Una legge che ignora scienza e sofferenza
Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio 2010
Il "cadavere ri-animato" - come è stato definito il paziente in stato vegetativo permanente - è dunque il vivente senz'anima che offre il suo corpo alla misurazione scientifica e alla decretazione politica della sua sopravvivenza? Oppure è il sopravvivente che offre corpo e anima alla sacralizzazione integrale del proprio essere? Secondo l'uno dei due modi di pensare, una misurazione scientificamente corretta sembra essere in grado di fornire il punto di vista maggiormente condivisibile dai più: l'assenza di ogni "attività" dipendente dal cervello e di ogni "attivazione" cerebrale in risposta agli stimoli è il certificato che attesta la morte biologica e permette l'interruzione di ogni resuscitation. Però la fine funzionale del cervello non è propriamente la fine delle funzioni di tutto il corpo: ne è prova il fatto che parti di questo sono suscettibili di far funzionare altri corpi mediante trapianto. [...]
Secondo l'altro dei due modi di pensare, la sacralizzazione esercita tuttora la propria egemonia o dominanza su tutto ciò che concerne la vita dell'uomo, dall'alba al tramonto. La esercita anche sul diritto di vivere e di nascere, poiché la vita e il suo aprirsi sono considerati ambedue un sommo bene, datoci da Dio. La morte, al contrario, un bene non è, anzi è un male. La sacralizzazione, che attiene al chiudersi della vita e coinvolge la morte, esercita il suo dominio anche sul diritto di morire? Se sì, di tale diritto è depositario Dio, che dà e che toglie, che permette il male a fin di bene, oppure è titolare l`uomo, creatura divina, che vive e muore in compagnia del proprio libero arbitrio, datogli anch'esso da Dio? Le risposte toccano a chi crede. Chi non crede non è toccato dalle domande. Ma sia coloro che credono, sia coloro che non credono esigono, gli uni e gli altri, rispetto. Non sono lecite imposizioni, tanto meno sopraffazioni. Non sono lecite giuridicamente ed eticamente. [...]
Una legge che attiene all`evento o processso più cruciale dell'esistenza umana - la morte e il morire - deve consentire, ai cittadini di uno Stato, il diritto di scelta sul come essere curati nei momenti estremi. Deve permettere loro la piena libertà e dignità di essere soggetti di decisioni proprie e non oggetti di decisioni altrui. Il testo di legge sul testamento biologico che giace oggi in Parlamento, approvato dal Senato e in attesa di passaggio alla Camera, è - a giudizio di molti esperti (giurisperiti, bioeticisti, medici rianimatori, palliativisti) - un cattivo testo da lasciar giacere dov'è. Va lasciato giacere dov'è perché il testamento non vi è considerato vincolante, in ciò contraddicendo la volontà del testatore. [...] La replica di parte ecclesiastica è che "per la Chiesa la libertà è un bene relativo, non assoluto, un bene creaturale, vissuto non solo in relazione con gli altri, ma con l'altro, con Dio. Essere libero significa realizzarsi in questa libertà filiale", totalmente diversa da una libertà che invece "rivela un concetto menomato della persona, chiusa in se stessa, senza relazioni trascendenti" (lo scrive l`arcivescovo Carlo Ghidelli, ndr). Siamo al solito dialogo senza possibilità di comunicazione, legato a principi letteralmente "incommensurabili" (come non commensurabili sono le misure in metri e in chilogrammi). E il dialogo inesistente tra chi fa riferimento alla trascendenza e alla libertà condizionata e chi invece lo fa alla naturalità e alla libertà disancorate dal sacro. [... ]
Nella "zona grigia tra vita e morte" (come scrive Panebianco sul Corriere della Sera il 30 settembre 2009, ndr) il problema da evitare è la iper-regolamentazione giuridica: "Il ricorso al giudice ci starebbe solo nelle situazioni in cui la capacità di autorganizzarsi, riferita in questo caso al rapporto tra medici e pazienti, venisse meno". L'istanza, pur deplorando la politicizzazione e "visto che una legge sembra a questo punto necessaria", è "che almeno essa sia il più possibile liberale". Che la zona grigia non diventi terra di nessuno è l'istanza, sottoscritta da 70
docenti universitari, formulata dal Centro di etica generale e applicata (Cega) e presentata come "contributo al dibattito per una legge giusta sul testamento biologico". Nel documento si critica l'idea che la fine della vita sia una sorta di terra di nessuno, dalla quale l'autorità, lo Stato, le leggi dovrebbero ritrarsi completamente. [...]
