Il manifesto 17.3.09
Né buona né cattiva, la Natura è indifferente . Questioni di vita e di morte
di Maurizio Mori
Testamento biologico. Una tappa necessaria di quel grande processo storico chiamato rivoluzione biomedica, che a sua volta è una sorta di prosecuzione della rivoluzione industriale. Come questa ha prodotto l'Illuminismo e la filosofia moderna, sgretolando il millenario sistema aristocratico, così la bioetica, come movimento culturale, sta mandando in frantumi l'antico vitalismo ippocratico Come è stato riconosciuto anche dai vescovi tedeschi in un documento spacciato oggi come «apertura all'eutanasia» (documento datato già dal 1999, la cui traduzione viene anticipata dalla stampa italiana e sarà integralmente pubblicata sul prossimo numero di «Micromega») la richiesta del testamento biologico, sul quale si dibatte in questi giorni, dipende dal fatto che è aumentata l'esigenza di controllo sulla fase finale della propria vita. Mentre il normale testamento dà corpo alla volontà dell'interessato per quanto riguarda i beni materiali, il testamento biologico pretende di dar corso alla volontà dell'interessato circa la propria esistenza. Il termine americano esplicita ancor meglio questo aspetto: «living will» è la «volontà sul vivente» e allo stesso tempo «volontà vivente». Il volere dell'interessato è sovrano. Ma proprio questa sovranità disturba i fautori del vitalismo (oggi difeso dai cattolici) che preferiscono parlare di regolazione del «fine vita», espressione compatibile con posizioni che danno scarso o nullo rilievo alla nostra volontà. Mentre parlare di «testamento biologico» pone subito al centro, come sovrana, la volontà dell'interessato, parlare di «fine vita» potrebbe anche prescinderne o metterla in posizione marginale. Un salto di paradigma morale La terminologia usata non è innocente, e rimanda invece a un vero e proprio salto di paradigma morale, forse analogo a quello che si è avuto nel XIX secolo circa il diritto di voto. Come osservava Antonio Rosmini «la dottrina della rappresentanza personale fu recata al suo colmo dalla Rivoluzione francese ...(quando) poche centinaia al più di prepotenti sofisti decidevano la sorte di trenta milioni .... La massa del popolo non cerca e non cercherà mai tanto (di investigare le ragioni della legittimità dei sovrani) ma si sottometterà ben volentieri a que' padroni che comandano, e se fosse altramente sarebbe ben presto distrutto il mondo. ... il popolo (è) ... nato per venir diretto e condotto da capi ... (per) un sentimento ... infuso dalla benefica natura ... sentimento comprovato dai fatti di tutti i tempi ... (che) smentisce tutti i diritti che i ragionatori politici dei nostri tempi danno ai popoli». Oggi qualcosa di simile si dice dell'autodeterminazione in campo biomedico, e in particolare della fonte del testamento biologico: il consenso informato. C'è chi lo considera il punto cruciale, e chi invece ritiene che valga solo nel rispetto del disegno proprio del processo vitale - l'analogo della legittimità dei sovrani. Si suppone che la vita corra su dei propri binari, così la libertà umana sarebbe «autentica» o «vera» solo quando rispetta gli scambi previsti: come un locomotore è libero se viaggia rispettando i segnali e seguendo gli scambi, così l'uomo può dare il consenso informato solo per le scelte previste dal disegno insito nella vita, e la libertà (morale) sta nell'accettare o rifiutare quanto già indicato. Per questo il consenso dovrebbe essere solo «attuale» ossia dato quando si è già malati, e non prima. Si può anche dire, però, che l'uomo somiglia, più che a una locomotiva, a un fuoristrada o a un overcraft capace di andare ovunque, e che la libertà gli consente di spingersi anche nei terreni più scoscesi e accidentati. Grazie al consenso informato può esercitare questa libertà e scegliere tra diverse forme di contraccezione, di riproduzione, di modificazione del corpo e via dicendo. Nelle fasi finali