martedì 13 ottobre 2009

Proposta: biotestamenti nelle cartelle cliniche

Corriere Fiorentino 8.10.09
Dopo il voto in Comune. La testimonianza della direttrice di neurorianimazione, Innocenti
Proposta: biotestamenti nelle cartelle cliniche
La commissione etica alla Regione: faciliterebbe il rapporto tra medico e paziente
di Alessio Gaggioli

3.000. I testamenti biologici firmati davanti a un notaio, a Firenze, dall’inizio della campagna di «Liberi di decidere». Sabato tornano i banchini in piazza
50. I Comuni italiani che hanno almeno avviato il percorso verso il riconoscimento del testamento biologico, secondo l’associazione Luca Coscioni

Il testamento biologico nelle cartel­le cliniche. È la proposta che la com­missione regionale di bioetica formu­lerà all’assessorato alla salute della Re­gione. Della cosa se n’è discusso an­che nei giorni scorsi, in una delle tan­te sedute della commissione, «ma ne parliamo da tempo», spiega la vicepre­sidente Maria Gabriella Orsi: «Si stan­no facendo le cartelle informatizzate, ma secondo noi al loro interno manca­no tre dati fondamentali. Il numero del medico curante del paziente, il no­me e il cellulare della persona di riferi­mento o di fiducia a cui è stato delega­to l’onere di confrontarsi con il medi­co e per ultimo le dichiarazioni del pa­ziente, le sue volontà; da quelle più semplici, che so, essere un donatore di organi o un testimone di Geova, ai temi più complessi come il fine vita o il testamento biologico».
Inserire queste «notizie» nelle car­telle cliniche, secondo la Orsi (che fa anche parte del gruppo di Pontignano l’associazione nata nel 2002, patroci­nata dalla Regione, che da 7 anni si oc­cupa di bioetica e fine vita) dovrebbe facilitare il rapporto medico-paziente: «La cartella — dice — è lo strumento più importante. Chiunque deve poter esprimere le proprie volontà e con le dichiarazioni del paziente scritte e fo­tocopiate il medico non potrà più dire 'io non sapevo'». Di testamento biolo­gico, di tutte le questioni legate al te­ma del fine vita, parla anche la dotto­ressa Paola Innocenti, direttrice del­l’unità di neurorianimazione di Careg­gi. Un reparto dove medici, infermie­ri, pazienti e famiglie hanno tutti i giorni a che fare con il dolore, l’ango­scia e l’incubo di una vita senza spe­ranza: «Le volontà in merito ai tratta­menti espresse in forma scritta dai pa­zienti sarebbero per noi una cosa mol­to utile: ci aiuterebbe nel nostro lavo­ro indipendentemente da qualunque legge. Ci aiuterebbe — spiega la dotto­ressa — perché consentirebbe di capi­re la reale volontà del paziente. Per­ché dove il testamento biologico è ri­conosciuto (nella maggior parte dei Paesi) non risolve tutti i problemi, ma aiuta il medico ad affrontarne alcuni in modo più consapevole e rispetto­so ».
Nel reparto diretto da Paola Inno­centi, la prima cosa da fare è garantire la sopravvivenza e dare una prognosi ai pazienti che spesso hanno subito un grave danno cerebrale ed arrivano già in coma. «E in quel caso, superata la fase dell’emergenza, ci preoccupia­mo di indagare con la famiglia e le per­sone a lui più vicine se siano state re­datte direttive anticipate rispetto ai trattamenti. Lo facciamo per capire nei limiti del possibile come avrebbe risposto quel paziente a trattamenti molto invasivi nel caso questi non avessero possibilità di successo». E quando è chiaro che l’esito sarà infau­sto «e che i nostri trattamenti potreb­bero essere futili allora ci confrontia­mo con la famiglia. Non sa quante vol­te ci troviamo di fronte ai parenti che ci dicono 'mio fratello o mia sorella non avrebbe mai accettato di essere tracheotomizzato'. E in questi casi cer­chiamo di attenerci alla volontà del fa­miliare ». Ma come si lavora in un qua­dro normativo così complesso? «Ci muoviamo con grande difficoltà, la legge attuale è poco chiara. Al momen­to, il consenso o meno ai trattamenti è valido solo per i pazienti in grado di decidere. Quando sono incoscienti se non interveniamo corriamo il rischio di finire sotto inchiesta penale. Faccio l’esempio di Piergiorgio Welby: da co­sciente chiese di non essere tracheoto­mizzato, anche se questo non lo avreb­be fatto vivere. Ma quando perse co­scienza il suo desiderio non fu asse­condato ». Nel reparto della Innocenti si è verificata una situazione simile: «Un paziente ci disse: 'Se smetto di re­spirare non mi intubate'. Abbiamo cercato di convincerlo che l’intubazio­ne lo avrebbe fatto sopravvivere, ma spiegato che non potevamo garantir­gli miglioramenti. E lui ha detto no; noi, rispettando la sua volontà, non lo abbiamo fatto». Il paziente ha scelto, e poi è deceduto «naturalmente», con­clude la dottoressa. «Il momento delle scelte difficili da noi c’è sempre. Per questo è fondamentale il rapporto con la famiglia perché per interrompe­re trattamenti che possono essere futi­li (e che ci impone di fermare il nostro codice deontologico) dobbiamo avere una grande condivisone con le perso­ne di fiducia del paziente. Per questo abbiamo eliminato gli orari di visita, qui i familiari vengono sempre. È un doppio scambio. Noi diamo informa­zioni a loro e loro a noi sulla persona ricoverata che riacquista la dimensio­ne di una persona malata e non di un corpo malato».

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