giovedì 30 dicembre 2010

Monicelli: scelta privata e pubblico tabù

Monicelli: scelta privata e pubblico tabù

Sergio Bartolommei,L'Unità, il 01/12/10

Se dovessi essere costretto ad una vita che non è vita, la farei finita anch’io». Parole di Monicelli. Il suo suicidio cruento deve indurre a riflettere sulla opportunità di legalizzare l’eutanasia nel nostro Paese. «Cronaca di una morte opportuna» è il titolo di un libro dedicato al caso Welby - un caso scuola di uscita dalla vita dettata dal rifiuto delle cure. «Morte opportuna» - abbandoniamo ipocrisie e giri di parole - è però anche quella di chi, indisponibile a sperimentarne giorni strazianti di agonia, di perdita di autonomia e della coscienza di sé, intenda chiudere l’esistenza in modo immediato e indolore. Eutanasia e suicidio assistito sono i due modi in questione. È del tutto improprio e sottilmente violento opporsi con tutti i mezzi alla volontà degli individui che - date certe circostanze - non trovano più nella vita un motivo valido per continuare nell’impresa. A dover giustificare la propria posizione in merito all’eutanasia non sembra debba essere chi opta per vedere rispettata nello spazio pubblico la scelta di chi a mente lucida chiede con insistenza di vedere soddisfatta la richiesta di morire, ma chi voglia costringere altri a vivere contro la propria volontà.

Alla base del rifiuto del riconoscimento di qualche forma di eutanasia sta o la "ripugnanza" per il gesto, o il convincimento che "la vita è meravigliosa" e "la speranza sempre l’ultima a morire", o l’idea che la vita sia un dono indisponibile. Della ripugnanza basti dire che non è un argomento, ma solo il prodotto di una forte emozione non da tutti condivisa e che potrebbe contenere anche pregiudizi mai esaminati. L’argomento "meraviglia" può riguardare tutt’al più chi già nutra sentimenti o aspettative positivi per un’esistenza prolungata anche nelle condizioni più insopportabili, ma non chi non sia disposto a scambiare qualche giorno o mese in più nella vita con i contenuti - cattivi o orribili - che la vita gli riserva. Infine, che la vita sia un dono indisponibile tradisce solo una bizzarra concezione del dono che da bene gradito e fruibile diviene un amaro calice da bere fino all’ultima goccia contro il proprio volere.

La legalizzazione in determinate circostanze dell’eutanasia costituirebbe un passo avanti nella civilizzazione del Paese e della sua legislazione. Con essa non solo si eviterebbero le morti cruente e spesso dolorose a cui solitamente deve far ricorso chi abbia deciso di chiudere con l’avventura della vita. Si potrebbe soprattutto dare fiducia a quegli individui, pochi o tanti che siano, che, determinati a sottrarre nel più breve tempo e nella maniera più indolore possibile il proprio corpo a situazioni intollerabili, non dovrebbero più temere quella sorta di pedagogia nera messa in scena al loro capezzale per far sentire loro che, alla fine della vita, il loro vero bene consiste nel fare l’esatto contrario di ciò che desiderano.

lunedì 27 dicembre 2010

(Lettera) I finti paladini della vita

Lettera - I finti paladini della vita

Ignazio Marino. Europa, il 07/12/10

Caro direttore, la semplificazione giornalistica pro-vita o pro-morte occupa insensatamente la discussione di questi giorni sul testamento biologico, riapertasi con la presenza di Beppino Englaro e Mina Welby nella trasmissione di Fazio e Saviano e la morte di Mario Monicelli. Una polarizzazione - degna più di un derby calcistico - che manomette il confronto.

Perché, nel nostro paese, non è possibile parlare pacatamente di temi etici? Perché chiedere il rispetto dell’autodeterminazione, delle volontà sulle terapie cui si vuole o non si vuole essere sottoposti, in caso di perdita di coscienza, ti iscrive d’ufficio al partito della morte? Che senso ha istituire, nel giorno dell’addio a Eluana Englaro, la giornata degli stati neurovegetativi?

La discussione è difficile, ma non impossibile. Basta leggere la mia recente corrispondenza pubblica con il cardinale Carlo Maria Martini (Corriere della Sera, 28 novembre), il cui confronto è proseguito dai tempi del nostro "Dialogo sulla vita", pubblicato da l’Espresso nel 2006. Ci sono più aperture da parte del mondo cattolico, che da larga parte - quella che governa il paese, speriamo ancora per poco - di quello politico.

Perché, quando Beppino Englaro e Mina Welby ci hanno regalato i loro ricordi struggenti, nel corso di Vieni via con me, i cosiddetti paladini della vita hanno sentito il bisogno, anzi hanno preteso il diritto, di una replica? E non erano paladini della vita Beppino e Mina, quando si impegnavano con tutte le loro disperate forze, perché le persone amate non restassero in un limbo di tubi?

E non sono paladini della vita, parimenti, coloro che, altrettanto disperatamente, sono costretti a fare i conti con una legge di carta, quella sulle cure palliative, lasciati soli ad affrontare i costi umani e materiali di una malattia terminale, insieme alle loro famiglie? Vogliamo ricordare che questo governo, che sventola vessilli cattolici o presunti tali, inneggianti alla solidarietà e alla vita, ha poi finanziato la rete delle cure palliative sul territorio per un - e dico un - milione di euro, contro i 240 annui, stanziati dalla Germania? Un milione, fissato per il solo 2011 (per i prossimi anni è zero), basta per curare 350 pazienti, ovvero lo 0,05% dei malati terminali in Italia.

Io sono da sempre contro l’eutanasia. Vorrei semplicemente che il senso della vita e della morte tornasse ad essere quello dei nostri vecchi. Che lasciavano serenamente questo mondo e concludevano il loro cammino senza paura. Con la consapevolezza, per molti, di una vita oltre la vita, la cui prospettiva, usando insensatamente la tecnologia, oggi si allontana.

domenica 26 dicembre 2010

Quando "A Sua immagine" rifiutò spazio a Englaro

Quando "A Sua immagine" rifiutò spazio a Englaro

Francesco Peloso, Il Secolo XIX, il 29/11/10

Domenica 8 febbraio 2009, su Rai Uno a metà mattinata è in onda "A Sua immagine", programma cattolico al 100%: vengono inquadrati pane e acqua, simbolo di idratazione e alimentazione, le funzioni artificiali che tengono in vita Eluana Englaro. Dopo una lunga battaglia, il caso si chiuderà con la morte della ragazza, in stato vegetativo per 16 anni. Le organizzazioni pro-life cattoliche e la Chiesa attaccano il padre di Eluana, Beppino, e quanti sostengono la possibilità di interrompere alimentazione e idratazione, il cardinale Camillo Ruini parla di omicidio.

