mercoledì 29 aprile 2009

Testamento biologico, Napolitano scrive a Ravasin: "Spero ci sia condivisione"

Testamento biologico, Napolitano scrive a Ravasin: "Spero ci sia condivisione"

L'Unità del 29 aprile 2009, pag. 18

«Raccolgo il suo appassionato messaggio con la stessa attenzione e partecipazione con cui seguo tutti i casi di tragica sofferenza personale, al di là delle posizioni che ciascuno può esprimere in termini generali». Lo scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Paolo Ravasin, l`uomo ammalato di sclerosi laterale amiotrofica che il 21 aprile scorso aveva inviato un video-appello alle massime cariche istituzionali sulla questione del testamento biologico. La missiva è stata resa pubblica dall`Associazione Luca Coscioni. «I temi da lei ora evocati (disciplina della fine vita, testamento biologico, trattamenti di alimentazione e idratazione meccanica) - scrive il Capo dello Stato - continuano a interrogare le coscienze individuali e investono sempre più la responsabilità collettiva. In Parlamento si è infine aperta una discussione che si sta misurando con la complessità e la delicatezza di questioni eticamente sensibili, che incidono sui diritti fondamentali della persona e investono concezioni politiche trasversali agli stessi schieramenti politici». Il Presidente della Repubblica sente «profondamente la responsabilità di ascoltare ogni voce», ma constata «che in Parlamento si è determinato un clima di grande riflessività e confidare che prevalga l`impegno a individuare soluzioni il più possibile condivise nel dovuto equilibrio tra i diversi beni costituzionali da tutelare». Per Ravasin le parole del Capo dello Stato potrebbero ispirare «le coscienze dei Parlamentari che hanno finora svilito la libertà di scelta».

Napolitano scrive a Ravasin "soluzioni condivise sul fine vita"

Napolitano scrive a Ravasin "soluzioni condivise sul fine vita"

La Repubblica del 29 aprile 2009, pag. 21

«Sento profondamente la responsabilità di ascoltare ogni voce, nel rispetto della natura e dei limiti del ruolo che la Costituzione mi affida: anche e in particolare rispetto al dibattito alle Camere, sono tenuto a un atteggiamento di rigoroso riserbo». Giorgio Napolitano rispende così al videomessaggio che Paolo Ravasin malato di Sla e presidente della cellula Coscioni di Treviso gli ha rivolto. Messaggio in cui l´ammalato di sclerosi accusa il disegno di legge sul testamento biologico. che dopo aver ottenuto il via libera dal Senato si appresta ora a completare il suo iter parlamentare, con l´esame della Camera. A render nota la lettera è lo stesso Quirinale.

«Caro Ravasin», scrive il presidente, «anch´io vorrei dirle che raccolgo il suo appassionato messaggio con la stessa attenzione e partecipazione con cui seguo tutti i casi di tragica sofferenza personale». I temi evocati, dice ancora il capo dello Stato, «disciplina della fine vita, testamento biologico, trattamenti di alimentazione e idratazione meccanica, continuano a interrogare le coscienze individuali e investono sempre più la responsabilità collettiva». In Parlamento s´è aperta una discussione che si sta misurando con la «complessità e la delicatezza di questioni eticamente sensibili, che incidono sui diritti fondamentali della persona e investono concezioni politiche trasversali agli stessi schieramenti politici». Dopo aver ricordato il riserbo costituzionale a cui si sente legato, il presidente si limita a confidare che prevalga l´impegno a individuare soluzioni il più possibile condivise «nel dovuto equilibrio tra i diversi beni costituzionali da tutelare».

martedì 28 aprile 2009

Eutanasia, a Nordest 6 su 10 sono per il sì

Eutanasia, a Nordest 6 su 10 sono per il sì

Il Gazzettino del 28 aprile 2009, pag. 1

Cristiano Samueli*

Di fronte alla domanda riguardante la scelta di morire, la mia prima considerazione è stata se coloro che hanno risposto fossero davvero coscienti di cosa andavano ad affermare. Questo perché la domanda suscita già una prima perplessità dato che non possono essere le persone a praticare l`eutanasia poiché altrimenti si tratterebbe di suicidio. D`altra parte con eutanasia non si può unicamente intendere il porre termine alla vita di un malato incurabile. Ecco che allora sorge il problema di definire il termine eutanasia. Ecco che allora sorge il problema di definire il termine eutanasia. Tutta la più recente riflessione bioetica identifica il concetto di eutanasia con qualsiasi azione che porta intenzionalmente e deliberatamente a morte il malato. Per eutanasia, nell`accezione più appropriata del termine, si deve quindi intendere esclusivamente la soppressione intenzionale della vita di un paziente. Il consenso che emerge dalle risposte, a mio avviso, ha tra le sue motivazioni il fatto che la maggioranza delle persone ignora totalmente l`esistenza di un approccio diverso e più fattivo rispetto all`eutanasia, ovvero quello della desistenza da cure inappropriate per eccesso. Il termine desistenza terapeutica è stato mutuato dall`Anestesia Rianimazione, ambito della medicina in cui per primo si è sentito il bisogno di affrontare queste problematiche in maniera globale. In questo settore infatti è molto più pressante e drammatico il problema delle decisioni di fine vita nei confronti di un paziente morente. Desistere vuol quindi dire accompagnare questo tipo di pazienti verso la fine dando loro la migliore terapia del dolore e di supporto vitale, creando un rapporto medico-paziente chiaro ed efficace che riesca anche a decodificare le loro esigenze, costruendo inoltre una relazione positiva con la famiglia. Spesso il morente è portato a pensare all`eutanasia perché vede nella morte l`unica soluzione alle sue sofferenze ed è per evitare questo che il medico che desiste deve prestare attenzione al paziente terminale perché sapendo affrontare questi momenti di grave difficoltà si aiuta il malato a recuperare il senso della sua condizione. Dunque nessun accanimento terapeutico ma nemmeno un abbandono definitivo della persona, perché il medico continua comunque ad assistere il morente rispettandone la dignità ma senza travolgerlo con trattamenti di nessuna utilità. In strutture come gli hospice ospedalieri e domiciliari si mette in atto questo concetto di accompagnamento del malato agonizzante verso la fine della vita. Strutture, queste, che in realtà sono ancora troppo poche e che andrebbero implementate, mettendo in campo un progetto sanitario nazionale di ampio respiro e capace di rispondere a questa emergenza fino ad oggi fin troppo sottaciuta. Un dato esemplificativo su tutti: In Italia ogni anno oltre diecimila bambini contraggono una malattia che li porterà velocemente verso la fine della vita. Dati ufficiali dicono che meno del 5% di questi riesce a raggiungere un centro di cure palliative e di terapia del dolore. Gli altri spariscono nel mare degli ospedali a volte poco attrezzati per seguire loro ed i genitori, con tutte le conseguenze che ci si può facilmente immaginare. Su tutto il territorio nazionale esiste ad oggi un unico hospice pediatrico, in funzione a Padova dal settembre 2008. La desistenza terapeutica può essere il nuovo percorso che porta ad affrontare le problematiche di fine vita e dobbiamo tutti insieme sviluppare e delimitare questo concetto. È per questo che, grazie anche alla sensibilità del presidente dell`Ordine dei Medici di Venezia, dott. Maurizio Scassola, abbiamo organizzato il Secondo Simposio Nazionale sulle Decisioni di Fine Vita dal titolo "Etica dell`accompagnamento e desistenza terapeutica" che si terrà a Mestre il 16 maggio e che vedrà presenti personalità di alto livello. Alla luce di quanto detto, quali potrebbero essere i risultati di un sondaggio rispetto alla seguente domanda: è favorevole o contrario all`accompagnamento verso la morte del malato terminale? A voi la risposta.