della vita il consenso prende corpo nel testamento biologico, che consente all'individuo di far valere la propria libertà e le proprie volontà anche ove non fosse più in grado di scegliere di persona. Il testamento, quindi, allarga il consenso informato, e questo ampliamento è richiesto dal principio di eguaglianza che impone di trattare in modo uguale situazioni uguali: sarebbe incongruo, infatti, che la libertà valesse fino a che il soggetto è in grado di esercitarla e poi cessasse al punto che le volontà precedenti non contino e gli operatori sanitari o chi per essi possano operare in modo difforme da quelle volontà solo perché l'interessato ha perso la forza fisica di farle valere. L'eguaglianza richiede che ciò che vale nelle situazioni di coscienza continui a valere anche ove questa sia venuta meno. L'esito di un lungo processo Il testamento biologico estende il principio del consenso informato in due direzioni diverse: verso il futuro, in quanto consente la scelta «ora per allora»; e verso altre persone, perché consente all'interessato di scegliere un «fiduciario» che decida al suo posto in caso di incapacità. Dati gli elementi nuovi di questo ampliamento della libertà umana, sembra auspicabile una qualche norma che ne regoli la pratica. Ma deve essere una norma rivolta a garantire la puntuale esecuzione della volontà sovrana dell'interessato, e non studiata per far rientrare dalla finestra il vecchio paradigma che rimanda solo alla scelta del binario previsto dallo scambio. Purtroppo, l'attuale disegno di legge Calabrò in discussione in Parlamento sembra essere un attacco esplicito alla dottrina del «consenso informato» prima ancora che una farsa di regolazione del «testamento biologico». Il dibattito in corso nella politica italiana è di grande interesse perché non fa altro che dar voce al profondo contrasto tra i due paradigmi morali delineati. Il testamento biologico è un portato della bioetica come movimento culturale, e va visto non come evento isolato ma come tappa all'interno di quel grande processo storico chiamato rivoluzione biomedica, ossia una sorta di prosecuzione della rivoluzione industriale: come quest'ultima ha consentito un ampio controllo sul mondo inorganico, la rivoluzione biomedica sta consentendo un più puntuale controllo sul mondo organico. Come la rivoluzione industriale è stata «la più grande trasformazione dell'umanità di cui abbiamo documenti scritti» (Hobsbawm), così la rivoluzione biomedica comporterà trasformazioni di enorme portata (forse, ancor più sconvolgenti). Come la rivoluzione industriale ha prodotto l'Illuminismo e la filosofia moderna, sgretolando il millenario sistema aristocratico, così la rivoluzione biomedica sta producendo la bioetica come movimento culturale e mandando in frantumi l'antico vitalismo ippocratico. La concezione della vita che informa il paradigma vitalista risale a una protoreligione naturale che sta alla base delle diverse religioni storiche (ebraismo, cristianesimo, Islam, ecc.), le quali declinano in modo diverso la comune base della sacralità della vita (umana). Sacro e inviolabile, però, è il finalismo proprio del processo vitale, non la vita della persona. La sacralità della vita non vieta affatto l'«omicidio», dal momento che il divieto che lo riguarda ammette eccezioni, mentre i divieti derivanti dalla sacralità sono divieti assoluti, ossia che non ammettono mai deroghe. Ecco perché i fautori della sacralità si scagliano con forza contro la contraccezione, l'aborto, e così via, mentre possono tranquillamente avere reazioni più blande verso la guerra e altri attentati alla vita delle persone. Il cattolicesimo romano è l'indirizzo religioso che più di ogni altro ha elaborato con organicità e sistematicità il vitalismo ippocratico, la cui dottrina a molti appare essere una «cifra dell'umano» essendo stata da sempre presente nelle attuali condizioni d'esistenza. Ogni interferenza col disegno vitale appare