"A Sua immagine" non fa eccezione, e naturalmente non offre il diritto di replica invocato dopo la puntata di "Vieni via con me" dedicata ai casi Englaro e Welby. E il motivo è semplice: "A Sua immagine" è un programma in convenzione con la Conferenza episcopale dove contenuti e gli ospiti sono decisi dalla Cei. Per altro nel contenitore cattolico della domenica mattina viene sempre trasmesso, in diretta l’Angelus del Papa. Dunque la richiesta del diritto di replica, sventolata in questi giorni da Avvenire, politici e leader di organizzazioni cattoliche, non sembra argomento imbattibile: i precedenti sono imbarazzanti.

Ma c’è anche un altro caso, recentissimo. Raiuno alla fine di ottobre trasmette la fiction su Pio XII. Il film, prodotto dalla Lux Vide, vicina all’Opus Dei, viene criticato dalle comunità ebraiche. È agiografica, dicono, e poi accusano: non racconta la verità sulle responsabilità della Chiesa nelle deportazioni e sul ruolo di Pacelli. Anche in questo caso viene evocato il ruolo del servizio pubblico. Nessun diritto di replica, ovviamente, viene rispettato.

Ieri "A Sua immagine" ha offerto spazio a storie di malati concluse bene, lo stesso farà "Porta a porta". A irritare la Cei, però, è stata anche la presenza, nel programma di Fazio, di un prete "contro" come don Andrea Gallo, Avvenire l’ha definito "vanitoso". Oggi si replica: a "Vieni via con me" ci sarà don Luigi Ciotti, altro sacerdote non troppo amato dalle gerarchie ecclesiastiche ma che gode di ampio seguito: si parlerà di legalità e volontariato.

sabato 25 dicembre 2010

Treviso, appello al Colle di un malato: "Voglio morire" e l’infermiera di Eluana si offre di aiutarlo

Treviso, appello al Colle di un malato: "Voglio morire" e l’infermiera di Eluana si offre di aiutarlo

Nicola Pellicani, la Repubblica, il 02/12/10

Appello di un disabile trevigiano al Presidente della Repubblica per una "dolce morte". Annibale Fasan, 54 anni, di Casier, un paese a pochi chilometri da Treviso, è affetto da distrofia muscolare dall’età di 13 anni e vive in sedia a rotelle. Una vita d’inferno, abbandonato da tutti, tanto da chiedere al Capo dello Stato di farla finita. «Le istituzioni mi hanno abbandonato scrive - sono costretto a una battaglia continua per vedere riconosciuti i miei diritti di disabile. Chiedo che lo Stato mi aiuti nella procedura di una morte dolce, vivere così non è dignitoso». Non ne può più Annibale, due anni fa propose al sindaco di poter lasciare in eredità al Comune il suo appartamento in cambio di un vitalizio, ma l’amministrazione non si degnò nemmeno di rispondere. Adesso Fasan, pensionato e artista, prigioniero della sua malattia, ha perso ogni speranza. L’appello al Capo dello Stato non è passato inosservato a Cinzia Gori, l’infermiera di Eluana Englaro e moglie di Amato De Monte, il medico della stessa Eluana. L’infermiera ha scritto ad Annibale Fasan rendendosi pronta ad aiutarlo: «Sono disponibile ad affiancarti nella tua battaglia - scrive l’infermiera - io e mio marito appoggiamo i tuoi principi di libertà individuale. Annibale, grazie per la tua lettera che denuncia voglia di combattere. Io mi sento di chiederti scusa, a nome di un popolo, che al momento è troppo preso più dall’apparire che dall’essere, più dall’assicurarsi una poltrona per cercare di darsi da fare per espletare il lavoro per cui sono stati votati e profumatamente pagati». Cinzia Gori si schiera quindi a fianco del disabile trevigiano. «Spero che il presidente della Repubblica ti risponda».

giovedì 23 dicembre 2010

Sia libera e dignitosa: siamo noi il vero partito della vita

l’Unità 28.11.10
Sia libera e dignitosa: siamo noi il vero partito della vita
La deputata radicale all’Unità: «Facciamo un dibattito con chi si arroga di difendere la vita e addita gli altri di essere per la morte»
di Maria Antonietta Farina Coscioni

Spazio, voce, visibilità a chi si batte per il diritto alla vita? Certo. Ma se qualcuno ha diritto di essere ospitato dalla trasmissione di Fazio e Saviano (e non solo quella) non sono tanto le sedicenti associazioni «per la vita», piuttosto chi, come l’Associazione Luca Coscioni, e io stessa in questi anni si batte non per accaparrarsi finanziamenti pubblici per associazioni private, quanto per consentire a tutti ripeto tutti i malati e i disabili pari opportunità nell’ottenere cura ed assistenza, ausili, e migliorare la qualità della vita dal momento della diagnosi al momento della morte, consentendo loro di scegliere.
Questa è la differenza che voglio sia conosciuta. Perché far emergere la verità sulla mancata approvazione da parte del Governo dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza e l'aggiornamento del Nomenclatore degli ausili e delle protesi ho dovuto digiunare e a lungo. Una lotta, elusa, ignorata. Forse perché non chiedevo e non chiedo nulla per noi radicali, per le associazioni; e pongo “solo” il problema del diritto del malato ad avere gli strumenti adeguati per decidere. Perché chiedo che con i nuovi Lea siano assicurati i fondi necessari per la qualità della vita del malato e del disabile, e che siano accreditati a questi ultimi senza mediazioni e condizioni: c’è infatti chi vorrebbe destinare milioni di euro non nella diretta disponibilità dell’interessato, ma a questa o quell’associazione, così da assicurare clientele e gestioni “amicali”.
Sia piuttosto l’interessato, o chi da lui delegato in caso di sua impossibilità, a decidere dove e come vuole vivere la malattia: in ospedale, o a casa nel caso ciò sia possibile. Il malato deve essere informato ed disporre di mezzi adeguati per scegliere: nulla di più e nulla di meno.
È poi inaccettabile che chi vuole obbligarli a fare una scelta si definisca «per la vita», e chi li vuole liberi di scegliere sia additato come «contro la vita», se non «per la morte». Mina Welby, Beppino Englaro, io stessa, saremmo il «partito della morte»? Siamo e rivendichiamo di essere il partito della vita: un’altra vita, dignitosa e rispettosa dei diritti di tutti e di ciascuno, anche di chi a un certo punto ritiene che si debba accettare che non c’è possibilità di opporsi alla morte, e chiede di essere «lasciati andare». Come papa Giovanni Paolo II, quando invocò: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».
Ci sono, sì, due “partiti”: chi crede che una persona sia libera di disporre del proprio destino, possa decidere quando la vita non è più degna d’essere vissuta, la sofferenza senza speranza non è più tollerabile; e chi questo diritto, lo nega. Su questo a quando un confronto, un dibattito?

