lunedì 26 gennaio 2009

«Si rispetti la sentenza piaccia o non piaccia Sacconi ha sbagliato»

«Si rispetti la sentenza piaccia o non piaccia Sacconi ha sbagliato»

L'Unità del 26 gennaio 2009, pag. 20

di Federica Fantozzi

C’è una sentenza definitiva: piaccia o no, gli organi pubblici devono applicarla». Federico Sorrentino, già presidente dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, insegna diritto costituzionale alla Sapienza.



Professore, dove collocare il bandolo del caso Eluana Englaro?

«E’ una vicenda in cui sono intrecciati aspetti giuridici, morali, religiosi. E difficile dare risposte definitive».



Occorre però un punto fermo tra li sospendere l’alimentazione, come vuole la famiglia, o proseguirla, come ordina il ministro Sacconi.

«Esiste un decreto della Corte d’Appello confermato in Cassazione, quindi definitivo, che autorizza una certa soluzione. Gli organi pubblici, piaccia o non piaccia, sono tenuti a rispettarla. Salva l’obiezione di coscienza dei medici».



Se il ministro deve rispettare la sentenza, il suo atto di indirizzo che fondamento ha?

«È un atto fuori dalle sue competenze e sbagliato. Le Regioni sono libere di disapplicarlo senza averne conseguenze sul finanziamento».



Significa che non sono possibili sanzioni per i ‘disobbedienti’?

«Giuridicamente no. Non si può dire: tu hai attuato la sentenza Englaro e ti escludo dal servizio sanitario nazionale».



Una donna ha rifiutato un’amputazione ed è morta. Una persona incosciente non può farlo. Non è una discriminazione?

«Non è del tutto chiarito cosa sia l’accanimento terapeutico. Per me, chi vive solo perché una macchina le dà acqua e cibo riceve una terapia. E certo, se Eluana fosse in grado di decidere per se stessa non si potrebbe imporgliela».



Le sentenze dicono che alimentazione e idratazione artificiale sono terapie.

«Appunto, visto che non portano miglioramenti ma solo il prolungamento indefinito della vita, applicherei l’articolo 32 della Costituzione per cui le cure sono rifiutabili. Ma chiarirei un punto».



Quale, professore?

«Il passaggio più difficile della Cassazione è la ricostruzione della volontà di Eluana. Qui si tratta del diritto personalissimo alla cura o non cura, alla vita. Il suo esercizio da parte del rappresentante legale mi pare inappropriato».



Come accertare a posteriori la volontà di Eluana, allora?

«Direi che in assenza di una volontà attuale dovrebbe prevalere la speranza del domani e dunque il proseguimento delle terapie».



In sostanza, lei non condivide la sentenza ma è vincolato a rispettarla?

«Da giurista vedo una grande difficoltà a riferire ad altri la volontà della ragazza. Ma l’obiezione è superata dalla sentenza: viviamo in un ordinamento in cui i dubbi sono sciolti dai giudici».



La soluzione, in generale, è il testamento biologico?

«Sì perché in esso esprime una volontà deliberata e so che se perdo coscienza non potrò ritrattarla. Faccio una scelta proiettata nel futuro».



Se una legge imponesse la nutrizione artificiale, sarebbe costituzionalmente accettabile?

«Secondo me, no. Inciderebbe sulla libertà di scelta e sulla libertà personale. Violerebbe l’art. 13 della Carta».



L’art. 32 prevede che la legge possa imporre trattamenti sanitari. Sarebbe il caso delle terapie di fine vita?

«Esiste una giurisprudenza costituzionale che limita questi casi alle vaccinazioni. Si può imporre un trattamento sanitario solo se c’è un interesse della collettività».

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