NOTE

*Presidente Associazione Italiana per le decisioni di Fine vita

giovedì 23 aprile 2009

Ravasin lancia il suo grido alle istituzioni

Ravasin lancia il suo grido alle istituzioni

Il Riformista del 22 aprile 2009, pag. 6

A.C.

«Mi viene sottratta l`unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte». Il «grido», come lo definisce lui stesso, è di Paolo Ravasin, immobilizzato nel suo letto dalla sclerosi laterale amiotrofica che lo ha registrato in un video rivolto al Presidente della Repubblica e ai presidenti delle Camere. Già lo scorso luglio. Ravasin aveva registrato un video. Si trattava del proprio testamento biologico ed era stato reso pubblico proprio nei giorni in cui il Parlamento decideva di trascinare la Cassazione davanti alla Corte Costituzionale, rea di aver deciso sul caso Englaro e accusata di invasione di campo. Ebbene, dopo l`approvazione in Senato del testo Calabrò, ieri Ravasin è tornato alla carica, stavolta con un appello alle massime cariche dello Stato. Come fece Piergiorgio Welby. Sono proprio di Welby le parole prese a prestito da Ravasin per l`incipit del messaggio, per spiegare che questo suo «grido» non è di «disperazione ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese». Dopo aver ricordato che tutte le difficoltà non gli hanno tolto la voglia di lottare per sopravvivere, Ravasin ha però aggiunto che «non é facile convivere ogni giorno con dolori continui e crescenti e con la febbre che va e viene periodicamente, con i continui trattamenti antibiotici». «Perciò - ha ricordato - un anno fa ho sentito la necessità di redigere il mio testamento biologico, che poi ho voluto fosse ripreso anche con un video affinché la mia volontà fosse conosciuta e considerata insuperabile: ho stabilito la soglia in cui non ritengo più la mia vita debba essere portata avanti a tutti i costi e ho chiesto che si avesse rispetto della mia decisione». «Con grande tristezza ha detto ancora Ravasin - ho appreso la notizia dell`approvazione al Senato della legge, formalmente sul testamento biologico, ma sostanzialmente contro il testamento biologico, che rende carta straccia le mie direttive anticipate e in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiali quando non sarò più in grado di nutrirmi e bere naturalmente». «Ognuno di noi - ha accusato, allora - alla fine dei suoi giorni è solo di fronte alla morte, ma lo Stato e la Chiesa hanno preteso di sostituirsi a Dio». Quindi, citando ancora Welby, ha concluso: «lo credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole ma non credo che per le stesse ragioni si possa giocare con la vita altrui».

Ravasin, malato di Sla: "voglio decidere io quando morire"

Ravasin, malato di Sla: "voglio decidere io quando morire"

Il Messaggero del 22 aprile 2009, pag. 11

Lo sguardo fisso alla telecamera e un filo di voce per ribadire la sua volontà. Paolo Ravasin, 49 anni, da 10 affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dal letto della clinica in provincia di Treviso dove è ricoverato, ha inviato il suo video-appello al Presidente della repubblica e alla massime cariche di Camera e Senato per dire «no» al disegno di legge sul testamento biologico approvato il 27 marzo scorso a Palazzo Madama e ora al vaglio della Camera dei deputati. «L`Organizzazione mondiale della sanità - dice - ha sancito che l`alimentazione e l`idratazione artificiali sono dei trattamenti sanitari a tutti gli effetti: questa legge è anticostituzionale perché non mi consente di rifiutare tali trattamenti». Ravasin, nato e cresciuto a Treviso, da 4 anni vive in uno stato di paralisi, nella struttura in cui era ricoverato precedentemente per ben 18 volte la macchina che gli consente di respirare si è staccata, rischiando di farlo morire. «Tutto questo non mi ha tolto la voglia di lottare - dice oggi - nonostante non mi sia stato ancora dato un comunicatore che mi consenta, usando gli occhi di parlare anche nei giorni in cui non ho voce». Nel luglio scorso ha registrato un altro video messaggio con il quale rendeva pubblico il suo volere rispetto alle cure. «Al peggiorare della mia condizione, sospendete tutte le cure», aveva chiesto. Oggi però quella sua volontà gli appare inapplicabile. «Questa legge - spiega oggi - rende carta straccia le mie direttive anticipate ed in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiale quando non sarò più in grado di farlo». Ravasin, che nel video diffuso oggi cita più volte Piergiorgio Welby morto nel dicembre del 2006 per distrofia muscolare dopo una lunga battaglia contro l`accanimento terapeutico, rivendica la sua «libertà di scelta». Concludendo così il suo video: «Mi viene sottratta l`unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte, ma Stato e Chiesa hanno preteso di sostituirsi a Dio».

"Non voglio la nutrizione forzata"

"Non voglio la nutrizione forzata"

Il Mattino del 22 aprile 2009, pag. 13

Marco Maffettone

Lo sguardo fisso alla telecamera e un filo di voce per ribadire la sua volontà. Paolo Ravasin, 49 anni, da dieci affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dal letto della clinica in provincia di Treviso dove è ricoverato, ha inviato il suo video-appello al presidente della Repubblica e alla massime cariche di Camera e Senato per dire «no» al disegno di legge sul testamento biologico approvato il 27 marzo scorso a Palazzo Madama e ora al vaglio della Camera dei deputati. «L`Organizzazione mondiale della sanità - dice infatti Paolo Ravasin ha sancito che l`alimentazione e l`idratazione artificiali sono dei trattamenti sanitari a tutti gli effetti: questa legge è anticostituzionale perché non mi consente di rifiutare tali trattamenti». Ravasin, nato e cresciuto a Treviso, da quattro anni vive in uno stato di paralisi, nella struttura in cui era ricoverato precedentemente per ben 18 volte la macchina che gli consente di respirare si è staccata, rischiando di farlo morire. «Tutto questo non mi ha tolto la voglia di lottare - dice oggi nonostante non mi sia stato ancora dato un comunicatore che mi consenta, usando gli occhi di parlare anche nei giorni in cui non ho voce». Nel luglio scorso ha registrato un altro video messaggio con il quale rendeva pubblico il suo volere rispetto alle cure. «Al peggiorare della mia condizione, sospendete tutte le cure», aveva chiesto. Oggi però quella sua volontà gli appare inapplicabile. «Questa legge - spiega oggi - rende carta straccia le mie direttive anticipate ed in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiale quando non sarò più in grado di farlo». Ravasin, che nel video che stato diffuso ieri dai tanti canali mediatici cita più volte Piergiorgio Welby morto nel dicembre del 2006 per distrofia muscolare dopo una lunga battaglia contro l`accanimento terapeutico, rivendica la sua «libertà di scelta in un grido che non è di disperazione ma carico di speranza umana e civile». La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso influisce in modo predominante sui neuroni mo- tori. Nella maggioranza dei casi, la malattia non danneggia la mente, la personalità, l`intelligenza o la memoria del paziente. «Mi viene sottratta conclude nel videomessaggio Paolo Ravasin - l`unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte, ma Stato e Chiesa hanno preteso di sostituirsi a Dio». E sì apre il dibattito, che richiama i vari passaggi legislativi del Parlamento stabiliti all`indomani della tragedia di Eluana Englaro. «L`appello di Paolo Ravasin rivolto alle massime cariche dello Stato italiano, rappresenta un messaggio di altissimo valore politico, specialmente in questo momento molto delicato in cui il disegno di legge sul testamento biologico sta passando dal Senato alla Camera» afferma Emma Bonino, parlamentare radicale. «Ravasin - continua la Bonino - ci fa capire che ci sono principi che non sono a disposizione di nessuna maggioranza, anche se questa fosse bulgara». «Il Parlamento non può ignorare la sensibilità di milioni di italiani che vorrebbero una legge sul testamento biologico giusta ed umana, che consenta di rifiutare accanimenti terapeutici tramite idratazione e alimentazione forzate». afferma Umberto Guidoni, eurodeputato di Sinistra e Libertà.