martedì 21 dicembre 2010

Il Parlamento e il testamento biologico

La Repubblica 21.12.10
Il Parlamento e il testamento biologico
Corrado Augias risponde a na lettera di Mina Welby

C aro Augias, dopo il voto di fiducia al governo, dovrebbe andare in aula per il voto finale la legge sul testamento biologico. In realtà, è una legge "contro" il testamento biologico perché piena di ostacoli burocratici e perché affida, nelle scelte finali, un potere molto maggiore ai medici rispetto ai malati. Inoltre, è una legge incostituzionale perché non consente di rinunciare alla nutrizione e alla idratazione artificiali, laddove l'articolo 32 della Costituzione è tassativo: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Vorrei ricordare il quarto anniversario della morte di Piergiorgio Welby rivolgendo un appello a tutte le forze politiche perché diano ai cittadini italiani, con una buona legge, quel diritto alle "dichiarazioni anticipate di trattamento" consolidato da tempo in tutta l'Europa. Destinino, inoltre, finanziamenti adeguati per le cure palliative, nelle quali l'Italia è all'ultimo posto in Europa. Un appello ai deputati dell'opposizione, a quelli legati a Fini da sempre favorevole alla libertà di coscienza su questi temi ma anche ai deputati "laici" del Pdl, specie quanti provengono dal partito in cui militarono Renato Sansone e Loris Fortuna. Penso che dinanzi alla malattia e alla morte dovremmo tutti cercare quello che unisce, non quello che separa.
Mina Welby Roma

Ringrazio la signora Welby per la sua lettera, per il messaggio che contiene, per le parole che ha usato. Viviamo in un paese molto difficile, in un momento di particolare difficoltà. Discutere in Parlamento di un tema così delicato cercando di mantenere toni equilibrati sarà arduo, forse impossibile. I temi che vengono definiti 'eticamente sensibili' sono diventati esplicito oggetto di scambio. Governo e maggioranza appoggiano le tesi delle gerarchie ecclesiastiche le quali chiedono in cambio concreti appoggi alle loro associazioni, alle loro scuole. Ho scritto volutamente 'gerarchie ecclesiastiche' perché esistono anche settori del pensiero cattolico, del clero più vicino alla vita dei fedeli, della stessa teologia che hanno sull'argomento assai più generosa visione. Ero in piazza quattro anni fa quando il cardinale Ruini fece negare a Piergiorgio Welby il rito religioso in Chiesa. Molti mesi dopo l'eminente porporato spiegò la ragione del suo gesto crudele: disse che s'era trattato di una mossa politica per evitare finanche il sospetto che la Chiesa avesse finito per approvare quella morte così lungamente implorata e alla fine ottenuta. Quando la gestione politica di un tema etico scarta con tale brutalità le ragioni della misericordia, mi chiedo con quale coraggio si continui a parlare di vangelo. Chissà se in Parlamento a qualcuno verrà in mente questa intollerabile ipocrisia.

lunedì 20 dicembre 2010

Biotestamento e cure palliative: non fermiamoci

l’Unità 20.12.10
Biotestamento e cure palliative: non fermiamoci
Welby quattro anni dopo
di Mina Welby Carlo Troilo

opo il voto di fiducia al governo Berlusconi, dovrebbe andare in aula alla Camera la legge sul testamento biologico. La legge è in realtà una legge “contro” il testamento biologico sia perché prevede procedure complesse e onerose, sia perché sbilancia il potere finale di decisione in favore dei medici anziché del malato. Inoltre, prevede l’impossibilità di rinunciare alla alimentazione e alla idratazione artificiali, considerate forme di “sostegno vitale” e non contrariamente al parere di tutte le associazioni scientifiche trattamenti sanitari. Ciò rende la legge sicuramente incostituzionale perché l’articolo 32 della Costituzione contiene una norma tassativa: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Dunque, in caso di approvazione di questo testo, bisognerà indire un referendum abrogativo che potrebbe avere largo consenso della cittadinanza, e inoltre singoli cittadini potrebbero intentare delle cause per non aver visto rispettate le volontà espresse nelle loro disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari. Due modi, uno politico e uno giudiziario, per correggere la legislazione dal basso.
Consapevoli del fatto che queste norme avrebbero l’effetto di allungare le sofferenze dei malati terminali e di quelli in stato vegetativo e delle loro famiglie, la stessa maggioranza aveva presentato e fatto approvare un emendamento che stanziava 150 milioni di euro per il triennio 2010-2013 per potenziare le cure palliative, per le quali l’Italia è tra gli ultimi paesi al mondo e l’ultimo in Europa. Recentemente si è però scoperto che questo stanziamento benché modesto non ha ancora trovato la copertura finanziaria. Anzi, il senatore Marino ci ha detto che «questo governo ha finanziato la rete delle cure palliative sul terriotorio per un e dico “un” milione di euro, contro i 240 annui stanziati dalla Germania».
Per queste ragioni, nel quarto anniversario della morte di Piergiorgio Welby, facciamo appello a tutti i membri della Camera: ai deputati del centro sinistra; a quelli del gruppo del Presidente Fini, che si è sempre detto favorevole alla libertà di coscienza sui temi inerenti i diritti civili; ma anche ai deputati “laici” del Popolo della Libertà, a partire dagli ex socialisti, che vengono dal partito di Renato Sansone e di Loris Fortuna, protagonisti delle grandi e vittoriose battaglie per il divorzio e per l’aborto. Diano ai cittadini italiani quello che tutti gli altri cittadini europei hanno da anni: la possibilità di depositare oggi per allora le proprie disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari in un database nazionale. E assicurino a chi soffre il sollievo di adeguate cure palliative. Sulla malattia, il dolore e la morte, tutti dovrebbero cercare quello che unisce, non quello che divide.

