Corriere Fiorentino 8.10.09
Dopo il voto in Comune. La testimonianza della direttrice di neurorianimazione, Innocenti
Proposta: biotestamenti nelle cartelle cliniche
La commissione etica alla Regione: faciliterebbe il rapporto tra medico e paziente
di Alessio Gaggioli
3.000. I testamenti biologici firmati davanti a un notaio, a Firenze, dall’inizio della campagna di «Liberi di decidere». Sabato tornano i banchini in piazza
50. I Comuni italiani che hanno almeno avviato il percorso verso il riconoscimento del testamento biologico, secondo l’associazione Luca Coscioni
Il testamento biologico nelle cartelle cliniche. È la proposta che la commissione regionale di bioetica formulerà all’assessorato alla salute della Regione. Della cosa se n’è discusso anche nei giorni scorsi, in una delle tante sedute della commissione, «ma ne parliamo da tempo», spiega la vicepresidente Maria Gabriella Orsi: «Si stanno facendo le cartelle informatizzate, ma secondo noi al loro interno mancano tre dati fondamentali. Il numero del medico curante del paziente, il nome e il cellulare della persona di riferimento o di fiducia a cui è stato delegato l’onere di confrontarsi con il medico e per ultimo le dichiarazioni del paziente, le sue volontà; da quelle più semplici, che so, essere un donatore di organi o un testimone di Geova, ai temi più complessi come il fine vita o il testamento biologico».
Inserire queste «notizie» nelle cartelle cliniche, secondo la Orsi (che fa anche parte del gruppo di Pontignano l’associazione nata nel 2002, patrocinata dalla Regione, che da 7 anni si occupa di bioetica e fine vita) dovrebbe facilitare il rapporto medico-paziente: «La cartella — dice — è lo strumento più importante. Chiunque deve poter esprimere le proprie volontà e con le dichiarazioni del paziente scritte e fotocopiate il medico non potrà più dire 'io non sapevo'». Di testamento biologico, di tutte le questioni legate al tema del fine vita, parla anche la dottoressa Paola Innocenti, direttrice dell’unità di neurorianimazione di Careggi. Un reparto dove medici, infermieri, pazienti e famiglie hanno tutti i giorni a che fare con il dolore, l’angoscia e l’incubo di una vita senza speranza: «Le volontà in merito ai trattamenti espresse in forma scritta dai pazienti sarebbero per noi una cosa molto utile: ci aiuterebbe nel nostro lavoro indipendentemente da qualunque legge. Ci aiuterebbe — spiega la dottoressa — perché consentirebbe di capire la reale volontà del paziente. Perché dove il testamento biologico è riconosciuto (nella maggior parte dei Paesi) non risolve tutti i problemi, ma aiuta il medico ad affrontarne alcuni in modo più consapevole e rispettoso ».
Nel reparto diretto da Paola Innocenti, la prima cosa da fare è garantire la sopravvivenza e dare una prognosi ai pazienti che spesso hanno subito un grave danno cerebrale ed arrivano già in coma. «E in quel caso, superata la fase dell’emergenza, ci preoccupiamo di indagare con la famiglia e le persone a lui più vicine se siano state redatte direttive anticipate rispetto ai trattamenti. Lo facciamo per capire nei limiti del possibile come avrebbe risposto quel paziente a trattamenti molto invasivi nel caso questi non avessero possibilità di successo». E quando è chiaro che l’esito sarà infausto «e che i nostri trattamenti potrebbero essere futili allora ci confrontiamo con la famiglia. Non sa quante volte ci troviamo di fronte ai parenti che ci dicono 'mio fratello o mia sorella non avrebbe mai accettato di essere tracheotomizzato'. E in questi casi cerchiamo di attenerci alla volontà del familiare ». Ma come si lavora in un quadro normativo così complesso? «Ci muoviamo con grande difficoltà, la legge attuale è poco chiara. Al momento, il consenso o meno ai trattamenti è valido solo per i pazienti in grado di decidere. Quando sono incoscienti se non interveniamo corriamo il rischio di finire sotto inchiesta penale. Faccio l’esempio di Piergiorgio Welby: da cosciente chiese di non essere tracheotomizzato, anche se questo non lo avrebbe fatto vivere. Ma quando perse coscienza il suo desiderio non fu assecondato ». Nel reparto della Innocenti si è verificata una situazione simile: «Un paziente ci disse: 'Se smetto di respirare non mi intubate'. Abbiamo cercato di convincerlo che l’intubazione lo avrebbe fatto sopravvivere, ma spiegato che non potevamo garantirgli miglioramenti. E lui ha detto no; noi, rispettando la sua volontà, non lo abbiamo fatto». Il paziente ha scelto, e poi è deceduto «naturalmente», conclude la dottoressa. «Il momento delle scelte difficili da noi c’è sempre. Per questo è fondamentale il rapporto con la famiglia perché per interrompere trattamenti che possono essere futili (e che ci impone di fermare il nostro codice deontologico) dobbiamo avere una grande condivisone con le persone di fiducia del paziente. Per questo abbiamo eliminato gli orari di visita, qui i familiari vengono sempre. È un doppio scambio. Noi diamo informazioni a loro e loro a noi sulla persona ricoverata che riacquista la dimensione di una persona malata e non di un corpo malato».
