l’Unità 20.2.10
I dati scientifici secondo Avvenire. Il caso Eluana e la strategia delle illusioni
Carlo Alberto Defanti
Prosegue lo scambio a distanza fra Assuntina Morresi e il sottoscritto sulla questione se Eluana fosse o no capace di interagire con il mondo esterno, così dimostrato in alcuni casi descritti nel recente articolo di Martin M. Monti. Nella mia replica avevo affermato che i risultati dell’esame neuropatologico di Eluana avevano chiarito la questione e avevo riferito le conclusioni dei periti sulla coerenza fra i reperti e la diagnosi di stato vegetativo permanente. In proposito Morresi fa osservare che «non esistono studi che mostrino un legame fra la gravità del grado di atrofia e il po-tenziale di reversibilità del disturbo di coscienza». La sua asserzione è corretta: non ci sono in letteratura studi scientifici che abbiano correlato in modo esatto i dati anatomici con lo stato di coscienza. Tuttavia, la gravità delle lesioni riscontrate, in particolare il gravissimo impoverimento delle fibre nervose che collegano le aree della corteccia cerebrale fra loro e con i centri sottostanti, soprattutto con il talamo, nonché la degenerazione di quest’ultima struttura così importante, rendono assai poco verosimile la loro compatibilità con un’attività di coscienza. I periti, inoltre, hanno sottolineato, sulla base del confronto fra gli esami radiologici eseguiti in vita, che nel cervello di Eluana sono avvenuti, a distanza dal trauma, processi degenerativi che hanno interessato strutture nervose inizialmente non colpite.
Morresi riprende poi le note di una cartella clinica del 1993 in cui viene riferito che Eluana avrebbe pronunciato due volte la parole “mamma” e che avrebbe eseguito talora semplici ordini. L’esperienza di chi assiste questi malati è ricca di segnalazioni come queste, che suscitano nei familiari grandi speranze e che poi tanto spesso sono deluse. Ribadisco però che, dal febbraio 1996, quando ho preso in cura Eluana, non c’è mai stata alcuna segnalazione di questo tipo.
Infine Morresi afferma che i risultati scientifici confermano la sua convinzione che queste persone siano vive e non “inerti vegetali”, ma su questo non c’è mai stato il minimo dubbio: anzi il problema nasce proprio dal fatto che questi soggetti sono vivi e si trovano in condizioni che la maggior parte dell’opinione pubblica considera “invivibili”. Mi permetto di osservare che, contrariamente a quanto Mortresi pensa, il riscontro di segni di coscienza in un piccolo numero di pazienti diagnosticati come vegetativi non risolve affatto il problema morale di come comportarci nei loro riguardi. Alcuni studiosi di bioetica hanno cominciato a riflettere su questo e a chiedersi se i nuovi dati scientifici, proprio in quanto dimostrano il persistere (in alcuni malati) di tracce di coscienza e rendono verosimile che essi provino dolore e sofferenza, non possano essere addotti come argomento non a favore, ma piuttosto contro il mantenimento del sostegno vitale.
Consulta di bioetica onlus
I dati scientifici secondo Avvenire. Il caso Eluana e la strategia delle illusioni
Carlo Alberto Defanti
Prosegue lo scambio a distanza fra Assuntina Morresi e il sottoscritto sulla questione se Eluana fosse o no capace di interagire con il mondo esterno, così dimostrato in alcuni casi descritti nel recente articolo di Martin M. Monti. Nella mia replica avevo affermato che i risultati dell’esame neuropatologico di Eluana avevano chiarito la questione e avevo riferito le conclusioni dei periti sulla coerenza fra i reperti e la diagnosi di stato vegetativo permanente. In proposito Morresi fa osservare che «non esistono studi che mostrino un legame fra la gravità del grado di atrofia e il po-tenziale di reversibilità del disturbo di coscienza». La sua asserzione è corretta: non ci sono in letteratura studi scientifici che abbiano correlato in modo esatto i dati anatomici con lo stato di coscienza. Tuttavia, la gravità delle lesioni riscontrate, in particolare il gravissimo impoverimento delle fibre nervose che collegano le aree della corteccia cerebrale fra loro e con i centri sottostanti, soprattutto con il talamo, nonché la degenerazione di quest’ultima struttura così importante, rendono assai poco verosimile la loro compatibilità con un’attività di coscienza. I periti, inoltre, hanno sottolineato, sulla base del confronto fra gli esami radiologici eseguiti in vita, che nel cervello di Eluana sono avvenuti, a distanza dal trauma, processi degenerativi che hanno interessato strutture nervose inizialmente non colpite.
Morresi riprende poi le note di una cartella clinica del 1993 in cui viene riferito che Eluana avrebbe pronunciato due volte la parole “mamma” e che avrebbe eseguito talora semplici ordini. L’esperienza di chi assiste questi malati è ricca di segnalazioni come queste, che suscitano nei familiari grandi speranze e che poi tanto spesso sono deluse. Ribadisco però che, dal febbraio 1996, quando ho preso in cura Eluana, non c’è mai stata alcuna segnalazione di questo tipo.
Infine Morresi afferma che i risultati scientifici confermano la sua convinzione che queste persone siano vive e non “inerti vegetali”, ma su questo non c’è mai stato il minimo dubbio: anzi il problema nasce proprio dal fatto che questi soggetti sono vivi e si trovano in condizioni che la maggior parte dell’opinione pubblica considera “invivibili”. Mi permetto di osservare che, contrariamente a quanto Mortresi pensa, il riscontro di segni di coscienza in un piccolo numero di pazienti diagnosticati come vegetativi non risolve affatto il problema morale di come comportarci nei loro riguardi. Alcuni studiosi di bioetica hanno cominciato a riflettere su questo e a chiedersi se i nuovi dati scientifici, proprio in quanto dimostrano il persistere (in alcuni malati) di tracce di coscienza e rendono verosimile che essi provino dolore e sofferenza, non possano essere addotti come argomento non a favore, ma piuttosto contro il mantenimento del sostegno vitale.
Consulta di bioetica onlus
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