«Voglio morire» Giudice autorizza il rifiuto delle cure
Roberto Ortolan, Il Gazzettino, il 03/08/11
Mentre la legge sul "finevita" e sul biotestamento si avvicina tra le polemiche all'atto finale, nella Marca scoppia un caso clamoroso che va nella direzione opposta a quella indicata dal Parlamento e che rischia di aprire un nuovo fronte dopo i casi Welby ed Englaro.
Il giudice trevigiano Clarice Di Tullio ha firmato un decreto che concede a una donna di 48 anni, colpita da una gravissima malattia degenerativa, la possibilità di rifiutare le cure.
Lo aveva chiesto qualche mese fa quando la sue condizioni erano peggiorate. La paziente aveva affidato le sue ultime volontà al marito che, sulla base del provvedimento, è stato nominato amministratore di sostegno con la facoltà di far rispettare la scelta della moglie, ovvero il rifiuto di trattamenti medici cruciali.
La decisione del giudice è arrivata nel gennaio scorso, quando la paziente era stata ricoverata in gravi condizioni all'ospedale di Treviso. Nonostante il quadro clinico stesse precipitando, la donna aveva rifiutato sia la trasfusione - è testimone di Geova - sia la tracheostomia (cioè la tracheotomia permanente), che le avrebbe permesso di limitare il deficit respiratorio.
La malattia ha poi avuto un'evoluzione positiva tanto da consentirle di tornare a casa. Ma la donna aveva deciso comunque di affidare le sue volontà al consorte: «Non voglio che la mia vita venga prolungata se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza».
E l'appello non è caduto nel vuoto. Il giudice tutelare Di Tullio le ha dato ragione. Pertanto ha disposto che la paziente, attraverso il marito nominato amministratore di sostegno, possa rifiutare le cure salva-vita.
Il decreto è arrivato dopo un'istruttoria complessa. Sarà la 48enne -è la sostanza del provvedimento- a decidere sul "proprio fine vita", oppure il marito se lei non fosse nelle condizioni di farlo. Il giudice ha argomentato la propria decisione basandosi sul codice deontologico dei medici e su norme sovranazionali come quelle del Consiglio d'Europa relative ai diritti dell'uomo e alla biomedicina, laddove stabiliscono che nessun intervento nel campo della salute può essere effettuato qualora il paziente non abbia espresso il proprio consenso libero e informato.
Applicando tali principi, anche la Cassazione ha più volte ribadito che il consenso del paziente costituisce presupposto fondamentale della liceità dell'intervento medico il quale, non rispettandolo, commette dunque un'indebita intromissione nella sfera personale. L'orientamento europeo e le conclusioni della Cassazione, su simili basi, sono andate in una sola direzione: al paziente va riconosciuto anche il diritto di non curarsi, pur se a rischio della sua stessa vita. Il giudice Di Tullio le ha recepite, stabilendo così che la nomina di un amministratore di sostegno sia lo strumento processuale adatto ad assicurare il rispetto delle scelte individuali.
«Questa sentenza - spiegano dal Comitato di assistenza sanitaria per i testimoni di Geova - ha restituito dignità alla volontà e alle libertà delle persone. La decisione del giudice è vicina alla nostra sensibilità perché rimette al centro l'autodeterminazione del singolo».
Il decreto choc arriva proprio nel momento in cui la legge sul biotestamento è in dirittura d'arrivo. Se l'attuale testo dovesse essere approvato anche dal Senato e diventare legge, la decisione del giudice trevigiano verrebbe svuotata di ogni significato perché la volontà della paziente verrebbe sempre subordinata a quella del medico curante.
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