"Diversamente viva", l’ultimo schiaffo a Eluana
Secolo XIX del 12 gennaio 2009, pag. 17
di Luisella Battaglia
Stiamo assistendo con pena e sgomento allo svolgersi della storia infinita di Eluana Englaro il cui ultimo capitolo - o dovremmo dire "stazione" - di un’inedita Via Crucis medico-burocratica contempla la sua promozione a «disabile» a seguito di un illuminante intervento di Eugenia Roccella. Roccella fa riferimento alla Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili per fondare un dovere incondizionato di cura e di assistenza che riguarderebbe anche la particolarissima disabilità di Eluana. Vale dunque la pena di leggere con attenzione tale documento entrato in vigore nel maggio del 2008 - che è stato definito il primo grande trattato sui diritti umani siglato nel terzo millennio, un potente strumento per sradicare ostacoli storici come la discriminazione, l’isolamento sociale, la marginalizzazione economica, la mancanza di opportunità di partecipazione alle decisioni in campo politico e economico.
Il testo, ampio e articolato, si compone di un preambolo, di 50 articoli e di un protocollo aggiuntivo che riguarda principalmente le procedure d’appello in caso di violazione dei diritti stabiliti dalla Convenzione stessa. Nel mondo si stima che vi siano almeno 650 milioni di persone con disabilità, l’80 per cento delle quali vive nei Paesi in via di sviluppo: si tratta, dunque, di un decimo della popolazione mondiale ma oltre due terzi dei membri delle Nazioni Unite non prevedono per esse, attualmente, nessuna protezione giuridica La Convenzione, che va a integrarsi con gli altri atti internazionali concernenti i diritti umani già esistenti, ha lo scopo di evidenziare la particolare situazione delle persone con disabilità, al fine di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento del diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, al lavoro, a una vita indipendente, alla mobilità, alla libertà d’espressione e, in generale, alla partecipazione alla vita politica e sociale.
Un problema molto dibattuto nel corso dell’elaborazione del documento è statala definizione stessa di disabilità. L’articolo 1 riporta la definizione sulla quale si è raggiunto l’unanime consenso: "menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali di lunga durata che, interagendo con varie barriere, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nella società". Una definizione che riesce francamente molto difficile applicare a Eluana che si trova da ben 17 anni in stato vegetativo permanente.
Alla luce di tali osservazioni non si può non segnalare, dopo l’iniziale sbigottimento, la prodigiosa estensione di un concetto che si colloca ormai tra due estremi: da "diversamente abile"- denominazione eufemistica e politicamente corretta che vuole indicare le abilità plurime e le possibilità comunque aperte a soggetti portatori di handicap - a "diversamente vivo" - denominazione anch’essa eufemistica e politicamente corretta nel suo valorizzare abilità residue e aprire possibilità insperate a soggetti, come Eluana Englaro, in stato di coma permanente.
Le associazioni dei disabili dovrebbero intervenire fermamente dinanzi all’uso - o abuso - ideologico del termine “disabilità"- e contrastare un’operazione politica assai ambigua il cui paradossale risultato è di equipararli a persone che non hanno una vita biografica ma solo biologica.
Oggi assistiamo a un graduale ma irreversibile scardinamento dei tabù connessi con la disabilità. Lo stesso drammatico incremento del fenomeno (dovuto a incidenti stradali o lavorativi o anche l’innalzamento dell’età media della popolazione) ha favorito la crescita di un dibattito che insiste sul fatto che la disabilità è una condizione da porre in relazione con un ambiente fisico, culturale, sociale che non appare in grado di valorizzare le abilità diverse che la persona possiede. D’altra parte, l’esperienza del limite che l’handicap inevitabilmente comporta è una dimensione strutturale dell’esperienza umana, un dato costitutivo - potremmo dire - della nostra natura. Ora tale condizione dolorosamente reale per milioni di persone nel mondo viene usata come arma per impedire, da un lato, l’attuazione della sentenza che consente di sospendere le cure a Eluana, e,dall’altro, per criminalizzare il padre che, anziché prestare la doverosa assistenza a un disabile, perseguirebbe tenacemente un proposito omicida. A quando la rituale evocazione della barbarie nazista e dei campi di sterminio?
In attesa della prossima puntata di una storia indegna di un Paese civile, occorre aggiungere che se Eluana è stata ambiguamente "promossa" a disabile, resta prima di tutto una cittadina affidata legalmente a un tutore - il padre - il quale può legalmente decidere in suo nome e per il suo migliore interesse sulla base anche - non si dimentichi - dei desideri da lei precedentemente espressi e che la Convenzione di Oviedo raccomanda di tenere in considerazione.
NOTE
Luisella Battaglia è docente di filosofia morale e bioetica all’ Universitàdi Genova e membro del Comitato nazionale per la bioetica.