Dopo il voto in Comune. La testimonianza della direttrice di neurorianimazione, Innocenti
Proposta: biotestamenti nelle cartelle cliniche
La commissione etica alla Regione: faciliterebbe il rapporto tra medico e paziente
di Alessio Gaggioli
3.000. I testamenti biologici firmati davanti a un notaio, a Firenze, dall’inizio della campagna di «Liberi di decidere». Sabato tornano i banchini in piazza
50. I Comuni italiani che hanno almeno avviato il percorso verso il riconoscimento del testamento biologico, secondo l’associazione Luca Coscioni
Il testamento biologico nelle cartelle cliniche. È la proposta che la commissione regionale di bioetica formulerà all’assessorato alla salute della Regione. Della cosa se n’è discusso anche nei giorni scorsi, in una delle tante sedute della commissione, «ma ne parliamo da tempo», spiega la vicepresidente Maria Gabriella Orsi: «Si stanno facendo le cartelle informatizzate, ma secondo noi al loro interno mancano tre dati fondamentali. Il numero del medico curante del paziente, il nome e il cellulare della persona di riferimento o di fiducia a cui è stato delegato l’onere di confrontarsi con il medico e per ultimo le dichiarazioni del paziente, le sue volontà; da quelle più semplici, che so, essere un donatore di organi o un testimone di Geova, ai temi più complessi come il fine vita o il testamento biologico».
Inserire queste «notizie» nelle cartelle cliniche, secondo la Orsi (che fa anche parte del gruppo di Pontignano l’associazione nata nel 2002, patrocinata dalla Regione, che da 7 anni si occupa di bioetica e fine vita) dovrebbe facilitare il rapporto medico-paziente: «La cartella — dice — è lo strumento più importante. Chiunque deve poter esprimere le proprie volontà e con le dichiarazioni del paziente scritte e fotocopiate il medico non potrà più dire 'io non sapevo'». Di testamento biologico, di tutte le questioni legate al tema del fine vita, parla anche la dottoressa Paola Innocenti, direttrice dell’unità di neurorianimazione di Careggi. Un reparto dove medici, infermieri, pazienti e famiglie hanno tutti i giorni a che fare con il dolore, l’angoscia e l’incubo di una vita senza speranza: «Le volontà in merito ai trattamenti espresse in forma scritta dai pazienti sarebbero per noi una cosa molto utile: ci aiuterebbe nel nostro lavoro indipendentemente da qualunque legge. Ci aiuterebbe — spiega la dottoressa — perché consentirebbe di capire la reale volontà del paziente. Perché dove il testamento biologico è riconosciuto (nella maggior parte dei Paesi) non risolve tutti i problemi, ma aiuta il medico ad affrontarne alcuni in modo più consapevole e rispettoso ».
Nel reparto diretto da Paola Innocenti, la prima cosa da fare è garantire la sopravvivenza e dare una prognosi ai pazienti che spesso hanno subito un grave danno cerebrale ed arrivano già in coma. «E in quel caso, superata la fase dell’emergenza, ci preoccupiamo di indagare con la famiglia e le persone a lui più vicine se siano state redatte direttive anticipate rispetto ai trattamenti. Lo facciamo per capire nei limiti del possibile come avrebbe risposto quel paziente a trattamenti molto invasivi nel caso questi non avessero possibilità di successo». E quando è chiaro che l’esito sarà infausto «e che i nostri trattamenti potrebbero essere futili allora ci confrontiamo con la famiglia. Non sa quante volte ci troviamo di fronte ai parenti che ci dicono 'mio fratello o mia sorella non avrebbe mai accettato di essere tracheotomizzato'. E in questi casi cerchiamo di attenerci alla volontà del familiare ». Ma come si lavora in un quadro normativo così complesso? «Ci muoviamo con grande difficoltà, la legge attuale è poco chiara. Al momento, il consenso o meno ai trattamenti è valido solo per i pazienti in grado di decidere. Quando sono incoscienti se non interveniamo corriamo il rischio di finire sotto inchiesta penale. Faccio l’esempio di Piergiorgio Welby: da cosciente chiese di non essere tracheotomizzato, anche se questo non lo avrebbe fatto vivere. Ma quando perse coscienza il suo desiderio non fu assecondato ». Nel reparto della Innocenti si è verificata una situazione simile: «Un paziente ci disse: 'Se smetto di respirare non mi intubate'. Abbiamo cercato di convincerlo che l’intubazione lo avrebbe fatto sopravvivere, ma spiegato che non potevamo garantirgli miglioramenti. E lui ha detto no; noi, rispettando la sua volontà, non lo abbiamo fatto». Il paziente ha scelto, e poi è deceduto «naturalmente», conclude la dottoressa. «Il momento delle scelte difficili da noi c’è sempre. Per questo è fondamentale il rapporto con la famiglia perché per interrompere trattamenti che possono essere futili (e che ci impone di fermare il nostro codice deontologico) dobbiamo avere una grande condivisone con le persone di fiducia del paziente. Per questo abbiamo eliminato gli orari di visita, qui i familiari vengono sempre. È un doppio scambio. Noi diamo informazioni a loro e loro a noi sulla persona ricoverata che riacquista la dimensione di una persona malata e non di un corpo malato».
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