mercoledì 19 gennaio 2011

Biotestamento. C’è un giudice a Firenze

l’Unità 13.1.11
Biotestamento. C’è un giudice a Firenze
Giustizia e cittadini si muovono. E la politica?
di Maurizio Mori

Quella dell’autodeterminazione è ormai un’onda inarrestabile che tracima da tutte le parti. Nei media col successo di Beppino Englaro e di Mina Welby al programma di Fazio e Saviano nel novembre scorso; nella gente che spinge i Comuni italiani ad istituire i Registri del testamento biologico; nei tribunali col riconoscimento dell’autonomia del paziente come diritto capace di espandersi fino ad ammettere il trasferimento di titolarità a persone di propria fiducia: questo è quanto ha deciso ieri il Tribunale di Firenze accogliendo la richiesta di un cittadino di 70 anni che ha affidato al proprio amministratore di soste-
gno le volontà di fine vita. La notizia costituisce un ulteriore tassello che completa il più ampio discorso in atto su come affrontare il fine vita. Un tempo il problema non si poneva perché la morte sopraggiungeva imprevedibile e il morire era breve. Oggi, invece, sempre più spesso ne conosciamo il suo arrivo e possiamo intervenire per procrastinarla o prolungarla. Di qui l’esigenza di regolare questo nuovo territorio affiorato. E, per farlo, di riferirsi ai principii e valori etici che prendono corpo nei dettati costituzionali, visto che le norme specifiche sono in via di definizione.
Più che insistere sugli aspetti giuridici e tecnici della questione, è bene chiarire il fondamento etico filosofico che sta alla base della sentenza di ieri del Tribunale di Firenze e delle altre richieste in materia. Il punto di partenza è che il consenso informato costituisce il presupposto e il fondamento dell’attività clinica. Non è permesso tagliare neanche un capello senza il consenso dell’interessato, perché la volontà è ciò che presiede e regola gli interventi sul proprio corpo. Se la persona cosciente e capace di intendere e di volere ha il diritto di rifiutare le terapie non volute, non si vede perché questo diritto venga meno ove l’interessato diventi incapace. La perdita di coscienza non dissolve né volatilizza la volontà dell’interessato. Essa permane anche quando l’individuo non è più in grado di manifestarla. Si opererebbe una discriminazione non riconoscendo all’individuo la possibilità di fare in modo che la propria volontà si prolunghi anche dopo la perdita della coscienza. È per questo che l’amministratore di sostegno, il testamento biologico e le altre forme di direttive anticipate riscuotono tanto successo nei cittadini: anche tra chi ha fede religiosa, tanto che molti ferventi cattolici criticano il ddl Calabrò e il sostegno dato dalla Chiesa.
Per l’autonomia alla fine della vita i cittadini stanno facendo molto coi Registri comunali, i giudici moltissimo coi loro interventi qualificati: speriamo che anche i parlamentari facciano la loro parte per bocciare lo scempio del disegno di legge Calabrò.

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