Eluana, l’urgenza di una legge sul testamento biologico
Il Messaggero del 23 gennaio 2009, pag. 22
di Francesco Paolo Casavola
Varie ragioni militano a favore di un intervento legislativo sui problemi della fine della vita, e in particolare del cosiddetto testamento biologico. La prima tra esse tocca il sistema di tutela dei diritti individuali. Abbiamo constatato con preoccupazione che, in assenza di una disposizione legislativa, la richiesta di un cittadino al potere giudiziario di riconoscere un diritto, presente in Costituzione, ma non in una legge ordinaria, è andata incontro a varie obiezioni, una delle quali è di aver dato luogo ad una usurpazione di poteri, del giudiziario a danno del legislativo, quasi come se non fosse scritto nell’articolo 12 delle preleggi, in testa al nostro Codice civile, che mancando una esplicita disposizione di legge i giudici utilizzeranno casi simili, materie analoghe, principi generali dell’ordinamento, e oggi quella Costituzione che ai tempi, nel Codice civile del 1942 non era ancora nata. La Corte costituzionale ha sgombrato il campo da questo preteso conflitto tra poteri.
Ma l’esercizio del diritto riconosciuto è impedito sul piano amministrativo, per motivazioni che sono religiose, etiche, ideologiche, di schieramento politico. Dunque, è opportuno che il legislatore faccia la sua parte, ponendo fine a questo clima di disobbedienza civile, che non giova alla convivenza serena dei cittadini all’interno di uno Stato di diritto. Quanto alla nozione di Stato di diritto, non basta che in Costituzione i poteri siano distinti nella tripartizione classica di governo, parlamento e giurisdizione, se poi nella pratica a questi tre soggetti si indirizza il rimprovero di andar fuori dai propri confini. t la stessa opinione pubblica a rivolgere ai poteri domande distorte, a] governo che faccia le leggi che dovrebbe lasciare fare al Parlamento, a questo che dirima le controversie tra gli orientamenti dei cittadini con leggi che diano ragione agli uni e torto agli altri, ai giudici che rendano giustizia secondo il peso degli interessi contrapposti e non secondo umanità e ragionevolezza. In qualche modo, sono i cittadini stessi a destrutturare lo Stato di diritto, facilitati dalle confuse prassi che lo hanno da assai troppo tempo rovinosamente investito. Questa, del testamento biologico, può essere occasione di una prova virtuosa delle rappresentanze parlamentari per confezionare una legge che dinanzi a diverse istanze etiche le conduca ad una soluzione condivisa. Compito della legge, e in linea più generale del diritto, non è quello di far prevalere una posizione opprimendo quella opposta.
La legge deve governare una società che ha più filosofie e più religioni. Le società omogenee culturalmente appartengono al passato. Il legislatore deve sapersi tener lontano da polarità concettuali, di chi ritiene che la vita umana sia un oggetto di cui disporre senza rendere conto ad alcuno, sia di chi esclude che la singola persona possa esprimersi sulla conclusione della propria esistenza. Le parole di cui si rivestono queste diverse radicalità dicono troppo o troppo poco. La Convenzione di Oviedo sulla biomedicina del 1997 promette che i "desideri" del paziente saranno tenuti in conto, che il consenso informato vale a dare maggiore peso all’interesse del paziente che non a quello solo della scienza o della società. La Costituzione italiana, all’articolo 32, 2’ comma, stabilisce che nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge, e, inoltre, che neppure la legge può offendere la dignità umana.
Il legislatore deve saper disegnare la cornice del documento da valere perla fine della vita, i suoi requisiti di autenticità e di validità, la posizione del medico come garante della vita e non esecutore di un desiderio di morte.
Certo, si aggiungono dati clinici e tecnologici, come accanimento terapeutico, idratazione e alimentazione forzata, respirazione con macchine, stati vegetativi permanenti e quant’altro, che sono variabili dipendenti, non solo da caso a caso, ma anche dal progresso e dalla disponibilità di conoscenze scientifiche e di strumentazioni e attrezzature. Può il legislatore avventurarsi su questo terreno?
Una legge di principi sarebbe meno vulnerabile di una di regole tecniche. Ma perché i principi siano inclusivi e non escludenti le opzioni oggi in conflitto, occorre che la comunità, che vuole rispecchiarsi coesa e non discriminata nella legge, sia educata a capire che una legge ispirata alla libertà e dignità della persona non sanziona un comportamento obbligatorio. Quanti sono mossi da diversi convincimenti morali e religiosi sono liberi di decidere scelte diverse, senza che esse siano imposte ricorrendo alla forza della legge.