quindi una profanazione, un atto contro la religiosità naturale che sgorgherebbe dall'osservazione del mistero della vita. Per questo i cattolici romani sostengono che le loro posizioni non sono affatto «religiose» (di fede) ma che sono semplicemente «umane» (di ragione), e sottolineano che gli argomenti addotti non si basano sulla Rivelazione, ma su considerazioni concernenti la natura della vita. Protestano di fronte ai tentativi di relegare nella dimensione «di fede» le loro pretese, osservando che la religiosità ha una valenza pubblica e una imprescindibile dimensione sociale, proprio perché sarebbe insita nella struttura dell'umano. Si può riconoscere che in effetti i cattolici romani tendono a evitare il ricorso a tesi rivelate, ma questo non risolve la difficoltà al riguardo. Il punto cruciale, infatti, sta nel fatto che le nuove conoscenze e capacità di controllo introdotte dalla rivoluzione biomedica stanno togliendo l'alone di mistero che ha avvolto il vivente fino a pochi anni fa. Assistiamo così ad un ampliamento del processo di secolarizzazione, che dopo aver coinvolto il mondo astronomico e fisico viene ora a coinvolgere il mondo biologico e biomedico. Se la rivoluzione astronomica ha reso silenziosi i cieli generando lo sgomento di Pascal, la rivoluzione biomedica rende silenziosi i finalismi vitali, sconvolgendo gli animi di molti abituati al vecchio paradigma vitalista. Dal punto di vista etico il nodo dirimente è che l'applicazione del metodo scientifico al vivente dissolve l'assioma cardine del vitalismo ippocratico, ossia che la vita (umana) sia buona in sé, e che la morte sia il peggiore dei mali. Al contrario, la concezione scientifica assume il principio di indifferenza della natura, che ci porta a distinguere tra la mera «vita biologica», che in sé non è né buona né cattiva, e la «vita biografica» che è buona o cattiva a seconda dei contenuti che presenta: è buona se i contenuti sono positivi, ed è cattiva se sono negativi. Per questo il consenso informato diventa il cardine dell'esistenza del cittadino. Non possiamo più presumere di sapere a priori se un dato intervento sia buono o cattivo per l'interessato. Per saperlo bisogna spiegarglielo e chiedergli il parere al riguardo, perché nessuno meglio dell'interessato può sapere che cosa gli interessa veramente. È vero che talvolta le persone sono confuse e non sanno discernere. Ma questa situazione è transitoria, e non può essere assunta come emblematica. Tra lasciar accadere e causare Per ora la richiesta avanzata nel testamento biologico riguarda solo la sospensione delle terapie o il rifiuto di interventi non voluti. Questo perché secondo alcuni c'è una significativa differenza logica tra il «lasciar accadere» e il «causare», cosicché in certe circostanze il lasciar morire sarebbe lecito, mentre l'uccidere sarebbe sempre illecito. Tralasciando qui le analisi fatte per mostrarne la sostanziale equivalenza, si può dire che l'idea che ci sia una radicale differenza sembra essere una sopravvivenza culturale derivante dall'idea che la natura è in sé buona e che l'uomo non è responsabile dell'azione della natura. Se, invece, si assume il principio d'indifferenza della natura, allora a parità di conseguenze la presunta differenza sfuma, perché cambia poco che un determinato effetto (stato del mondo) sia frutto di un «lasciar accadere» o invece di un «fare». Questo significa che, una volta riconosciuta all'individuo la facoltà di sospendere le terapie o di rifiutare gli interventi, questi possa legittimante richiedere anche atti positivi che comportino gli stessi effetti. Il passaggio dall'una all'altra richiesta non è di carattere logico, e dipende dalla presenza di condizioni storiche favorevoli al non lasciar accadere: per esempio lunghe e penose agonie. Laddove queste condizioni si determinassero, invece, trova giustificazione la richiesta di eutanasia (attiva), ossia di un atto che causi la morte. * Professore di bioetica all'Università di Torino e direttore di «Bioetica. Rivista interdisciplinare»