L'attuale stallo della legge non appare dunque essere un male, qualora esista l'opportunità o l'intenzione di un ripensamento legislativo che, in pratica, consideri il testo giacente come un testo da rifare. Peraltro la situazione odierna non è propriamente quella di un ripensamento critico (e autocritico), quanto piuttosto quella di un rinvio (sine die?) con l`attesa riempita da un ricorrente cicaleccio che sembra interpretare alla lettera le parole di Andrea Camilleri (ne La danza dei gabbiano, ndr): "Il governo faciva chiacchiere, l`opposizione faciva chiacchiere, la chiesa faciva chiacchiere. Si chiacchiara, va sempre e dovunque di qualsiasi problema, ma sempre a vacante, senza che mai la chiacchira addivintasse un minimo di provvedimento, un fatto concreto". Sul testamento biologico, in ambito laico, non ci si è improvvisati, sospinti all'ultimo dal sopraggiunto furore mediatico. Se ne discute invece da anni, sospinti da ragioni morali e civili condivise fuori d'Italia ed elaborate da più parti (Consulta di Bioetica, Fondazione Umberto Veronesi ecc.) nel rispetto di tutti: "Laico", è bene ricordarlo ancora, viene dal greco laòs che significa popolo. Il testamento esprime il diritto costituzionale del cittadino di rivendicare il rispetto della propria volontà, dichiarata anticipatamente nell'eventualità di non poterlo fare nel tempo del morire, di non esseresottoposto a trattamenti che si configurano, a suo avviso, come atti di accanimento terapeutico. Le terapie sono diverse dalle cure: aver cura di un malato in fin di vita, per un medico che sia dotato della religiosità che è propria del suo mestiere, comporta la pietà del rispetto, fino in fondo, per la persona curata. Non si tratta di un gesto terapeutico, tecnico, ma di un atto curativo umano. La morte non è un fatto patologico. Il morire implica nel medico anche la capacità di riconoscere la creatività del morente che spesso reinterpreta la propria vita attraverso una comunicazione di senso che dev'essere raccolta. Raccogliere questa memoria significante - estremo barlume nel chiaroscuro del crepuscolo - non è più fare l'anamnesi, e l'ascolto del morente non è più l`auscultazione del suo torace. Non si tratta più di emettere una diagnosi; si tratta di dar prova di essere un curante, di essere un medico umano. Se è antiumano porre limitazioni alla persona del malato, limitarne la personalità è anticostituzionale e antidemocratico. Una legge limitativa, restrittiva, che conculca la validità di un testamento liberamente sottoscritto da persona dotata di piena capacità in vista di una futura incapacità, oltre a contraddire molti valori, ignora il dibattito scientifico, disattende l'appello degli addetti alle cure, non ascolta le sofferenze dei familiari, sposa una incultura che ha la presunzione di possedere il monopolio dei principi etici e religiosi. Lo attestano anche, fuori dal coro delle gerarchie ecclesiastiche, voci religiose ed etiche, come quella di don Franco Barbero co-fondatore della Comunità cristiana di base di Pinerolo, che affermano con cristiana laicità: "Dio ci ha dato la responsabilità della vita, e fa parte della responsabilità della vita la responsabilità della morte. E non ci può conculcare questa responsabilità nessuna filosofia, nessuna teologia, nessuna Chiesa, nessun Parlamento".
Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio 2010
Il "cadavere ri-animato" - come è stato definito il paziente in stato vegetativo permanente - è dunque il vivente senz'anima che offre il suo corpo alla misurazione scientifica e alla decretazione politica della sua sopravvivenza? Oppure è il sopravvivente che offre corpo e anima alla sacralizzazione integrale del proprio essere? Secondo l'uno dei due modi di pensare, una misurazione scientificamente corretta sembra essere in grado di fornire il punto di vista maggiormente condivisibile dai più: l'assenza di ogni "attività" dipendente dal cervello e di ogni "attivazione" cerebrale in risposta agli stimoli è il certificato che attesta la morte biologica e permette l'interruzione di ogni resuscitation. Però la fine funzionale del cervello non è propriamente la fine delle funzioni di tutto il corpo: ne è prova il fatto che parti di questo sono suscettibili di far funzionare altri corpi mediante trapianto. [...]
Secondo l'altro dei due modi di pensare, la sacralizzazione esercita tuttora la propria egemonia o dominanza su tutto ciò che concerne la vita dell'uomo, dall'alba al tramonto. La esercita anche sul diritto di vivere e di nascere, poiché la vita e il suo aprirsi sono considerati ambedue un sommo bene, datoci da Dio. La morte, al contrario, un bene non è, anzi è un male. La sacralizzazione, che attiene al chiudersi della vita e coinvolge la morte, esercita il suo dominio anche sul diritto di morire? Se sì, di tale diritto è depositario Dio, che dà e che toglie, che permette il male a fin di bene, oppure è titolare l`uomo, creatura divina, che vive e muore in compagnia del proprio libero arbitrio, datogli anch'esso da Dio? Le risposte toccano a chi crede. Chi non crede non è toccato dalle domande. Ma sia coloro che credono, sia coloro che non credono esigono, gli uni e gli altri, rispetto. Non sono lecite imposizioni, tanto meno sopraffazioni. Non sono lecite giuridicamente ed eticamente. [...]
Una legge che attiene all`evento o processso più cruciale dell'esistenza umana - la morte e il morire - deve consentire, ai cittadini di uno Stato, il diritto di scelta sul come essere curati nei momenti estremi. Deve permettere loro la piena libertà e dignità di essere soggetti di decisioni proprie e non oggetti di decisioni altrui. Il testo di legge sul testamento biologico che giace oggi in Parlamento, approvato dal Senato e in attesa di passaggio alla Camera, è - a giudizio di molti esperti (giurisperiti, bioeticisti, medici rianimatori, palliativisti) - un cattivo testo da lasciar giacere dov'è. Va lasciato giacere dov'è perché il testamento non vi è considerato vincolante, in ciò contraddicendo la volontà del testatore. [...] La replica di parte ecclesiastica è che "per la Chiesa la libertà è un bene relativo, non assoluto, un bene creaturale, vissuto non solo in relazione con gli altri, ma con l'altro, con Dio. Essere libero significa realizzarsi in questa libertà filiale", totalmente diversa da una libertà che invece "rivela un concetto menomato della persona, chiusa in se stessa, senza relazioni trascendenti" (lo scrive l`arcivescovo Carlo Ghidelli, ndr). Siamo al solito dialogo senza possibilità di comunicazione, legato a principi letteralmente "incommensurabili" (come non commensurabili sono le misure in metri e in chilogrammi). E il dialogo inesistente tra chi fa riferimento alla trascendenza e alla libertà condizionata e chi invece lo fa alla naturalità e alla libertà disancorate dal sacro. [... ]
Nella "zona grigia tra vita e morte" (come scrive Panebianco sul Corriere della Sera il 30 settembre 2009, ndr) il problema da evitare è la iper-regolamentazione giuridica: "Il ricorso al giudice ci starebbe solo nelle situazioni in cui la capacità di autorganizzarsi, riferita in questo caso al rapporto tra medici e pazienti, venisse meno". L'istanza, pur deplorando la politicizzazione e "visto che una legge sembra a questo punto necessaria", è "che almeno essa sia il più possibile liberale". Che la zona grigia non diventi terra di nessuno è l'istanza, sottoscritta da 70
docenti universitari, formulata dal Centro di etica generale e applicata (Cega) e presentata come "contributo al dibattito per una legge giusta sul testamento biologico". Nel documento si critica l'idea che la fine della vita sia una sorta di terra di nessuno, dalla quale l'autorità, lo Stato, le leggi dovrebbero ritrarsi completamente. [...]
