fatto che «una posizione condivisa» già c’è. «Il Pd ha elaborato un disegno di legge: è una proposta equilibrata e di mediazione. Non capisco la necessità di inviare la lettera a un giornale, e poi di posizioni ideologiche in Italia ce ne sono anche troppe», ha detto Rosy Bindi riferendosi a un testo inviato ieri da Marino a Repubblica. Sulla scia del vicepresidente della Camera è intervenuto costituzionalista Stefano Ceccanti: «Sul testamento biologico non è tempo di piantare bandierine individuali odi piccolo gruppo. Non si può discutere oggi come se il Pd non avesse assunto una chiara posizione comune», ha sottolineato il senatore (molto vicino a Veltroni) rimandando alla sintesi espressa dal popolare Di Giovan Paolo sabato su Europa.
La tesi di Marino è che, tra gli obiettivi del Pdl, ci sia anche quello di indebolire la magistratura. La stessa magistratura che - in più sedi - ha dato ragione a Beppino Englaro. «E’ evidente - ha spiegato il senatore pd - che tra i disegni di questa maggioranza c’è quello di indebolire uno dei poteri costitutivi della nostra Repubblica. Era già chiaro quest’estate, quando è stato sollevato il conflitto di attribuzione, che a molti in questo paese non piace che ci sia una magistratura indipendente». La risposta del centrodestra è arrivata con una sfilza di dichiarazioni a mezzo agenzia. «Marino vuole la tecnocrazia (Quagliariello). «L’acrimonia di Marino mi rattrista», (Gasparri, che a sua volta era stato attaccato dal senatore pd). Maggioranza che si dimostra compatta. Opposizione che sembra divisa, con nove senatori pd (tra cui la teodem Baio Dossi) che plaudono al testo del Pdl. Lo scenario è pressoché identico a quello che, nel 2004, portò all’approvazione della legge (40) sulla fecondazione assistita. Con una differenza, rispetto ad allora: questa volta c’è il Pd. «E il Pd - spiega Giorgio Tonini - una sua posizione l’ha maturata. Il caso Eluana? Più la politica rimane lontana da questo caso, meglio è. C’è una sentenza e questa sentenza va applicata». Non la pensa così il governatore lombardo Formigoni. Che, all’indomani del pronunciamento del Tar, ha chiarito: «Per ora non ottemperiamo alla sentenza».
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