martedì 3 marzo 2009

Testamento biologico. Ddl del governo contro la Costituzione

l’Unità 3.3.09
Testamento biologico. Ddl del governo contro la Costituzione
di Tania Groppi, Università di Siena

Altro che testamento biologico. Uno dei problemi del disegno di legge all'esame del Senato è che non solo e non tanto di testamento biologico si tratta.
Infatti, con questo testo si pretende di disciplinare, in tutti i suoi aspetti, la fine della vita. E lo si fa determinando un arretramento, incostituzionale, rispetto a principi finora pacifici.
Non è vero che ci sia un vuoto giuridico sul "fine vita" nel nostro ordinamento. Il diritto non coincide per intero con la legge: nel silenzio di questa esistono principi di ordine costituzionale, internazionale, deontologico e giurisprudenziale che hanno raggiunto da anni una serie di punti fermi.
E' ormai riconosciuto il diritto al rifiuto di trattamenti sanitari, anche di sostegno vitale, da parte del soggetto capace di intendere e di volere. In conseguenza del principio del consenso informato. Il fondamento sono gli artt. 13 e 32 della Costituzione e l'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, trasfusi poi nel Codice di deontologia medica, in pareri del Comitato di bioetica, nella giurisprudenza della Cassazione. Ciò significa che il paziente può rifiutare qualsiasi trattamento, anche necessario a mantenerlo in vita.
Esiste, in definitiva, un principio di "disponibilità condizionata" del bene vita, che esclude sia un generale diritto di morire, sia un'assoluta indisponibilità della propria esistenza.
Ebbene, il disegno di legge rimette in discussione anche questo aspetto. Altro che disciplina del testamento biologico! Qui si pretende di coartare la volontà, attuale e presente, di chi è perfettamente capace.
Il diritto alla vita viene definito "indisponibile" fin dall'art.1 del testo, per stabilire poi che il medico, anche se il paziente rifiuta, debba comunque procedere ai trattamenti necessari a mantenerlo in vita: attaccarlo a un respiratore artificiale, praticare una trasfusione, amputare un arto…
Si tratta di una disciplina che non solo determina un arretramento, ma è palesemente incostituzionale. Essa viola l'art.32, comma 2, della Costituzione, secondo il quale "nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge", legge che non può "in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". E' difficile negare che imporre a un malato con la forza trattamenti che lo tengono in vita contro la sua volontà, del tutto ingiustificati da istanze di salute pubblica, sia in contrasto con la dignità della persona. Ancora una volta, non resta che prendere atto della lucidità dei Padri Costituenti e della miopia dei nostri attuali legislatori. Se questa è la voce del Parlamento, meglio il silenzio.

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