mercoledì 22 aprile 2009

Se lo Stato non ascolta Paolo*

Se lo Stato non ascolta Paolo*

di Maria Antonietta Farina Coscioni

Il testo del disegno di legge approvato al Senato in tema di "testamento biologico" avrebbe probabilmente avuto un altro senso e dato risposte certe, se fossero state raccolte le voci e le testimonianze dei malati che sul proprio corpo vivono dolori e sofferenze atroci.

Una fra tante quella del video-messaggio di Paolo Ravasin gravemente malato di sclerosi laterale amiotrofica come Luca Coscioni, attaccato ad un ventilatore artificiale come Pier Giorgio Welby, che non vuole essere nutrito artificialmente, nel caso in cui le sue condizioni si aggravassero ulteriormente, attraverso la Peg (gastrostomia endoscopica percutanea), o con un sondino nasogastrico come è accaduto per anni a Eluana Englaro. Paolo non ha paura di vivere, lotta perché ha paura di non poter morire. Ha paura perché la legge varata dal Senato annulla la sua volontà, e le sue parole perché «lo Stato intende arrogarsi il diritto di bucare il mio stomaco per introdurvi acqua e cibo ... Io ribadisco che non voglio, assolutamente non voglio essere sottoposto a questi trattamenti...».


È un uomo libero, Paolo, perché è perfettamente informato e pienamente consapevole delle conseguenze cui va incontro, e rivendica il suo diritto e la libertà di poter decidere di quello che rimane della sua vita e della sua morte. Parto dalle sue parole, e dal pieno rispetto della sua volontà: pongono tutti noi di fronte a responsabilità che non devono essere eluse: il diritto di rifiutare i trattamenti medici si estende anche a quelli necessari per la propria sopravvivenza, non essendo in alcun modo ricavabile dal diritto alla vita, che tutela innanzitutto l’individuo contro le aggressioni da parte di terzi, né un dovere di mantenersi in vita, né un dovere di subire interventi nel proprio corpo finalizzati al mantenimento delle funzioni vitali, nonostante la propria contraria volontà.


C’è chi sostiene che tali questioni riguardano la coscienza individuale e non la politica. Ma se la politica non si occupa di queste cose, che riguardano la quotidianità della nostra vita, di che cosa deve mai occuparsi?

La "politica", arroccata nei suoi "palazzi", impone leggi-manifesto ed elude le richieste e i bisogni dei cittadini. Dinanzi ad un dibattito parlamentare sinora deludente, che non corrisponde alle esigenze del cittadino, ci sarà, temo, ancora bisogno di altri "casi" come quelli di Paolo, di Eluana, di Luca e di Piergiorgio, veri e propri «eroi», per rendere il dibattito politico autentico e non, come avviene, incutendo paura nella collettività.

NOTE

* da “L’Unità”

Malato di Sla a Napolitano: no all’alimentazione forzata

l’Unità 22.4.09
Malato di Sla a Napolitano: no all’alimentazione forzata
di Giuseppe Vittori

Il video-appello di Ravasin da 10 anni affetto da sclerosi laterale amiotrofica
Il suo messaggio per dire «no» al ddl sul testamento biologico: «È anticostituzionale»

Lo sguardo fisso alla telecamera e un filo di voce per ribadire la sua volontà.
Paolo Ravasin, 49 anni, da dieci affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dal letto della clinica in provincia di Treviso dove è ricoverato, ha inviato il suo video-appello al Presidente della Repubblica e alle massime cariche di Camera e Senato per dire «no» al disegno di legge sul testamento biologico approvato il 27 marzo scorso a Palazzo Madama e ora al vaglio della Camera dei deputati.
Cosa dicono nel mondo
«L’Organizzazione mondiale della sanità - dice - ha sancito che l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono dei trattamenti sanitari a tutti gli effetti: questa legge è anticostituzionale perché non mi consente di rifiutare tali trattamenti».
Ravasin, nato e cresciuto a Treviso, da quattro anni vive in uno stato di paralisi, nella struttura in cui era ricoverato precedentemente per ben 18 volte la macchina che gli consente di respirare si è staccata, rischiando di farlo morire. «Tutto questo non mi ha tolto la voglia di lottare - dice oggi - nonostante non mi sia stato ancora dato un comunicatore che mi consenta, usando gli occhi di parlare anche nei giorni in cui non ho voce».
Nel luglio scorso ha registrato un altro video messaggio con il quale rendeva pubblico il suo volere rispetto alle cure. «Al peggiorare della mia condizione, sospendete tutte le cure», aveva chiesto. Oggi però quella sua volontà gli appare inapplicabile. «Questa legge - spiega oggi - rende carta straccia le mie direttive anticipate ed in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiale quando non sarò più in grado di farlo».
Ravasin, che nel video diffuso ieri cita più volte Piergiorgio Welby morto nel dicembre del 2006 per distrofia muscolare dopo una lunga battaglia contro l’accanimento terapeutico, rivendica la sua «libertà di scelta in un «grido che non è di disperazione ma carico di speranza umana e civile» .
La malattia
La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso influisce in modo predominante sui neuroni motori. Nella maggioranza dei casi, la malattia non danneggia la mente, la personalità, l’intelligenza o la memoria del paziente.
«Mi viene sottratta - conclude nel video Ravasin - l’unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte, ma Stato e Chiesa hanno preteso di sostituirsi a Dio».

martedì 21 aprile 2009

Testamento biologico. Medici, pazienti e quell’ambigua alleanza

l’Unità 17.4.09
Testamento biologico. Medici, pazienti e quell’ambigua alleanza
di Sergio Bartolommei