Il Messaggero del 23 gennaio 2009, pag. 22
di Francesco Paolo Casavola
Varie ragioni militano a favore di un intervento legislativo sui problemi della fine della vita, e in particolare del cosiddetto testamento biologico. La prima tra esse tocca il sistema di tutela dei diritti individuali. Abbiamo constatato con preoccupazione che, in assenza di una disposizione legislativa, la richiesta di un cittadino al potere giudiziario di riconoscere un diritto, presente in Costituzione, ma non in una legge ordinaria, è andata incontro a varie obiezioni, una delle quali è di aver dato luogo ad una usurpazione di poteri, del giudiziario a danno del legislativo, quasi come se non fosse scritto nell’articolo 12 delle preleggi, in testa al nostro Codice civile, che mancando una esplicita disposizione di legge i giudici utilizzeranno casi simili, materie analoghe, principi generali dell’ordinamento, e oggi quella Costituzione che ai tempi, nel Codice civile del 1942 non era ancora nata. La Corte costituzionale ha sgombrato il campo da questo preteso conflitto tra poteri.
Ma l’esercizio del diritto riconosciuto è impedito sul piano amministrativo, per motivazioni che sono religiose, etiche, ideologiche, di schieramento politico. Dunque, è opportuno che il legislatore faccia la sua parte, ponendo fine a questo clima di disobbedienza civile, che non giova alla convivenza serena dei cittadini all’interno di uno Stato di diritto. Quanto alla nozione di Stato di diritto, non basta che in Costituzione i poteri siano distinti nella tripartizione classica di governo, parlamento e giurisdizione, se poi nella pratica a questi tre soggetti si indirizza il rimprovero di andar fuori dai propri confini. t la stessa opinione pubblica a rivolgere ai poteri domande distorte, a] governo che faccia le leggi che dovrebbe lasciare fare al Parlamento, a questo che dirima le controversie tra gli orientamenti dei cittadini con leggi che diano ragione agli uni e torto agli altri, ai giudici che rendano giustizia secondo il peso degli interessi contrapposti e non secondo umanità e ragionevolezza. In qualche modo, sono i cittadini stessi a destrutturare lo Stato di diritto, facilitati dalle confuse prassi che lo hanno da assai troppo tempo rovinosamente investito. Questa, del testamento biologico, può essere occasione di una prova virtuosa delle rappresentanze parlamentari per confezionare una legge che dinanzi a diverse istanze etiche le conduca ad una soluzione condivisa. Compito della legge, e in linea più generale del diritto, non è quello di far prevalere una posizione opprimendo quella opposta.
La legge deve governare una società che ha più filosofie e più religioni. Le società omogenee culturalmente appartengono al passato. Il legislatore deve sapersi tener lontano da polarità concettuali, di chi ritiene che la vita umana sia un oggetto di cui disporre senza rendere conto ad alcuno, sia di chi esclude che la singola persona possa esprimersi sulla conclusione della propria esistenza. Le parole di cui si rivestono queste diverse radicalità dicono troppo o troppo poco. La Convenzione di Oviedo sulla biomedicina del 1997 promette che i "desideri" del paziente saranno tenuti in conto, che il consenso informato vale a dare maggiore peso all’interesse del paziente che non a quello solo della scienza o della società. La Costituzione italiana, all’articolo 32, 2’ comma, stabilisce che nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge, e, inoltre, che neppure la legge può offendere la dignità umana.
Il legislatore deve saper disegnare la cornice del documento da valere perla fine della vita, i suoi requisiti di autenticità e di validità, la posizione del medico come garante della vita e non esecutore di un desiderio di morte.
Certo, si aggiungono dati clinici e tecnologici, come accanimento terapeutico, idratazione e alimentazione forzata, respirazione con macchine, stati vegetativi permanenti e quant’altro, che sono variabili dipendenti, non solo da caso a caso, ma anche dal progresso e dalla disponibilità di conoscenze scientifiche e di strumentazioni e attrezzature. Può il legislatore avventurarsi su questo terreno?
Una legge di principi sarebbe meno vulnerabile di una di regole tecniche. Ma perché i principi siano inclusivi e non escludenti le opzioni oggi in conflitto, occorre che la comunità, che vuole rispecchiarsi coesa e non discriminata nella legge, sia educata a capire che una legge ispirata alla libertà e dignità della persona non sanziona un comportamento obbligatorio. Quanti sono mossi da diversi convincimenti morali e religiosi sono liberi di decidere scelte diverse, senza che esse siano imposte ricorrendo alla forza della legge.
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