l’Unità 9.2.10
I dati di una ricerca e l’Avvenire
Il caso Eluana tra scienza e ideologia
di Carlo Albero Defanti
Domenica 7 febbraio, commentando su Avvenire l’articolo di Martin M. Monti e collaboratori apparso sul New England Journal of Medicine, nel quale si descrivono i risultati di uno studio condotto dai due principali centri attivi nella ricerca sul coma (Oxford e Liegi) su una serie di pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza, Assuntina Morresi sottolinea il fatto, certamente importante, che in questo studio è stato dimostrato che in 2 pazienti (su 23) diagnosticati in stato vegetativo sono state rilevate, con tecniche sofisticate, risposte di aree corticali che suggeriscono la persistenza di funzioni cognitive. Il dato era già noto dopo lo studio di Owen del 2006 (su un caso singolo, studiato 5 mesi dopo il trauma); la novità è che le risposte rilevate sembrano comportare una componente di volontà e che i due casi avevano una durata di malattia maggiore (inferiore comunque ai 30 mesi). Morresi ne trae la conclusione che tutti gli stati vegetativi sono «persone vive» e sono in grado potenzialmente di comunicare con noi. Non solo, ma si chiede che cosa sarebbe accaduto se Eluana Englaro fosse stata sottoposta a queste indagini.
In realtà la conclusione generale di Morresi non è affatto giustificata e la sua illazione tendenziosa riguardante Eluana non tiene conto né della sua lunghissima fase di malattia (pari a 17 anni), né dei risultati dell’esame neuropatologico, che è stato condotto in maniera estremamente scrupolosa ed è stato molto chiaro sia sulla coerenza con la diagnosi di stato vegetativo permanente sia sull’irreversibilità delle lesioni.
Quel che è certo è che negli ultimi anni si è aperta una nuova era nel campo degli studi sui disturbi di coscienza e che le nuove metodiche promettono di cambiare profondamente il nostro sapere in materia. Come suggerisce Alan Ropper nell’editoriale che, sul New England Journal of medicine accompagna l’articolo di Monti, è presto però per trarre da questo studio conclusioni circa la pratica clinica. E, aggiungo io, è del tutto fuori luogo leggere questo importante contributo scientifico alla luce di un partito preso ideologico. Io spero soprattutto che grazie a queste nuove indagini si possano trarre in un prossimo futuro indicazioni utili per formulare una prognosi più attendibile e un congruo programma di cura.
Carlo Albero Defanti, il neurologo che ha seguito Eluana Englaro, è primario emerito presso l’Ospedale Niguarda di Milano ed è membro della Consulta di Bioetica onlus.
I dati di una ricerca e l’Avvenire
Il caso Eluana tra scienza e ideologia
di Carlo Albero Defanti
Domenica 7 febbraio, commentando su Avvenire l’articolo di Martin M. Monti e collaboratori apparso sul New England Journal of Medicine, nel quale si descrivono i risultati di uno studio condotto dai due principali centri attivi nella ricerca sul coma (Oxford e Liegi) su una serie di pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza, Assuntina Morresi sottolinea il fatto, certamente importante, che in questo studio è stato dimostrato che in 2 pazienti (su 23) diagnosticati in stato vegetativo sono state rilevate, con tecniche sofisticate, risposte di aree corticali che suggeriscono la persistenza di funzioni cognitive. Il dato era già noto dopo lo studio di Owen del 2006 (su un caso singolo, studiato 5 mesi dopo il trauma); la novità è che le risposte rilevate sembrano comportare una componente di volontà e che i due casi avevano una durata di malattia maggiore (inferiore comunque ai 30 mesi). Morresi ne trae la conclusione che tutti gli stati vegetativi sono «persone vive» e sono in grado potenzialmente di comunicare con noi. Non solo, ma si chiede che cosa sarebbe accaduto se Eluana Englaro fosse stata sottoposta a queste indagini.
In realtà la conclusione generale di Morresi non è affatto giustificata e la sua illazione tendenziosa riguardante Eluana non tiene conto né della sua lunghissima fase di malattia (pari a 17 anni), né dei risultati dell’esame neuropatologico, che è stato condotto in maniera estremamente scrupolosa ed è stato molto chiaro sia sulla coerenza con la diagnosi di stato vegetativo permanente sia sull’irreversibilità delle lesioni.
Quel che è certo è che negli ultimi anni si è aperta una nuova era nel campo degli studi sui disturbi di coscienza e che le nuove metodiche promettono di cambiare profondamente il nostro sapere in materia. Come suggerisce Alan Ropper nell’editoriale che, sul New England Journal of medicine accompagna l’articolo di Monti, è presto però per trarre da questo studio conclusioni circa la pratica clinica. E, aggiungo io, è del tutto fuori luogo leggere questo importante contributo scientifico alla luce di un partito preso ideologico. Io spero soprattutto che grazie a queste nuove indagini si possano trarre in un prossimo futuro indicazioni utili per formulare una prognosi più attendibile e un congruo programma di cura.
Carlo Albero Defanti, il neurologo che ha seguito Eluana Englaro, è primario emerito presso l’Ospedale Niguarda di Milano ed è membro della Consulta di Bioetica onlus.
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