A proposito del Disegno di legge sul testamento biologico approvato in Senato si è mancato di rilevare un aspetto preliminare che svela il carattere ideologico dell’intero impianto. Riguarda il titolo stesso del DL: «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica ecc. ecc». Forse non tutti sanno che l’“alleanza” di cui si parla è quella tra medico e paziente. La formula è accattivante, e a nessuno verrebbe in mente di contestarla: sarebbe come boicottare l’intesa, che si presume ovvia e naturale, tra due amici. Il ragionamento è tuttavia errato, e non solo perché tra amici “si bisticcia” e le intese si esauriscono.
In un certo senso si può dire che la bioetica contemporanea è nata dalla trasformazione radicale della relazione medico-paziente. Perno di questo cambiamento è stata la “rivoluzione” del “consenso informato”. Dalla lunga stagione ippocratica, contrassegnata dall’idea che il medico conosce più e meglio del paziente quale sia il vero bene di quest’ultimo, si è passati a vedere nella libertà di scelta del cittadino in fatto di salute e malattia il criterio di liceità degli atti medici. Il rifiuto delle cure, anche delle cure salvavita, è divenuta l’espressione più avanzata del “consenso” e dell’autonomia del paziente.
Ciò significa che la nozione di “alleanza terapeutica” non può essere usata come una nozione descrittiva. È una categoria morale frutto di una visione del rapporto medico-paziente secondo cui il secondo non può che affidarsi al primo e entrambi non possono che convergere su “soluzioni condivise”. Eppure oggi nelle relazioni sanitarie troviamo sì pazienti che continuano ad affidarsi ciecamente ai medici, ma anche altri che, sul piano morale, si affidano solo a se stessi e alle proprie idee, preferendo per esempio alla proposta di nuove terapie nessuna terapia, fino al sacrificio della vita. Ciò che il paziente vuole o non vuole per sé può anche non coincidere con l’orientamento del medico perché medico e paziente non formano una simbiosi con interessi logicamente convergenti.
“Alleanza terapeutica” è dunque il nuovo nome per ridare smalto al “vecchio” paternalismo medico. Intitolare ad essa una legge dello Stato rivela l’ispirazione illiberale del Disegno: volendo rendere indisponibile la vita agli individui, la si consegna alla tecnica e alla discrezionalità dei medici. Correggere questa impostazione avrebbe un doppio vantaggio. Non solo libera il paziente da uno stato di minorità nei confronti del medico. Libera anche i medici da una responsabilità tirannica, quella che il DL intenderebbe attribuire loro imponendogli l’obbligo di nutrire e idratare anche i pazienti che rifiutano questi trattamenti.
Docente di Bioetica, Università di Pisa, Membro della Consulta di Bioetica

sabato 11 aprile 2009

Testamento biologico: il vero obbiettivo. Se lo Stato dimentica i diritti

l’Unità 8.4.09
Testamento biologico: il vero obbiettivo. Se lo Stato dimentica i diritti
di Donatella Poretti

Perché il Parlamento “avrebbe” potuto fare una legge sul testamento biologico? Guardando le altre legislazioni la risposta è univoca: estendere il diritto della persona capace di decidere le cure a chi si trovasse nell’incapacità di esprimere il consenso. Una dichiarazione esecutiva dal momento in cui il paziente non può esprimere le sue volontà, che oggi devono essere ricostruite (vicenda Englaro) oppure delegate ad altri come i familiari.
Altra è la risposta per cui è stata approvata dal Senato questa legge. Nessuno deve più morire di “fame e di sete” ed essere “ucciso con sentenze” della magistratura. Si è così creato un istituto giuridico - le dichiarazioni anticipate di trattamento - per svuotarlo di significato e di valore. Non essendo vincolanti avranno lo stesso valore di una email o di una telefonata.
Fosse solo questo potremmo essere amareggiati di aver usato male il tempo delle istituzioni, ma rassicurati in parte dall’inutilità dell’operazione.
Purtroppo la legge non si limita a ciò. Il primo comma anticipa la gravità della norma sancendo l’indisponibilità della vita, che diventa un obbligo di vivere e morire nelle condizioni decise dal Parlamento. Questo principio si traduce nel dovere di nutrire e idratare artificialmente un paziente in stato vegetativo. Perdendo la coscienza, gli vengono sottratti anche i diritti, in particolare quello di decidere i trattamenti medici dell’articolo 32 della Costituzione, scritto dopo avere visto gli effetti devastanti degli Stati totalitari sui corpi delle persone.
Questa legge che apparentemente si occupa di sanità, stravolge il senso del rapporto tra la persona, il cittadino, l’individuo e lo Stato. Si passa da caratteristiche salienti dello Stato liberale, come l’inviolabilità dei diritti dell’uomo e la sua autodeterminazione, all’imposizione di dettami tipici di uno Stato etico, che decide cure, vita e morte dei propri sudditi.
Chi ha sostenuto la necessità di un intervento legislativo contro le sentenze della magistratura con questa legge otterrà l’effetto opposto. Una norma così scritta obbligherà i tribunali a interpretare divieti e obblighi imposti. Se i medici avessero avuto bisogno di una norma chiara per avere certezze su come muoversi, la risposta del Parlamento è stata opposta: cavilli e complicazioni. Un medico con questa norma rischia di più se sospende una terapia rispettando il consenso del paziente o se la mantiene contro la sua volontà?
La forza dei numeri non sempre è sinonimo di democrazia: limitare diritti invece che estenderli, cancellare libertà individuali a colpi di maggioranza parlamentare non è caratteristica dello Stato di diritto. Senza il quale non può esserci diritto alla vita.

Roma, al via registro dei biotestamenti

La Repubblica 9.4.09
Roma, al via registro dei biotestamenti
Nel decimo Municipio, la prima firma di Mina Welby. No di Alemanno
È un atto notorio sostitutivo che attesta le volontà sul fine vita di chi lo sottoscrive
di Rory Cappelli

ROMA - «Se dovesse capitare a me, se dovessi finire prigioniera del mio stesso corpo, in balia di medici e infermieri che decidono quando e come spostarmi, lavarmi, nutrirmi, credo che impazzirei. Crudeltà non è staccare la spina: è questa la vera crudeltà. Bisogna che ci pensino bene in Parlamento. E sa perché? Perché potrebbe capitare a chiunque. Anche a loro». Paola Della Manna è la seconda persona che ieri ha firmato e lasciato il suo testamento biologico nella sede del Municipio X, a Roma. La prima a firmare è stata Mina Welby. Firma simbolica, la sua: Mina, una signora minuta, con i capelli bianchi e l´aria dolce di chi ha molto sofferto e molto sa, era moglie di quel Piergiorgio Welby che per 40 anni lottò con la distrofia muscolare che alla fine lo costrinse all´immobilità totale, attaccato a una macchina per sopravvivere. Welby condusse una durissima e inascoltata battaglia affinché la possibilità di scegliere come vivere e quando morire in caso di situazioni irreversibili, di scegliere insomma l´eutanasia, diventasse legge.
«Da oggi i romani, a qualunque municipio appartengano - ha detto ieri il presidente del Municipio X, Sandro Medici, - potranno depositare qui da noi il proprio testamento biologico. Lo potranno fare tutti i cittadini perché la procedura è quella dell´atto notorio sostitutivo che ha valore nell´intero perimetro comunale, come per la carta d´identità». Al servizio, attivo per ora tutti i mercoledì dalle 15 alle 17, si potrà accedere su prenotazione. Si dovranno compilare due moduli: il testamento vero e proprio, in cui si delega una persona a far conoscere ai medici la volontà del malato. E una dichiarazione che attesta l´avvenuto deposito, a cui corrisponderà un numero progressivo annotato nel registro. «C´è chi sostiene che l´iniziativa non abbia valore giuridico - spiega Medici - Ma non è così. Siamo in una situazione di vacatio legis: proprio per questo la coordinata principale resta l´articolo 32 della Costituzione. Almeno finché il Parlamento non voterà una legge che vieti i testamenti biologici». L´articolo 32 della Costituzione dice: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana": «Abbiamo queste belle direttive - commenta Mina Welby - del tutto inascoltate. Una situazione unica in Europa, dove è il malato che decide e non i medici o i parenti».
Nel pomeriggio poi arriva una nota del sindaco Gianni Alemanno. «Questa iniziativa ha un chiaro sapore di manifesto ideologico», dice. Pronta la replica di Medici: «Il nostro registro non è un manifesto ideologico. Ma un tentativo concreto di accogliere e ascoltare le esigenze dei nostri cittadini».

