venerdì 5 settembre 2008

Non serve una nuova legge

Non serve una nuova legge

Liberazione del 4 settembre 2008, pag. 1

di Maria Luisa Boccia

Crudele paradosso quello prodotto dalla sentenza del Tribunale di Milano che autorizza a togliere il sondino ad Eluana Englaro. Finalmente vengono applicate le norme che vi sono per riconoscere qual è la dignità della persona da rispettare. Finalmente si afferma a chiare lettere che si può e si deve accertare qual è il modo di intenderla e di viverla della singola donna e del singolo uomo. Punto. Per il diritto non occorre altro. E' già possibile rispettare la dignità di Eluana Englaro, ponendo termine allo stato di coma vegetativo. Non c'è bisogno di una legge. Di norme specifiche. La sentenza ha valore operativo. Nonostante il ricorso della Procura. Nonostante gli ostacoli frapposti dalle strutture sanitarie e ora dalla Regione Lombardia. E' intollerabile che alla famiglia di Eluana venga impedito di applicare la sentenza.
Ed invece. Quella sentenza ha ri-aperto la crudele disputa. Suscitando dolore "oltre il dolore", come ha scritto Beppino Englaro su L'unità il 30 agosto. Il corpo di Eluana è, di nuovo, preda contesa in nome dell' etica.
Si nega legittimità alla sentenza, perché contrasta con la propria concezione della dignità della persona e della vita. E si invoca il vuoto di legge, da parte di quelle forze politiche, di destra, di centro e di centrosinistra che nella scorsa legislatura hanno impedito l'approvazione di una legge. Questo è il paradosso. Chi non voleva la legge, per non dover riconoscere legittimità a scelte etiche diverse dalle proprie, oggi la invoca come rimedio alle decisioni, legittime, della magistratura.
Si è perfino sollevato un conflitto istituzionale di competenze tra Parlamento e Corte di Cassazione. Come se quest'ultima avesse scritto una legge, invece di pronunciarsi sulle norme esistenti. Che è precisamente il suo compito. Il Parlamento ha realizzato una mostruosità giuridica e politica senza precedenti. Senza però suscitare reazioni adeguate. Anzi. Il Pd ha dato prova di "unità", evitando di opporsi esplicitamente con il voto. Sacrificando ad una discutibile esigenza politica, tutta interna al partito, quella di opporsi con forza ad un atto grave ed arrogante di ingerenza istituzionale.
Grave proprio per la sua evidente inammissibilità. Ma che ha mirato diretto alla fonte. Come ho già avuto modo di scrivere su Liberazione , non si comprende l'importanza della sentenza di Milano, se non la si riconnette a quella della Corte. E' quest'ultima infatti che ha ribadito, con l'autorità che le compete, l'esistenza nel nostro ordinamento giuridico di norme che riconoscono l'autodeterminazione rispetto alla vita. Anche nelle situazioni più delicate e controverse, come è quella del coma vegetativo. Non solo. Poiché le norme in questione sono quelle costituzionali e della Convenzione europea di Oviedo, non potrebbero essere modificate da una legge ordinaria.
E' questo il nocciolo sul quale si è riaperta la discussione sull'opportunità o meno di una legge sul testamento biologico (o "dichiarazioni anticipate"). Da parte di chi vuole chiudere il varco aperto dalla sentenza della Corte si tratta di valutare se il modo più efficace è approvare, in tempi brevi, una legge che di fatto impedisca l'esercizio dell'autodeterminazione. Limitando nettamente i casi nei quali si può esprimere una scelta. Cominciando, ad esempio, con l'escludere tutte le terapie che non vengono considerate tali, come la nutrizione e la ventilazione, ma "semplice" mantenimento in vita. Dilatando, viceversa, la discrezionalità del medico nella valutazione dei trattamenti, se e come iniziarli o interromperli, e dunque se e come vada di fatto attuata la volontà espressa dal/la paziente. Complicando le regole di validità dell'atto, in modo da scoraggiarne l'adozione. E magari obbligando a ripeterlo, perché la volontà deve essere "attuale". Insomma svuotando di senso la dichiarazione anticipata, introducendo ostacoli al suo effettivo esercizio. Una legge scritta su questi presupposti ha oggi una maggioranza ampia in Parlamento, comprendendo di una parte dell'opposizione. Potrebbe essere approvata anche in tempi brevi.