Letture sui problemi relativi alla fine della vita Qualche titolo per approfondire gli argomenti trattati in questa pagina. Un libro che nasce dal vissuto personale, ma teoricamente articolato è quello di Mario Riccio e Gianna Milano, «Storia di una morte opportuna. Il diario del medico che ha fatto la volontà di Welby» (Sironi Editore, Milano, 2008). Per maggiori notizie sull'ippocratismo è utile la lettura del volume di Maurizio Mori, «Il caso Eluana Englaro. La "Porta Pia" del vitalismo ippocratico» (Pendragon Edizioni, Bologna, 2008). Il ventaglio più completo delle posizioni riguardo ai problemi del fine vita è quello voluta dal senatore Ignazio Marino: Dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari. Raccolta dei contributi forniti alla commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica aggiornata al 21 febbraio 2007 (Libreria del Senato, Roma, 2007). Altri studi si trovano in vari fascicoli di «Bioetica. Rivista interdisciplinare» (Vicolo del Pavone editore, Piacenza), tra cui segnaliamo quello a cura di Mariella Immacolato, «Sul diritto di autodeterminazione», 2008, no. 1. Per altri contributi che hanno aperto la strada agli ultimi sviluppi nel campo, (a cura di) Borsellino, Patrizia, Dominique Feola e Lorena Forni, «Scelte sulle cure e incapacità: dall'amministratore di sostegno alle direttive anticipate», (Insubria University Press, Varese, 2007). Per una chiara esposizione della posizione cattolica prima del cambiamento a favore della legge, Casini Carlo, Marina Casini e Maria Luisa Di Pietro, «Testamento biologico: quale autodeterminazione?» (Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2007). Per quanto riguarda la riflessione etica, e dunque anche l'entrata in campo di questioni metafisiche, Hilary Putnam ha scritto un celebre libro, «Ethics Without Ontology» (Harvard University Press, 2004).
Né buona né cattiva, la Natura è indifferente . Questioni di vita e di morte
di Maurizio Mori
Testamento biologico. Una tappa necessaria di quel grande processo storico chiamato rivoluzione biomedica, che a sua volta è una sorta di prosecuzione della rivoluzione industriale. Come questa ha prodotto l'Illuminismo e la filosofia moderna, sgretolando il millenario sistema aristocratico, così la bioetica, come movimento culturale, sta mandando in frantumi l'antico vitalismo ippocratico Come è stato riconosciuto anche dai vescovi tedeschi in un documento spacciato oggi come «apertura all'eutanasia» (documento datato già dal 1999, la cui traduzione viene anticipata dalla stampa italiana e sarà integralmente pubblicata sul prossimo numero di «Micromega») la richiesta del testamento biologico, sul quale si dibatte in questi giorni, dipende dal fatto che è aumentata l'esigenza di controllo sulla fase finale della propria vita. Mentre il normale testamento dà corpo alla volontà dell'interessato per quanto riguarda i beni materiali, il testamento biologico pretende di dar corso alla volontà dell'interessato circa la propria esistenza. Il termine americano esplicita ancor meglio questo aspetto: «living will» è la «volontà sul vivente» e allo stesso tempo «volontà vivente». Il volere dell'interessato è sovrano. Ma proprio questa sovranità disturba i fautori del vitalismo (oggi difeso dai cattolici) che preferiscono parlare di regolazione del «fine vita», espressione compatibile con posizioni che danno scarso o nullo rilievo alla nostra volontà. Mentre parlare di «testamento biologico» pone subito al centro, come sovrana, la volontà dell'interessato, parlare di «fine vita» potrebbe anche prescinderne o metterla in posizione marginale. Un salto di paradigma morale La terminologia usata non è innocente, e rimanda invece a un vero e proprio salto di paradigma morale, forse analogo a quello che si è avuto nel XIX secolo circa il diritto di voto. Come osservava Antonio Rosmini «la dottrina della rappresentanza personale fu recata al suo colmo dalla Rivoluzione francese ...