L'attuale stallo della legge non appare dunque essere un male, qualora esista l'opportunità o l'intenzione di un ripensamento legislativo che, in pratica, consideri il testo giacente come un testo da rifare. Peraltro la situazione odierna non è propriamente quella di un ripensamento critico (e autocritico), quanto piuttosto quella di un rinvio (sine die?) con l`attesa riempita da un ricorrente cicaleccio che sembra interpretare alla lettera le parole di Andrea Camilleri (ne La danza dei gabbiano, ndr): "Il governo faciva chiacchiere, l`opposizione faciva chiacchiere, la chiesa faciva chiacchiere. Si chiacchiara, va sempre e dovunque di qualsiasi problema, ma sempre a vacante, senza che mai la chiacchira addivintasse un minimo di provvedimento, un fatto concreto". Sul testamento biologico, in ambito laico, non ci si è improvvisati, sospinti all'ultimo dal sopraggiunto furore mediatico. Se ne discute invece da anni, sospinti da ragioni morali e civili condivise fuori d'Italia ed elaborate da più parti (Consulta di Bioetica, Fondazione Umberto Veronesi ecc.) nel rispetto di tutti: "Laico", è bene ricordarlo ancora, viene dal greco laòs che significa popolo. Il testamento esprime il diritto costituzionale del cittadino di rivendicare il rispetto della propria volontà, dichiarata anticipatamente nell'eventualità di non poterlo fare nel tempo del morire, di non esseresottoposto a trattamenti che si configurano, a suo avviso, come atti di accanimento terapeutico. Le terapie sono diverse dalle cure: aver cura di un malato in fin di vita, per un medico che sia dotato della religiosità che è propria del suo mestiere, comporta la pietà del rispetto, fino in fondo, per la persona curata. Non si tratta di un gesto terapeutico, tecnico, ma di un atto curativo umano. La morte non è un fatto patologico. Il morire implica nel medico anche la capacità di riconoscere la creatività del morente che spesso reinterpreta la propria vita attraverso una comunicazione di senso che dev'essere raccolta. Raccogliere questa memoria significante - estremo barlume nel chiaroscuro del crepuscolo - non è più fare l'anamnesi, e l'ascolto del morente non è più l`auscultazione del suo torace. Non si tratta più di emettere una diagnosi; si tratta di dar prova di essere un curante, di essere un medico umano. Se è antiumano porre limitazioni alla persona del malato, limitarne la personalità è anticostituzionale e antidemocratico. Una legge limitativa, restrittiva, che conculca la validità di un testamento liberamente sottoscritto da persona dotata di piena capacità in vista di una futura incapacità, oltre a contraddire molti valori, ignora il dibattito scientifico, disattende l'appello degli addetti alle cure, non ascolta le sofferenze dei familiari, sposa una incultura che ha la presunzione di possedere il monopolio dei principi etici e religiosi. Lo attestano anche, fuori dal coro delle gerarchie ecclesiastiche, voci religiose ed etiche, come quella di don Franco Barbero co-fondatore della Comunità cristiana di base di Pinerolo, che affermano con cristiana laicità: "Dio ci ha dato la responsabilità della vita, e fa parte della responsabilità della vita la responsabilità della morte. E non ci può conculcare questa responsabilità nessuna filosofia, nessuna teologia, nessuna Chiesa, nessun Parlamento".