L’ultimo oltraggio a Eluana: 9 febbraio giornata pro-life

l’Unità 28.11.10
Nella data della morte della ragazza il governo indice la giornata degli stati vegetativi
Vespa li ospiterà dopo il no di Fazio. «Un’offesa», protestano Marino e comitato di Bioetica
L’ultimo oltraggio a Eluana: 9 febbraio giornata pro-life
Il Cdm ha indetto per il 9 febbraio la giornata nazionale degli stati vegetativi. Protestano la Consulta di Bioetica e Ignazio Marino. Vespa e Domenica In invitano i pro-life, l’Anci difende i registri dei biotestamenti.
di A. C.

Il governo torna a offendere la memoria di Eluana Englaro. Venerdì infatti il Consiglio dei ministri ha approvato l’istituzione per il 9 febbraio, data della morte di Eluana, della «giornata nazionale degli stati vegetativi». Due anni dopo la scomparsa della giovane, il prossimo 9 febbraio si terrà dunque la prima giornata dedicata ai malati e alla famiglie che, legittimamente, scelgono il percorso opposto rispetto a quello della famiglia Englaro. Ed è proprio nella scelta di quella data che si coglie lo spirito ideologico, e offensivo, del governo. Che già era entrato a gamba tesa nella vicenda con il decreto con cui palazzo Chigi cercò di fermare la decisione della magistratura, fermato solo dalla saggezza del Quirinale che negò la propria firma.
«Ora il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti», ha spiegato il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che ha definito Eluana «una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura». «La giornata sarà un’occasione preziosa in più per ricordare a tutti noi quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita». Nel ragionamento della Roccella, che proprio ieri ha incontrato il Papa durante una veglia per la vita a San Pietro (e ha fatto sapere che il Pontefice l’ha «incoraggiata» ad «andare avanti nell’azione politica di difesa della vita sui temi della bioetica») spicca dunque il senso di ritorsione contro la scelta della famiglia Englaro. E persino di rivincita contro la decisione di Fazio e Saviano di non ospitare le associazioni pro-life. «La giornata potrà rappresentare una finestra di visibilità per queste persone e le famiglie che le accudiscono dice Roccellatroppo spesso coscientemente accantonate dai media, come ha dimostrato la vicenda della trasmissione “Vieni via con me”».
LA PROTESTA DI MARINO (PD)
La decisione del governo ha provocato l’indignazione della Consulta di bioetica. «È l’ultima offesa del governo alla memoria di Eluana, nel tentativo di acquisire il sostegno della Chiesa cattolica», dice il presidente Maurizio Mori. «Si usa l’anniversario per espropriare il messaggio lasciato da Eluana, affermando che il 9 febbraio deve essere una giornata capace di unire tutti sull’unico obiettivo di difesa a oltranza della vita, diametralmente opposto a quello voluto da Eluana». Ancora più netto il senatore Pd Ignazio Marino: «Il sottosegretario Roccella non ha la delicatezza neppure di rispettare il dolore di una famiglia in un’anniversario così importante. La strumentalizzazione che viene fatta dimostra la mancanza di sensibilità e rigore istituzionale da parte di persone che, ci auguriamo, dal 15 dicembre torneranno a fare altri mestieri».
VESPA INVITA I PRO-LIFE
In Rai intanto è partita la gara a invitare esponenti pro-life, vinta naturalmente da Porta a Porta, che questa settimana dedicherà una puntata speciale alle famiglie di malati in stato vegetativo. Stamattina sarà sul tema anche «A sua immagine» su Raiuno, ospite il direttore di Avvenire, e nel pomeriggio pure Domenica In parlerà dell’argomento. Intanto l’Anci replica ai ministri Maroni, Sacconi e Fazio, che in una circolare avevano definito illegittimi i registri con i biotestamenti realizzati da circa 70 Comuni: «Quei registri sono legittimi e rispondono a una diffusa domanda sociale».

sabato 18 dicembre 2010

Ma il racconto laico non è «contro»

l’Unità 29.11.10
Ma il racconto laico non è «contro»
di Francesco Piccolo

T utti hanno detto agli autori di Vieni via con me (di cui faccio parte), con molta facilità: cosa vi costa dare voce a un punto di vista in più esibendo con questa affermazione una presunta e più ampia laicità. La questione però è mal posta, ed è mal posta in modo tendenzioso. La questione non è quella di ospitare un punto di vista in più; ma che, facendolo, accetteremmo la tesi che abbiamo parlato contro qualcuno. La domanda quindi dovrebbe essere non: perché non date la parola a un punto di vista in più? Ma: avete parlato contro qualcuno?
Quello che i movimenti pro-vita, e molti cattolici poco generosi non capiscono, è che non abbiamo parlato contro nessuno per un motivo semplice: noi siamo totalmente d’accordo con le loro te-
si. Abbiamo già accettato le loro ragioni, a priori. Sono loro a non ammettere le ragioni degli altri. Un laico vero ritiene che bisogna accettare tutt’e due le possibilità di scelta davanti a una tragedia umana così incomprensibile per chi la vive, figuriamoci per chi non la vive. Un cattolico invece ritiene che ci sia solo una possibilità, e l'altra è sacrilega. In uno stato laico, però, dovrebbe prevalere il pensiero laico che, ripeto, comprende quello cattolico. Se prevale il pensiero cattolico che non comprende quello laico c’è qualcosa che non va. E questo va raccontato. E a questo racconto non si può affiancare un altro che si definisce opposto, perché nel racconto laico sono già compresi tutti e due i punti di vista; quindi un racconto opposto non c’è.

mercoledì 15 dicembre 2010

«Vogliono negare legittimità a Englaro»

«Vogliono negare legittimità a Englaro»

Maurizio Mori, L'Unità, il 29/11/10

La presenza di Beppino Englaro e Mina Welby alla trasmissione di Fazio e Saviano lunedì 15 novembre ha scatenato un putiferio: dal 17 Avvenire pubblica in prima pagina un memo «Lasciateli parlare» adeguandosi ad una tecnica di lobbying mediatica ormai di moda. Il giornale dei vescovi cattolici sostiene che l’intervento avrebbe ferito quei familiari che assistono i pazienti in stato vegetativo e chiede una replica per dire che l’assistenza è un «atto d’amore in nome di una vita degna di essere vissuta a pieno titolo» e non una scelta fatta in base ad «una fede oscurantista».