Englaro e 17 anni di battaglie "Così ho cancellato una barbarie"

La Repubblica 10.4.09
Intervista su MicroMega
Englaro e 17 anni di battaglie "Così ho cancellato una barbarie"

L´intervista sul numero in edicola da oggi, dedicato ai temi del testamento biologico

ROMA - «Una medicina che non cura, una rianimazione che rianima a metà, una società che ti suggerisce, sottovoce, �portatela a casa, e lì... ´. E lì, cosa? Per me quell´idea di portarmela a casa allo scopo di lasciarla andare era una barbarie. La medicina aveva creato quella situazione e ora se ne lavava le mani... Ora qualcuno mi dice che ho vinto. Mi fa ridere. Ma che cosa ho vinto?».
Beppino Englaro parla, racconta, ricorda 17 anni di vita, di lotte per fare valere la volontà di sua figlia Eluana. La sua è una delle lunghe, sofferte, dense, lucide, testimonianze raccolte da Micromega per un numero - oggi in edicola - tutto dedicato al Testamento biologico, un volume monografico sul fine vita. Un argomento che ha diviso il paese e il parlamento per mesi in un drammatico dibattito sul diritto di ognuno a decidere in prima persona sulla fine della propria esistenza.
Sono pagine, quelle di Micromega, che raccolgono le storie emblematiche di chi quelle vicende le ha vissute o condivise: da Englaro a Mina Welby, da Maria Antonietta Coscioni a Maddalena Nuvoli, dal filosofo Gianni Vattimo a Paolo di Modica, musicista malato di sclerosi laterale amiotrofica, come Luca Coscioni, che con il progressivo immobilismo della sla ha riscoperto la voglia di lottare, per non arrendersi alla malattia e alla deriva del paese in cui vive.
Accanto alle storie, l´argomento viene esaminato sotto il profilo medico-scientifico nei testi di Carlo Alberto Defanti, medico di Eluana Englaro fino alla sua morte e Gian Domenico Borasio , un palliativista che da anni si occupa del fine-vita. Del profilo giuridico si occupano Stefano Rodotà e Luca Tancredi Barone, mentre monsignor Giuseppe Casale e il teologo valdese Daniele Garrone affrontano la problematica dal punto di vista religioso. Inoltre Paolo Flores d´Arcais si confronta con Angelo Panebianco e Roberta De Monticelli dialoga con Giovanni Reale. A Micromega è allegato un dvd con una lectio magistralis sulla Costituzione tenuta dal presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

martedì 7 aprile 2009

Non aggredite il mio corpo in nome di una politica sciagurata

Non aggredite il mio corpo in nome di una politica sciagurata*
L’appello di un malato mentre il Parlamento discute di testamento biologico

di Paolo Ravasin**

Mi chiamo Paolo Ravasin. Il 4 aprile compirò 49 anni. Vivo a Monastier, Treviso, in una casa-soggiorno per disabili. Sono gravemente malato, da molto anni, di sclerosi laterale amiotrofica (Sla), la stessa malattia di cui soffriva Luca Coscioni, nel cui nome vive e lotta l’associazione della quale io mi considero un militante. Il 21 luglio scorso ho espresso chiaramente le mie volontà, in un video-testamento che si può facilmente trovare su internet, digitando il mio nome.

Ancora oggi voglio ripetere che, nel caso in cui le mie condizioni si aggravassero e non fossi più in grado di nutrirmi in via ordinaria, oppongo il mio netto rifiuto a ogni forma di idratazione e alimentazione artificiali, sostitutive della modalità naturale. Tale rifiuto deve essere considerato efficace, anche nel caso in cui dovessi perdere la capacità di esprimere e confermare la mia volontà. Inoltre, da quel momento, rifiuto qualsiasi terapia medica per la mia malattia, o per eventuali complicazioni che dovessero insorgere, ad esclusione dei farmaci necessari ad alleviare la mia sofferenza, derivante in particolare dalla disidratazione. Infine, oppongo il mio rifiuto ad ogni trasferimento in strutture ospedaliere. Sono perfettamente informato, e dunque pienamente consapevole, delle conseguenze cui vado incontro con queste decisioni, che ancora una volta confermo.

Ma adesso ho paura. Giovedì scorso il Senato ha approvato un testo di legge che rappresenta per me – ma in realtà per tutti gli italiani - una minaccia grave e intollerabile. La mia volontà, secondo i fautori di questa politica sciagurata, non conta nulla. Se non sarò più in grado di esprimermi, verrò aggredito in nome della legge. Lo Stato intende arrogarsi il diritto d’ufficio di bucare il mio stomaco per introdurvi acqua e cibo; oppure, in alternativa, di inserirmi un sondino nel naso, attraverso il quale iniettare allo stomaco il nutrimento, con l’ausilio di una “nutri-pompa”. Io ribadisco che non voglio, assolutamente non voglio essere sottoposto a questi trattamenti. Eppure non potrei impedirlo, perchè la “mia” vita e il “mio” corpo, dicono i sostenitori di questa legge, non sono veramente miei. (E di chi sono, allora?). Dicono anche che idratazione e alimentazione artificiali non sono terapie, neppure se somministrate in questa forma, contro ogni evidenza e nonostante il parere opposto di tutta la comunità scientifica internazionale. Perciò la vita artificiale potrebbe venirmi imposta, se necessario con la forza, in nome di un principio pseudo-religioso, oscurantista e dogmatico.

E’ in corso il tentativo di trasformare l’Italia in uno Stato confessionale, o addirittura teocratico, sulla pelle dei tanti che si trovano nella mia stessa condizione. Ebbene, io non ci sto. Non ho intenzione di sottostare a questo malvagio arbitrio. Se questa legge contro il testamento biologico - dunque contro tutti gli italiani - dovesse essere approvata in via definitiva, mi opporrò in tutte le sedi possibili, con le mie poche forze e l’aiuto dei miei cari, per rivendicare il rispetto della mia volontà. Intendo sottrarmi a questa violenza inaudita e gratuita, a qualsiasi costo, sino alle estreme conseguenze. Mi auguro che tanti cittadini, di tutti gli orientamenti politici o religiosi, facciano sentire nei prossimo giorni la loro voce, affinché non venga portato a termine questo scempio contro lo Stato laico e di diritto.