Ma vi è il dubbio che, definendo lo strumento giuridico, comunque risulterebbe una legittimazione del principio dell'autodeterminazione e un'estensione del suo esercizio. Una legge potrebbe insomma fornire ulteriori supporti ad altre sentenze favorevoli. Nessuna legge infatti potrebbe eliminare ogni margine di contenzioso giuridico e relativa interpretazione del giudice. A questa preoccupazione ha dato voce il Comitato di Bioetica dell'Università cattolica di Milano. Meglio nessuna legge, per non correre il rischio che si possa estendere il principio su cui poggia la sentenza di Milano: il giudice può, anzi deve, ricostruire l'effettiva volontà del paziente. Vi è insomma una parte del mondo cattolico che non si fida dei paletti che il Parlamento può mettere.
Non so quale delle due posizioni prevarrà a breve. Quello che so è che chi vuole affermare il principio e l'esercizio dell'autodeterminazione non deve scegliere come via maestra quella della legge. Perché non vi sono i numeri in Parlamento, certo. Ma non solo, o soprattutto, per questo. Personalmente non rinuncerei al risultato più importante della lunga, tenace e intelligente battaglia della famiglia Englaro. Quella di aver ottenuto un'autorizzazione a togliere il sondino, in nome e in ragione del diritto vigente. Non c'è vuoto legislativo, questo ci dicono le due sentenze. Non si può negare ai pazienti in stato di come vegetativo, quello che ogni cittadino/a ha riconosciuto dalla Costituzione. Ovvero poter decidere se vuole essere sottoposto a un trattamento o no, anche a rischio della propria vita.
Non è questione di "malati terminali" o no, come afferma il comitato dell'Università Cattolica. E' paradossale che una persona possa rifiutare un'amputazione, preferendo morire, come è accaduto, ma non possa dichiarare, in caso di coma, di non voler vegetare attaccata a un sondino. Nessuno/a può decidere per lei se quella è vita, se la sua dignità di persona è rispettata. Con buona pace dell'on. Paola Binetti e del prof. Adriano Pessina. Non è affatto democratico, come afferma quest'ultimo, ma massimamente dispotico sancire la «non disponibilità della vita per volontà propria». Al solo fine di disporne, in sua vece. Di fare del suo corpo l' emblema sacrificale di una concezione etica del tutto estranea, e dunque ostile, alla persona che incarna.
Per rendere operativo il principio dell'autodeterminazione penso che sarebbe più efficace di una legge, lanciare una campagna di opinione pubblica, invitando a sottoscrivere una dichiarazione anticipata. In modo da dare concreta espressione a quello che risulta essere un orientamento diffuso nella società italiana, a favore della scelta soggettiva. Se avviata tempestivamente questa campagna avrebbe anche un'influenza positiva su un eventuale dibattito parlamentare sulla legge. Per il quale si potrebbe promuovere una legge di iniziativa popolare, riprendendo le proposte di legge della scorsa legislatura. Ho dovuto adottare il verbo condizionale. Vi è infatti una domanda preliminare. C'è la volontà politica di dare corpo a queste scelte, o ad altre analoghe? E' questa una delle priorità sulle quali proviamo a mettere alla prova la sinistra da fare? A costruire la nostra capacità di radicamento, di creazione di senso, di invenzione di pratiche, di alleanze culturali e politiche?

1 commento:

NoirPink - Modello PANDEMONIUM ha detto...

Il rispetto della vita per Famiglia Cristiana? Trattare i malati da burattini! Il giornale cattolico ha preso una malata che non può scrivere né dettare né anche solo pensare un testo e ha pubblicato una lettera a so nome solo per attaccare Beppino Englaro, il padre di Eluana.
Leggere per credere...
http://noirpink.blogspot.com/2008/09/tendenze-famiglia-cristiana-il-rispetto.html