Legge inutile e umiliante
Liberazione del 27 marzo 2009, pag. 2
Mario Riccio
Abbiamo assistito ad un dibattito dai toni tragicomici. E mi limito alla sola parte tecnica, quella che conosco e che pratico ogni giorno. L`insostenibilità giuridica del testo di legge licenziato dal Senato è di tale evidenza che non necessita di alcun ulteriore approfondimento. La maggioranza infatti si è mossa spinta dalla convinzione che una legge sul fine vita dovesse colmare un vuoto legislativo. Al contrario c`è un pieno legislativo, per citare l`espressione del prof. Rodotà. I giudici nelle recenti sentenze Welby ed Englaro hanno - come ovvio - rispettato le leggi oggi già esistenti. Ed in particolare la Carta Costituzionale, i cui contenuti sono da anteporre a qualsiasi altra norma di rango necessariamente minore. Tale considerazione, in sintesi, aveva dominato anche la decisone della Corte Costituzionale quando ha dichiarato inammissibile il ricorso - sollevato da Camera e Senato nei confronti della Cassazione e della Corte di Appello di Milano per i loro pronunciamenti sul caso Englaro. Non mi soffermo sul carattere eversivo di tale vano tentativo di attacco alla indipendenza della magistratura. Ma ieri nell`aula del Senato abbiamo ancora una volta sentito dichiarazioni circa sentenze creative e la volontà di sostituirsi da parte della magistratura al potere legislativo. La legge licenziata dal Senato risulta inutile, nel senso letterario del termine. Infatti le volontà contenute in una dichiarazione anticipata di trattamento non hanno alcuna certezza di essere rispettate, visto che è riconosciuta al medico la totale arbitrarietà del rispetto o meno dei contenuti. La non vincolatività - garantita dalla legge - rende di fatto la compilazione di un testamento di vita un esercizio del tutto inutile. Ed anche umiliante per il paziente, che rischia di indicare una volontà che potrebbe trovarsi addirittura in contrasto con quanto il medico gli imporrà, approfittando del suo stato di incapacità di intendere e volere. Una lettura estremamente rigorosa di questa legge potrebbe addirittura inficiare anche lo strumento del consenso all`atto chirurgico. Il chirurgo potrebbe cioè modificare causa lo stato di incapacità del paziente in anestesia generale - il tipo di intervento concordato preventivamente con il paziente stesso. Il testo di legge è dominato dalla astrattezza e vaghezza terminologica, che mal si adattano ad una legge che insiste in un campo scientifico. Vale come esempio per tutti il termine di accanimento terapeutico, concetto che nessuno può definire con certezza. Salvo poter decidere, ovviamente solo per se, quale sia un limite di tollerabilità alla terapia medica. L`amputazione di una gamba? Il vivere connesso ad un respiratore artificiale? Il sottoporsi per tutta la vita residua alla dialisi? Essere oggi trasfuso con il sangue altrui e domani forse con il sangue proveniente da cellule staminali embrionali? Ma il ragionamento tecnico-giuridico più insostenibile, per non definirlo altrimenti, è stato utilizzato per imporre la terapia nutrizionale. Premesso che la diatriba sul carattere terapeutico o meno della stessa appartiene solo al nostro paese. Neanche nell’America di Bush ai tempi del caso Terry Schiavo, c`è stato il coraggio da parte del mondo conservatore - né dello stesso Bush - di sollevare tale ridicola battaglia. La nostra maggioranza invece impone per legge la terapia nutrizionale in ragione del fatto che rappresenta una forma di sostegno vitale e non una terapia. Poiché le due definizioni spesso coincidono, ne dovrebbe derivare - per quei principi di logica assenti nella legge - che tutte le forme di sostegno vitale non potrebbero essere sospese. Tali sono - nei reparti di aria critica - la ventilazione polmonare, la dialisi, la trasfusione di sangue, la somministrazione di antibiotici e di quei farmaci che sostengono più o meno completamente la funzione cardiaca. Oggi nel nostro paese si è stabilito per legge che il sole gira intorno alla terra. Senza dimenticare che tale questione è stata realmente affrontata in un passato che è cronologicamente lontano, ma che sembra pericolosamente ritornare.