Ma chi è contento della scelta celibataria o di fedeltà al proprio partner, non si sente ferito nell’intimo se la televisione presenta storie di personaggi illustri adulteri o dediti alla promiscuità. E chi è felice di dedicare la propria vita allo studio, non è offeso dal Grande Fratello, né chiede contro-trasmissioni per mostrare il bello dello studio. Allo stesso modo, chi è dedito all’assistenza del familiare in stato vegetativo non dovrebbe sentirsi offeso dalle scelte di Englaro/Welby. Questi hanno solo ricordato la possibilità di un’opzione diversa rispetto a quella dell’assistenza: se l’interessato lo vuole, ha titolo di chiudere la partita; se non vuole è ben libero di tenerla aperta e richiedere il sacrosanto diritto all’assistenza. Per questo la richiesta di replica è priva di senso e di fondamento.

Perché allora tanto putiferio? Perché sul fine-vita il vitalismo ippocratico si sta sgretolando, nonostante i puntelli tesi a ridefinire lo Stato Vegetativo Permanente come «grave disabilità», a negare che la nutrizione artificiale è una «terapia» e a rassicurare che tutto è sotto controllo. I vitalisti hanno paura di Beppino perché la sua voce è come quella del bambino che esclama: «Ma il re è nudo!», rivelando che la realtà è diversa da come Roccella e Co. la dipingono. Diversamente dalle roboanti dichiarazioni ufficiali, le persone si interrogano e moltissime ritengono sia giusto rispettare la volontà di chi sceglie come Eluana.

L’insistente richiesta di replica è il segno che i vitalisti si sentono nel bunker e accerchiati. Dichiarano di appellarsi alla "par condicio", ma in realtà vogliono parlare solo per negare legittimità e valore morale alla scelta di Englaro. Vogliono riaffermare che l’assistenza è l’unica scelta etica e degna nel tentativo di creare le condizioni per imporla a tutti per legge col ddl Calabrò iniquo e liberticida.

Bravo Fazio! resistendo alla richiesta di replica hai dato un esempio di laicità rispettosa del pluralismo etico e contrastato il mono-pensiero vitalista difeso (ahimè!) dal cattolicesimo ufficiale.

martedì 14 dicembre 2010

La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione

La Repubblica 29.11.10
La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione

ROMA - Polemiche sulla decisione del Consiglio dei ministri d´istituire il 9 febbraio la «giornata degli stati vegetativi», per celebrare tutti i malati terminali e i loro familiari. «Giusta la giornata, sbagliata la data perché è quella della morte di Eluana Englaro», dice il direttore di Bioetica della Cattolica, Adriano Pessina. Il senatore Pd Ignazio Marino, per motivi diversi, parla invece «d´inutile provocazione». Contro la scelta della data anche Maria Antonietta Farina Coscioni secondo la quale «aver indicato questa data è una vergogna». La sottosegretaria alla Salute, Eugenia Roccella, difende invece il governo: «Con questa giornata il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide».

lunedì 13 dicembre 2010

La fecondazione il Nobel e l’anatema. Oggi la consegna del Premio a Edwards

l’Unità 10.12.10
La fecondazione il Nobel e l’anatema. Oggi la consegna del Premio a Edwards
di Maurizio Mori

Il Nobel per la medicina che oggi viene consegnato a Bob Edwards è il sigillo che la scienza considera la scoperta della fecondazione in vitro una delle tappe fondamentali per il progresso della civiltà. Il Vaticano, invece, già dal 1986 ha condannato la fecondazione assistita con la Istruzione Donum Vitae, ed ora, all’annuncio del conferimento ad Edwards del più alto riconoscimento scientifico, ha protestato osservando che si è trattata di una scelta ideologica dal momento che la scoperta di Edwards avrebbe favorito «l’indebolimento della dignità della persona umana».
Il contrasto non è da poco. In primis perché impedisce di vedere che la fecondazione in vitro non è tanto o solo una “terapia della sterilità”, ma è piuttosto una tecnica che amplia enormemente il controllo sulla riproduzione umana, aprendo nuovi orizzonti alle scelte generative. È una nuova forma di riproduzione che consente per esempio di estendere la capacità riproduttiva della donna anche dopo la menopausa o di operare la diagnosi pre-impianto. Grazie ad Edwards è aumentata la libertà di scelta delle persone circa le modalità di trasmissione della vita.
Si obietta che non di autentica libertà si tratta, ma di arbitrio, perché la vera libertà si esercita seguendo i binari stabiliti dalla natura, per la quale «i figli devono essere il risultato di un atto d’amore non di un atto medico». Questo perché «la vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta “l’azione creatrice di Dio” e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore» (Donum Vitae). La fecondazione in vitro profanerebbe la sacralità della generazione umana perché «solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio».
Emerge così che la radice del contrasto tra scienza e teologia cattolica è sempre la stessa. Come Galileo è stato condannato perché, scoprendo col cannocchiale che la Luna è un corpo celeste come la Terra, ha tolto sacralità al cosmo operando la secolarizzazione come disincanto circa il mondo astronomico, così Bob Edwards viene oggi criticato e ostacolato perché, rendendo accessibile e controllabile il processo riproduttivo umano, ha proseguito l’opera di secolarizzazione come disincanto circa il mondo della generazione umana e spogliato l’inizio della vita umana della sacralità in cui era avvolta. Come Galileo fu criticato in base al «Fermati o Sole!» (Gs. 10,12), così Edwards viene criticato in base al «i due saranno una sola carne» (Gn. 2, 24). La condanna della scoperta di Edwards è una riedizione in piccolo del più celebre processo a Galileo, ma le conseguenze non sono meno dure e nefaste, come mostra la ben nota legge 40.

sabato 11 dicembre 2010

Se mille suicidi non dicono nulla
La scelta di Monicelli e il tema dell’eutanasia

l’Unità 2.12.10
Se mille suicidi non dicono nulla
La scelta di Monicelli e il tema dell’eutanasia
di Carlo Troilo, associazione Luca Coscioni