Secolo XIX del 12 gennaio 2009, pag. 17
di Luisella Battaglia
Stiamo assistendo con pena e sgomento allo svolgersi della storia infinita di Eluana Englaro il cui ultimo capitolo - o dovremmo dire "stazione" - di un’inedita Via Crucis medico-burocratica contempla la sua promozione a «disabile» a seguito di un illuminante intervento di Eugenia Roccella. Roccella fa riferimento alla Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili per fondare un dovere incondizionato di cura e di assistenza che riguarderebbe anche la particolarissima disabilità di Eluana. Vale dunque la pena di leggere con attenzione tale documento entrato in vigore nel maggio del 2008 - che è stato definito il primo grande trattato sui diritti umani siglato nel terzo millennio, un potente strumento per sradicare ostacoli storici come la discriminazione, l’isolamento sociale, la marginalizzazione economica, la mancanza di opportunità di partecipazione alle decisioni in campo politico e economico.
Il testo, ampio e articolato, si compone di un preambolo, di 50 articoli e di un protocollo aggiuntivo che riguarda principalmente le procedure d’appello in caso di violazione dei diritti stabiliti dalla Convenzione stessa. Nel mondo si stima che vi siano almeno 650 milioni di persone con disabilità, l’80 per cento delle quali vive nei Paesi in via di sviluppo: si tratta, dunque, di un decimo della popolazione mondiale ma oltre due terzi dei membri delle Nazioni Unite non prevedono per esse, attualmente, nessuna protezione giuridica La Convenzione, che va a integrarsi con gli altri atti internazionali concernenti i diritti umani già esistenti, ha lo scopo di evidenziare la particolare situazione delle persone con disabilità, al fine di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento del diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, al lavoro, a una vita indipendente, alla mobilità, alla libertà d’espressione e, in generale, alla partecipazione alla vita politica e sociale.
Un problema molto dibattuto nel corso dell’elaborazione del documento è statala definizione stessa di disabilità. L’articolo 1 riporta la definizione sulla quale si è raggiunto l’unanime consenso: "menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali di lunga durata che, interagendo con varie barriere, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nella società". Una definizione che riesce francamente molto difficile applicare a Eluana che si trova da ben 17 anni in stato vegetativo permanente.
Alla luce di tali osservazioni non si può non segnalare, dopo l’iniziale sbigottimento, la prodigiosa estensione di un concetto che si colloca ormai tra due estremi: da "diversamente abile"- denominazione eufemistica e politicamente corretta che vuole indicare le abilità plurime e le possibilità comunque aperte a soggetti portatori di handicap - a "diversamente vivo" - denominazione anch’essa eufemistica e politicamente corretta nel suo valorizzare abilità residue e aprire possibilità insperate a soggetti, come Eluana Englaro, in stato di coma permanente.
Le associazioni dei disabili dovrebbero intervenire fermamente dinanzi all’uso - o abuso - ideologico del termine “disabilità"- e contrastare un’operazione politica assai ambigua il cui paradossale risultato è di equipararli a persone che non hanno una vita biografica ma solo biologica.
Oggi assistiamo a un graduale ma irreversibile scardinamento dei tabù connessi con la disabilità. Lo stesso drammatico incremento del fenomeno (dovuto a incidenti stradali o lavorativi o anche l’innalzamento dell’età media della popolazione) ha favorito la crescita di un dibattito che insiste sul fatto che la disabilità è una condizione da porre in relazione con un ambiente fisico, culturale, sociale che non appare in grado di valorizzare le abilità diverse che la persona possiede. D’altra parte, l’esperienza del limite che l’handicap inevitabilmente comporta è una dimensione strutturale dell’esperienza umana, un dato costitutivo - potremmo dire - della nostra natura. Ora tale condizione dolorosamente reale per milioni di persone nel mondo viene usata come arma per impedire, da un lato, l’attuazione della sentenza che consente di sospendere le cure a Eluana, e,dall’altro, per criminalizzare il padre che, anziché prestare la doverosa assistenza a un disabile, perseguirebbe tenacemente un proposito omicida. A quando la rituale evocazione della barbarie nazista e dei campi di sterminio?
In attesa della prossima puntata di una storia indegna di un Paese civile, occorre aggiungere che se Eluana è stata ambiguamente "promossa" a disabile, resta prima di tutto una cittadina affidata legalmente a un tutore - il padre - il quale può legalmente decidere in suo nome e per il suo migliore interesse sulla base anche - non si dimentichi - dei desideri da lei precedentemente espressi e che la Convenzione di Oviedo raccomanda di tenere in considerazione.
NOTE
Luisella Battaglia è docente di filosofia morale e bioetica all’ Universitàdi Genova e membro del Comitato nazionale per la bioetica.
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