NOTE

*da “Vanity Fair
** Malato di sclerosi laterale amiotrofica (Sla), 49 anni, lotta per non essere alimentato artificialmente se le sue condizioni si aggraveranno.

domenica 5 aprile 2009

A chi appartiene la vita?

l’Unità 5.4.09
A chi appartiene la vita?
Quella sul testamento biologico è una nuova legge truffa. Lo spiega Paolo Flores d’Arcais in un libro uscito subito dopo il voto in Senato
di Furio Colombo

Non dite «ci penserà la Corte Costituzionale». L’opposizione è un dovere dei parlamentari della minoranza. Esclusi dal potere ma non dall’impegno di dare voce a chi li ha eletti. L’opposizione è un diritto dei cittadini. È vero, la Corte Costituzionale abbatte a una a una le leggi clamorosamente anticostituzionali della maggioranza Berlusconi e del trasversale partito vaticano. Ma ogni sentenza è per forza lontana dal punto in cui entrano in vigore leggi che infettano l’integrità e la coerenza storica, morale, persino logica dell’ordinamento giuridico italiano. Per esempio la legge 40 sulla «procreazione assistita», di fatto impedita, che ha spinto chi poteva a chiedere soccorso nei Paesi normali e ha impedito la tutela della salute delle donne per alcuni anni. La legge è entrata in vigore nel 2004 ed è stata in parte cancellata soltanto ora.
Perciò non dite «ci penserà la Corte Costituzionale». Non solo per il tempo che passa, e i mesi o gli anni di danno irrimediabile. Ma anche perché ci sono materie in cui, una volta che si radica e si allarga lo spazio «Chiesa-Stato» (la Chiesa dispone, lo Stato impone) l’aggressione a diritti fondamentali finisce per invadere gli spazi residui di libertà, per negare ogni legame con il resto del mondo democratico, ma anche con quel che di normale e decente c’è nel nostro passato. Così sta accadendo con il «testamento biologico», una forma inedita di legge-truffa che inganna sul piano giuridico (è una legge fondata sulla menzogna) inganna sul piano politico (nega e cancella ciò che promette nel primo articolo), inganna sul piano morale (vieta la tua libera volontà di decidere). Invano tutti i sondaggi indicano che il 70% degli italiani vuole un vero testamento biologico. La maggioranza parlamentare, credenti e non, ma pur sempre affiliati all’impero celeste di Mediaset (poche e nobili le eccezioni) vota compatta per il biotestamento-truffa. Così è avvenuto in Senato.
Contro questa truffa Paolo Flores d’Arcais ha pubblicato un «instant book» (edito da Ponte alle Grazie) che è lo scatto di indignazione di un cittadino umiliato e offeso e avrebbe dovuto essere lo scatto di indignazione di un Parlamento umiliato e offeso: «Noi tutti siamo contro la pena capitale. Ora, nel caso del malato terminale, abbiamo a che fare con un condannato a morte che non ha commesso alcun delitto ma la condanna si sta eseguendo attraverso indicibili torture. E persino gli Stati ancora a favore della pena capitale da tempo hanno escluso che la pena possa essere eseguita con modalità disumane» (pag. 131).
Ecco ciò che il Senato italiano ha accettato di votare alcuni giorni fa con ben pochi scatti di indignazione (i Radicali, un po’ di Partito Democratico, alcuni obiettori di destra): primo, continuiamo a chiamare «testamento» un documento inutile. I due peggiori tormenti su una vita finita, detti eufemisticamente «nutrizione» e «idratazione», sono imposti per legge, qualunque cosa tu voglia o dica o annunci o prescriva mentre sei lucido e cosciente. Secondo, esprimi pure le tue povere volontà, cittadino-suddito. Il medico, comunque, è autorizzato, e anzi spinto dalla legge, a negare la tua volontà, a non tenerne conto. Al malato terminale vengono tolti «a valle» della sua vita, tutti i diritti e le garanzie perché «a monte», esiste la dottrina della Chiesa cattolica (o meglio, la volontà politica della superiore gerarchia vaticana) che devi accettare anche se non ti riguarda, per decisione dello Stato confessionale che ti governa. Ho riassunto lo stato delle cose, mentre la legge-truffa sul testamento biologico sta per arrivare alla Camera dei deputati. Ma questo è il percorso del lucido intenso libro di Paolo Flores d’Arcais che offre ai deputati che dovranno decidere in coscienza inconfutabili argomenti logici, oltre allo scandalo della truffa.
La truffa ovviamente non consiste nell’aperta e legittima decisione di respingere l’idea di qualunque tipo di testamento biologico. La truffa è nel dirti «sì» per poi abbattere la legge discussa e votata attraverso l’espediente di stabilire, alla fine, che, comunque, la tua volontà non conta.
Per questo Flores d’Arcais chiede, fin dal titolo del suo drammatico saggio sul più penoso evento italiano: «A chi appartiene la tua vita?». Come in una dittatura alla Orwell, la risposta della legge Berlusconi-Vaticano è: «tranquillo, la tua vita appartiene a noi». Quel noi è ripugnante, in parte arrogante in parte servile. Sembra religioso ed è solo illegale. Ecco il momento di non cedere. Ci dà ragione il 70 per cento dei cittadini. E la Costituzione.

sabato 4 aprile 2009

Fine-vita, la rabbia dei medici: "È una truffa"

La Repubblica 4.4.09
Fine-vita, la rabbia dei medici: "È una truffa"
Centinaia di lettere a Repubblica.it per dire no alle nuove norme. "L´ultima parola è del malato"
di Alessia Manfredi

«Non c´è legge che possa impedire di continuare ad agire in scienza e coscienza nel rispetto del benessere dei pazienti e delle loro volontà». E ancora: «Il volere di una persona è sacrosanto e va rispettato, non ci si può erigere a giudici, come non può farlo il governo o la Chiesa». È pressoché unanime il parere espresso dai medici che hanno risposto all´appello lanciato da Repubblica.it, - centinaia gli interventi arrivati - per dare la loro opinione sul testo di legge sul biotestamento votato al Senato, che lascia al medico la decisione se applicare o meno la dichiarazione anticipata di trattamento. Una legge che molti definiscono una «beffa», una «truffa», «barbara», «ipocrita», sicuramente una profonda delusione. Specializzazione o provenienza geografica non fanno alcuna differenza: è convinzione condivisa, da Aosta a Catanzaro, dal medico di base all´anestesista o al geriatria, che l´alleanza terapeutica - quel delicato percorso fatto di fiducia, ascolto, comprensione e dolore, che è alla base della medicina moderna - non si può tradire. E che prima di fare leggi che toccano da vicino qualcosa di così profondo, non sarebbe male passare qualche giorno in un reparto dove si curano i pazienti terminali: è questo l´invito che in moltissime lettere viene rivolto ai parlamentari.
Le testimonianze arrivate al sito di Repubblica raccontano di esperienze personali, accumulate in anni di lavoro. Casi difficili, ognuno con il proprio carico di sofferenza, di fronte ai quali il percorso da seguire si è sempre scelto insieme, medico ed assistito. E nessuno ha intenzione di cambiare, ora, per legge. «Mi comporterò come ho sempre fatto», si legge. «Continuerò a consigliare ciò che ritengo più giusto, ma non andrei contro le volontà di un paziente. Farei in modo di rispettarle in ogni modo». Fra gli specialisti che hanno mandato la propria opinione rispondendo all´appello, tanti lavorano in strutture pubbliche. Ci sono dirigenti che si firmano con nome e cognome, numero di tessera dell´Ordine dei medici. E all´Ordine chiedono di prendere posizione contro questo disegno di legge, considerato inutile e lesivo delle libertà individuali, al di là delle convinzioni religiose personali, visto che fra chi scrive ci sono anche diversi medici cattolici. Il testo approvato in Senato è un provvedimento che «scarica il barile della responsabilità» su di loro, investendoli di una discrezionalità non richiesta. Quello che il legislatore dovrebbe favorire, gridano questi appelli preoccupati, arrabbiati, amareggiati, è il rapporto fra «l´uomo medico» e «l´uomo paziente», mai ostacolarlo.