Mario Monicelli ha scelto la stessa morte che mio fratello Michele, anche lui malato terminale, scelse nel marzo del 2004: un salto nel vuoto da 15 metri di altezza. Decisi allora di rendere pubblica la tragedia di mio fratello e lo feci grazie a Corrado Augias. Dopo pochi mesi “scoprii” e inviai a diversi giornali, che li pubblicarono, i dati dell’Istat da cui risulta che ogni anno mille malati terminali (tre al giorno), non potendo ottenere l’eutanasia, come avrebbe voluto Michele, trovano nel suicidio la loro “uscita di sicurezza”. Un numero pari a quello delle “morti bianche”, che suscitano il giusto sdegno degli italiani, a partire dal Presidente della Repubblica. La mia lettera del marzo 2004 finiva così: «Caro Michele, mi vergogno di vivere nel paese che ti ha costretto a questo. Ammiro il tuo coraggio e so che lo hai fatto anche per alleviare la pena di chi ti voleva bene, per altruismo, per dignità e per pudore. Rendo pubblico il tuo gesto per dargli anche valore di battaglia civile, credo ti farebbe piacere sapere che è servito a smuovere qualche coscienza».
Commentando il suicidio di Monicelli, Silvio Viale ha sintetizzato con forza il problema: «Non sarebbe morto così se l’eutanasia volontaria fosse legale nel nostro paese. Se l’eutanasia fosse legale, Mario Monicelli avrebbe potuto parlare apertamente con il proprio medico delle proprie intenzioni. Avrebbe potuto modificare la propria decisione, o rimandarla, e se alla fine avesse confermato la propria richiesta, considerando ormai insopportabile la propria condizione, sarebbe stato aiutato a morire con dignità, tra i suoi cari. In un paese civile, lo Stato dovrebbe consentire di non essere costretti a morire così».
Tutte le ricerche degli ultimi anni dimostrano che la maggioranza degli italiani (il 67% secondo il Rapporto Eurispes 2010) è favorevole alla legalizzazione della eutanasia per i malati inguaribili. E questo vale, sia pure in misura più ridotta, anche per i cattolici praticanti. Lo stesso Monicelli era ferocemente contrario alla logica della “vita a tutti i costi”: «La vicenda di Piergiorgio Welby aveva detto in un’intervista a Radio Radicale il 28 novembre del 2006 è un tema che si potrebbe trattare con una commedia, ironizzando e mettendo in ridicolo quelli che pensano che questo disgraziato debba rimanere a soffrire, non si sa per chi».
Ma il Vaticano non vuole l’eutanasia e tratta tutti noi che ci battiamo per introdurla in Italia alla stregua di una banda di assassini intenti a preparare la strage degli innocenti. E la nostra classe politica tace, rendendosi così corresponsabile di quei tre suicidi che ogni giorno vengono a sconvolgere la nostra coscienza.

venerdì 10 dicembre 2010

«Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Intervista a M. Coscioni - «Nessuno l’ha aiutato a non soffrire»

Paola Pasquarelli, Il Giorno/Il Resto del Carlino / La Nazione, il 02/12/10

«In questo momento assistiamo a un’operazione truffaldina contro la verità: la verità di quanto accaduto l’altra sera all’ospedale San Giovanni è infatti che Mario Monicelli, persona cosciente e sofferente, ha deciso di porre fine alla sua vita perché non è stato aiutato a non soffrire». Le parole-accuse sono della deputata radicale nel Pd, Maria Antonietta Coscioni, e piovono pesanti sul dibattito che la morte volontaria del regista viareggino ha acceso tra i «sostenitori» del suo estremo gesto e chi invece difende sempre e comunque la vita, intesa come diritto indisponibile dell’uomo.

Perché parla di ‘operazione truffaldina’?
«Perché mira a nascondere il vero problema che è quello di capire se Monicelli abbia o meno chiesto al personale sanitario di aiutarlo a non soffrire. Se lo avesse fatto senza riuscire a ottenere quello che voleva, ci si potrebbe per assurdo addirittura costituire tutti parte civile in un processo contro chi si è rifiutato di dargli questo aiuto».

Una legge a favore dell’eutanasia impedirebbe tutto questo?
«Dico solo che Monicelli aveva 95 anni spesi in modo soddisfacente e proficuo, se ha deciso di farla finita va rispettata la sua decisione. Occorre capire però se sono da ricercarsi delle responsabilità. Lui non ha chiesto di non morire, ha chiesto di non soffrire».

Quanti come lui allora, dovrebbero o potrebbero togliersi la vita?
«Appunto. Lui ha potuto ‘fortunatamente’ farlo grazie a una lucidità e a un coraggio che non è di tutti. Ci sono persone che non hanno neanche questa libertà di azione e di pensiero che ti viene anche dalla fortuna di aver vissuto una vita interessante come la sua».

E se il gesto estremo fosse stato compiuto ‘semplicemente’per uno stato di depressione?
«Non si può sempre liquidare un suicidio in questo modo. Anche se così fosse, sarebbe comunque un gesto di coraggio. Il problema non è quello di creare e sostenere movimenti ‘pro life’ o ‘pro morte’, il problema è quello di rispettare una persona che ha compiuto una scelta responsabile».