Liberazione del 27 marzo 2009, pag. 2
Mario Riccio
Abbiamo assistito ad un dibattito dai toni tragicomici. E mi limito alla sola parte tecnica, quella che conosco e che pratico ogni giorno. L`insostenibilità giuridica del testo di legge licenziato dal Senato è di tale evidenza che non necessita di alcun ulteriore approfondimento. La maggioranza infatti si è mossa spinta dalla convinzione che una legge sul fine vita dovesse colmare un vuoto legislativo. Al contrario c`è un pieno legislativo, per citare l`espressione del prof. Rodotà. I giudici nelle recenti sentenze Welby ed Englaro hanno - come ovvio - rispettato le leggi oggi già esistenti. Ed in particolare la Carta Costituzionale, i cui contenuti sono da anteporre a qualsiasi altra norma di rango necessariamente minore. Tale considerazione, in sintesi, aveva dominato anche la decisone della Corte Costituzionale quando ha dichiarato inammissibile il ricorso - sollevato da Camera e Senato nei confronti della Cassazione e della Corte di Appello di Milano per i loro pronunciamenti sul caso Englaro. Non mi soffermo sul carattere eversivo di tale vano tentativo di attacco alla indipendenza della magistratura. Ma ieri nell`aula del Senato abbiamo ancora una volta sentito dichiarazioni circa sentenze creative e la volontà di sostituirsi da parte della magistratura al potere legislativo. La legge licenziata dal Senato risulta inutile, nel senso letterario del termine. Infatti le volontà contenute in una dichiarazione anticipata di trattamento non hanno alcuna certezza di essere rispettate, visto che è riconosciuta al medico la totale arbitrarietà del rispetto o meno dei contenuti. La non vincolatività - garantita dalla legge - rende di fatto la compilazione di un testamento di vita un esercizio del tutto inutile. Ed anche umiliante per il paziente, che rischia di indicare una volontà che potrebbe trovarsi addirittura in contrasto con quanto il medico gli imporrà, approfittando del suo stato di incapacità di intendere e volere. Una lettura estremamente rigorosa di questa legge potrebbe addirittura inficiare anche lo strumento del consenso all`atto chirurgico. Il chirurgo potrebbe cioè modificare causa lo stato di incapacità del paziente in anestesia generale - il tipo di intervento concordato preventivamente con il paziente stesso. Il testo di legge è dominato dalla astrattezza e vaghezza terminologica, che mal si adattano ad una legge che insiste in un campo scientifico. Vale come esempio per tutti il termine di accanimento terapeutico, concetto che nessuno può definire con certezza. Salvo poter decidere, ovviamente solo per se, quale sia un limite di tollerabilità alla terapia medica. L`amputazione di una gamba? Il vivere connesso ad un respiratore artificiale? Il sottoporsi per tutta la vita residua alla dialisi? Essere oggi trasfuso con il sangue altrui e domani forse con il sangue proveniente da cellule staminali embrionali? Ma il ragionamento tecnico-giuridico più insostenibile, per non definirlo altrimenti, è stato utilizzato per imporre la terapia nutrizionale. Premesso che la diatriba sul carattere terapeutico o meno della stessa appartiene solo al nostro paese. Neanche nell’America di Bush ai tempi del caso Terry Schiavo, c`è stato il coraggio da parte del mondo conservatore - né dello stesso Bush - di sollevare tale ridicola battaglia. La nostra maggioranza invece impone per legge la terapia nutrizionale in ragione del fatto che rappresenta una forma di sostegno vitale e non una terapia. Poiché le due definizioni spesso coincidono, ne dovrebbe derivare - per quei principi di logica assenti nella legge - che tutte le forme di sostegno vitale non potrebbero essere sospese. Tali sono - nei reparti di aria critica - la ventilazione polmonare, la dialisi, la trasfusione di sangue, la somministrazione di antibiotici e di quei farmaci che sostengono più o meno completamente la funzione cardiaca. Oggi nel nostro paese si è stabilito per legge che il sole gira intorno alla terra. Senza dimenticare che tale questione è stata realmente affrontata in un passato che è cronologicamente lontano, ma che sembra pericolosamente ritornare.
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