mercoledì 1 aprile 2009

Quando il prolungamento della vita - non vita è un atto di violenza

Quando il prolungamento della vita - non vita è un atto di violenza

La Voce Repubblicana del 1 aprile 2009, pag. 3

di Gian Piero Calchetti

Confessiamo che, se non si trattasse di cosa assai seria e delicata, saremmo portati a pensare che lo "scivolone" del Senato in merito al provvedimento di legge relativo al "Testamento Biologico", allorché, svilendone completamente le motivazioni d`origine, ha voluto introdurre la "sacconiana" variante che fa obbligo ai sanitari, al di là della interruzione delle cure, di provvedere, comunque, alla nutrizione ed alla idratazione del paziente in stato di coma vegetativo irreversibile, sia stato concepito all`unico scopo di far finalmente desistere Marco Pannella dalla prassi, ormai stantia e scontata, di ricattare moralmente gli italiani con lo sciopero della fame e della sete. In verità, l`obbligo a somministrare nutrimenti ed acqua al malato in consolidata fase terminale irreversibile, al di là dell`impatto traumatico e violento che, comunque, avrà rispetto alla volontà ed alla determinazione dell`immarcescibile deputato radicale, cui, in qualche modo, in caso di imminente rischio di vita, magari con un imbuto, come si faceva ai tempi della Santa inquisizione per la tortura dell`acqua o, in tempi più recenti, con il Fascismo per far ingurgitare olio di ricino, qualcuno dovrà pur provvedere, apre una serie di problematiche di caratura istituzionale e religiosa che il Senato, consapevolmente o inconsapevolmente non fa differenza, ha del tutto ignorato.

Ossequio

Problematiche che, invece, a nostro parere, per l`alta valenza socio-economica e politico-giuridica, non potevano e non dovevano essere ignorate e che, se i senatori, invece di piegarsi, del tutto ossequiosi ed imbelli, ai desiderata della Chiesa di Roma, avessero solo minimamente preso in considerazione, avrebbero certamente evitato che il nostro Paese, fosse additato, a livello del più ampio consesso mondiale delle nazioni avanzate, come civilmente ed eticamente arretrato ed oscurantista. Ci spieghiamo muovendoci su più fronti: quello del diritto naturale, quello costituzionale, quello della libertà religiosa e quello economico, rapportato, quest`ultimo, alla condizione di sostanziale default amministrativo che, da anni, connota "parenchimaticamente" ormai il bilancio italiano. Nella fattispecie, il provvedimento adottato, facendo obbligo al cittadino, che si trova in stato di costrizione sanitaria ed in condizioni di totale impotenza, è, di fatto, costretto, non ostante l`espressa volontà d`essere lasciato morire in pace, a subire un forzoso prolungamento della sua vita-non vita, e, quindi, a subire un atto di vera e propria violenza.

Diritto naturale

Questo grave vulnus confligge apertamente con il Diritto Naturale. don la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, promulgata, il 10 Gennaio 1948 a Parigi, e con la nostra stessa Costituzione che pongono, in maniera formale, a base dell`intera "costellazione" dei diritti del cittadino, il libero arbitrio, la inviolabilità della persona e la libertà di disporre, naturalmente senza arrecare danno al prossimo, della "sorte" del proprio corpo, ovvero di decidere, in piena libertà ed autonomia, se vivere o morire, se curarsi o non curarsi, se nutrirsi o meno. Se, poi, trasferiamo l`impatto di questa decisione coattiva al cospetto dei postulati delle diverse religioni professate, tra cui, in primis. quella coranica, talmente cogente nelle sue "prescrizioni" al punto d`essersi costituita presso diversi stati islamici, attraverso la Sharia, quale legge fondamentale, che regola in ogni minima sfaccettatura la vita morale, sociale, politica e civile degli adepti, ci troviamo, inevitabilmente, a fare i conti, ad esempio con la "regola" che impone al musulmano di non mangiare carne di porco (non sembri questa una forzatura od una boutade, perché possiamo ben testimoniare, grazie l`esperienza fatta, come volontari, presso la mensa, per i rifugiati politici, di Via degli Astalli, a Roma, quante e quante volte i commensali di fede musulmana, ci abbiano esplicitamente domandato quale tipo di carne mettessimo a tavola). Ebbene, di fronte ad una realtà italiana sempre più multietnica e ad una molteplicità, crescente, di soggetti in stato di coma vegetativo irreversibile (alcune migliaia) che, allo stato delle cose, caratterizzano la situazione sanitaria del nostro Paese, a meno di non voler provocare, anche in questo campo, per motivi di discriminazione razziale e religiosa, l`insorgenza di qualche disordine, gli ospedali e le cliniche specializzate nella gestione di questi casi, senza voler aggiungere la specificità dei "vegetariani" e della compatibilità dei diversi tipi di nutrizione da "approntare" con il bisogno di tenere, in vita, ad ogni costo, i pazienti loro affidati, dovranno certamente operare ben al di sopra di ogni "sospetto". Per ultimo, ma non ultimo per importanza, ci sovviene, infine, il problema dei costi, per le Casse dello Stato, già indebitato fin oltre il 106% del Prodotto interno lordo (P.I.L.), per il sostegno di questa crociata, di stampo prettamente fondamentalista, atta a tenere in vita, ad ogni costo e malgrado ogni espressa e documentata volontà contraria, rilasciata a futura memoria, il cittadino irreversibilmente comatoso Ebbene, si dà il caso che ogni giorno di ricovero in ospedale, allo stato attuale dei costi, pesi sul Sistema Sanitario Nazionale per almeno 7/800 curo. E questo, prescindendo totalmente dall` onere delle medicine, degli interventi chirurgici, di terapie più o meno complesse e dell`uso di macchinari. Purtroppo, il calcolo globale dei costi della legge in specie, anche se riteniamo sia dell`ordine, per anno, di diverse centinaia di milioni di curo, non siamo in grado di farlo. Non siamo in gradi di farlo perché sostanzialmente impossibilitati ad effettuare una rilevazione statistica attendibile, in quanto, a meno che non si provveda ad emendarla, è più che probabile che pochissimi saranno quelli che procederanno alla redazione di un Testamento Biologico.