mercoledì 8 dicembre 2010

Morte, clero e libertà

il Fatto 3.12.10
Morte, clero e libertà
di Bruno Tinti

Un mio amico si è ucciso. Era stanco, aveva perso gioia e interesse. Sono stato molto triste. Non per la sua morte: era stata una sua scelta da rispettare. Ma per la mia vita: perché mi sarebbe mancata la sua intelligenza e la sua cultura. E soprattutto per la sua, di vita, per la tristezza e il vuoto che l’avevano portato a decidere di liberarsene. Non sono stato capace di stargli vicino, ho pensato. Comunque sono andato a salutarlo. Lui non credeva, come me. Un laico tollerante e silente, la vita poneva ben altri problemi. Ci arrabbiavamo un po’ per l’approccio confessionale alle miserie degli uomini; e molto di più per la loro strumentalizzazione. Ma non se ne discuteva: quando la si pensa nello stesso modo c’è poco da dire. E, per fortuna, noi avevamo così tante idee diverse. Come ho detto sono andato al cimitero; alla sala delle cremazioni, così aveva deciso il mio amico. Niente cerimonia religiosa, il che mi sembrava logico visto il suo suicidio: conservavo una vaga memoria, forse errata, che ai suicidi non fosse consentito il riposo in terra consacrata; che, per un credente stanco e depresso, mi era sempre sembrato l’ultimo insulto. E poi avevo saputo da un amico che c’era un biglietto: niente cerimonie religiose, solo cremazione. All’ingresso del cimitero c’era tanta gente; il mio amico era una persona nota, molto stimato; e amato profondamente da molti, anche se aveva una personalità complessa. Proprio questo aveva attratto molti di noi. E lì siamo stati intercettati. Un prete, che avevo già notato fermo all’ingresso, intento alla predica per un funerale precedente, ha fermato la macchina con la bara, ha fermato tutti noi che la seguivamo e ha iniziato una nuova predica. Preghiamo per lui, uomo di fede, buono, marito affettuoso, padre esemplare, Dio lo accoglierà, la vera vita, ci sarà sempre vicino, insomma tutto il repertorio. Sono rimasto perplesso, poi arrabbiato. Ho chiesto a un altro amico (che era in condizione di saperlo) “ma, non aveva lasciato un biglietto in cui aveva detto niente preghiere …”. “Questa non è preghiera, è liturgia della preghiera”, mi ha risposto. Naturalmente non ho capito quale fosse la differenza e perché il mio amico, che non voleva cerimonie religiose, avrebbe dovuto dispiacersene di meno. Ma ho taciuto. C’era la sua famiglia e non volevo aggiungere dolore a dolore. Poi ho parlato con un altro amico e gli ho fatto la stessa domanda. Intelligente, saggio, furbo come è sempre stato, mi ha detto “Sai, adesso non gliene importa più nulla”. E io sono rimasto a chiedermi se era giusto fare violenza ai morti; se era giusto non rispettarli; se era giusto lasciare una sentinella in servizio permanente all’ingresso dei cimiteri, per intercettare bare e fare propaganda; se era giusto approfittare di un momento di minorata difesa per sottoporre tutti a una liturgia (eh, si, su questo il primo amico aveva ragione) che il morto e molti suoi amici non condividevano e non desideravano. Mi sono chiesto soprattutto se questa prevaricazione fosse coerente con il messaggio di amore (ma non di rispetto) che quel sacerdote ossessivamente ripeteva davanti a tutte le bare che gli passavano davanti e che contenevano ciò che restava di un uomo e della sua libertà.

martedì 7 dicembre 2010

Il governo contro i registri

l’Unità 20.11.10
Il governo contro i registri
I centralisti di fine-vita
di Marco Cappato, Simonetta Dezi, Luigi Manconi

Il ricatto finanziario. La stessa tecnica utilizzata da Sacconi per minacciare la clinica disponibile ad accogliere Eluana Englaro è oggi rivolta contro i comuni disponibili ad istituire il registro dei testamenti biologici. I ministri del Lavoro, Salute, Interno ovvero Sacconi, Fazio e Maroni, con una circolare hanno infatti dichiarato i registri comunali che raccolgono il cosiddetto biotestamento privi di “effetti giuridici” e hanno aggiunto che i comuni che aderiscono all’ iniziativa potrebbero essere chiamati a rispondere di un uso distorto di risorse umane e finanziarie pubbliche. L’affondo era, da noi radicali, previsto dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del sottosegretario alla salute Eugenia Roccella.
I promotori del registro dei testamenti biologici presso i comuni hanno un nome: le associazioni A Buon Diritto e Luca Coscioni. Questa iniziativa è in effetti, al momento, l’unico strumento a disposizione dei cittadini per testimoniare una scelta della persona e per tutelare il diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria sancito in primo luogo dalla nostra Carta Costituzionale. Quello che viene proposto a chi abbia redatto un documento, autenticato, contenente decisioni relative al fine vita (scelte mediche, sospensione delle cure, rianimazione, tumulazione o cremazione, rito religioso o civile ...), è di far registrare presso un ufficio comunale l’esistenza di tale documento e il luogo dove hanno deciso di conservarlo. Nel Registro, riservato ai cittadini residenti nel Comune, dovrebbero essere riportati gli estremi dei testamenti biologici al fine anche di garantire la certezza della data di presentazione e la fonte di provenienza.
I principi a cui si fa riferimento e che spingono le associazioni a continuare sulla strada intrapresa sono affermati, come si è detto, dalla nostra Carta Costituzionale, ribaditi da Convenzioni internazionali, quale quella di Oviedo, e confermati da alcune sentenze. Proprio la giurisprudenza della Cassazione relativa alla vicenda Englaro fa ritenere l’isituzione del Registro comunale dei testamenti biologici un passo essenziale per la concreta tutela di un diritto fondamentale della persona. E contrariamente a quanto sostenuto nella circolare ministeriale, il ruolo che le amministrazioni possono svolgere a riguardo è insostituibile. In assenza di una normativa di legge, ricordiamo inoltre ai ministri – o saranno direttamente i tribunali a farlo -, che è solo l’autorità giudiziaria che può stabilire quali siano gli effetti giuridici dei testamenti biologici e del relativo Registro. In particolare il ministro Maroni dovrebbe rendersi conto che con queste posizioni, assolutamente irrispettose dell’autonomia dei comuni, costituzionalmente garantita, finisce per vestire i panni di un autentico ministro “federalista” del peggiore Stato etico centralista e clericale.

domenica 5 dicembre 2010

Il pugno nello stomaco di quello spot pro eutanasia

Il pugno nello stomaco di quello spot pro eutanasia

Francesco Specchia,Libero Quotidiano, il 24/11/10

C’è un signore, probabilmente in un ospedale, dall’occhio pesto, in pigiama, e la voce flebile come fiammella nel buio. Dietro di lui la moglie gli rifà il letto mentre la luce dalla tapparella filtra faticosamente in una stanza asettica.
A dire il vero è faticoso - quanto saldo - pure l’eloquio del signore: «La vita è questione di scelte. Io ho scelto di fare ingegneria all’università. Ho scelto di sposare Tina, con due figli splendidi. Ho scelto questa maglietta, questo taglio di capelli. Quello che non ho scelto è di essere malato terminale». Continua l’uomo, con estrema dignità: «Certamente non ho scelto che la mia famiglia debba vivere quest’inferno con me. Sto aspettando per la scelta finale, ho solo bisogno che il governo mi ascolti». Ecco. È in questi 30, choccanti, secondi che si articola l’unico spot proeutanasia già censurato in Australia e andato in onda, in Italia, soltanto sulle frequenze di Telelombardia e Antenna3 dell’editore Sandro Parenzo. La versione italiana dello spot è stata curata dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito Radicale, che l’ha reso il simbolo d’una battaglia politica. C’è da dire che lo spot mette i brividi, ti lacera, ti devasta come se avessi dentro un chilo di tritolo. Ci ricorda un road movie tedesco di Thomas Jahn, "Knockin’ on Heaven’s Door", su due malati terminali che fuggono dall’ospedale per vedere il mare per l’ultima volta. Si trattava d’un bel film del’97, in Italia passò solo in un Festival, non fu mai distribuito.
Ora, Parenzo è un editore ebreo, laico, illuminato, a volte benignamente paraculo. Ma solo l’idea di propalare una così estrema idea di libertà, di gestione del proprio corpo, di diritto alla morte, è un gesto assai coraggioso. Certo, l’eutanasia può essere trattata in vari modi. C’è Saviano che invita Mina Welby ed Englaro; c’è "Kilt me please", la black comedy di Olias Barco che ha vinto il Festival di Roma; c’è, perfino, un ironico e misconosciuto racconto di Stevenson, "Il club dei suicidi", che consigliamo vivamente a chi vorrebbe vivere il trapasso con la levità dei poeti. Comunque sia, nonostante la drammaticità del tema, ci fa stare meglio il pensiero che chiunque possa esercitare uno straccio di libero arbitrio. Non foss’altro nel guardare o meno uno spot...