(quando) poche centinaia al più di prepotenti sofisti decidevano la sorte di trenta milioni .... La massa del popolo non cerca e non cercherà mai tanto (di investigare le ragioni della legittimità dei sovrani) ma si sottometterà ben volentieri a que' padroni che comandano, e se fosse altramente sarebbe ben presto distrutto il mondo. ... il popolo (è) ... nato per venir diretto e condotto da capi ... (per) un sentimento ... infuso dalla benefica natura ... sentimento comprovato dai fatti di tutti i tempi ... (che) smentisce tutti i diritti che i ragionatori politici dei nostri tempi danno ai popoli». Oggi qualcosa di simile si dice dell'autodeterminazione in campo biomedico, e in particolare della fonte del testamento biologico: il consenso informato. C'è chi lo considera il punto cruciale, e chi invece ritiene che valga solo nel rispetto del disegno proprio del processo vitale - l'analogo della legittimità dei sovrani. Si suppone che la vita corra su dei propri binari, così la libertà umana sarebbe «autentica» o «vera» solo quando rispetta gli scambi previsti: come un locomotore è libero se viaggia rispettando i segnali e seguendo gli scambi, così l'uomo può dare il consenso informato solo per le scelte previste dal disegno insito nella vita, e la libertà (morale) sta nell'accettare o rifiutare quanto già indicato. Per questo il consenso dovrebbe essere solo «attuale» ossia dato quando si è già malati, e non prima. Si può anche dire, però, che l'uomo somiglia, più che a una locomotiva, a un fuoristrada o a un overcraft capace di andare ovunque, e che la libertà gli consente di spingersi anche nei terreni più scoscesi e accidentati. Grazie al consenso informato può esercitare questa libertà e scegliere tra diverse forme di contraccezione, di riproduzione, di modificazione del corpo e via dicendo. Nelle fasi finali della vita il consenso prende corpo nel testamento biologico, che consente all'individuo di far valere la propria libertà e le proprie volontà anche ove non fosse più in grado di scegliere di persona. Il testamento, quindi, allarga il consenso informato, e questo ampliamento è richiesto dal principio di eguaglianza che impone di trattare in modo uguale situazioni uguali: sarebbe incongruo, infatti, che la libertà valesse fino a che il soggetto è in grado di esercitarla e poi cessasse al punto che le volontà precedenti non contino e gli operatori sanitari o chi per essi possano operare in modo difforme da quelle volontà solo perché l'interessato ha perso la forza fisica di farle valere. L'eguaglianza richiede che ciò che vale nelle situazioni di coscienza continui a valere anche ove questa sia venuta meno. L'esito di un lungo processo Il testamento biologico estende il principio del consenso informato in due direzioni diverse: verso il futuro, in quanto consente la scelta «ora per allora»; e verso altre persone, perché consente all'interessato di scegliere un «fiduciario» che decida al suo posto in caso di incapacità. Dati gli elementi nuovi di questo ampliamento della libertà umana, sembra auspicabile una qualche norma che ne regoli la pratica. Ma deve essere una norma rivolta a garantire la puntuale esecuzione della volontà sovrana dell'interessato, e non studiata per far rientrare dalla finestra il vecchio paradigma che rimanda solo alla scelta del binario previsto dallo scambio. Purtroppo, l'attuale disegno di legge Calabrò in discussione in Parlamento sembra essere un attacco esplicito alla dottrina del «consenso informato» prima ancora che una farsa di regolazione del «testamento biologico». Il dibattito in corso nella politica italiana è di grande interesse perché non fa altro che dar voce al profondo contrasto tra i due paradigmi morali delineati. Il testamento biologico è un portato della bioetica come movimento culturale, e va visto non come evento isolato ma come