l’Unità 17.4.09
Testamento biologico. Medici, pazienti e quell’ambigua alleanza
di Sergio Bartolommei
A proposito del Disegno di legge sul testamento biologico approvato in Senato si è mancato di rilevare un aspetto preliminare che svela il carattere ideologico dell’intero impianto. Riguarda il titolo stesso del DL: «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica ecc. ecc». Forse non tutti sanno che l’“alleanza” di cui si parla è quella tra medico e paziente. La formula è accattivante, e a nessuno verrebbe in mente di contestarla: sarebbe come boicottare l’intesa, che si presume ovvia e naturale, tra due amici. Il ragionamento è tuttavia errato, e non solo perché tra amici “si bisticcia” e le intese si esauriscono.
In un certo senso si può dire che la bioetica contemporanea è nata dalla trasformazione radicale della relazione medico-paziente. Perno di questo cambiamento è stata la “rivoluzione” del “consenso informato”. Dalla lunga stagione ippocratica, contrassegnata dall’idea che il medico conosce più e meglio del paziente quale sia il vero bene di quest’ultimo, si è passati a vedere nella libertà di scelta del cittadino in fatto di salute e malattia il criterio di liceità degli atti medici. Il rifiuto delle cure, anche delle cure salvavita, è divenuta l’espressione più avanzata del “consenso” e dell’autonomia del paziente.
Ciò significa che la nozione di “alleanza terapeutica” non può essere usata come una nozione descrittiva. È una categoria morale frutto di una visione del rapporto medico-paziente secondo cui il secondo non può che affidarsi al primo e entrambi non possono che convergere su “soluzioni condivise”. Eppure oggi nelle relazioni sanitarie troviamo sì pazienti che continuano ad affidarsi ciecamente ai medici, ma anche altri che, sul piano morale, si affidano solo a se stessi e alle proprie idee, preferendo per esempio alla proposta di nuove terapie nessuna terapia, fino al sacrificio della vita. Ciò che il paziente vuole o non vuole per sé può anche non coincidere con l’orientamento del medico perché medico e paziente non formano una simbiosi con interessi logicamente convergenti.
“Alleanza terapeutica” è dunque il nuovo nome per ridare smalto al “vecchio” paternalismo medico. Intitolare ad essa una legge dello Stato rivela l’ispirazione illiberale del Disegno: volendo rendere indisponibile la vita agli individui, la si consegna alla tecnica e alla discrezionalità dei medici. Correggere questa impostazione avrebbe un doppio vantaggio. Non solo libera il paziente da uno stato di minorità nei confronti del medico. Libera anche i medici da una responsabilità tirannica, quella che il DL intenderebbe attribuire loro imponendogli l’obbligo di nutrire e idratare anche i pazienti che rifiutano questi trattamenti.
Docente di Bioetica, Università di Pisa, Membro della Consulta di Bioetica
Testamento biologico. Medici, pazienti e quell’ambigua alleanza
di Sergio Bartolommei
A proposito del Disegno di legge sul testamento biologico approvato in Senato si è mancato di rilevare un aspetto preliminare che svela il carattere ideologico dell’intero impianto. Riguarda il titolo stesso del DL: «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica ecc. ecc». Forse non tutti sanno che l’“alleanza” di cui si parla è quella tra medico e paziente. La formula è accattivante, e a nessuno verrebbe in mente di contestarla: sarebbe come boicottare l’intesa, che si presume ovvia e naturale, tra due amici. Il ragionamento è tuttavia errato, e non solo perché tra amici “si bisticcia” e le intese si esauriscono.
In un certo senso si può dire che la bioetica contemporanea è nata dalla trasformazione radicale della relazione medico-paziente. Perno di questo cambiamento è stata la “rivoluzione” del “consenso informato”. Dalla lunga stagione ippocratica, contrassegnata dall’idea che il medico conosce più e meglio del paziente quale sia il vero bene di quest’ultimo, si è passati a vedere nella libertà di scelta del cittadino in fatto di salute e malattia il criterio di liceità degli atti medici. Il rifiuto delle cure, anche delle cure salvavita, è divenuta l’espressione più avanzata del “consenso” e dell’autonomia del paziente.
Ciò significa che la nozione di “alleanza terapeutica” non può essere usata come una nozione descrittiva. È una categoria morale frutto di una visione del rapporto medico-paziente secondo cui il secondo non può che affidarsi al primo e entrambi non possono che convergere su “soluzioni condivise”. Eppure oggi nelle relazioni sanitarie troviamo sì pazienti che continuano ad affidarsi ciecamente ai medici, ma anche altri che, sul piano morale, si affidano solo a se stessi e alle proprie idee, preferendo per esempio alla proposta di nuove terapie nessuna terapia, fino al sacrificio della vita. Ciò che il paziente vuole o non vuole per sé può anche non coincidere con l’orientamento del medico perché medico e paziente non formano una simbiosi con interessi logicamente convergenti.
“Alleanza terapeutica” è dunque il nuovo nome per ridare smalto al “vecchio” paternalismo medico. Intitolare ad essa una legge dello Stato rivela l’ispirazione illiberale del Disegno: volendo rendere indisponibile la vita agli individui, la si consegna alla tecnica e alla discrezionalità dei medici. Correggere questa impostazione avrebbe un doppio vantaggio. Non solo libera il paziente da uno stato di minorità nei confronti del medico. Libera anche i medici da una responsabilità tirannica, quella che il DL intenderebbe attribuire loro imponendogli l’obbligo di nutrire e idratare anche i pazienti che rifiutano questi trattamenti.
Docente di Bioetica, Università di Pisa, Membro della Consulta di Bioetica
1 commento:
Com'è che ancora si confondono "forzatamente" diritto alla salute con diritto alla vita?
Un medico può (nei limiti della scienza) tentare di fare qualcosa per la prima, di certo non per la seconda.
Uccidere un uomo per un medico è facile, ma siamo sicuri che sia questo il suo compito?
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