l’Unità 16.9.09
Se la medicina si trasforma in polemica
L’Avvenire e la diagnosi di Eluana
di Carlo Alberto Defanti, neurologo
Essendo stato per tredici anni il neurologo di Eluana, mi sento in dovere di formulare qualche considerazione su quanto affermato dal mio collega Gianluigi Gigli sugli aspetti scientifici dello stato vegetativo persistente (Avvenire, 10 settembre). Citando articoli recenti e un’intervista di Steven Laureys, neurologo di Liegi, in occasione del Congresso della European Neurological Society tenutosi a Milano a giugno, Gigli non fa che ricordare un dato noto, ossia l’elevata percentuale di errori commessi nel diagnosticare la mancanza di coscienza in questi pazienti. Come neurologi siamo sollecitati ad una maggiore attenzione sia nel porre questa diagnosi sia a ricorrere a scale di valutazione standardizzate oggi non ancora diffuse. Su questo punto non si può che concordare. Meno scontata, invece, è la tesi dell’importanza delle indagini strumentali (Pet, Risonanza Magnetica Funzionale, ecc.) per avvalorare la diagnosi. È vero che negli ultimi anni vi sono stati progressi nello studio strumentale, ma il significato delle nuove acquisizioni è ancora incerto e le indagini citate non sono fra le linee guida per la diagnosi di stato vegetativo.
Il vero obiettivo di Gigli è polemico: sostenere che senza le misurazioni strumentali le diagnosi basate sulle proprie convinzioni cliniche possono essere fuorviate, «specie se influenzate dall’ideologia o da influenze esterne». Così sostiene che «purtroppo di quanto accaduto nel mondo scientifico negli ultimi quindici anni non c’è traccia nel decreto della Corte di appello di Milano con cui si è autorizzata la sospensione dell’idratazione e della nutrizione in Eluana».
Quest’ultimo ragionamento è sbagliato: una cosa è sottolineare il dovere alla prudenza nel diagnosticare lo stato vegetativo – punto su cui non posso che concordare –, altro è voler riferire l’invito alla cautela al caso di Eluana, che in 17 anni di decorso non ha mai manifestato alcun segno di coscienza. Trovo offensivo il sospetto avanzato da Gigli che sulla diagnosi di Eluana, che altri prima di me avevano posto ma di cui porto la responsabilità, possano aver interferito «ideologia o influenze esterne», in altre parole la volontà da fare di lei l’agnello sacrificale di una battaglia bioetica “laicista”. Il fatto che io sia stato sia l’esperto che fa la diagnosi sia il sostenitore della battaglia del padre per far rispettare la volontà della figlia può apparire una contraddizione agli occhi di coloro che vedono nella difesa della vita sempre e comunque il dovere assoluto del medico. Io penso invece che essere a fianco del malato significhi non solo difenderne la vita, ciò che credo di aver fatto durante tutta la mia carriera, ma anche porsi al suo servizio quando, in condizioni terminali o di estrema menomazione, manifesti la volontà di rinunciare ai trattamenti di sostegno vitale.
Se la medicina si trasforma in polemica
L’Avvenire e la diagnosi di Eluana
di Carlo Alberto Defanti, neurologo
Essendo stato per tredici anni il neurologo di Eluana, mi sento in dovere di formulare qualche considerazione su quanto affermato dal mio collega Gianluigi Gigli sugli aspetti scientifici dello stato vegetativo persistente (Avvenire, 10 settembre). Citando articoli recenti e un’intervista di Steven Laureys, neurologo di Liegi, in occasione del Congresso della European Neurological Society tenutosi a Milano a giugno, Gigli non fa che ricordare un dato noto, ossia l’elevata percentuale di errori commessi nel diagnosticare la mancanza di coscienza in questi pazienti. Come neurologi siamo sollecitati ad una maggiore attenzione sia nel porre questa diagnosi sia a ricorrere a scale di valutazione standardizzate oggi non ancora diffuse. Su questo punto non si può che concordare. Meno scontata, invece, è la tesi dell’importanza delle indagini strumentali (Pet, Risonanza Magnetica Funzionale, ecc.) per avvalorare la diagnosi. È vero che negli ultimi anni vi sono stati progressi nello studio strumentale, ma il significato delle nuove acquisizioni è ancora incerto e le indagini citate non sono fra le linee guida per la diagnosi di stato vegetativo.
Il vero obiettivo di Gigli è polemico: sostenere che senza le misurazioni strumentali le diagnosi basate sulle proprie convinzioni cliniche possono essere fuorviate, «specie se influenzate dall’ideologia o da influenze esterne». Così sostiene che «purtroppo di quanto accaduto nel mondo scientifico negli ultimi quindici anni non c’è traccia nel decreto della Corte di appello di Milano con cui si è autorizzata la sospensione dell’idratazione e della nutrizione in Eluana».
Quest’ultimo ragionamento è sbagliato: una cosa è sottolineare il dovere alla prudenza nel diagnosticare lo stato vegetativo – punto su cui non posso che concordare –, altro è voler riferire l’invito alla cautela al caso di Eluana, che in 17 anni di decorso non ha mai manifestato alcun segno di coscienza. Trovo offensivo il sospetto avanzato da Gigli che sulla diagnosi di Eluana, che altri prima di me avevano posto ma di cui porto la responsabilità, possano aver interferito «ideologia o influenze esterne», in altre parole la volontà da fare di lei l’agnello sacrificale di una battaglia bioetica “laicista”. Il fatto che io sia stato sia l’esperto che fa la diagnosi sia il sostenitore della battaglia del padre per far rispettare la volontà della figlia può apparire una contraddizione agli occhi di coloro che vedono nella difesa della vita sempre e comunque il dovere assoluto del medico. Io penso invece che essere a fianco del malato significhi non solo difenderne la vita, ciò che credo di aver fatto durante tutta la mia carriera, ma anche porsi al suo servizio quando, in condizioni terminali o di estrema menomazione, manifesti la volontà di rinunciare ai trattamenti di sostegno vitale.
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