tappa all'interno di quel grande processo storico chiamato rivoluzione biomedica, ossia una sorta di prosecuzione della rivoluzione industriale: come quest'ultima ha consentito un ampio controllo sul mondo inorganico, la rivoluzione biomedica sta consentendo un più puntuale controllo sul mondo organico. Come la rivoluzione industriale è stata «la più grande trasformazione dell'umanità di cui abbiamo documenti scritti» (Hobsbawm), così la rivoluzione biomedica comporterà trasformazioni di enorme portata (forse, ancor più sconvolgenti). Come la rivoluzione industriale ha prodotto l'Illuminismo e la filosofia moderna, sgretolando il millenario sistema aristocratico, così la rivoluzione biomedica sta producendo la bioetica come movimento culturale e mandando in frantumi l'antico vitalismo ippocratico. La concezione della vita che informa il paradigma vitalista risale a una protoreligione naturale che sta alla base delle diverse religioni storiche (ebraismo, cristianesimo, Islam, ecc.), le quali declinano in modo diverso la comune base della sacralità della vita (umana). Sacro e inviolabile, però, è il finalismo proprio del processo vitale, non la vita della persona. La sacralità della vita non vieta affatto l'«omicidio», dal momento che il divieto che lo riguarda ammette eccezioni, mentre i divieti derivanti dalla sacralità sono divieti assoluti, ossia che non ammettono mai deroghe. Ecco perché i fautori della sacralità si scagliano con forza contro la contraccezione, l'aborto, e così via, mentre possono tranquillamente avere reazioni più blande verso la guerra e altri attentati alla vita delle persone. Il cattolicesimo romano è l'indirizzo religioso che più di ogni altro ha elaborato con organicità e sistematicità il vitalismo ippocratico, la cui dottrina a molti appare essere una «cifra dell'umano» essendo stata da sempre presente nelle attuali condizioni d'esistenza. Ogni interferenza col disegno vitale appare quindi una profanazione, un atto contro la religiosità naturale che sgorgherebbe dall'osservazione del mistero della vita. Per questo i cattolici romani sostengono che le loro posizioni non sono affatto «religiose» (di fede) ma che sono semplicemente «umane» (di ragione), e sottolineano che gli argomenti addotti non si basano sulla Rivelazione, ma su considerazioni concernenti la natura della vita. Protestano di fronte ai tentativi di relegare nella dimensione «di fede» le loro pretese, osservando che la religiosità ha una valenza pubblica e una imprescindibile dimensione sociale, proprio perché sarebbe insita nella struttura dell'umano. Si può riconoscere che in effetti i cattolici romani tendono a evitare il ricorso a tesi rivelate, ma questo non risolve la difficoltà al riguardo. Il punto cruciale, infatti, sta nel fatto che le nuove conoscenze e capacità di controllo introdotte dalla rivoluzione biomedica stanno togliendo l'alone di mistero che ha avvolto il vivente fino a pochi anni fa. Assistiamo così ad un ampliamento del processo di secolarizzazione, che dopo aver coinvolto il mondo astronomico e fisico viene ora a coinvolgere il mondo biologico e biomedico. Se la rivoluzione astronomica ha reso silenziosi i cieli generando lo sgomento di Pascal, la rivoluzione biomedica rende silenziosi i finalismi vitali, sconvolgendo gli animi di molti abituati al vecchio paradigma vitalista. Dal punto di vista etico il nodo dirimente è che l'applicazione del metodo scientifico al vivente dissolve l'assioma cardine del vitalismo ippocratico, ossia che la vita (umana) sia buona in sé, e che la morte sia il peggiore dei mali. Al contrario, la concezione scientifica assume il principio di indifferenza della natura, che ci porta a distinguere tra la mera «vita biologica», che in sé non è né buona né cattiva, e la «vita biografica» che è buona o cattiva a seconda dei contenuti che presenta: è buona se i contenuti sono positivi, ed è cattiva se sono negativi. Per questo il consenso informato