venerdì 3 dicembre 2010

Per il governo non si può morire in pace

il Fatto 21.11.10
Per il governo non si può morire in pace
Dichiarati “illegittimi” i registri comunali con le volontà dei cittadini
di Roberta Zunini

La settimana si è aperta con la critica di Avvenire a Roberto Saviano per aver ricordato i percorsi tormentati ma sempre nel solco della legalità di Beppino Englaro e di Piergiorgio Welby, allo scopo di affermare il diritto all’autodeterminazione del malato. La settimana si chiude con una circolare dei ministri Maroni, Fazio e Sacconi che definisce “illegittimi” i registri comunali, istituiti dallo scorso anno in settantadue città, per raccogliere le volontà dei cittadini sul fine vita, in assenza di una legge nazionale che lo regoli.
Il disegno di legge sulle disposizioni anticipate o testamento biologico però è ultimato ma è fermo da mesi e non sembra sul punto di sbloccarsi. Mancano ancora alcuni pareri e sembrerebbe che lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini avesse sollecitato il parere della presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno.
Il nodo insolubile rimane l’obbligatorietà o meno dell’alimentazione e idratazione artificiale. In realtà è un disegno di legge che, per i suoi contenuti sensibili, conviene tener insabbiato. Pronto per venire ripreso e usato strumentalmente ogni qual volta gli schieramenti hanno necessità di marcare il territorio”. La legge sulle disposizioni anticipate in materia di fine vita è pronta dal luglio scorso – scandisce il senatore Pd Ignazio Marino – il fatto è che questa legge il governo del “fare” non la vuole fare. Non gli conviene, è un argomento troppo spinoso in questo momento. Ma noi a questo punto chiederemo che venga subito calendarizzata la votazione alla Camera. Del resto così non è più possibile andare avanti: la legge non si fa, i registri comunali che dovrebbero in parte arginare questo vuoto legislativo e dare la possibilità ai cittadini di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, neanche. Il fatto è che questo governo oggi non è in grado di decidere nulla”, conclude Marino. Insomma non decide ma si oppone ai registri comunali, nati sulla base di iniziative popolari. na.
“DI CERTO non si può pensare che questo documento contro i registri comunali risponda al volere della maggior parte degli italiani – sostiene l’Onorevole Benedetto Della Vedova, vicecapogruppo dei finiani alla Camera – i cittadini non vogliono che siano i ministri, i legislatori, i giudici a decidere della propria salute . Sembrerebbe piuttosto una mossa per accontentare una parte della gerarchia ecclesiastica”, Della Vedova sostiene che quando il ddl approderà in aula, i deputati del Fli voteranno secondo coscienza. Ribadisce però che la cosa migliore sarebbe una “soft law”, una legge morbida che lasci al codice di deontologia medica, il compito di regolare una materia così delicata, che dovrebbe essere maneggiata solo dai diretti interessati assieme ai medici e semmai ai familiari. Ieri si sono espresse varie associazioni che hanno promosso il ricorso ai registri. Secondo Libera Uscita, “il Comune che istituisce il registro dei testamenti biologici non deborda in nessun modo da quelle che sono le sue competenze”. I registri, spiegano, sono “semplici atti amministrativi” che “non entrano nel merito del contenuto delle dichiarazioni anticipate di volontà”, con i quali si riempie “un vuoto di tipo amministrativo”.
IL DOCUMENTO firmato dai ministri dell’Interno, della Salute e del Welfare minaccia azioni legali contro chi promuova i registri, per “uso distorto di risorse umane e finanziarie”. Il radicale Marco Cappato che è stato tra i promotori della raccolta di firme per l’istituzione dei registri comunali sostiene che non ci sono leggi che impediscano l’utilizzo dello strumento dei registri comunali per esercirtare l’autodeterminazione . “In uno stato liberale è proibito ciò che è vietato dalla legge. É dunque legittimo per un comune aiutare i propri cittadini a vedere rispettata la libertà di autodeterminarsi, anche se ciò implica le spese di cancelleria e il lavoro di un impiegato comunale”.
Nel comunicato del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si legge: “...nessuna norma di legge abilita il Comune a gestire il servizio relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento...”.
IN LINEA generale, occorre considerare che la materia del “fine vita” rientra nell’esclusiva competenza del legislatore nazionale e non risulta da questi regolata. É d’accordo con questa circolare l’onorevole Isabella Bertolini della direzione nazionale del Pdl che ieri ha esultato: “La circolare del ministero sbugiarda la propaganda della sinistra, tesa ad introdurre in Italia non solo quello che non è previsto e regolamentato dalla legge, ma anche quello che è vietato”. La deputata con grande “senso dell’opportunità” conclude la sua dichiarazione dicendo che “su questa pagliacciata ideologica va messa una pietra tombale”. Purtroppo c’è chi ha dovuto scegliere davvero di mettere una pietra tombale sulla propria esistenza perchè diventata insopportabile. Era Luca Coscioni che spese pubblicamente gli ultimi anni della sua breve vita combattendo per il diritto all’autodeterminazione del malato, il premio Nobel Josè Saramago quando morì gli dedicò queste parole: “Purché la luce della ragione e del rispetto umano possa illuminare i tetri spiriti di coloro che si credono ancora, e per sempre, padroni del nostro destino. Attendevamo da tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito un nuova forza”. Dobbiamo augurarci un altro malato si faccia carico di ricordare alle istituzioni il diritto all’autodeterminazione della persona sancito dal diritto internazionale oltre che dall’articolo 32 della Costituzione?