Sottrazione

Pochissimi perché, in fondo, come molti commentatori hanno tenuto a sottolineare, la "stesura" formale del Testamento Biologico non ha più ragion d`essere, essendo venute a mancare, anche in termini strettamente giuridici, le ragioni che presiedevano all`atto dispositivo del finis vitae, in quanto l`oggetto della disposizione è stato "autoritativamente" sottratto alla potestà del singolo cittadino che, fino ad oggi, a partire, come abbiamo visto, dal Diritto naturale, per salire, su su, fino alla Costituzione Repubblicana, era universalmente ritenuto del tutto autocrate in materia.

«Alimentazione forzata? La legge non può ordinarci di tradire un paziente»

l’Unità 1.4.09
Medico rianimatore e autore del libro «Cosa sognano i pesci rossi»
Conversando con Marco Venturino
«Alimentazione forzata? La legge non può ordinarci di tradire un paziente»
Nessuna norma potrà costringere un medico a comportarsi contro coscienza: disobbediremo
di Luca Landò

Anche i pesci rossi nel loro piccolo si incazzano. Certo, la battuta riguardava le formiche, ma ascoltando Marco Venturino, medico e scrittore, il salto di specie è inevitabile. Colpa del suo «Cosa sognano i pesci rossi», il libro che quattro anni fa scosse il gelido mondo delle corsie d’ospedale e delle sale operatorie. E colpa della legge sul testamento biologico votata giovedì scorso al Senato. «Brutta legge, anzi pessima», dice Venturino, 52 anni, che oggi dirige la divisione anestesia e rianimazione dell’Istituto europeo di oncologia. «Quello che più mi fa scaldare di questa vicenda, però, è che si parla senza sapere e soprattutto si parla di cose che con la realtà non c’entrano nulla».
Prego?
«In questi giorni ne ho sentite di tutti i colori, ho assistito a dibattiti furibondi, ho visto sondini diventare più importanti dei pazienti. E ho avuto la conferma che la politica, questa politica è troppo lontana dai problemi veri».
E quali sono i problemi veri?
«Quelli che si vedono nelle corsie tutti i giorni. O meglio ancora, nelle sale di rianimazione, dove i pazienti sono in una zona di confine in cui bisogna entrare con molta attenzione e professionalità. E non con l’irruenza di una legge. Che c’entra la legge con la medicina?».
Certo, ma con questa norma i medici avranno dei vincoli ben precisi, non potranno ad esempio interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale in pazienti in stato vegetativo permanente.
«Voglio vederli i carabinieri davanti alla clinica che mi obbligano a fare qualcosa che ritengo sbagliato. E poi esiste sempre l’obiezione di coscienza, quella non la possono togliere a nessuno, soprattutto ai medici. Sa cosa le dico? Che non cambierà un bel niente».
Disobbedienza professionale?
«Sto semplicemente dicendo che i medici continueranno a fare i medici. E non può essere un magistrato a dirmi quel che devo fare. Come diceva Shakespeare: tanto rumore per nulla. Anche a proposito delle volontà anticipate».
Non mi dica che è perplesso anche da quelle.
«Ovviamente no, sono fondamentali. Ma sarebbe altrettanto fondamentale conoscere la realtà dei fatti. Negli Stati Uniti quelle dichiarazioni vengono redatte da una percentuale che da Stato a Stato varia tra il 4 e il 20% della popolazione. Nelle strutture di terapia intensiva poi, o non ci sono perché il paziente non le ha fatte, oppure esistono ma non arrivano in ospedale, oppure esistono e arrivano ma capita che il medico, in particolari situazioni, si comporti diversamente. Insomma, le dichiarazioni anticipate sono importanti ma da sole non sono, non possono essere la soluzione».
E quale sarebbe la soluzione?
«Un rapporto sempre più stretto tra medico e paziente: il consenso informato e il testamento biologico sono pratiche burocratiche necessarie ma non possono sostituirsi al rapporto di fiducia tra chi cura e chi è curato. La medicina, lo ripeto, non può diventare legge, è non può diventare materia di dibattito politico. Ho sentito dichiarazioni di deputati che fanno accapponare la pelle».
Fuori i nomi.
«Uno per tutti: Gasparri, che dice “non vincerà il partito della morte”. E quale sarebbe il partito della morte? Quello di Ignazio Marino, chirurgo di fama internazionale che in Sicilia ha realizzato una struttura che è l’invidia di mezza Europa? Il guaio è che si sta facendo una battaglia ideologica proprio dove l’ideologia non c’entra nulla».
Ha una proposta?
«Invece di discutere se sospendere o meno i sondini, parliamo dei fondi per le cure palliative, impariamo a combattere il dolore, liberalizziamo gli oppiacei come la morfina, permettiamo a tutti di vivere fino in fondo con dignità. Il guaio è che viviamo in un Paese dove, esperienza personale, un paziente non più operabile viene mandato a casa per passare gli ultimi giorni tra i propri familiari. Nel pieno di una crisi i parenti chiamano la guardia medica, chiedono della morfina per calmare il dolore e quello risponde: ma se poi muore? Cambiamo questa cultura. È molto più importante che discutere se il sondino sia o meno una cura».
Torniamo al rapporto medico-paziente, che è poi il tema del suo libro dove un medico rianimatore riesce a stabilire un contatto con un paziente costretto, dopo un’operazione malriuscita, a vivere immobile attaccato a un respiratore meccanico, prigioniero del suo corpo come un pesce rosso in una boccia di vetro.
«Il paradosso è che la relazione che si instaura tra il medico e il paziente è l’anima stessa della medicina, eppure viene lasciata al caso, al buon cuore del medico. Anziché litigare sul testamento biologico non sarebbe più utile studiare, tutti insieme, come si può migliorare questo aspetto fondamentale della pratica medica? Pensi che in tutte le università di medicina non esiste un solo corso di relazione, di comunicazione: si impara l’innervazione della mano che servirà solo ai chirurghi specializzati, e non si insegna a parlare coi pazienti dei temi più delicati. Eppure il bravo medico, anzi il vero medico è quello che riesce a entrare in sintonia col malato, a spiegargli quando un intervento è utile e quando no, quali sono i rischi, che cosa è meglio fare».
E questo non avviene già adesso?
«Mica tanto. Nel mio libro compaiono diverse figure di medico: il chirurgo senza scrupoli, il rianimatore esistenzialista ma sensibile... certo, ho estremizzato a scopo narrativo ma la realtà non è molto diversa. Ci sono medici che trovano più facile proporti un’operazione rischiosa o inutile piuttosto che affrontare insieme al paziente il tema della morte. Mi creda, è più facile operare che parlare».
Scusi, ma davvero crede che questo tipo di comunicazione, così personale e difficile, si possa imparare all’università?
«In buona parte sì, perché si basa anche su tecniche ormai note di comunicazione. Per il resto dipende dalla predisposizione personale che, dispiace dirlo, non tutti i medici hanno. E come diceva Tolstoj in «Resurrezione»: se non ami il tuo prossimo, non occupartene. Io, tanto per cominciare, cambierei il test di ingresso all’università di medicina: invece dell’esame di cultura generale farei un test attitudinale, ad esempio sei mesi di volontariato in un ospizio a lavare gli anziani. Quello sì ti fa capire se davvero vuoi aiutare gli altri».