diventa il cardine dell'esistenza del cittadino. Non possiamo più presumere di sapere a priori se un dato intervento sia buono o cattivo per l'interessato. Per saperlo bisogna spiegarglielo e chiedergli il parere al riguardo, perché nessuno meglio dell'interessato può sapere che cosa gli interessa veramente. È vero che talvolta le persone sono confuse e non sanno discernere. Ma questa situazione è transitoria, e non può essere assunta come emblematica. Tra lasciar accadere e causare Per ora la richiesta avanzata nel testamento biologico riguarda solo la sospensione delle terapie o il rifiuto di interventi non voluti. Questo perché secondo alcuni c'è una significativa differenza logica tra il «lasciar accadere» e il «causare», cosicché in certe circostanze il lasciar morire sarebbe lecito, mentre l'uccidere sarebbe sempre illecito. Tralasciando qui le analisi fatte per mostrarne la sostanziale equivalenza, si può dire che l'idea che ci sia una radicale differenza sembra essere una sopravvivenza culturale derivante dall'idea che la natura è in sé buona e che l'uomo non è responsabile dell'azione della natura. Se, invece, si assume il principio d'indifferenza della natura, allora a parità di conseguenze la presunta differenza sfuma, perché cambia poco che un determinato effetto (stato del mondo) sia frutto di un «lasciar accadere» o invece di un «fare». Questo significa che, una volta riconosciuta all'individuo la facoltà di sospendere le terapie o di rifiutare gli interventi, questi possa legittimante richiedere anche atti positivi che comportino gli stessi effetti. Il passaggio dall'una all'altra richiesta non è di carattere logico, e dipende dalla presenza di condizioni storiche favorevoli al non lasciar accadere: per esempio lunghe e penose agonie. Laddove queste condizioni si determinassero, invece, trova giustificazione la richiesta di eutanasia (attiva), ossia di un atto che causi la morte. * Professore di bioetica all'Università di Torino e direttore di «Bioetica. Rivista interdisciplinare»
Letture sui problemi relativi alla fine della vita Qualche titolo per approfondire gli argomenti trattati in questa pagina. Un libro che nasce dal vissuto personale, ma teoricamente articolato è quello di Mario Riccio e Gianna Milano, «Storia di una morte opportuna. Il diario del medico che ha fatto la volontà di Welby» (Sironi Editore, Milano, 2008). Per maggiori notizie sull'ippocratismo è utile la lettura del volume di Maurizio Mori, «Il caso Eluana Englaro. La "Porta Pia" del vitalismo ippocratico» (Pendragon Edizioni, Bologna, 2008). Il ventaglio più completo delle posizioni riguardo ai problemi del fine vita è quello voluta dal senatore Ignazio Marino: Dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari. Raccolta dei contributi forniti alla commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica aggiornata al 21 febbraio 2007 (Libreria del Senato, Roma, 2007). Altri studi si trovano in vari fascicoli di «Bioetica. Rivista interdisciplinare» (Vicolo del Pavone editore, Piacenza), tra cui segnaliamo quello a cura di Mariella Immacolato, «Sul diritto di autodeterminazione», 2008, no. 1. Per altri contributi che hanno aperto la strada agli ultimi sviluppi nel campo, (a cura di) Borsellino, Patrizia, Dominique Feola e Lorena Forni, «Scelte sulle cure e incapacità: dall'amministratore di sostegno alle direttive anticipate», (Insubria University Press, Varese, 2007). Per una chiara esposizione della posizione cattolica prima del cambiamento a favore della legge, Casini Carlo, Marina Casini e Maria Luisa Di Pietro, «Testamento biologico: quale autodeterminazione?» (Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2007). Per quanto riguarda la riflessione etica, e dunque anche l'entrata in campo di questioni metafisiche, Hilary Putnam ha scritto un celebre libro, «Ethics Without Ontology» (Harvard University Press, 2004).
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