l’Unità 4.10.09
Biotestamento: il vuoto e la bagarre
di Andrea Boraschi
La sentenza 8650/09 del Tar del Lazio, ancorché non produca giurisdizione, è stata capace di scontentare molti esponenti della maggioranza. Essa è stata emessa in riferimento al ricorso presentato da Gianluigi Pellegrino, legale del Movimento difesa dei Cittadini, dopo l’indirizzo col quale, lo scorso di-cembre, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi diffidava le strutture del sistema sanitario pubblico dall’interrompere idratazione e nutrizione a pazienti in stato vegetativo permanente. Quell’atto, lo si ricorderà, era volto a tenere in vita Eluana Englaro contro la sua volontà e nella persistenza di un quadro clinico irrecuperabile.
Il Tar, pochi giorni addietro, si è detto non competente ad esprimersi sul ricorso; e, tuttavia, nelle motivazioni della sentenza ha formulato un parere che proietta molte ombre sul disegno di legge del centrodestra in materia di Testamento biologico, approvato dal Senato e che sta per tornare in discussione alla Camera. Vi si legge, infatti, che «i pazienti in Stato Vegetativo Permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono, in ogni caso, essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui la loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti». La bagarre è facile a immaginarsi: il PdL si fa forza del difetto di giurisdizione ammesso dal Tar per confermare la validità dell’indirizzo voluto da Sacconi, fino a proporlo quale base di discussione in sede legislativa; altri ricordano, invece, come quel provvedimento sia severamente criticato dal Tar, che ne evidenzia infondatezza e ambiguità (si tratta di un atto meramente ricognitivo che, così si legge, finisce con l’essere «un atto prescrittivo ... che trasforma in obbligo di comportamento il contenuto di pareri e di proposte di disposizioni non ancora entrate nel quadro normativo»).
Il Tar riconosce una cosa semplicissima: che c’è un vuoto legislativo. E che la misura del Governo con cui si intendeva tenere in vita la Englaro non poggia, pertanto, su alcuna normativa; piuttosto essa viola il dettato costituzionale e molte convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro paese. Per alcuni – e ti pareva! si tratta di «uso politico dell’attività giurisdizionale». Per noi appare sempre più evidente come l’obbligo alla cura – nato come principio di tutela, ma che si fa crudele quando la cura diventa ostinazione e accanimento – possa risultare incompatibile con la liberalità del diritto e con i fondamenti di una società democratica.
Biotestamento: il vuoto e la bagarre
di Andrea Boraschi
La sentenza 8650/09 del Tar del Lazio, ancorché non produca giurisdizione, è stata capace di scontentare molti esponenti della maggioranza. Essa è stata emessa in riferimento al ricorso presentato da Gianluigi Pellegrino, legale del Movimento difesa dei Cittadini, dopo l’indirizzo col quale, lo scorso di-cembre, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi diffidava le strutture del sistema sanitario pubblico dall’interrompere idratazione e nutrizione a pazienti in stato vegetativo permanente. Quell’atto, lo si ricorderà, era volto a tenere in vita Eluana Englaro contro la sua volontà e nella persistenza di un quadro clinico irrecuperabile.
Il Tar, pochi giorni addietro, si è detto non competente ad esprimersi sul ricorso; e, tuttavia, nelle motivazioni della sentenza ha formulato un parere che proietta molte ombre sul disegno di legge del centrodestra in materia di Testamento biologico, approvato dal Senato e che sta per tornare in discussione alla Camera. Vi si legge, infatti, che «i pazienti in Stato Vegetativo Permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono, in ogni caso, essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui la loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti». La bagarre è facile a immaginarsi: il PdL si fa forza del difetto di giurisdizione ammesso dal Tar per confermare la validità dell’indirizzo voluto da Sacconi, fino a proporlo quale base di discussione in sede legislativa; altri ricordano, invece, come quel provvedimento sia severamente criticato dal Tar, che ne evidenzia infondatezza e ambiguità (si tratta di un atto meramente ricognitivo che, così si legge, finisce con l’essere «un atto prescrittivo ... che trasforma in obbligo di comportamento il contenuto di pareri e di proposte di disposizioni non ancora entrate nel quadro normativo»).
Il Tar riconosce una cosa semplicissima: che c’è un vuoto legislativo. E che la misura del Governo con cui si intendeva tenere in vita la Englaro non poggia, pertanto, su alcuna normativa; piuttosto essa viola il dettato costituzionale e molte convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro paese. Per alcuni – e ti pareva! si tratta di «uso politico dell’attività giurisdizionale». Per noi appare sempre più evidente come l’obbligo alla cura – nato come principio di tutela, ma che si fa crudele quando la cura diventa ostinazione e accanimento – possa risultare incompatibile con la liberalità del diritto e con i fondamenti di una società democratica.
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